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Autore: Stefy89M    23/07/2018    2 recensioni
“Storia partecipante al II CONTEST FANFICTION OBSESSION GALLAVICH: CAN WE BE FRIENDS?”
-Per queste settimane ti occuperai della pulizia all’interno dei reparti- disse oltrepassando le porte scorrevoli. Mickey la seguì lanciando uno sguardo alla grossa scritta che dava il benvenuto al “San Payer Ospital”, il fottuto manicomio di Chicago.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un colore di più
 
“Se non ricordi che Amore t’abbia mai fatto commettere la
più piccola follia, allora non hai mai amato”

[cit.William Shakespeare]

 
-Capitolo 3-
 
Come ormai di routine, Mickey prese il suo caffè nero alla macchinetta e fece un cenno di saluto alla tirocinante Melissa.

-I turni di mattina mi distruggono- proferì lei massaggiandosi la nuca. –Non ne posso più-
Mickey non poté che darle ragione. I turni di mattina stavano diventando massacranti, svegliarsi all’alba era qualcosa di orribile e lavorare tutto il giorno a stretto contatto con i suoi colleghi stava diventando impossibile. L’idea dei turni notturni iniziava a farsi sempre più allettante nella sua testa; non avrebbe più dovuto intrattenere conversazioni con nessuno o svegliarsi presto o vedere tutti quei pazzi in giro a fare cose strane. No. La notte dormivano tutti, la notte c’era silenzio, la notte si era in servizio da soli, un inserviente per ogni piano.
Melissa bevve tutta la sua tisana e poi diede un colpetto sulla sua spalla a mo’ di saluto.
-Ci vediamo e mi raccomando, non parlare con i pazienti!-

Mickey seppellì la faccia nel suo bicchiere di caffè. Lui con i pazienti ci aveva parlato eccome, specialmente con uno. Un ragazzino logorroico dai capelli rossi che lo aveva seguito in lungo e in largo. Mickey ingoiò con amarezza quello che era rimasto del suo caffè. Dio, gli aveva pure rivelato il suo nome.
Scosse la testa e si accinse ad iniziare il suo turno di lavoro.
 
Per gran parte della mattinata, Mickey riuscì a tenersi lontano dalla sala comune del secondo piano. Lavò i corridoi del quarto e si sentì decisamente più tranquillo; quando veniva lasciato in pace dalla Anderson e da i suoi colleghi che lo controllavano e lo trattavano come se fosse un poppante, riusciva quasi ad apprezzare il suo lavoro. Lavare i pavimenti in silenzio e in completa solitudine aveva su di lui un effetto rilassante.

Quando ebbe passato lo straccio sull’ultima macchia, rimirò il suo lavoro e si ritenne soddisfatto. Diede un’occhiata all’orologio da polso che aveva rubato ad un tizio qualche tempo prima, e si accorse che era arrivato il momento di pulire la vetrata del secondo piano, dove solitamente sostava il ragazzino dai capelli rossi. Mickey sospirò.

Prese l’ascensore e dopo pochi secondi si ritrovò nella sala comune, accigliandosi per il baccano. La situazione era ben diversa dal giorno prima; c’erano più pazienti in giro e l’atmosfera era decisamente più agitata. Alcuni urlavano, altri cantavano canzoni che Mickey non aveva mai sentito e altri correvano da una parte all’altra. Anche Mickey si agitò. Vide che alcuni vigilanti presero a rincorrere quelli che correvano forsennati, e alcuni infermieri anestetizzavano quelli che erano già stati presi e bloccati. In un’altra occasione Mickey avrebbe trovato il tutto molto divertente ma qualcosa in quel posto continuava a mettergli i brividi.

-Ehi! Mickey!-

Mickey si sentì chiamare e voltandosi si accorse che si trattava del ragazzino dai capelli rossi, seduto al solito tavolo rotondo vicino la vetrata. Lo fulminò con lo sguardo e poi si guardò intorno per assicurarsi che infermieri e vigilanti non l’avessero sentito. Non poteva essere così idiota!
Fortunatamente quelli erano troppo presi a combattere con i pazienti per accorgersi di loro. Mickey comunque era arrabbiato. Non poteva essere così sprovveduto! Chiamarlo lì, a gran voce, sapendo che era proibito parlare con lui! Cosa cavolo gli diceva il cervello?

