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Autore: darkrin    05/08/2018    1 recensioni
Damon è arrivato a Mystic Falls solo da poche settimane quando muore in circostanze strane e Caroline, con la sua nuova pelle di mostro, è l'unica a sospettare che l'improvviso ritorno di Klaus abbia a che fare con la morte del maggiore dei Salvatore.
Nell'interno scuro e pieno di ombre della sua casa, Sheila Bennett canta una vecchia canzone di Ella Fitzgerald: Some folks can lose the blues in their heart / But when I think of you another shower starts / Into each life some rain must fall / But too much is fallin' in mine.
(Quattro Cavalieri dell'Apocalisse!AU dalla s1 di TVD | Klaroline)
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Note:  - Giuro che nel prossimo capitolo finalmente Caroline e Klaus parleranno davvero e nel presente e che prima o poi finiranno i capitoli introduttivi (forse) (prima o poi) (tipo all'epilogo poi).
- Questo capitolo è assolutamente NON DAMON FRIENDLY. Mi disp per i suoi fan.
- Sempre NO BETA quindi segnalatemi ogni cosa, svista, strafalcione. 


 
Capitolo 1
Lived for bad, and hit the rails


 
Un passo indietro. Prima del ritorno dell’uomo che si fa chiamare Klaus e che porta il sangue del mondo nascosto tra le falangi delle dita, prima della morte di Damon Salvatore – sembra l’operato di un animale, sussurra Liz di fronte al cadavere ed è in polizia da anni, ma per un attimo deve trattenere i conati di vomito, come se fosse di nuovo di fronte al suo primo cadavere -, prima che Caroline aprisse gli occhi e si trovasse riversa sul ciglio di una dimenticata strada statale, con aghi di pino e sassolini attaccati alle guance e gli abiti sporchi di polvere e sangue.
Prima di ogni cosa.
Damon arriva in città sulla scia di suo fratello. È una storia complicata, la loro, fatta di tradimenti e di sangue, di una donna – sempre la stessa, seppur nata in momenti diversi – e se fosse un film, Caroline sarebbe quasi propensa ad andarlo a vedere e forse si commuoverebbe, ma non è un film ed è disposta a tollerare Stefan, ma due vampiri sono troppi nella sua città. Soprattutto se uno dei due ha intorno a sé quell’aria di morte che Damon indossa come se fosse una giacca di pelle fatta su misura.
Le ricorda un uomo che ha incontrato anni prima e Caroline decide di non soffermarsi sull’ipocrisia – non può farlo, se vuole ancora guardarsi allo specchio al mattino e ne ha bisogno per farsi i capelli – del voler cacciare un vampiro che non sarà mai pericoloso come lui.
Lo incontra al Grill, mentre sta tenendo sotto controllo Stefan e cercando di non sentire i morsi della gelosia per il modo in cui Matt guarda Elena ancora e dopo tutti quegli anni, dopo che Elena l’ha lasciato, è partita ed è tornata. Damon vede il suo sguardo rivolto verso il fratello e tenta di sedurla.
- Ciao, splendore. –
Caroline non riesce a credere a quanto sia patetico e disgustoso il modo in cui l’uomo lascia scorrere il suo sguardo sul suo corpo come se fossero mani, come se Caroline fosse solo una sua proprietà. Cerca di nascondere il brivido di repulsione che le percorre la schiena e si stampa sul volto il più fatuo dei sorrisi, mentre annuisce alle parole dell’uomo.
Al secondo bicchiere di bourbon che l’uomo le offre (e immagina che sia la bontà del suo cuore a spingerlo), un piano - sedurre il brutto vampiro cattivo e approfittare della sua distrazione per ficcargli un paletto nel cuore o trovare il suo punto debole e convincerlo ad andarsene e non tornare mai più nella sua città - le si forma nella mente. È semplice ed è rischioso, ma Caroline sa di poterlo mettere in atto, sa di aver imparato a resistere alla compulsione, sa di avere il vantaggio di sapere chi e cosa ha di fronte.
E sa di aver bisogno di dimostrarsi e dimostrargli che aveva ragione, quando gli ha gridato di andarsene, di lasciare quella città e lasciarla sola perché sapeva cavarsela. Perché non aveva più bisogno di lui.  
 
