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Autore: Enid    20/07/2018    1 recensioni
Storia scritta per la Challenge di Natale 2017 del gruppo Aspettando Sherlock 5 - Spoiler ed Eventi
https://www.facebook.com/groups/366635016782488/
Promt di Aurora Bernardi: Sherlock e John sono sposati, vivono una vita felice e hanno finalmente trovato la serenità. Durante un caso Sherlock ha un incidente e si risveglia in ospedale, scoprendo di aver perso la memoria. A quel punto John dovrà aiutarlo a ricordare e soprattutto, dovrà riconquistare il suo amore.
Dedica:
Questo è uno dei miei trope preferiti di sempre: l’amnesia! Ho saltellato quando ho visto questo prompt e l’ho scelto subito!
Nota: ci ho messo 6 mesi MA LA FIC E' COMPLETA! Metterò un capitolo a settimana ^^
Curiosità: Il titolo della storia è il titolo di una famosa canzone folkloristica inglese che si canta a natale, e i capitoli... sono il testo della canzone, ovviamente adattati!!
Genere: Azione, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota pre capitolo: I pub sono tutti veri (e le particolarità elencate sono quelle dei pub!!) tranne uno, ovviamente. Ma nella via dove ho posizionato quello fittizio (e fidatevi, lo riconoscerete!) c'è in realtà uno dei miei pub preferiti: lo Sherlock Holmes Pub... ora, capite che non potevo lasciargli questo nome, sarebbe stato eccessivamente narcisistico anche per Sherlock!!

On the seventh day of Christmas ironic fate sent to me Seven London Pubs, six broken kneecaps, five confused policemen four cricket bats, three rotting corpses, two Holmeses and a retrograde amnesia 

Sherlock quella mattina si svegliò di nuovo presto, dopo poche ore di sonno. Non che ricordasse di aver mai avuto bisogno di dormire troppo, ma riposava in modo strano, nonostante sapesse che quello era il suo letto e il suo corpo lo riconoscesse come tale, c’era qualcosa… qualcosa che mancava.

Per una volta non sentì il rumore delle stoviglie in cucina e di John che preparava il the e ne approfittò per riflettere. Sapeva che il caso era stato messo sulla sua strada ad hoc per distrarlo, anche se doveva ammettere con riluttanza che era stato un caso da due patch di nicotina. Quello che l’aveva lasciato perplesso era la sua stessa reazione a John. Lo aveva incuriosito la raccomandazione di Mycroft di essere tollerante nei suoi confronti, e più di una volta aveva provato la spinta a fare tutto il contrario solo per fare un dispetto al fratello ma… non c’era riuscito. Non che non avesse trattato John in modo brusco, ma sembrava che per l’uomo che diceva di essere suo marito la cosa non fosse lontana dal normale. In compenso, alcune volte aveva quasi obbedito a John, come se fosse una seconda natura. La storia che aveva letto nel fascicolo consegnatogli da Mycroft non gli aveva affatto chiarito il modo in cui loro due erano finiti assieme. Gli rimaneva tutt’ora inconcepibile di essersi perfino sposato, anche se ammetteva che John aveva destato la sua curiosità. Tentare di comprendere la presenza dell’uomo nella vita sua era come avere la soluzione e mancare del problema; John Watson continuava a sorpassare ogni schema con cui Sherlock provava a inquadrarlo, una cosa frustrante oltre ogni comprensione.

Prese il computer che aveva lasciato in camera e lo accese. Sì, c’era abbastanza batteria per non doversi muovere per un paio d’ore. Si sorprese a vedere che non vi era password, ma per una volta ne fu contento: non sapeva se sarebbe riuscito a dedurla, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Aprì il browser e aspettò che caricasse la schermata di ricerca.

Non si aspettava certo che si aprisse un blog come prima pagina.

Il Blog personale del dottor John H. Watson.

Da quando in qua seguo blog? Da quando in qua seguo blog che tengo come pagina principale del mio browser? In cosa diamine mi sono trasformato? Cos’ha quest’uomo di così affascinante che pure con gli ultimi anni della mia memoria saltati mi trovo a seguire quello che dice?

