Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
Segui la storia  |       
Autore: LuneDeSang    30/07/2018    1 recensioni
Alle volte gli incubi restano nelle nostre notti difficili eppure... qualche volta trovano un modo per strisciare via e seguirci dietro ogni angolo, si nascondono nei sussurri proprio dietro il nostro orecchio.
Alle volte si cominciano giochi che non dovrebbero essere fatti e con essi si risveglia un mondo distorto e difficile da allontanare.
Cosa è realtà? Cosa è immaginazione?
Genere: Erotico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

"Isidor"




I vampiri non sognano mai, ad eccezione degli incubi.

 

 

Inverno del 1837, Salpetriere.

 

La cella bianca in cui era rinchiusa era gelida, la fioca luce di una piccola lanterna ad olio era affissata al soffitto ed illuminava scarsamente la desolazione della sua prigione composta da un letto con un materasso lercio ed uno sgabello. Che ore erano? Quanto tempo era passato da quando l'avevano portata lì? Odiava quel posto, odiava l'odore delle proprie urine provenire da quel dannatissimo vaso da notte.

L'unica cosa che riusciva a fare era piangere, pregare e tremare.

La ragazzina se ne stava con le ginocchia accostate al petto mentre cercava invano di riscaldarsi, la lurida camicia da notte che le avevano dato era troppo sottile e leggera per confortarla anche in minima parte, non aveva nulla e nonostante le sue suppliche di avere una coperta nessuno le aveva dato ascolto.

“È vietato.”, le rispondevano.

Ma lei aveva freddo, si sentiva così debole, al limite delle proprie forze e la sua mente, già debole, stava raggiungendo un sottile confine tra ciò che era quella realtà crudele ed un mondo di fantasia fatto dei suoi stessi incubi e dei suoi stessi pensieri. Ormai passava il proprio tempo nella culla del sonno come unica opportunità di evadere da tutto quello.

Quasi impercettibilmente si mosse distendendo le gambe, il periodo di lunga inattività le procurò fitte di dolore ai muscoli e strinse con forza gli occhi reprimendo per l'ennesima volta le lacrime, ormai anche volendo non aveva più nulla di cui liberarsi, si sentiva prosciugata da tutta quella sofferenza.

Perché Dio l'aveva abbandonata? Perché si era dimenticato di lei? Era perché aveva ceduto a se stessa, per puro egoismo e per necessità? Forse era giusta quella punizione. Ormai non riusciva più a pensare in maniera coerente, ogni volta che veniva fatta uscire da quella cella imbottita era vittima di torture e di discorsi terribili che non facevano altro che aggiungere orrore su orrore.

Meritava tutto quello.

 

No. Non era vero.

 

Dov'era sua madre? Avrebbe voluto vederla e rintanarsi nel suo abbraccio così dolce e mite, nella sua gentilezza e nella sua calma per poter pacificare il suo fragile animo. Ma sua madre non era lì, le sembrava essere passata un'eternità da quando l'aveva vista per l'ultima volta.

Sarebbe mai riuscita a lasciare quel posto? Aveva anche smesso di cantare, la sua unica dote, il suo dono era quello: una voce vibrante e potente che poteva scuotere gli animi di chi la sentiva fino alla commozione. Con che animo poteva cantare se le avevano spezzato le ali, l'anima?

Isidor provò a posare i piedi per terra e sposando il proprio peso cercò di mettersi in piedi, sentì le gambe tremare e minacciare di non sostenere il suo peso ma utilizzò tutta la propria forza di volontà per imporsi a quella pesantezza. Lasciò che il proprio sguardo corresse sulla sua figura snella e fanciullesca, dalle forme ancora acerbe ma senz'ombra di dubbio quelle di una donna. Si fissò le mani e con esse salì ad accarezzarsi il viso.

Dio! Come era sciupato! Come era consunto! Non era altro che il fantasma della sua bellezza! Qualcosa nella gola si mosse fino a sentirsi strozzare, un nodo stretto che le impedì di respirare per un lungo attimo, poi gli occhi bruciarono e sentì il singhiozzo del pianto salire.