Poi si ricordò che il ragazzino era un internato. Un paziente. Malato. Che diavolo si era aspettato?
Scosse la testa e si avvicinò alla vetrata. Doveva smetterla di dargli confidenza.
-Micky?- lo richiamò lui. Il moro per tutta risposta spruzzò una generosa quantità di disinfettante sulla finestra e iniziò a pulire.

Il ragazzino aggrottò la fronte e si alzò, andandogli dietro. –Mi stai ignorando?-
Mickey sentì il suo respiro sul collo e rabbrividì. –Che stai facendo?- chiese allarmato, guardandosi nuovamente intorno. –allontanati!-
Lui ridacchiò. –Nessuno si accorgerà di noi- lo rassicurò facendo comunque un passo indietro. –Devono ristabilire la quiete!-

Mickey lo vide ritornare al suo posto, l’album da disegno aperto sul tavolo, le matite colorate sparse qua e là. Si ricordò del giorno prima, di come i colori lo avessero fatto scivolare via, lentamente. Lontano.
-Succede spesso?- si ritrovò a chiedergli in un sussurro. Non voleva intrattenere una conversazione con lui, ma la curiosità ebbe la meglio ancora una volta.
Il rosso lanciò un’occhiata agli infermieri che infilavano le siringhe su per le braccia di alcuni pazienti scossi. – A volte sì. –
Ma Mickey non si riferiva alla situazione nella sala. Improvvisamente decise che comunque non voleva saperlo. Quel ragazzino sembrava un normalissimo adolescente rinchiuso lì per sbaglio. Ma non era uno sbaglio. C’era qualcosa, e Mickey lo aveva visto il giorno prima, nei suoi occhi che via via diventavano più vacui e nella voce che diventava sempre più remota.  

-A volte sono più violenti- continuò il ragazzino con un sorriso amaro. Mickey ebbe la brutta sensazione che gli infermieri fossero stati violenti anche con lui. Per qualche ragione strinse forte lo straccio e pulì i vetri con più foga. Nel breve silenzio che ne seguì, si accorse che finalmente i pazienti erano stati domati e che gli infermieri riprendevano fiato, allontanandosi.

Lanciò un’occhiata al rosso e si scoprì che lo stava di nuovo fissando. Mickey grugnì.
-Lo sapevi che il disinfettante che stai usando va spruzzato a 15 cm di distanza della superficie? E lo sapevi che per ottenere un effetto più omogeneo devi passare lo straccio nello stesso verso e non facendo cerchi concentrici? E lo sapev-
-E lo sapevi che delle tue dritte da sapientone non me ne faccio proprio un cazzo?- disse ironico puntandogli lo spruzzino contro. Il ragazzino gli fece un gran sorriso divertito e Mickey arrossì. Si voltò di nuovo e riprese a pulire, irritato.
Stavolta però, prese a passare lo straccio nello stesso verso.
 

***
 
Nel pomeriggio, un quarto d’ora prima di andarsene, Buck gli disse che doveva andare a pulire il bagno di una stanza al secondo piano. Cosa che non aveva mai fatto, dato che le sue mansioni erano altre. Sbuffò irritato e trascinò il carrello nell’ala est, chiedendosi distrattamente se Buck non lo facesse di proposito ad appioppargli i lavoretti dell’ultimo minuto.
Quando un’infermiera gli indicò la stanza che avrebbe dovuto pulire, il suo sgomento crebbe: la 241. La camera del ragazzino. Qualcosa gli disse che quello non poteva essere un semplice caso.

Sospirando, bussò brevemente alla porta giusto per avvisare che stesse entrando.
-Ehi Mickey!- il rosso lo salutò festoso; era a letto e sembrava che fino ad un secondo prima si stesse annoiando. Mickey gli fece un cenno spazientito e si infilò subito nel piccolo bagno per pulirlo.
Il ragazzino comunque lo seguì. –Non pensavo fossi ancora in turno-
Mickey digrignò i denti. –Beh, sarei dovuto uscire 10 minuti fa, ma grazie a te farò un altro quarto d’ora di volontariato-
-Ohh allora è questo che fai? Volontariato?- chiese lui curiosissimo.
-Qualcosa del genere- borbottò Mickey infilandosi i guanti e spruzzando disinfettante ovunque. Il rosso indietreggiò di poco per non essere colpito.