Da un lato, voleva davvero fare il Bastian Contrario. Quest’uomo era approvato da Mycroft, sembrava davvero che non gli importasse degli esperimenti o dei piani assurdi durante le indagini. Si chiedeva, Sherlock, come avesse potuto cambiare tanto. E in parte lo rifiutava.
Dall’altro, si rendeva conto che lui era stato il primo a scegliere quell’uomo. Dai dati sul fascicolo di Mycroft, John Watson aveva ucciso Hope per salvare lui. Non era solo un medico, era un soldato, un capitano. E Sherlock avrebbe volentieri mentito a chiunque altro, ma non a se stesso: vederlo il giorno prima alle prese con quei malviventi, metterli fuori gioco con efficienza ed eleganza, vederlo anche infuriarsi quando lui era stato colpito e sentire poi quelle stesse mani che avevano provocato tanto dolore a quegli uomini muoversi delicatamente quando gli aveva controllato la ferita…
Per non parlare del momento subito dopo lo scontro quando era stato Sherlock stesso ad iniziare quasi il bacio.
Scosse il capo, cercando di togliersi dalla testa il pensiero.
Guardò di nuovo lo schermo del computer e decise di affrontare la questione una volta per tutte. Se le informazioni di Mycroft non erano state sufficienti, forse questo blog gli avrebbe dato un punto di vista alternativo sulla storia, e soprattutto, una finestra per cercare di capire il suo coinquilino… suo marito.
Quindi cliccò in fondo alla prima pagina, sui grandi caratteri verdi che dicevano “Vedi gli altri post”.

Scorse in fondo e trovò i primi post.

14 dicembre
Niente

Ma che?

15 dicembre
Non ha senso
Non mi succede mai niente

20 gennaio
Come?
Come lo cancello?

21 gennaio
Contenta ora?
Guarda, Ella, sto scrivendo nel mio blog.

Sherlock guardò perplesso lo schermo. Cosa c’entrava questo guscio pieno di niente con l’uomo che solo la notte precedente aveva messo KO sei delinquenti e poi aveva consolato un’anziana signora spaventata?

I due post successivi continuavano sulla stessa linea di nulla assoluto, inutilità. Solo una rapida menzione al caso dei suicidi.
E poi…

29 gennaio
Uno strano incontro

Da lì in poi Sherlock si perse nella lettura di tutti i casi che John aveva registrato. Ma non erano i casi – di cui aveva già letto nel fascicolo di Mycroft – ad interessarlo. Era il modo in cui John lo descriveva, caso dopo caso, sempre più coinvolto, sempre più trasparente, almeno per lui. Sembrava quasi che qualcosa volesse smuoversi ma niente era abbastanza. Lesse avidamente i vari eventi fino ad arrivare al processo di Moriarty e poi…
E infine.

16 giugno
Era il mio migliore amico e io crederò sempre in lui.

Questo era l’unico evento di cui, nel fascicolo del fratello maggiore, non ci fosse un’analisi sterile e clinica, ma una lettera scritta a mano di Mycroft stesso. Sherlock prese il plico di documenti dal comodino e cercò la lettera. L’aveva letta ma l’aveva anche presa tremendamente sotto gamba.

Ora, era necessario rileggerla, alla luce di queste nuove informazioni in suo possesso.

Sherlock,
Non è possibile lasciare solo ai dati il compito di descrivere la sofferenza che i piani di Moriarty hanno portato a te, a John e a noi tutti. So che non è nella tua natura credermi di primo acchito, quindi immagino che queste parole cadranno probabilmente nel vuoto, ma non mi sentirei a mio agio con la mia coscienza (che, checché tu ne dica, esiste) se non tentassi almeno di darti un’idea.
I due anni in cui sei stato via per smantellare la rete di Moriarty sono stati duri quasi quanto gli anni in cui passavi le giornate a farmi venire i capelli grigi drogandoti. C’era in te una disperazione di portare a termine quella missione che ho visto solo quando eri disperato per un’altra dose di droga. Mi sarei preoccupato di più se non avessi saputo che il dottor John Watson era colui per cui stavi cercando di muovere montagne e fiumi.

Se ti capiterà di leggere tabloid del periodo del tuo ritorno, per una volta ci hanno azzeccato. Sì: avevi finto il tuo suicidio, simulato la tua morte solo per poter salvare la vita a John, a Mrs. Hudson ed al mio Greg. Non aggiungerò altro, non credo che tu debba ricordare per interposta persona, ma sono convinto che sia necessario che tu capisca che il tuo “vecchio” te aveva delle ragioni molto valide per comportarsi come si è comportato.

A presto, fratellino.
Myc”

Sherlock si perse nella lettura e rilettura finché la batteria non lo abbandonò. Poi decise che era giunta l’ora di uscire di casa, per riflettere a mente lucida. Si vestì rapidamente, si mise il cappotto mentre John gli chiedeva dove stesse andando e, ignorandolo del tutto, uscì di casa.

Il dottore era ancora in pigiama (erano le sette del mattino in fondo) e quando tentò di fermarlo Sherlock semplicemente lo schivò. Non disse una parola ed uscì.
La voce di John che gridava “SHERLOCK!” lungo le scale gli risuonò nelle orecchie più a lungo di quanto avesse voluto.