Un rumore tuonò nella cella, qualcuno stava aprendo la pesante porta di ferro. Lei corse immediatamente in uno stretto spazio tra il misero letto e la parete rannicchiandosi come un povero animale in gabbia. Non ebbe il coraggio di aprire gli occhi. Se non vedeva nulla avrebbe potuto farle del male, no? Sentì il rumore di passi farsi sempre più vicino finché due paia di mani abbastanza forti non la presero sollevandola da terra, con tutte le forze che aveva cercò di ribellarsi, di sfuggire a quelle maledette mani ma nulla sembrava smuoverli. Sentì strisciare sotto i piedi il pavimento di piastrelle e rimase completamente accecata dalla luce del sole che entrava con violenza dalle alte finestre inferriate. Abbagliata e terrorizzata cominciò ad urlare con tutto il fiato che aveva nei polmoni, sentì la sua voce crescere e diventare dolorosa come uno spillo nella testa, sentì il viso pulsare mentre veniva colpito da uno schiaffo tanto forte da farle girare la testa.

Riaprendo gli occhi riuscì a vedere nel lungo corridoio la figura di una suora che la osservava restando immobile. Provò ad invocare il suo aiuto. La pregò di aiutarla. Ma la suora non si mosse, pareva essere una spettrale presenza di nero vestita mentre con quegli occhi neri come la pece la trafiggeva giudicandola in silenzio.

 

Pater noster, qui es in cælis, sanctificétur Nomen Tuum...

 

Isidor cominciò a pregare mentre sentiva il labbro bruciare e gonfiarsi. Il terrore si era preso possesso di lei da conferirle una calma alienante, come se non fosse più protagonista della propria vita ma semplicemente una spettatrice. Ad occhi spalancati guardò i due infermieri che proseguirono a trascinarla per il lungo corridoio costeggiato da altre porte. Tante e tante porte da cui poteva sentire urla, gemiti e lamenti.

Era quello l'inferno?

 

Advéniat Regnum Tuum fiat volúntas Tua, sicut in cælo, et in terra.

 

I due uomini svoltarono velocemente ed imboccarono una stretta uscita che portava ai bagni ed alle terapie con l'acqua. Qualche attimo più tardi venne lasciata cadere a terra e fu spogliata della sua sottile camicia bianca, provò a lottare per riuscire a tenersela ma ciò che ricevette su un'altro schiaffo. Finì col viso a terra, la guancia premuta contro la gelida piastrella blu scuro e vide del sangue ma non ebbe alcuna reazione nel vedere quel denso rosso colare dalla propria bocca. Deglutì a fatica mentre sentiva sulla lingua e sul palato il sapore ferroso della saliva mista a sangue, un sapore confortante perché ciò che le ricordò di essere viva.

 

Panem nostrum cotidiánum da nobis hódie, et dimítte nobis débita nostra...

 

Le legarono i polsi con una una catena e poi le venne coperto il viso con un lenzuolo di cotone grezzo. Istintivamente agitò da una parte all'altra il capo perché la pesantezza della stoffa non l'aiutava a respirare ma immediatamente dopo venne trascinata lungo tutto il pavimento. Sentiva un dolore lancinante alle caviglie e pensò di essersi rotta tutte le ossa, di aver perso i piedi o di essere divorata da qualche animale feroce, ma alla fine batté i talloni con forza a terra e si inarcò urlando di dolore.

Il suo urlo venne immediatamente soffocato da una cascata d'acqua gelida che le venne versata sul volto coperto da quel lenzuolo. Sentì il cotone bagnarsi ed appesantirsi fino a riempirle la bocca spalancata per lo choc e per l'asfissia, cercò di liberarsi ma non riuscì a raggiungere il viso. Agognò aria, tutto il suo corpo si ribellava per poter respirare ma ancora una volta arrivò altra acqua e lei sentì il peso continuare a schiacciarla come sotto ad un macigno.