-Come mai hai deciso di fare volontariato proprio al Payer?- domandò, alzando un sopracciglio. –Devi avere una grandissima forza d’animo per svolgere tante ore appresso a questa manica di pazzi!-
Mickey si stranì nel sentirlo parlare così; come se la cosa non lo riguardasse, come se lui stesso non facesse parte di quella “manica di pazzi”. Credeva forse di non essere malato?

-Sei cristiano? Hai fatto qualche voto di pentiment-
Mickey lo interruppe e non riuscì a trattenere un sorriso divertito. –Non sono credente! Niente del genere!- mise subito in chiaro.
-E allora come mai sei qui?-
Mickey non gli rispose, continuò a pulire.
-Avanti dimmelo!-
Mickey rimase in silenzio e il ragazzino s’impuntò. –Dai! Dimmelo, dimmelo, dimmelo, dimmelo, dimmelo, dimmelo, dimm-
-Cristo e va bene!- sbottò Mickey lanciandogli uno sguardo sprezzante. –Se te lo dico mi prometti di non rompermi più le scatole?-

Il rosso annuì e Mickey sospirò. –D’accordo. Niente volontariato, sto scontando una pena; lavoro socialmente utile.-
Il ragazzino spalancò la bocca. –Sei un criminale?-
-Cosa? No!- fece il moro interdetto e riprese a pulire.
-Hai ammazzato qualcuno?-
-No.-
-Hai sparato a qualcuno?-
-No.-
-Hai picchiato a sangue qualcuno?-
-No.-
-Hai investito qualcuno?-
-Cristo, no. Ascolta- si spazientì Mickey rimettendosi in piedi e buttando un po’ di carta nel cestino. –Spacciavo, ok? Spacciavo erba. Tutto qua. E sono stato beccato-

Il rosso si aprì in una “o” muta e Mickey approfittò di quel silenzio per rimettersi a lavoro. Prima finiva e prima poteva andar via.
-Ne hai un po’?-
Mickey quasi cadde per terra a quella domanda. –Cosa?-
Il ragazzino si mosse leggermente a disagio. –Sì beh, ne hai un po’ qui? Adesso?-
Mickey era sconvolto. –Certo che no, non me la porto dietro- rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo. –Perché?-

Stavolta fu il ragazzino a distogliere lo sguardo imbarazzato e Mickey capì. –Vuoi fumarti una canna?- chiese con un ghigno. –Vuoi fumarti una canna qui dentro?-
Il rosso scrollò le spalle. –E anche se fosse? Ci si annoia qui dentro!- disse uscendo dal bagno e lanciandosi sul materasso con un salto. Mickey, sempre più divertito, riprese i prodotti e li mise a posto nel carrello.
-Prima di andartene- riprese il rosso mettendo comodamente le braccia dietro la testa –ti dispiacerebbe dare una pulita anche qui? Il pavimento è così sporco!-

Mickey lo fulminò. –Il mio compito era solo quello di pulire il bagno. Me ne vado-
-E cosa dirà la Anderson quando domani passando di qui vedrà tutto il pavimento sporco?- chiese con finta innocenza. –Vorrà sapere chi è stato…-
-Mi stai ricattando?- chiese con le sopracciglia sollevate.
-Dico solo che spazzare il pavimento ti eviterà una gran bella rottura di scatole.-
-Sei uno stronzo, lo sai?-
-Sì, lo so- fece con un sorriso. Mickey borbottò un fottiti e poi afferrò la scopa.
-Un giorno mi ringrazierai- disse seguendo minuziosamente il suo lavoro.
-Ringraziarti per cosa? Per avermi fatto restare a pulire la tua stanza alla fine del mio turno? Non credo proprio!- con la mazza della scopa sbatté accidentalmente sulla cartellina medica appesa a bordo del letto. Senza neanche essere troppo discreto, Mickey lesse quello che doveva essere il nome e il cognome del ragazzino.