È facile convincere Damon Salvatore che non si nasconde nulla, sotto la sua pelle chiara e i suoi capelli biondi, che non vi è nessuna consapevolezza di quello che si nasconde negli angoli scuri delle case e sotto i lampioni fulminati delle grandi città. Basta che Caroline lo guardi da sotto le ciglia scure e rida imbarazzata delle battute che Damon fa tintinnare come se fosse perle preziose perché l’uomo si chini verso di lei, con il sapore del bourbon sulla lingua, e le scosti una ciocca di capelli dal volto.
- Perché non andiamo via da qui? –
Un sogghigno di cui Caroline immagina lui sia così fiero gli piega le labbra rosse e taglienti come i denti che vi nasconde dietro.
Il brivido che le percorre la schiena gioca a suo favore e riempie gli occhi di Damon Salvatore di divertimento.
Quando escono, Damon cammina qualche passo dietro di lei e Caroline sente il sorriso dell’uomo alle sue spalle serrarsi come una trappola sulla pelle della sua nuca. Stringe i pugni fino a sentire le semilune delle sue unghie contro i palmi e s’ingiunge di respirare – inspira, espira, inspira, espira - di non pensare ai vampiri che hanno tentato di ucciderla quando aveva otto anni, di non rivedere i loro denti bianchi nel buio della stanza che suo padre le aveva lasciato.
Si dice che non è più una bambina, che sa a cosa va incontro. Cerca di concentrarsi sul peso del paletto di legno che ha nascosto nella tasca interna della giacca di pelle che indossa.
Fanno pochi passi – superano la strada del Grill, svoltano a destra una volta e poi a sinistra – prima che Damon le afferri il polso senza più nessuna sagacia, senza più neanche l’ombra di una seduzione e la spinga contro il muro alle sue spalle.
Caroline pensa distrattamente che alle elementari conosceva un bambino che viveva lì. Chissà che fine avrà fatto, chissà se sarà riuscito a diventare astronauta come affermava con gli occhi pieni di stelle in piedi dietro a un minuscolo banco di legno.
- Tesoro –
La voce di Damon sembra il verso di un enorme gatto selvatico pronto a balzare sulla sua preda e quel nomignolo sulle sue labbra le fa digrignare i denti per la rabbia perché come osa?, ma la piccola, dolce Caroline che ha lasciato che Damon la seducesse non risponderebbe a quel modo all’uomo che la guarda e la spinge contro la parete alle sue spalle.
La ragazza spalanca gli occhi azzurri e lascia che la risata di Miss Mystic Falls le riempia la voce, quando mormora:
- Damon, cosa fai? Non mi sembra il posto per… -
L’uomo la interrompe posandole un dito sulle labbra e Caroline deve stringere i pugni per non ritrarsi, per non cercare di nascondersi tra gli atomi del muro alle sue spalle.
- Ssssh. – mormora l’uomo. – Non è colpa mia non riuscivo a resistere. –
Lascia che i suoi occhi scivolino sulla scollatura dell’abito viola che Caroline indossa e che sottolinea la curva del seno e poi più giù, lungo la pancia piatta della ragazza e lungo le sue gambe giù, giù, fino ai tacchi che le slanciano le caviglie sottili, prima di risalire e soffermarsi, per un istante sulla gonna del suo vestito, su quello che si nasconde tra le sue gambe e piegare le labbra in un sogghigno. Damon lascia che i suoi occhi la guardino come se lei fosse lì solo per quello, come se fosse un’autostrada da percorrere a suo piacimento, come se fosse un pezzo di carne in cui affondare i denti con gli occhi chiusi e il sangue che scivola lungo il mento, e non lascia nessun dubbio su chi ritiene sia responsabile di quella situazione, di quel suo non riuscire a resistere.
Non per la prima volta, Caroline vorrebbe avere la forza per sbattergli la testa contro il selciato, per aprirgli il petto e stringere le dita intorno al suo cuore e gridare che non è lì, non esiste solo per il suo piacere, per tenere la mano ad Elena mentre piange la morte dei suoi genitori, per i piani di suo padre. Ripensa alla proposta che Klaus le ha fatto, anni fa, ripensa al miele che le scivolava nelle orecchie mentre l’uomo parlava e non sembrava poi così male, non sembrava poi così difficile dire sì.
Caroline solleva il capo con sdegno.  
- Ti sembro il tipo che si accontenta di una stradina buia e sporca? – domanda, con un velo di disprezzo nella voce.
Damon posa una mano sul muro, accanto al suo volto, e le si avvicina ancor di più e cos’è questa cosa con gli immortali e il loro non saper rispettare gli spazi altrui?
L’uomo le sfiora le labbra, quando parla di nuovo, e Caroline cerca di non rabbrividire, di non ricordare: denti bianchi e buio e le sue urla che si mischiavano al rumore dei cuori strappati dal petto.
- Penso che ti accontenterai di qualsiasi cosa io decida di darti. -
La crudeltà delle parole contrasta con la delicatezza con cui le accarezza lo zigomo, la gota, il collo.
Quando Damon torna a guardarla negli occhi, le pupille dell’uomo si sono dilatate fino a diventare un buco nero e Caroline sa cosa le aspetta: la forza gravitazionale di un’intera stella collassata che cerca di convincerla a fare qualcosa, a essere qualcosa di diverso da Caroline Forbes, ma sa anche come resistere, come spaccare il terreno con le dita e rimanere aggrappata fino a quando Damon non smetterà di parlare.
- Non urlerai e farai esattamente tutto quello che ti dico. Sai che ti farò del male e avrai paura, ma non vorrai scappare. Puoi gemere – aggiunge, quasi sovrappensiero.
Caroline annuisce con gli occhi vacui e l’odio nel cuore e un sorriso soddisfatto piega le labbra dell’uomo, quando le afferra i capelli con una mano e tira per inclinarle la testa di lato e scoprirle il collo bianco e lungo dove il sangue scorre così veloce e così vicino alla superficie. Posa le labbra contro la sua carotide nella parodia di un bacio, di una delicatezza, mentre con una mano sale a stringerlo un seno fino a farle male, fino a strapparle un gemito di dolore e Caroline sente il sogghigno che, a quel verso, gli piega le labbra contro la pelle.
È difficile, con il corpo di Damon così vicino al suo, cercare di sollevare un braccio per prendere il sottile paletto nascosto nella tasca interna della sua giacca, senza che l’uomo se ne accorga. Caroline non riesce a trattenere un sospiro di sollievo quando sente il legno tra le dita ed è solo troppo tardi, solo quando sente le labbra di Damon aprirsi come una tagliola su un sorriso tutto denti bianchi contro il suo collo che Caroline realizza.
- Non ti ho mai detto che potevi muoverti – sibila l’uomo contro il suo collo, prima di sbatterle la testa contro la parete alle sue spalle.
Caroline sente rimbombare l’impatto nel cranio, nelle orecchie che fischiano, negli occhi che pulsano, nel sangue che cola lungo la sua nuca, nelle gambe che le cedono all’indietro e si trova a scivolare, scivolare, scivolare fino a toccare terra.
Damon troneggia sopra di lei e, alla luce del flebile lampione all’angolo della strada, Caroline riesce a distinguere solo i denti e gli occhi dell’uomo e tutto il resto è notte, tutto il resto è la sua testa che palpita al ritmo del sangue e la sua mano stretta intorno al paletto di legno e una voce dietro i suoi occhi che le dice: quando si abbasserà verso di te, quando si abbasserà devi colpire, devi.
Damon ride.
- Barbie, non c’era bisogno di rendere tutto così complicato – afferma.
Si acquatta davanti a lei e continua a sorridere, mentre allunga un braccio per scostarle una ciocca di capelli biondi dal volto e Caroline pensa: aspetta, aspetta, aspetta, più vicino.
- Sappiamo tutti come finisce questa storia: la bella viene mangiata dal mostro e nessuno si ricorderà più di lei perché era un personaggio inutile. –
L’uomo si porta le dita alle labbra per leccare le poche gocce di sangue che vi sono rimaste attaccate.
- E non aveva neanche un sapore così buono – continua con una smorfia.
Caroline si dice: aspetta e non si accorge di tremare fino a quando Damon non si dà una pacca sulle ginocchia e si ritira in piedi e domanda:
- Allora, cosa dobbiamo fare? –
Quando l’uomo si abbatte su di lei, come una tempesta estiva, come i nove cerchi dell’inferno di cui Klaus le ha parlato una volta, come la fine di un libro quando vorresti continuare a leggerlo, Caroline non rimane immobile e non lascia cadere il paletto, ma prima che possa anche solo sfiorarlo, Damon le ferma la mano e le spezza il polso. Caroline ne sente il dolore come una scossa che le risale lungo il braccio fino a scuoterle le corde vocali in un urlo roco.
Il paletto tintinna tra di loro e Damon la guarda e sembra quasi dispiaciuto, quasi contrito, ma è tutta una farsa, tutta un.
Quando i denti dell’uomo le affondano nel collo, Caroline urla di nuovo.
 
