I FIGLI DEI QUATTRO MONDI
EPILOGO
TOMODACHI
ITSUMADEMO
“Ehi, ehi! Tutto bene? Mi senti?”
Carolyna venne improvvisamente strappata dalle spiagge del sonno da una
voce preoccupata, una voce femminile e calda, che le avvolgeva il cuore come una
carezza. Lentamente, sollevò le palpebre, il Sole la illuminò, splendente come
non mai, l’azzurro intenso del cielo le strappò una lacrima di commozione, le
parve essere passati secoli dall’ultima volta che lo aveva visto, così
puro.
Un viso gentile di donna, sfumato nell’intenso chiarore, stava sopra di
lei, capelli color cioccolato tirati indietro, un candido sorriso di
mamma.
“Tutto ok?” continuò quella voce così gentile, così simile a un
angelo.
La ragazza sorrise, lacrime di cristallo inondarono i suoi occhi: “Nonna
Trisha.. Sei venuta a prendermi?” mormorò lei, accarezzando la guancia
dell’angelo con la mano, il capo appoggiato su qualcosa di morbido, forse erano
nuvole…
L’angelo gliela strinse forte: “Figliola, mi dispiace, non sono tua
nonna.” sussurrò triste, i suoi occhi colmi di malinconia, “e non sei nemmeno
morta. Riesci ad alzarti?” chiese, sollevandola
seduta.
La vista si schiarì e Carolyna vide con sorpresa di essere seduta su un
prato, sotto il sole mattutino, la dolce brezza accarezzava i fili smeraldini
del’erba, i rami dolcemente smossi dal vento; si guardò le mani, piene di graffi
ma rosate, le maniche della divisa stracciate e leggermente sporche di sangue,
sangue non suo però..
E al collo, una catenella d’argento, una gemma rossa che brillava sotto
l’abbraccio del Sole.
E il viso dell’angelo, il viso di una donna anziana, di una nonna
gentile, increspato dalle onde della vecchiaia, ma rosato e
vivo.
Non era morta.
Il cielo era di nuovo azzurro, il sole
splendeva.
Che fosse stato tutto un sogno?
No, il ciondolo parlava chiaro.
Ce l’avevano fatta.
Si guardò attorno, quel luogo così bello e semplice non le diceva nulla:
“Dove sono?” chiese con tono spento e stanco, stringendosi nei brandelli della
divisa, “Sei alla periferia di Central City, ragazza. Mi hai spaventato, ero
venuta sin qui a prendere alcune erbe e ti ho trovata qui svenuta…” sospirò
sollevata la donna, tenendo tra le braccia un paniere di vimini, “come ti senti?
Hai freddo?” aggiunse premurosa, levandosi lo scialle e coprendole le spalle,
“Sono un po’ confusa… Come posso raggiungere il Comando? Ho una certa fretta!”
chiese Carol agitata, doveva sapere.
“Calmati.. non è successo nulla… Dovresti percorrere la strada maestra
per qualche chilometro, ma nelle tue condizioni non sei in grado di muoverti!
Sei un militare, vero?” esordì lei, cercando di metterla in piedi; la mora frugò
nella tasca e ne trasse l’orologio, “Tenente Colonnello Carolyna Melanie
Mustang, signora..” si presentò faticosamente, “Devo tornare subito
indietro.”.
“Bontà divina!” esclamò la donna stupefatta, “figliola, ti stanno
cercando da settimane! Non posso lasciarti andare in queste condizioni… Vieni,
reggiti forte. Sulla strada c’è una pattuglia di tuoi colleghi, c’è anche mio
nipote, ti affiderò a loro. Francamente, non me la sento di lasciarti andare in
giro da sola, loro ti aiuteranno.” disse seria, abbracciandola, “Grazie..”
mormorò esausta lei, abbandonandosi.
A passo lento, riguadagnarono la strada; poco lontano, una pattuglia di
soldati stava esaminando una cartina poggiata sul cofano di una delle auto,
discutendo animosamente; a quella vista, l’animo di Carolyna si rasserenò. La
nonna la poggiò a terra, scostandole con dolcezza una ciocca sudata: “Aspetta
qui…” le disse, sistemandole le gambe in modo da non farla
cadere.
Dopodiché, si diresse verso il piccolo gruppo di
soldati.
Con loro, scambiò qualche parola, indicandola più
volte.
Una figura dai corti capelli argentei si voltò verso di lei, il suo cuore
ebbe un sobbalzo; si alzò di scatto in piedi: “Falman-san!” esclamò stupefatta,
reggendosi a malapena sulle proprie gambe, un leggero sorriso sulle labbra
livide, non poteva crederci.