-“Ian Gallagher?”-
-Sono io- confermò imbarazzato.
-Da quanto tempo sei qui dentro?- ora era il turno di Mickey di fare le domande.
Ian si strinse nelle spalle –credo 4 mesi-
Mickey fischiò. –Bella vacanza-
-La odio- lo disse col solito sorriso ma Mickey ne percepì il disagio.
-Perché sei qui dentro?-
-Davvero non lo sai?-
Perché sei pazzo. Ovviamente. Mickey non l’avrebbe mai detto ad alta voce. Ma quale disturbo aveva? Perché era lì dentro da 4 lunghi mesi?
-Quando uscirai?- chiese allora raccogliendo la polvere e buttandola nell’immondizia.
-Non lo so. Forse mai. Forse in primavera.-
Ancora una volta Mickey preferì non andare oltre; era sicuro che le successive risposte non gli sarebbero piaciute.
Dissimulò l’imbarazzo con un colpo di tosse. Ian si mise seduto.
-La tua maledetta stanza adesso è pulita, ragazzino. Quindi me ne vado-
Lui rise, poggiando la schiena al muro. –Perché Ragazzino? Perché non Ian?-
Mickey infilò la scopa nel carrello e poi lo guardò beffardo. –Ragazzino mi piace di più-
-Ci vediamo domani mattina?-
-No-
Ian parve più triste. –Non vieni?-
Il moro scosse la testa. –Domani è il mio fottuto giorno di riposo e dormirò tutta la mattina.-
-Q-quindi non ci vediamo?-
-Direi proprio di no-
-A-alllora  d-dopodomani mattina?-

Mickey si accigliò.
Aveva ricominciato a balbettare e la cosa non gli era sfuggita. –Dopodomani inizio i turni di notte- spiegò lentamente e vide il viso dell’altro abbassarsi un po’. Lo sguardo altrove.
Mickey mise le mani sul carrello e prima di uscire guardò di nuovo Ian. Era spento.
–Stai bene, ragazzino?-

Ian non gli rispose, non si girò a guardarlo ma poi lo chiamò. –M-mmickey…-
-Si?- il moro si avvicinò di un passo ma Ian fissava ancora con sguardo vacuo il muro di fronte.
-S-sssto ann-ndando vv-via.- balbettò molto piano. Qualcun altro avrebbe potuto pensare che Ian lo stesse semplicemente avvisando che sarebbe uscito da quel posto, o dalla stanza, o da qualsiasi altra parte, ma Mickey aveva imparato in fretta che non era così. Aveva imparato a capire di che cosa si trattava. Ian stava semplicemente scivolando via. E lo stava avvisando.
A quel pensiero gli si strinse il cuore.
-Dove stai andando?- gli chiese pacatamente. Non era sicuro di cosa stesse facendo ma voleva sapere, voleva accettarsi che sarebbe stato bene.
-I-io…-
-Vuoi che chiami qualcuno, ragazzino?-
-N-nno-
Ian era seduto, immobile, gli occhi incollati alla parete bianca. Lo osservò con preoccupazione.
-Tornerai, vero?- si ritrovò a domandargli con ansia. –ci rivediamo dopodomani, non è vero? Ragazzino?-
Mickey vide la mandibola di Ian serrarsi duramente. Immaginò l’ennesima e feroce battaglia che si stava scatenando nella sua testa.
-Ragazzino?-
Deglutì e si avvicinò di un altro passo; molto lentamente gli portò una mano davanti agli occhi ma Ian non dava segno di vederlo o di percepirlo.
 
Poi la bocca di Ian si schiuse, con forza. 
-C-cci v-vediamo- riuscì a rispondere tremando un po’.
Poteva bastare. Mickey lo guardò un’ultima volta, sperando di scorgere un segno di ripresa o un piccolo sorriso, ma non accadde nulla. Trascinò fuori il carrello lasciandosi dietro un Ian che fissava ancora quella parete bianca. Mickey si augurò che in qualunque posto fosse scivolato, fosse un posto pieno di colori.