 

Sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem;

 

Quella tortura andò avanti per molto altro tempo, continuò finché non ebbe più la forza di opporsi ma accettò di buon grado l'idea di morire. Rimase immobile con i capelli fradici sparsi come una aureola sul pavimento, si sentì come se non avesse più un corpo e della carne attaccata alle ossa, ormai nemmeno più il lenzuolo zuppo d'acqua le causava fastidio, semplicemente sentiva la pesantezza dell'asfissia trasportarla nella stanchezza. I suoi due aguzzini dissero qualcosa che lei non riuscì a comprendere, un rumore lontano miglia e miglia da lei.

E quattro mani tornarono sulla sua carne, si sentì sollevare quel sudario dal viso e sentì l'aria gelida accarezzarle il viso come unica consolazione. L'aria entrò prepotentemente dentro di lei e vomitò tutto l'oceano che le avevano fatto ingoiare, forse si liberò perfino della sua anima, ma dubitò di quello poiché soffriva ancora.

Quelle mani poco gentili cominciarono a ghermirla e le strapparono l'ultimo briciolo di dignità che le era rimasta, le negarono definitivamente la sua identità di essere umano.

Ormai il dolore era qualcosa di così estraneo ma allora perché si sentiva annegare di nuovo? Nessuno le stava più versando quell'acqua gelida.

Si rese conto che stava piangendo mentre diceva addio alla Isidor di un tempo.

 

Sed líbera nos a Malo.

Amen.

 

 

Avrebbe voluto non aprire più gli occhi ed avrebbe voluto restare in quel torpore per sempre ma lo stomaco si contorceva e si svegliò per la fame che le attanagliava le viscere.

Si trovava nella sua piccola cella con la sua lampada ad olio sempre accesa e quasi si commosse ma era troppo debole per poter anche solo corrugare la fronte, si limitò a fissare la luce che oscillava pigramente sopra la propria testa e si accorse unicamente in quel momento di essere seduta su una sedia di legno. Quando l'avevano portata lì? Quando e come l'avevano rivestita?

Domande inutili dal momento che notò di non essere sola. Con lei vi era una suora, la stessa suora che aveva implorato di salvarla. Se ne stava in piedi di fronte alla porta di ferro con le mani unite in grembo intenta ad osservarla in completo silenzio. Sul suo volto non vi era alcuna espressione, solamente gli occhi tradivano qualcosa di suo, come se stesse trattenendosi dal dire o dal fare qualcosa. Doveva essere piuttosto giovane, le poche rughe sul suo viso mettevano unicamente in risalto il pallore della sua carnagione e le sopracciglia folte lasciavano all'immaginazione una lunga chioma color biondo cenere.

Restarono a fissarsi per diverso tempo poi la Sorella si mosse accorciando le distanze tra loro e raccolse da terra una pezza bagnata ed un tozzo di sapone ed iniziò a pulirle il viso facendo attenzione al labbro tumefatto, poi scese sulle spalle e le slacciò con inaspettata gentilezza la camicia da notte lasciando quel tenero corpo nudo. Proseguì a lavarle ogni angolo e centimetro di pelle con una perizia quasi maniacale poi mormorò qualcosa che le sembrò un 'non ti muovere, non avere paura'. Dovette legarle polsi e caviglie alla sedia di legno ma inaspettatamente Isidor non si ribellò a quella prigionia e si lasciò tagliare le unghie di mani e piedi dopodiché la suora si occupò di spazzolarle i capelli.

Quasi le pareva un sogno quella silenziosa cura, si crogiolò nel piacere della spazzola tra i capelli e nemmeno le importò se le dovette tagliare alcune ciocche castane perché troppo annodate.

 

“Sei bellissima...”

 

Le disse la donna in un sussurro avvicinando le labbra all'orecchio. La giovane Isidor sgranò gli occhi grigi e scosse il capo. Non era vero. Era diventata un mostro, uno scheletro, non era più umana!

 

“Sei bellissima, mia dolce bambina...” proseguì la Sorella mentre le accarezzava i capelli decisamente meno arruffati. “Dovresti vederti, sembri un angelo caduto dal cielo.”

