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Autore: sara criso    30/07/2018    6 recensioni
Avvenimenti successivi a “Sherlock Holmes: Gioco di ombre”
Sherlock Holmes, il grande detective è per tutti morto, ma la verità è tutt’altra.
L’uomo è sopravvissuto ed è tornato in Inghilterra.
Cosa succederebbe se ci fosse un piccolo e banale imprevisto, chiamato Gladstone, che fa scoprire a John la verità?
Come reagirà il dottore?
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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John Watson spesso si chiedeva cosa sarebbe successo se fosse entrato in quella fatidica stanza qualche minuto prima, si chiedeva se mai avesse potuto impedire che Sherlock si buttasse giù con Moriarty appresso.
Ricordava bene il suo sguardo, il suo sospiro abbattuto prima di lasciarsi andare con uno slancio all’indietro nelle fredde acque della Svizzera.
Ricordava come quegli occhi marroni lo avessero guardato per un millesimo di secondo, come gli avessero detto “perdonami”. E più ricordava, più si chiedeva se fosse davvero colpa sua, se avesse potuto fare qualcosa.
Sherlock aveva fatto la sua scelta, sacrificarsi, ma avrebbe potuto impedirglielo?
O sarebbe accaduto in ogni caso?
Il professore era troppo forte per entrambi? Sarebbe riuscito a fuggire?
Era un campione di boxe alla fine.

Gli occhi azzurro cielo del dottore si chiusero per un momento, un breve momento dove nella sua mente apparve Sherlock.
Non lo avrebbe mai dimenticato, non avrebbe mai dimenticato il suo viso, il suo comportamento folle, ma dannatamente geniale e soprattutto, non avrebbe mai dimenticato il suo tocco. Le sue mani, morbide e delicate accarezzavano sempre qualcosa del suo corpo in un gesto semplice, ma significativo come se cercassero di marchiare il suo territorio.
Gli stava cosi appiccicato che a volte temeva di avere il suo odore addosso, ma a lui andava bene cosi. Lo lasciava fare e raramente lo respingeva.
Lo faceva impazzire, completamente, era letteralmente uscito di testa a causa sua, ma nonostante tutto voleva averlo sempre accanto.
Nonostante rischiasse la vita, lo voleva, voleva avere quell’uomo con sé perché amava il brivido della paura e allo stesso tempo, lo temeva.
D’altronde era un ex soldato, un medico ed essere collega di Holmes gli faceva avere quel brivido della morte che spesso gli mancava.
E appena ebbe quel piccolo, ma innocente, pensiero entrò in stanza sua moglie Mary, radiosa come sempre, che con voce dolce e delicata, gli diceva che la carrozza sarebbe arrivata alle quindici.
Doveva muoversi, mancava solo mezz’ora.
Finì di scrivere il racconto e successivamente prese in mano il pacco che la donna gli diede. L’aveva portato un postino, a detta sua il solito, eppure c’era qualcosa di strano; dentro c’era il dispensatore d’ossigeno personale di Mycroft, il fratello di Holmes.
Perché diamine era lì?
Le parole di Sherlock d’improvviso risuonarono nella sua testa < Posso averlo? > Una semplice domanda che però diede al dottore una forte ed improvvisa, scossa elettrica nel corpo.
Una minima speranza e paura era nata in lui. La speranza che questo potesse essere un indizio sulla scomparsa di Sherlock e la paura che invece fosse solo uno stupido scherzo.
Si alzò ed uscì dalla stanza raggiungendo la moglie. “Sei sicura che fosse il solito postino, Mary?”
Lei lo guardava confusa, non capiva il motivo di quella strana domanda.
“Si, credo di si” Trentenne dubbiosa giocando nervosamente con una ciocca di capelli.
John la guardava e lei leggeva nei suoi occhi la sua insicurezza, sapeva cosa stava accadendo, sapeva che suo marito si stava aggrappando ad una nuova e falsa speranza.
Non era più lo stesso dopo la morte di Sherlock Holmes e lo capiva, davvero. Aveva perso il suo migliore amico e non importava quanti difetti l’uomo potesse avere, aveva salvato suo marito, lei e davvero tante persone con la sua intelligenza.