 
****
 
Nel suo tanto agognato giorno libero, Mickey dormì per tutta la mattina. Almeno finché sua sorella Mandy non lo svegliò buttandogli un cuscino addosso.
-Hai intenzione di dormire tutto il giorno?-
Per tutta risposta Mickey gli fece il dito medio e si girò dall’altra parte.
-Andiamo Mickey- piagnucolò scuotendogli una spalla. –Avevi detto che ci saresti venuto! Lo avevi promesso.-
Stavolta il moro aprì gli occhi e la guardò. –Di che cosa stai parlando?- gli fece con la voce impastata.
Mandy era scioccata. –C’è la presentazione dei corsi! Non l’avrai dimenticato?-
Oh no.
Mickey rimandò indietro la testa, premendosi un cuscino in faccia. Qualche giorno prima, Mandy gli aveva fatto promettere che sarebbe andato a scuola per la presentazione dei nuovi corsi di formazioni, corsi che avrebbero potuto dargli un lavoro, in futuro (se non avesse ricevuto una proposta dal Payer). Ma le aveva detto di sì solo per togliersela di torno, confidando nei suoi turni spaccaschiena per tirarsene fuori all’ultimo minuto. Peccato che quel giorno fosse coinciso col suo unico fottuto giorno libero.
Mandy gli buttò a letto una maglietta e un jeans. –Vestiti, ti aspetto fuori.-
Da quand’è che era diventata così autoritaria? Sbuffando, sollevò le coperte e uscì nel gelo della sua stanza, vestendosi in fretta. Ciabattò fino alla cucina con la lentezza di un bradipo e si versò del caffè nella tazza.
-Ti ci vuole ancora molto?- lo rimbeccò lei già bella che pronta con cappotto sciarpa e cappello.
-Gesù. Posso almeno finire il mio caffè?-
A salvarlo da una risposta tagliente fu il campanello. –E’ arrivata…-
-Chi è arrivata?- chiese Mickey aggrottando la fronte.
Mandy aprì la porta alla loro assistente sociale Danielle Bowers. - Ciao ragazzi-
-Dovevo immaginarlo che c’era lei dietro tutta questa storia- grugnì Mickey brandendo la tazza del caffè. –Siete ridicole-
-Vedi di sbrigarti, piuttosto- ribatté la Bowers incrociando le braccia al petto. Mickey fece una smorfia e bevve il suo caffè nella maniera più lenta che gli riuscì. Mandy alzò gli occhi al cielo.
-Non è divertente-
Mickey si pulì la bocca e andò a mettersi la giacca. –Sono pronto-
-Era ora.- borbottò in risposta.
L’unica cosa positiva di tutta quella faccenda è che sarebbero andati a scuola con l’auto della signora Bowers, evitando di gelarsi le chiappe alla fermata del bus. Mickey prese posto dietro e lasciò che sua sorella minore si sedesse avanti con lei, tanto quelle due erano già piuttosto in confidenza, ed entrambe stavano facendo a gara affinché lui trovasse la sua strada e com’è che dicevano? Ah, sì: il suo posto nel mondo. 

-Hai dato un’occhiata alle brochure che ti ho mandato?-
Mickey le visualizzò all’interno della sua stanza, sepolte sotto una marea di vestiti sporchi.
-Certo-
La Bowers mise in moto, per nulla convinta. –C’è un corso in particolare che ti piacerebbe frequentare?-
-Non ho ancora un’idea precisa- ribatté piccato, sorridendole dallo specchietto retrovisore. Danielle grugnì una risposta e poi fortunatamente prese a parlare con Mandy, l’unica della famiglia che riusciva a regalarle una gioia.
Mickey sospirò e si lasciò andare contro il sedile; odiava dover seriamente pensare al suo futuro, al fatto che prima o poi avrebbe dovuto cavarsela da solo. A volte si rifugiava nei ricordi della sua infanzia, quando ancora avevano una mamma che poteva badare a loro. Poi lei si era spenta, consumata dal dolore, da un amore malato che l’aveva prosciugata da dentro. Suo padre era un drogato e un alcolizzato e a niente erano servite le lacrime di sua madre, le sue continue preghiere. A niente.

Era forse per quello che Mickey non aveva mai permesso a se stesso di innamorarsi; certo, aveva avuto delle brevissime storie con alcune ragazze, ma non si era mai lasciato coinvolgere. L’amore, per quello che aveva potuto vedere, rendeva deboli, ciechi. Felici solo per poco. A volte per niente.
L’amore aveva fatto ammalare sua madre.