 

Isidor non capiva, le girava la testa ed ogni sforzo di riuscire a comprendere le sue intenzioni non faceva altro che confonderla. Scosse ancora il capo ma il bacio sulla sua guancia fu più dolce del miele tanto che sentì calde lacrime rigarle il viso, dopo così tanta sofferenza aveva quasi finito col dimenticare cosa significasse la gentilezza.

La donna continuava a restare alle sue spalle e si mosse unicamente per frugare nella lunga veste nera e lentamente le mise davanti al viso un piccolo specchio. Sapeva bene che erano vietati oggetti simili nell'ospedale, sapeva perfettamente che ogni cosa che potesse rompersi si trasformava immediatamente in un'arma con cui ferirsi o uccidersi, quindi perché portare uno specchio?

Spostò il viso altrove per evitare di guardarsi, temeva che le sue parole fossero unicamente una mera gentilezza nei confronti di una povera ragazzina pazza.

 

“Avanti... non aver paura. Solo uno sguardo.” mormorò ancora con voce vellutata quasi quanto una ninnananna. Ed Isidor lentamente cedette, un po' per curiosità, paura e vanità. Voleva vedersi in viso, voleva accertarsi di essere come si immaginava: orribilmente sciupata, una maschera di pelle su un cranio.

Ed invece rimase ipnotizzata dalla propria figura, così limpida e così fulgida di bellezza. Le guance rosee e le labbra appena sporche di belletto rosso le conferivano un'aura da bambola di porcellana, ed i capelli finemente pettinati e lasciati ricadere in una cascata di riccioli sulle spalle ed il petto nudo. Sembrava risplendere.

Chi era quella ragazza nello specchio? Non poteva essere lei, non potevano essere la stessa persona. Eppure...

Senza nemmeno sapere come si ritrovò i polsi e le caviglie libere dalle strette corde che la tenevano legata alla sedia e prese dalle mani della Sorella quel piccolo specchio e se lo avvicinò al viso per potersi studiare con più attenzione, in un certo qual modo era la prima volta che si vedeva dopo tutto quell'inferno, ma come poteva anche solo immaginare di essere vittima di una allucinazione?

 

Lentamente cominciò a sentire la mente riempirsi di immagini, di voci e di ricordi. Ricordi di centinaia di anni. Cosa stava succedendo? No, lei non era più in quella dannata cella da almeno centocinquant'anni, lei era un vampiro, lei era libera nella sua Parigi da secoli! Perché era lì dentro!?

La suora girò attorno alla sedia e le si piazzò di fronte con un mesto sorriso, si strinse nelle spalle e la sua espressione si fece fintamente triste senza però riuscire a nascondere l'aria di scherno.

 

“Era tutto un sogno, mia dolce bambina. La sofferenza è solamente un passaggio per qualcosa di più grande... ah, anche tu torturata e pugnalata nel tuo giovane cuore! Un dolore così vero e così grande da renderci sorelle. Ti ho sentita... ti ho abbracciata e ti ho baciata.”

 

Isidor era sconvolta, abbassò nuovamente lo sguardo sullo specchio e vide se stessa invecchiata, con i capelli radi e stopposi, la bocca non più carnosa e gli occhi grigi spenti come in attesa della morte.

No! No! Non poteva essere assolutamente possibile! Eppure era tutto così... reale. Si morsicò il labbro con tanta forza da sentirlo sanguinare, sentì quel sapore acre espandersi su tutto il palato e la consapevolezza divenne terribilmente schiacciante.

Quanto tempo era rimasta lì dentro completamente inerme? Per quanto tempo aveva sognato quella vita dalle mille luci e dalla libertà infinita?!

 

“Tutto questo non è reale! Non può esserlo!” urlò vittima dell'isteria. Urlò ancora mentre alzava gli occhi al soffitto mentre li strizzava con forza per poter riuscire a cancellare quella dannata cella e tornare alla propria vita, ma ogni volta che riapriva gli occhi era ancora lì, seduta a guardare quella suora dall'aria così divertita e così tremendamente sadica.

Ripensò a François, a Gerard e a tutte le persone che aveva conosciuto e che aveva imparato ad amare ed anche a quell'uomo che l'aveva salvata a quindici anni, si domandò se fosse mai esistito anche lui o che tutto quello fosse solamente un sogno. Si ricordò della promessa che gli fece, si ricordò delle sue parole che la incitavano ad essere sempre e solo se stessa e a non smettere mai di combattere per ciò in cui credeva.