 
La prima cosa che Caroline sente al risveglio sono le foglie morte che le solleticano la guancia e il naso e i sassolini bianchi che sembrano scavarle nelle ossa. Solo dopo, quando rialza gli occhi sulle fronde degli alberi, mosse da una lieve brezza, e sul cielo che si sta schiarendo, Caroline sente la sete che le brucia la gola e immagina che doveva sentirsi così anche il protagonista, morto in un vecchio bus su, su, su nelle terre selvagge dell’Alaska, di quel film che ha visto pochi giorni fa con Bonnie ed Elena.
Vorrebbe piangere e vorrebbe urlare per quella sete, per i rumori delle macchine che, lontanissime, sembrano volerle entrare nel cervello, ma il cielo si sta schiarendo, sopra di lei, e Caroline si tira in piedi, si rassetta i vestiti rovinati dal fango e dal sangue alla bell’è meglio e corre più veloce che può, lungo il ciglio della grigia strada statale che costeggia i boschi di Mystic Falls.
Sa dove andare perché lui gliel’ha raccontato, mentre Caroline tentava di suonare Jingle Bells al pianoforte che occupava una parete della prima casa che Klaus aveva occupato a Mystic Falls, delle streghe Bennett e dei vampiri che possono camminare alla luce del sole, delle faide tra streghe, vampiri e lupi mannari, dei doppelgangers, che rinascono a distanza di anni sempre uguali a sé stessi e sempre destinati a ripetere i loro patetici amori, e di tutti gli altri incubi che si nascondono nella notte.
Caroline sa che ad attenderla, sulla soglia, non troverà il solito sorriso accogliente di Sheila, ma una parte di lei spera che Bonnie riesca a vedere oltre quello che è diventata, oltre quello che non avrebbe mai scelto per sé stessa e che è sempre la stessa Caroline di prima. Spera che Bonnie riesca a perdonarla, ma, Caroline avrebbe dovuto saperlo, la sua vita non è mai stata altro che una tragedia. 
 