Mai avrebbe creduto di andare al suo funerale e mai avrebbe creduto di vedere, giorno dopo giorno, la luce degli occhi del dottore spegnersi pian piano.
Non erano più gli stessi, John non era più lo stesso, l’amava ancora, ma quelli che le rivolgeva non erano sorrisi veri. Era felice per brevi istanti poi la sua mente vagava in luoghi tetri e Mary non poteva assolutamente farci niente.
Suo marito stava morendo con lei e nonostante cercasse di non pensarci, la cosa gli procurava un gran dolore. Lo amava, lo amava davvero e vederlo in quello stato la distruggeva interamente.
Sospirò e annuì alle sue parole, cercando di essere più convincente nonostante le avesse messo dei seri dubbi. “Si, sono sicura che era il solito postino” E nuovamente la luce in quegli occhi azzurri si spense come un piccolo fuoco sotto una pioggia violenta.
Le veniva da piangere, ogni giorno spezzava la speranza di John e ogni volta si sentiva la persona peggiore del mondo. Poggiò delicatamente la mano sulla sua spalla, cercando di rassicurarlo. “Mi dispiace, John” Ma il moro non disse nulla e semplicemente annuì.
Si creò il silenzio fra loro, uno di molti che ormai nasceva nelle loro conversazioni, troppi in una vita che doveva essere felice.
D’improvviso però accadde qualcosa di inaspettato, Gladstone iniziò ad abbaiare ed a ringhiare. Il cane non era, solitamente, così aggressivo.
Non aveva mai abbaiato, né ringhiato, né reagito male nemmeno con Holmes.
Il dottore immediatamente tirò fuori la sua pistola e tenne la moglie dietro di sé, protetta più che poteva.
“Vado a vedere”
“Vengo con te”
Lentamente i due percorsero il corridoio e raggiunsero la stanza da dove si sentì un suono sordo come se fosse caduto a terra qualcosa e successivamente, un urlo maschile.
Che diamine stava succedendo?
Watson aprì con un calcio la porta e tenendo la mano ferma, puntò l’arma all’interno.
Mai avrebbero creduto di vedere una cosa simile; Gladstone che, dopo mesi di torture da parte del detective, invece di starsene buono appena l’aveva visto alzarsi dalla sedia gli si era rivolto contro mordendogli la caviglia.
E Watson li guardava, osservava Sherlock fermo sul posto. Era come un fantasma, uno spirito tornato dal suo passato e l’unica cosa che riusciva a fare era guardarlo.
I suoi occhi azzurri cercavano risposte in quella strana situazione e non trovandole, cercò aiuto da Mary che però era scioccata quanto lui.
Le sue orecchie sentivano la sua voce, il modo isterico con cui cercava di staccarsi il cane di dosso, irritato dall’essere stato preso alla sprovvista. Cosa che accadeva davvero raramente.
E lui ancora lo guardava e solo dopo lunghi minuti riuscì a parlare. “Credevo…fosse morto” Sussurrò con voce talmente flebile da sorprendere il moro che, come accadeva spesso, notò quella delicata fragilità in quell’uomo solitamente tanto forte.
“Davvero lo credeva?” Gli chiese con naturalezza Sherlock riuscendo finalmente a staccarsi Gladstone di dosso, allontanandolo da sé.
Gli occhi scuri del detective si posero sulla figura del dottore che ancora teneva puntata l’arma sulla propria persona. Lentamente si avvicinò cercando di ricordargli che doveva abbassarla, non voleva nuovamente rischiare la vita.
Ma dopo pochi passi John la caricò e Mary, preoccupata, cercò di capire perché stesse improvvisamente facendo cosi.
“John…”
Il dottore non l’ascoltava, il suo sguardo era fisso sull’amico e Holmes sapeva cosa stava facendo.
John aveva la mascella serrata, il respiro pesante ed il suo corpo era teso come una corda di violino; era vicino all’esplodere dalla rabbia.
Doveva cercare di calmarlo, doveva capire che non doveva reagire in quel modo. Provò a dire qualcosa, ma il dottore gli si fiondò addosso, lasciando cadere a terra la pistola, sbattendolo al muro.