Il cellulare gli vibrò in tasca e lo tirò fuori.

Devo far venire un’auto? MH’

 Con una mano, rispose.

Ho bisogno di pensare. Fa’ che John non mi segua. SH’

Se avessi bisogno, chiamami. MH’

Sherlock non si degnò di rispondere all’ultimo messaggio, chiamò un taxi e diede un indirizzo preciso.
Aveva letto il blog di John, e di tutte le cose che gli erano sembrate strane, la più strana era la festa di addio al celibato, solo loro due in giro per i pub. Aveva trovato la lista sul sito, perché evidentemente John ci teneva a fare pubblicità visto che pareva si fossero divertiti (entrambi!).

Arrivò al Calloh Callay. Ovviamente era chiuso, ma solo vedere l’entrata così particolare gli fece girare la testa. Un flash, che probabilmente era una memoria ma a lui sembrava come il fotogramma di un film, gli fece ricordare uno strano cocktail con un nome terribile, bevuto con un cilindro graduato. Superò rapidamente la posizione del pub, cercando di rompere il blocco nel suo palazzo mentale. Niente. Il flash era stato meramente quello.

Proseguì a piedi, ignorando i taxi, sapendo di avere ore da spendere. Alla fine, arrivò al secondo. Lo Zetter Townhouse aveva tutto l’aspetto di una residenza georgiana, e un altro flash coi cilindri graduati lo assalì. Lenzuola di cotone egiziano, quadri moderni fatti per essere antichi, animali esotici impagliati. Che senso aveva tutto questo? Nel flash si vide riflesso in uno specchio appeso al muro, con accanto John, ed un sorriso stampato in faccia. Un’espressione che su altri non avrebbe esitato a definire “innamorata”, ma che su se stesso gli sembrava non avere senso.

Eppure… eppure non era stato John a quasi baciarlo la sera prima.

Il terzo pub gli ricordava la Tube. Il flash fu ancora più strano, una bomba in un vagone? No, non capiva nulla di quello che il suo cervello gli propinava, sapeva solo che c’era sempre e comunque John con lui.

L’Icebar London si stagliò di fronte a lui dopo aver camminato non sapeva nemmeno più lui quando. Un bar gelido, tenuto sotto zero, erano rimasti molto meno dei quaranta minuti massimi concessi ma era stato… interessante.

E come faccio a sapere dei quaranta minuti? Non era nel blog di John. Maledetto blocco!

Girò in direzione di Angelo, in Northumberland street (quella strada era menzionata così spesso nel blog) per proseguire più avanti e bloccarsi davanti al pub più assurdo dove avrebbero potuto andare.

Il Murder She Wrote sembrava quasi un pezzo di New England trapiantato nella Old England, e i riferimenti alla scrittrice interpretata da Angela Lansbury si sprecavano. Sherlock non amava ammettere di avere un debole per quel telefilm, ma quando era bambino e poi ragazzo gli aveva tenuto compagnia, sostituendo quelle tate noiose e fissate col cibo.

Quante cose di me ho raccontato a quell’uomo? Avrei pensato che un addio al celibato sarebbe stata l’ultima cosa che avrei voluto, così come il matrimonio ma… questo giro… sembra fatto apposta per non fare annoiare me…

Sherlock rimase più a lungo davanti al Murder She Wrote. Tanto a lungo che si fece l’ora di pranzo. Si girò quando si sentì toccare la spalla.

Era Angelo.

“Sherlock Holmes, non avevo dubbi! Vieni amico, vieni a mangiare qualcosa? E dov’è il tuo baldo dottore?”

Il mio baldo dottore…

“Sono solo oggi, John aveva da fare.” Mentì con facilità.

“Ah, peccato, vi vedo sempre volentieri assieme… d’altronde, sono stato il primo a capire che sareste stati perfetti l’uno per l’altro…”

Sherlock seguì Angelo, prestando solo in parte attenzione al suo monologo; ricordava di averlo letto sul blog. Come quel primo incontro era proseguito da Angelo, ebbe il flash della labile luce di una candela, gli occhi nocciola di quello che ancora non si capacitava potesse essere suo marito.
Accettò il piatto di pasta alla bolognese che Angelo gli servì (‘Ragù alla bolognese vero, non quell’imitazione che propinano al ristorante giù all’angolo’, gli aveva detto Angelo, augurandogli buon appetito).
Aveva mangiato meccanicamente, e Angelo come al solito aveva protestato quando aveva provato a pagare.

Perché aveva provato a pagare? Non pagava mai da Angelo.

