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Autore: KiarettaScrittrice92    22/07/2018    0 recensioni
Nel '68, gli anni della rivolta giovanile, sette ragazzi si ritroveranno a combattere per qualcosa di più grande della loro indipendenza e della loro libertà.
Solo grazie alla loro amicizia, alla loro voglia di essere diversi e al loro indiscusso legame, riusciranno a vincere questa battaglia.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il viaggio

14 Settembre 1968

It's not unusual di Tom Jones, suonava dalla radio di camera sua, mentre lei ballava frenetica andando a ritmo. Come vestiti aveva optato per un semplice abito verde acqua e bianco cucito tutto a mano che le arrivava fino a metà delle cosce, sopra vi aveva messo una cintura turchese, intonandosi perfettamente al suo caschetto mosso che aveva il colore del mare limpido. Doveva ancora decidere quali occhiali indossare e soprattutto cosa mettersi in testa.
Nicoletta continuava a muoversi, provando un paio di occhiali dopo l’altro, finché non li scelse, la montatura tonda e le lenti celesti, perfetti. Prese dal cassetto un foulard nero roteandolo sulla testa per poi metterselo, facendolo passare sotto l’attaccatura dei capelli e annodandolo sopra come un fiocco.
Riprese con l’indice e il pollice il mozzicone che ancora le era rimasto portandoselo alle labbra colorate di un blu intenso, aspirò un lungo tiro: percependo il fumo in bocca e l’effetto dell’erba che le inondava il cervello, dandole ancora più allegria.
Mosse la testa ciondolando e guardandosi allo specchio, per poi buttare fuori il fumo. Afferrò il porta sigarette in metallo dentro cui aveva infilato tutto il suo faticoso lavoro della mattina e lo infilò in borsa, per poi uscire dalla camera, mentre faceva un altro tiro, senza accorgersi di aver lasciato la radio accesa.

 

Jack ruotò un po’ la manopola dell’acceleratore della sua Honda CB750, se l’era fatta portare direttamente dal Giappone alla sua uscita e da quel giorno non se ne era più separato; come d’altronde non si separava dalla sua Lucille, che in quel momento aveva alle spalle.
Il loro obbiettivo, arrivare il prima possibile all’Hollywood Bowl per l’ennesimo concerto del suo idolo: era già il terzo che andava a vedere, eppure aveva la stessa adrenalina e la stessa eccitazione che avrebbe avuto fosse stato il primo. Amava quell’uomo di colore con i ricci ribelli tipici della sua gente, ma più di tutto, adorava come riusciva a suonare la chitarra. Nessuno, prima di lui, aveva dimostrato un talento così innato per il rock, nessuno aveva mai avuto un’affinità così incredibile con quello strumento, tanto da fare assoli da paura in cui muoveva le dita a una velocità incredibile.
Jack sperava davvero che un giorno avrebbe avuto la stessa affinità con Lucille, che riuscisse a suonarla a quel modo, nonostante lei fosse una chitarra acustica, mentre quelle di Jimi Hendrix, quelle che solitamente frantumava contro il pavimento a fine concerto, erano tutte elettriche. Quanto avrebbe voluto una chitarra elettrica, certo, non avrebbe potuto suonarla quando era fuori, ma era sicuro che con il suo talento se la sarebbe cavata alla grande.

 

«Ciao ma’… Io esco!» disse il ragazzo, aprendo la porta della roulotte in cui viveva insieme a lei.
«Ciao tesoro, mi raccomando, divertiti.» rispose la madre, praticamente biascicando, mentre prendeva l’ennesimo tiro dalla canna che aveva tra le dita.
Justin scosse la testa e chiuse la porta, infilando entrambe le mani nelle tasche dei suoi jeans neri. Non si portava nulla, in fin dei conti gli bastava avere un pacchetto di sigarette, l’accendino e soprattutto la bandana di suo padre. Quella che si metteva ogni mattina in testa e che ormai da rossa che era una volta, era diventata di uno strano color bordeaux, slavato. Non usciva mai senza e la lavava lui stesso una volta a settimana nei periodi freddi e ogni sera quando faceva troppo caldo.
Si sarebbe piazzato sul ciglio della 101 ad attendere qualcuno a cui chiedere un passaggio; in fin dei conti Hollywood era a solo un’ora e mezza di macchina da Santa Barbara.
Arrivato, attese tranquillamente che qualche auto passasse, tirando fuori una sigaretta e accedendosela. Dovettero passare trenta minuti e almeno una ventina di auto, prima che qualcuno accettasse quel suo pollice alzato e si fermasse, accostando proprio di fianco a lui: era una Dodge Charger rossa, la riconobbe perché un suo amico ne aveva una uguale.
Il ragazzo all’interno abbassò il finestrino girando la manovella.
«Ehilà, hai bisogno di un passaggio amico?» domandò.
Justin lo guardò per un attimo: capelli metà biondi e metà rosa, raccolti in un codino sulla nuca, aria tranquilla. 
«Sì grazie.» rispose appena gli sembrò di potersi fidare.
«Avanti sali!» lo incitò e lui fece il giro dell’auto, passando da davanti e mettendosi dal lato del passeggero.
«Dove vai di bello?» gli domandò, ingranando la marcia e pestando l’acceleratore.
«Hollywood…» rispose appena lui.
«Oh, fantastico, anche io! Non dirmi che anche tu stai per andare al concerto del secolo.» fece il ragazzo eccitato, leccandosi le labbra.
«Ah, ah… – rispose appena lui – Senti posso fumare?» domandò poi, infilando la mano nella tasca del jeans e serrandola sul pacchetto di sigarette.
«Certo!» confermò tranquillamente lui. Il ragazzo allora lo tirò fuori, assieme all’accendino e fece il primo tiro.
«Nazionali eh? – chiese il guidatore, osservando il pacchetto – Io ormai me le giro le sigarette.»
«Nel senso che fumi erba?»
«No, no. Tabacco normale, solo odio il sapore delle sigarette già fatte.»
«Capito.» rispose infine lui, facendo un tiro e soffiando il fumo fuori dal finestrino semi aperto.
«A proposito, io sono Christopher!» disse il mezzo biondo, porgendogli la mano destra e tenendo il volante con l’altra.
«Justin.» rispose lui stringendogliela.

  
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