“Mi ha ingannato!” Urlò furioso l’uomo iniziando a scrollare ripetutamente il compagno che cercava di rispondergli.
“L’ho fatto per il suo bene!”
“Il mio bene?! Per il mio bene?” Ripeté furioso serrando i pugni, sollevando l’uomo con una tale facilità che Sherlock sgranò gli occhi.
“Sono venuto sulla sua tomba, per giorni, mesi interi e lei osa dire che l’ha fatto per il mio bene?!”
“John!” Mary accorse in aiuto del detective cercando di allontanare il marito, ma ogni tentativo non andava a buon fine e John continuava a scuoterlo.
Watson non riusciva a pensare, il suo cervello non voleva credere di aver sofferto cosi tanto, non voleva credere che Sherlock fosse tornato e gli avesse mentito cosi spudoratamente per cosi tanto tempo.
Era confuso, spaventato da quello che stava provando e negli azzurri apparve una luce che, dopo tanto tempo, sembrava essere rinata.
“Watson mi lasci!”
“Non ci penso minimamente, Holmes. Mi ha fatto soffrire!” E a quelle parole, nella stanza nacque un silenzio. Mary e Sherlock lo guardavano sorpresi e solo in quel momento Watson si rendeva conto di essersi esposto troppo. Un vero colpo per il suo orgoglio.
“Ha pianto?” E con quella domanda il detective non aiutò né lui, né se stesso.
“Non ho mai pianto in vita mia e mai lo farò, soprattutto per lei.” Ma il moro non credeva alle sue parole ed immediatamente girò il capo verso la donna decidendo di chiedere a lei.
“Ha pianto?”
“John? Oh… no, no” La pausa che aveva fatto non lo convinceva minimamente, era ovvio che mentisse e anche Mary sapeva che era un enorme bugia.
Ricordava il giorno del funerale, John era triste e lì infatti non aveva pianto e aveva semplicemente osservato tristemente la tomba con grande impossibilità.
Cosi grande che, quando tornarono a casa, dopo mezz’ora che si era chiuso in bagno, Mary si era preoccupata e aveva origliato sentendo dei singhiozzi.
Stava piangendo da solo, in silenzio e mai avrebbe immaginato che sarebbe successo.
John era un uomo forte, un ex soldato e sicuramente aveva visto molti uomini morti, ma l’unico che l’aveva fatto piangere era Sherlock Holmes.
“Quindi ha pianto per me”
“Se non sta’ zitto, Holmes, la farò piangere io”
Ma quella minaccia non intimidiva il detective, sapeva che Watson non gli avrebbe mai fatto volontariamente del male. Era assolutamente capace di uccidere, ma non le persone a cui teneva.
“È colpa di Mycroft” Provò a dire, ma John non sembrava convinto nonostante la calma avesse nuovamente preso possesso del suo corpo.
Lo teneva ancora contro il muro, ma era nuovamente cambiato d’umore in poco tempo; il suo corpo era rilassato, sotto quei fastidiosi baffi si nascondeva un accenno di sorriso e una strana luce era improvvisamente nata nei suoi occhi azzurro cielo.
“John…” Sussurrò piano Mary poggiando la mano sulla sua guancia accarezzandola piano.
“Sai com’è fatto, lascialo cosi ci spiegherà dov’è stato per tutto questo tempo”
Finalmente Watson sembrò obbedire, mollò il detective e si sedette alla sua scrivania osservando Sherlock notando, solo in quel momento, il modo bizzarro in cui era vestito.
Indossava una delle sue particolari tute per mimetizzarsi e guardando i colori in modo attento, comprese che erano gli stessi della poltrona davanti alla sua scrivania.
“Non ci credo” Esordì stravaccandosi sulla sedia di legno, tenendosi una mano sul viso.
“Geniale, vero? Le avevo detto che non mi avrebbe mai visto con questa” Sherlock camminava avanti ed indietro per la stanza mormorando su come fosse geniale, quanto fosse magnifica la sua invenzione e Watson ne era già esasperato.
Eppure non avrebbe mai cambiato né Sherlock, né la surreale situazione che lui e Mary stavano vivendo in quel momento.