 
***
 
 
1 luglio 2000
 
L’odore dei biscotti riempie la casa e Caroline è grata che non si siano bruciati, è grata a quell’odore che riempie ogni stanza e copre l’odore di sangue che ancora sente nel naso, tra i capelli che ha lavato fino a finire lo shampoo alla camomilla che Steven le ha fatto trovare il primo giorno. E vuole bene a Steven, ma avrebbe voluto che fosse suo padre a farlo, a farle fare il giro della casa, a dirle: ti ho comprato queste cose, Carebear, ma Bill Forbes è un uomo impegnato e Caroline non è davvero arrabbiata. Se lo ripete, mordendosi le labbra e stringendo la presina tra le mani per spostare i biscotti dal microonde al piattino di plastica pericolosamente in bilico sul piano della cucina.
Non li ha cucinati lei, avrebbe voluto farlo perché è più gentile ed è così che fanno nei film quando devono ringraziare qualcuno, ma non sa cucinare. Sua madre non ha mai avuto voglia o tempo per insegnarle e in casa è sempre stato suo padre quello bravo ai fornelli, ma non può esattamente chiedere aiuto a chi non c’è.
Caroline corruga la fronte e scuote il capo per scacciare quei brandelli di pensieri che sembrano infilarsi in ogni discorso che fa tra sé e sé. Aveva promesso di smetterla perché è una brava bambina, perché.
Un biscotto scaldato nel microonde le cade sulla mano e Caroline esala un versetto di dolore e sorpresa: è un suono sottile come un fiato perché non vuole disturbare nessuno e non vuole che nessuno si accorga di quello che sta facendo.
Quando poggia la mano sulla maniglia della porta d’ingresso, getta un’ultima occhiata colpevole alla casa vuota alle sue spalle, ai suoi pavimenti di parquet bagnati dalla luce del sole che penetra attraverso le ampie vetrate, alle tende che fluttuano nella leggera brezza estiva e al silenzio che riempie ogni stanza.
Riempie i polmoni di aria e la lascia uscire in una lenta espirazione, stringendo le dita intorno alla maniglia. Si ripete che deve farsi coraggio, che può andarsene anche se Steven le ha detto di aspettarlo a casa, che non sta scappando o andando lontano, che quell’uomo non le farà del male e lo deve ringraziare. Apre la porta con uno strattone e non si volta neanche quando si chiude, sbattendo sugli infissi.
 