Finalmente era a casa.
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La pioggia cadeva feroce sulla città addormentata, ammantandola di freddo
e malinconia.
Nulla sembrava muoversi tra la nebbia, solo il fastidioso picchiettio
delle gocce di pioggia rompeva di quando in quando l’assordante
silenzio.
Un rumore improvviso di passi in corsa risuonò cupo sulla strada
allagata, la sagoma di un bambino spiccava distintamente tra la nebbia,
percorreva in silenzio la strada, correndo al massimo delle sue misere forze, il
fiato corto e il cuore a mille.
La lacera divisa militare ormai zuppa, i corti capelli completamente
bagnati e la pelle gelida, doveva rifugiarsi da qualche
parte.
Si, ma dove?
Non vedeva nulla attorno a sé.
All’improvviso, si udì un rumore di freni e dalla nebbia, sbucarono dei
fari.
Un auto si stava avvicinando a grande velocità verso di
lui.
Fu un attimo.
L’automezzo sbandò, illuminandolo per un attimo come un cervo su una
strada montana, paralizzato un attimo prima di venire
investito.
Con uno scatto istintivo, il bimbo si gettò di lato, cadendo a faccia in
giù in una pozzanghera, il rumore attutito della frenata giunse alle sue
orecchie.
Udì lo sbattere di una portiera mentre cercava di alzarsi seduto, e poi
una voce familiare: “Ehi, tutto bene piccolino?” gli chiese, tirandolo con
facilità su, “Scusami, ma l’asfalto era tutto bagnato e.. GABRIEL!?!” esclamò
improvviso.
Gli occhi opachi dell’alchimista, ottenebrati dalla pioggia e dal fango,
distinsero una chioma color sabbia ondeggiare dinanzi a sé, la sagoma oscura
dell’autovettura con le portiere
spalancate.
Con un gemito, il giovanissimo gli fece cenno di lasciarlo: “Sono tutto
intero sottotenente.. Nessun problema.. Mi accompagnerebbe per favore al
Comando, è importante?” chiese piatto, massaggiandosi il braccio destro
indolenzito; per tutta risposta, Danny Brosh lo afferrò per le braccia, un
attimo dopo si trovò all’asciutto, su di un morbido sedile, avvolto da ruvide
coperte: “Asciugati a meno che tu non voglia prenderti un malanno!” abbaiò,
allacciandosi la cintura di sicurezza e facendo lo stesso col
bambino.
Il motore si accese, il rombo penetrante sovrastò per un attimo il rumore
della pioggia sui finestrini, prima che il mezzo, slittando pericolosamente
sull’asfalto umido, partisse a tutta
velocità.
La loro folle corsa durò pochi minuti, per concludersi dinanzi al
Quartier Generale, il grande piazzale deserto e cupo, l’imponente edificio
dall’aspetto ancora più austero del
normale.
Gabriel sentì il cuore montargli in
gola.
Sentimenti contrastanti albergavano in lui, paura, ansia, curiosità e
desiderio.
D’improvviso si sentì stanco,
esausto.
Il corpo quasi non voleva nemmeno
muoversi.
“Una volta a casa, giuro che resterò a dormire per una settimana...”
sospirò il biondo, scendendo lentamente dall’auto accanto al sottotenente; i due
colleghi spiccarono una corsa veloce sino all’ingresso, il loro improvviso
arrivo fu subito notato dai pochi uomini presenti: “Gabriel, non sarebbe meglio
che tu vada a cambiarti? Sembri piuttosto malconcio e la tua divisa deve averne
passate i tutti i colori. Per di più, sei completamente zuppo, rischi seriamente
di ammalarti.” affermò critico il giovane, squadrandone le condizioni, piuttosto
precarie a un esame superficiale.
Ma il bambino scosse energicamente il capo, i suoi grandi occhioni
puntati in quelli dell’altro: “Dove sono i miei?” chiese con un filo di voce e
lo sguardo stanco, “Dove sono i nonni?”; il biondo sospirò, passandosi una mano
tra i ciuffi ribelli, “D’accordo, d‘accordo, ma non credere di poter girare per
il Quartier Generale in questo stato, sarebbe troppo pericoloso.” cedette lui,
frugando nella tasca dei pantaloni, ne tirò fuori un lucido portachiavi, “Questa
è la chiave del mio alloggio, è il numero 234. vai laggiù e cambiati, infilati a
letto e non azzardarti a uscirne finchè non tornerò, va bene? Io intanto vado a
chiamare il Fuhrer.” propose.
Gabriel lo guardò riconoscente, dirigendosi a passo sostenuto verso gli
alloggi.