Rimase ancora un’ora a pensare seduto al tavolo del ristorante italiano, guardando la facciata del Murder She Wrote, poi decise che voleva e doveva finire il giro che si era imposto.
Ora il suo cervello era tornato alla sera precedente. Alla dichiarazione di John, così salda, incrollabile. Una parte di lui provò nostalgia per quel sentimento che sembrava così totalizzante. E anche se senza dubbio – specie se si costringeva ad essere onesto con se stesso – provava una forte attrazione per il dottore (chi altri lo accettava così com’era perfino con l’amnesia se non John? Nemmeno il suo stesso fratello.), non capire da dove venisse la profondità del sentimento lo irritava. Aveva letto il fascicolo, aveva letto il blog: John aveva ucciso una persona – un serial killer, bada bene, ma sempre ucciso – per salvargli la vita dopo una giornata che si conoscevano.

I piedi lo avevano nel frattempo portato davanti al sesto pub. Il Barts. Il nome in realtà gli evocava altro. Un palazzo largo e tozzo, ma abbastanza alto per comportare una caduta di una certa gravità. Un ospedale. Ma questo era uno bar speakeasy, un locale che, stranamente, di nuovo ricordava. Dietro la porta nera, una sorta di bar/salotto, con mobili che non andavano gli uni con gli altri, e diversi animali impagliati, alcuni in posizioni strane. Si erano vestiti per adeguarsi all’epoca, mentre i cilindri graduati si riempivano e si svuotavano. Un post-it incollato sulla fronte…

Dannazione, uscire di casa lo stava confondendo più che stare dentro!

Mancava una tappa. Un’ultima, perfino sarcastica, tappa. Un altro speakeasy, ma tematizzato come un’agenzia di investigatori privati. Arrivato davanti, un altro giramento di testa. Ricordava di aver risposto a domande assurde, ricordava qualcuno (John?) che parlava di un caso riguardo una stampella di alluminio, o almeno così Sherlock credeva. A quel punto il livello alcolico doveva essere stato alto perché anche i flash erano confusi.
Ma lì, davanti all’Evans and Peel, col sole tramontato e il freddo di dicembre di Londra che gli si appoggiava addosso e le persone che iniziavano ad uscire e ad augurarsi “buon anno!” a vicenda, Sherlock riuscì finalmente a capire ciò che cercava.

A primo acchito aveva pensato che il giro dei pub per l’addio al celibato fosse stato un suo modo per assecondare John, per qualche strano motivo. Ma ognuno di quei luoghi aveva qualcosa di strano, particolare, interessante. Quel giro non era su misura per un uomo apparentemente normale (oh, perché John Watson cercava di apparire normale, e per la maggior parte ci riusciva, ma anche in quei pochi giorni Sherlock si era reso conto che era tutto tranne che quello) ma era un giro pensato per lui. John aveva pensato a lui quando aveva organizzato l’addio al celibato, come aveva pensato a lui in ospedale tenendo le luci basse, come aveva pensato a lui a casa andando a dormire nella seconda camera anche se era evidente che la cosa gli pesava. Aveva pensato a lui anche non inseguendolo quella mattina.

Sherlock non sapeva se e come si sarebbe innamorato ancora di lui.

Però sapeva che probabilmente era sulla buona strada.

E quell’uomo, che lo accompagnava nei casi, che prendeva a pugni la gente che lo feriva per poi medicarlo, se voleva proprio essere onesto con se stesso, meritava di non passare capodanno da solo, dopo aver avuto il trauma dell’amnesia della persona che (e stranamente questo pensiero gli arrivò e lo fece sentire piccolo) considerava la più importante della sua vita.

Evidentemente era fermo da un po’, il cellulare gli vibrò in tasca.

Se sei pronto per tornare a Baker Street, c’è un’auto nera pronta a prenderti. MH’

‘Sì, sono pronto. Grazie. SH’

‘Oh cielo, l’apocalisse si abbatterà su noi tutti, mio fratello mi ha ringraziato. MH’

‘Stai troppo tempo con George… SH’

‘Gregory. E non abbastanza. Buon anno, Sherlock. MH’

‘Buon anno, Mycroft. SH’.

La limousine nera si accostò al marciapiede e lui vi entrò grato. Abbassò il vetro con l’autista.

“Prima di andare a Baker Street, si dovrebbe fermare al ristorante Grande Muraglia, per piacere.” L’uomo annuì semplicemente.

E fu così che alle 21 del 31 dicembre 2017, Sherlock Holmes salì i diciassette scalini del 221B di Baker Street con le mani piene di buste del ristorante cinese.
   
 
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