È facile trovare dove abiti l’uomo: non vi sono tante villette lungo quella spiaggia su cui Steven e suo padre hanno affittato una casa per le vacanze. Da un lato, l’abitazione che Caroline ha appena lasciato è costeggiata da un minuscolo parco pieno di giochi vecchi e poco curati e da cani portati a spasso dai loro padroni. Il loro lieve abbaiare vola nell’aria e l’accompagna, mentre si avvicina all’altra casa.
È più grande di quella in cui è alloggiata lei ed ha le pareti bianche e il tetto spiovente, come la loro, ma c’è qualcosa nella pittura che la fa sembrare più scura, quasi nera. Caroline sbatte le palpebre ed è di nuovo bianca, sotto il caldo sole estivo.
C’è un campanello privo di nome e Caroline indugia solo un istante, prima di suonare. La porta si apre prima ancora che il trillo abbia terminato di diffondersi nelle stanze e Caroline fa un salto che rischia di far precipitare tutti i biscotti al suolo. Arrossisce per la vergogna e la sua malagrazia. Il rossore che le imperla le gote si fa più intenso quando, alzando lo sguardo, incrocia lo sguardo dell’uomo che le sta di fronte. Ha un sopracciglio inarcato e le braccia incrociate davanti al petto.
Aveva preparato un discorso da fare per ringraziarlo e scusarsi della sua paura e del disturbo, ma le parole sembrano averle lasciato la bocca e rimane a guardarlo e improvvisamente riesce a respirare di nuovo con semplicità e le viene da piangere e ha gli occhi sgranati, come due fari di paura.
- Non pensavo avresti mai trovato il coraggio di suonare – nota l’uomo.
- Non ci ho messo così tanto! – esclama la bambina, oltraggiata, prima di potersi fermare perché lui è un adulto e dovrebbe essere più rispettosa, più.
Caroline vorrebbe coprirsi il volto con le mani, ma ha ancora il piatto pieno di biscotti scaldati e ormai tiepidi e non può farlo senza peggiorare ulteriormente le cose. Spinge il piatto verso le gambe dell’uomo e fa un passo indietro non appena la mano di lui si allunga a prendere il suo dono.
- Sono per te – borbotta, con gli occhi fissi sulle scarpe scure di lui. – Per ringraziarti. Di questa notte, di avermi salvato e di… tutto. Non li ho fatti io perché non so cucinare, mia madre dice che sono troppo piccola e comunque non ha tempo e non le piace cucinare. Mangiamo sempre cose del Grill o la pizza e mi piace un sacco la pizza, ma… non so cucinare neanche quella comunque e… -
Deve mordersi la lingua per fermare quel vomito di parole. Chiude gli occhi prima di rialzarli sull’uomo che le sta di fronte. Immagina che sarà seccato e la guarderà annoiato perché è stupida e gli sta facendo perdere tempo, ma quando trova il coraggio di tornare a guardarlo in volto, le labbra dell’uomo sono piegate leggermente all’insù e sembra più divertito, che scocciato.
- Vuoi entrare a mangiare? – domanda. – Sono troppi per me. -
Caroline impiega solo un secondo di troppo prima di annuire furiosamente.
 
A volte Caroline si ferma a pensare che deve dargli fastidio, che l’uomo avrà sicuramente altre cose da fare, ma lui non si lamenta mai delle sue visite. Puoi chiamarmi Klaus, le dice, e Caroline lo fa, lo chiama Klaus, grida il suo nome ancor prima di varcare la soglia, quando è eccitata e deve raccontargli qualcosa, mangia i biscotti che l’uomo le fa trovare sul tavolo e non si chiede mai come faccia a sapere quali siano i suoi preferiti.
Sul divano dell’uomo, recupera le notti insonni passate nella sua cameretta, in attesa del ritorno dei mostri che Klaus ha ucciso – li ha uccisi, sono morti, non torneranno mai, ed è qui vicino, è qui accanto, si ripete e non basta mai per scacciare le tenebre che negli angoli si addensano a prendere forme quasi umani, forme di canini splendenti sotto la luna piena.
   
 
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