Sapeva che era una donna forte, sapeva di essere molto più di quella povera anima in pena in balia di uomini crudeli e di donne sadiche.

Senza nemmeno accorgersene scoppiò in una scrosciante risata, le proruppe dalla dalla gola quasi come un singhiozzo mentre lasciava ricadere la testa all'indietro.

Doveva ringraziare di essere stata maledetta da quegli incubi perché grazie ad essi aveva finalmente capito che cosa significasse esistere.

Lei non apparteneva a quel mondo di terrore e di dolore, lei fluiva nella vita stessa sebbene fosse diventata qualcos'altro! Lei era ben più forte dell'Isidor del passato, aveva smesso di piangere nel suo sudario per poter indossare un'armatura ben più forte.

 

Si mise in piedi e sentì le forze tornare nelle sue membra, sentì nuovamente il suo fuoco arderle nel petto con un vigore ancor maggiore ed ancor più determinato mentre fronteggiava quello spettro dagli abiti neri ed il viso incorniciato da un velo bianco.

Quel mostro aveva attinto alla fonte sbagliata, ad un capitolo ormai chiuso della sua vita e l'aveva aiutata ad accettarlo e a farlo suo per trarne quanto più potesse.

Rise ancora mentre stringeva nella mano destra quello specchio fino a sentire male e senza rendersene conto lo frantumò in più pezzi che le si conficcarono nella carne.

 

“Il dolore genera solo dolore. Le ferite invece possono essere guarite se si sa a chi cedere la propria anima. Mi fai immensamente pena: non puoi abbandonare la stessa oscurità di cui ti nutri perché non hai mai conosciuto altro ma io sono diversa da te. Io ho comunque imparato ad amare e ad evolvermi in quanta più luce possibile. Cara sorella degli inferi, non immagini nemmeno di cosa siano capaci i mortali: nella loro immensa crudeltà riescono ancora ad insegnare ad essere umani. La loro forza risiede nella loro stessa fragilità ed è grazie ad essa che ergono i loro pensieri, le loro passioni e le loro speranze. Tu non hai alcun potere su di me perché non hai mai saputo ascoltare se non il tuo stesso tormento! Sei una donna che è stata incapace di salvarsi da sola affidandosi ai seducenti sussurri di un'ombra che ti ha poi abbandonata. Ecco che cosa sei. Nulla!”

 

Mentre Isidor acquisiva forza e vigore, la suora cominciò ad indietreggiare con i lineamenti del viso sconvolti dalle tremende verità con cui veniva pugnalata di parola in parola.

Si ritrovò con le spalle al muro mentre veniva sovrastata dalla presenza della vampira che nonostante tutto continuava a sanguinare come una qualsiasi donna.

 

“No! Non è vero! No! Tu! Tu non puoi negarmi!” gridò la Sorella con voce acuta mentre stringeva con forza i pugni e mentre l'intera sua figura si irrigidiva facendosi sempre meno imponente, meno percettibile.

Fu in quel momento che Isidor sollevò la mano grondante di sangue e con un solo colpo la pugnalò al petto e come in un buco nero tutto venne risucchiato con una forza indicibile e...

 

 

 

Isidor aprì gli occhi.

 

Si trovava nella propria stanza da letto, nella stessa posizione in cui era caduta nel sonno all'alba. Si sentiva ogni parte del corpo indolenzita come se fosse stata vittima di un rigor mortis fatale. Lentamente si mise a sedere e si guardò attorno come se dubitasse di essere nella sua realtà e soprattutto nel suo corpo. Con altrettanta attenzione si guardò i polsi e le caviglie e non vide alcun segno sulla propria carne ma ciò che notò fu una macchia di sangue sulle candide lenzuola e tra esse notò un frammento di specchio che raccolse con attenzione.

 

Non era stato solamente un sogno.

Continua

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade / Vai alla pagina dell'autore: LuneDeSang