Mickey si chiese se anche quel ragazzino si fosse ammalato per una delusione d’amore. Si chiese se effettivamente un cuore spezzato avesse il potere di far scivolare via una persona, obbligandola a non sentire più nulla, a silenziare le emozioni. Per sua madre doveva essere stato sicuramente così…
E a proposito di quel ragazzino… chissà come stava…
 
 

 
Mickey si allontanò dall’ultimo stand con un gran mal di testa. Avevano trascorso quasi due ore ad ascoltare i vari tizi che rappresentavano i corsi che sarebbero partiti di lì a qualche mese. Ad ogni stand la Bowers gli appioppava una brochure in mano e lo costringeva a rimanere attento. Alla fine, mentre uscivano dalla palestra, Micky si ritrovò in mano una marea di fogli: corso di falegnameria, di ceramica, di marketing, di idraulica, di pronto soccorso-.
Li appallottolò su se stessi e se li ficcò in tasca, guadagnandosi un’occhiata trucida dalla Bowers.
-Ora possiamo andare?- chiese per la ventesima volta, esausto.
-Devo prima fare una ricerca… qui c’è la connessione a internet- spiegò Mandy con una scrollata di spalle, come per giustificarsi con suo fratello.

-Beh allora andiamo- disse la Bowers seguendo sua sorella in biblioteca. Mickey imprecò; voleva andarsene per conto suo e lasciarle lì… ma il freddo pungente e il vento che soffiava malefico lo fecero desistere. Si costrinse a seguire le due in biblioteca e ad augurarsi che si spicciassero.
Che avrebbe dato per avere una macchina tutta sua!

Mentre sua sorella era immersa in una ricerca di storia aiutata dalla Bowers, Mickey misurò la biblioteca a grandi falcate, sbuffando forte quando si trovava a passare dietro le due.

-Mi stai innervosendo- si ritrovò a dire Mandy dopo aver ascoltato un grugnito particolarmente scocciato del fratello. –Perché non entri in qualche chat porno e mi lasci studiare in pace?-

Mickey alzò il dito medio ma decise di accogliere il suggerimento. Scelse un computer nella terza fila e sprofondò nella sedia. Sulla barra di ricerca, tra i preferiti, c’era il sito della scuola. Mickey ci cliccò sù e gli apparve un fastidioso sfondo verde evidenziatore; c’era di tutto, le comunicazioni importanti, gli eventi, gli articoli del laboratorio di giornalismo, le fotografie dei lavori di tutti i club della scuola ecc ecc. Prima che chiudesse tutto e andasse davvero a connettersi in una chat porno, Mickey notò al lato della pagina un menù a tendina con i link diretti ai lavori che ogni club aveva fatto durante gli anni.
Addentò pensieroso l’unghia del pollice e fece scorrere il cursore nell’archivio dell’anno 2014. Quel ragazzino aveva frequentato la sua scuola… doveva aver fatto solo il primo anno di liceo prima di essere ricoverato… e forse durante l’anno aveva preso parte a qualche rivoltante attività extrascolastica… 

Perché non lo aveva mai notato? Perché non se lo ricordava?

Senza farsi altre domande cliccò sull’anno 2014. Erano archiviate le foto della squadra di basket che Mickey ignorò immediatamente, qualcosa gli diceva che quel ragazzino non fosse un tipo esattamente sportivo. Selezionò invece il laboratorio di giornalismo; lo immaginava benissimo nei panni di un fotografo goffo e invisibile intento a fotografare qualsiasi cosa per riuscire ad assicurarsi l’esclusiva della prima pagina. Le foto raffiguravano alcuni suoi compagni di cui si ricordava vagamente, altri li aveva presi a botte fino a qualche anno prima. Nessuna traccia di Ian. Selezionò il club di scienze, credendo forse che quella sua aria da sapientone avesse qualcosa a che fare con gli schizzati ed egocentrici di quel laboratorio. Nulla anche lì. Controllò il club di letteratura. Nulla. Il club dei matematici, e nulla. Il club degli  scacchi, di teatro, di meccanica e nulla, nulla,nulla.

Dove diavolo era? Possibile che come lui non avesse mai partecipato a nessuna attività? Forse la sua condizione psichica non gli permetteva di poter frequentare laboratori e corsi troppo impegnativi. Forse non era neanche vero che avesse mai frequentato quella scuola… che ne sapeva? Perché stava dando retta a quel ragazzino? Ma che gliene importava alla fine se avesse o non avesse frequentato la Near?