Guardò il proprio scritto e sgranò gli occhi. “No, non può averlo fatto”
“Oh sì invece” Rispose Sherlock battendo l’indice sulla macchina da scrivere per poi indicare il punto di domanda che aveva messo dopo la parola < Fine > con cui John aveva concluso.
“Come si è permesso di cambiare il mio scritto?”
“Nostro scritto” Lo corresse il moro prendendo la giacca di Watson, delicatamente posata sul bracciolo della sedia di lui, mettendosela senza pensare minimamente di chiedere il suo permesso.
“Mio scritto. Lei ha scritto qualcosa per caso?”
“No” Rispose inizialmente il detective prendendo il bastone di John, indicandolo con quello. “Ma sono indubbiamente il protagonista quindi è nostro”
John alzò gli occhi al cielo e osservò la punta del bastone, incrociando le braccia al petto muscoloso.
“Lo tolga dalla mia faccia”
“Non è sulla sua faccia” E un sorriso non poté non apparire sul suo viso. Non era cambiato nulla nonostante il tempo trascorso.
Poggiò a terra il bastone e si mise il cappello del dottore. “Non può concludere la nostra storia cosi”
“Si che posso visto che sono l’autore e la storia è mia” Il tono di John era fermo, assolutamente deciso, ma Sherlock sapeva che lo avrebbe convinto.
“La nostra storia non è finita”
Mary alzò un sopracciglio confusa da quelle ambigue parole.
“In che senso < vostra storia >?”
“Non dargli retta” Intervenne il marito per poi alzarsi mettendosi di fronte all’amico.
“La nostra storia è finita. Volevo dire…la mia, la mia storia è finita. Non sono più il suo partner, ora sto’ con Mary”
La donna li osservava e più cercava di capirli, più si chiedeva se fosse lei che capisse e pensasse male.
“Non resisterà un minuto”
“Oh guardi un po’, ho resistito mesi senza di lei” Rispose tranquillamente il moro avvicinandosi all’amico.
Nelle sue narici vi era solo il profumo di Holmes, nei suoi occhi erano incastrati solo i suoi e nella sua mente nasceva un unico, ma segreto, pensiero:
< Quanto mi è mancato >
E Sherlock leggeva quei segnali, leggeva quella felicità ed era entusiasta; nonostante tutto, John non lo avrebbe mai abbandonato.
“Credeva fossi morto, ma ora non più” Si avvicinò alla scrivania del dottore e aprì il cassetto tirando fuori un giornale con cerchiati alcuni titoli fra le varie pagine.
“E nonostante pensava fossi morto, ha cerchiato per me i casi che riteneva più importanti”
John si morse le labbra, preso con le mani nel sacco sentiva lo sguardo severo di sua moglie su di sé.
Eppure non era proprio riuscito a farne a meno, era sempre stata una sua routine anche se per lo più delle volte Sherlock gli eliminava tutti i casi perché troppo facili per lui.
“Deduco che non ce ne sia nessuno che le interessa”
“Deduzione esatta, Watson” E detto ciò, prese un nuovo giornale e gli indicò il caso che invece lui riteneva indubbiamente più interessante e quindi importante.
L’uomo osservò il caso, lo lesse attentamente e una grandissima voglia di buttarsi in quella nuova avventura nacque in lui, ma non voleva abbandonare Mary.
“Io non-“ Provò a rispondere, la moglie però lo interruppe mettendogli la mano sulla spalla. “John, fallo, vai con lui” Gli sussurrò dolcemente con un gran sorriso.
Avrebbe visto meno suo marito, avrebbe rischiato la vita, ma sarebbe stato felice e solo quello le interessava.
Gli occhi azzurri di John, splendenti come non lo erano mai stati, guardarono Sherlock e le sue labbra si tirarono su in un delicato e sincero sorriso. “Facciamolo”
“Le avevo detto che la nostra storia non era finita”
Sussurrò Holmes ricambiando il sorriso dell’amico, accendendosi la pipa.
Sapeva che mai avrebbe perso Watson, sapeva che fra loro non sarebbe finita cosi facilmente e osservando i meravigliosi occhi azzurri del compagno, si chiedeva se oltre alla nuova avventura, sarebbe mai potuto nascere qualcos’altro nella loro vita.
Magari un amore, un vero amore.
   
 
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