Stava quasi per chiudere tutto per l’ennesima volta, quando davanti agli occhi gli comparve l’archivio del club di arte. Sentì la mano formicolare e subito, con frenesia, come se avesse appena trovato la risposta a tutte le sue domande, ci cliccò sopra. Ed era lì. Il piccolo Ian era lì, che compariva distrattamente in alcune foto. In una di queste era semplicemente sullo sfondo, in lontananza, chino su un tavolo a disegnare nella stessa posizione che assumeva nella sala del Payer. In un’altra ancora, sempre sullo sfondo, come se facesse parte dell’arredamento, stava dipingendo su una tela. In un’altra ancora, Mickey riuscì a riconoscerlo solo per mezzo braccio e un ciuffo di capelli rossi che comparivano da dietro un armadio. C’erano foto in primo pano di tutti gli alunni di quel dannato laboratorio di arte, ma non una singola foto che ritraesse Ian e i suoi lavori. Nulla.

Mickey si sentì quasi offeso. Nessuno si era mai sprecato a fare una foto ricordo a quel ragazzino?
Scorse un altro paio di immagini e ne trovò una con una ragazza che sorrideva all’obbiettivo e mostrava quello che doveva essere il suo quadro –decisamente orrendo. Al lato della ragazza, Mickey riuscì a scorgere un Ian leggermente meno sfocato; era in piedi e dipingeva sereno il suo quadro. Mickey da quella prospettiva, riusciva finalmente a vedere uno dei suoi lavori; aveva dipinto l’alba. Semplice ma per nulla banale; Mickey la trovava bellissima. Ian aveva usato tutte le sfumature del giallo dell’arancio e del rosso; i raggi del sole filtravano tra le foglie, come se si stesse ammirando l’alba attraverso i rami di un albero. C’era qualcosa di magico e nostalgico nelle forme, nelle rifiniture, nei colori.
-Ehi-
Mickey sobbalzò.
Mandy aveva finalmente lasciato la sua postazione e gli si stava avvicinando -Che stai facendo?-
-Non sono affari tuoi- borbottò coprendo lo schermo con le mani – hai finito?-
Mandy roteò gli occhi. –Sì, sì, ho finito, ora ce ne andiamo. Sto aspettando che Danielle mi corregga il compito.-
-Bene, allora prova ad aspettare qualche metro più in là, grazie-
Mandy gli fece una smorfia. –Come se non avessi mai visto un sito porno in vita mia. Coglione- e se ne tornò dalla Bowers felice di riaverla lì per commentare un paragrafo. Mickey ne approfittò per modificare la foto di Ian. Tagliò via dall’immagine la ragazza col suo orrendo quadro e ci lasciò Ian come protagonista assoluto. Soddisfatto, mandò la foto in stampa.
 
 
Era stata una giornata particolarmente pesante nonostante fosse quella del suo riposo. La gita a scuola lo aveva sfiancato, così si spogliò per mettersi finalmente a letto. Buttò via la camicia e si tirò giù i pantaloni. Dalla tasca ne uscì un foglio piegato. Era la foto che aveva stampato quel pomeriggio. Si mise sotto le coperte e portò quell’immagine con sé, per guardarla ancora un po’.

Osservò l’alba. Era strano come un semplice quadro potesse in qualche modo fargli provare qualcosa. Non sapeva effettivamente cosa, ma era un sentimento che racchiudeva un po’ di malinconia, di bellezza, di lacrime, di gioia, di serenità, di inquietudine.
Osservare quel quadro gli faceva male e gli faceva bene. Non era sicuro che fosse una sensazione piacevole, ma era inebriante.

Che stesse impazzendo anche lui?

Scosse la testa e poi lascò vagare i suoi occhi sul profilo di Ian. Aveva il naso leggermente all’insù, le lentiggini gli coprivano gran parte del volto, l’occhio destro, quello raffigurato, era verde e attento, sereno, concentrato.
Mickey si ritrovò a fissare quel profilo per parecchi minuti. Forse un po’ troppi. Si strofinò gli occhi come per scacciare via qualcosa di fastidioso e ficcò la foto sotto il cuscino senza troppi convenevoli. Si girò di lato a braccia conserte e infine sospirò.

E sospirò…
 
 
 
 
  Note dell'autrice: Piano piano ci stiamo addentrando nella storia, devo dire che ho amato particolarmente scrivere questo capitolo =) cosa ne pensate? Vi piacciono i profili caratteriali di questi gallavich? Al prossimo capitolo, un abbraccio! StefyM
   
 
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