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“Uff, è stato troppo facile metterli fuori combattimento, questi tizi non
erano poi granchè...”
“Parla per te, Curtis, quello che è capitato a me era davvero
noioso!”
“Te l’ho detto, piccoletto, è perché non sei abbastanza
allenato!”
“No, dì piuttosto che tu mi hai affidato l’armadio a due ante
apposta!”.
Nathan sbuffò, incrociando le braccia al petto seccato, mentre la cugina,
con un sorrisino divertito sul volto, legava strettamente con una corda
opportunamente trasmutata il gruppo di tre malviventi che avevano appena messo
fuori combattimento.
Il bambino si sedette sul
basso muretto dietro di sé, guardando quegli adulti con aria sorniona, i
grandi occhi violetti che sprizzavano lampi: “Sono degli stupidi, tentare un
colpo del genere e a viso scoperto… Se fossi stato in loro avrei utilizzato un
minimo di cervello, e mi sarei coperto il viso!” esclamò lui, dando un leggero
colpo sulla nuca del più vicino, “Ora che abbiamo fatto la nostra buona azione
quotidiana, cosa pensi di fare? Ci dirigiamo in fretta e furia a casa?” si
rivolse poi alla ragazza, “Probabilmente saranno già svegli e…”, ma un gesto
della bruna lo bloccò, “Niente da fare, probabilmente se ci presentiamo a casa,
così come se nulla fosse, faremmo solo venire un colpo ai vicini. Scommetto che
non ci sarà nessuno laggiù ma che invece siano tutti al Comando. La cosa
migliore da fare è quindi dirigersi verso il Quartier Generale.” decretò lei,
concludendo i giri di corda attorno
all’ultimo.
Improvvisamente, udirono un gran clamore e, con stridore di freni, cinque
autovetture e una camionetta si fermarono repentinamente davanti alla banca che
avevano contribuito a proteggere.
Militari, poliziotti e ufficiali dell’Esercito scesero di scatto,
guardando sorpresi ora verso di loro ora verso i banditi, strettamente resi
inoffensivi dalla corda dell’Elric: “Ragazzi, cosa ci fate qui? È pericoloso!”
esclamò un sottotenente, avvicinandosi a loro, “potrebbero essercene altri e..”
ma Nat scosse la testa, ridendo, “Non ce ne sono altri, abbiamo controllato
personalmente signore.” spiegò lui, mostrando l’orologio, imitato dalla
compagna, “Siamo appena tornati da una difficile e lunga missione, potrebbe
gentilmente accompagnarci al Comando? Dovremmo fare rapporto ai nostri
superiori” s’intromise Curt.
L’ufficiale spostò lo sguardo ora verso lei ora verso lui, scattando
sull’attenti: “Maggiore Nathan Mustang e maggiore Curtis Elric, per fortuna
siete tornati, erano tutti molto in pensiero per voi. Forza, seguitemi, dalle
vostre condizioni penso ne abbiate passate parecchie!” affermò con tono paterno,
facendo segno ai suoi uomini di prendere in consegna i tre ladri e conducendo i
due bambini in mezzo alle auto parcheggiate; li fece sedere nel retro della
camionetta, dando a entrambi una coperta, “Stanno arrivando due vostri colleghi,
li ha mandati qui l’ufficio del Comandante, ci penseranno loro a scortarvi.”
disse appena, che una macchina lanciata a tutta velocità sbucasse da una strada
secondaria, frenando improvvisamente davanti al loro sguardo
stupefatto.
Due folte capigliature nere come la notte si stagliarono fiere contro il
cielo ceruleo, sguardi stanchi e ansiosi su visi esausti esprimevano sofferenza
e speranza.
Un paio di occhioni del medesimo colore, spenti come mai li aveva visti,
saettarono tutto attorno, prima di incrociare i suoi, stupefatti e colmi di
lacrime.
Non c’era bisogno di altre
parole.
Nat balzò giù, correndo incontro al ragazzo più grande, spostò malamente
un gruppo di parigrado che venivano nel senso opposto, gettandosi tra le braccia
dell’amico, di quel suo caro amico che tanto gli era mancato in quei lunghi
giorni lontano.
Curtis guardò con espressione indecifrabile, a metà tra lo stupore e la
rassegnazione, quella scena.
“Umpf, sempre il solito, eh, Kou?” sussurrò tra sé e sé lei, storcendo il
naso per un’improvvisa fitta di dolore alla caviglia, la stessa che si era
storta quando Shun, tentando di bloccarne lo scatto, l’aveva scaraventata per
terra e si era buttata nel Portale con
Gabriel.
Lei sorrise tristemente, guardando il cielo, la gemma delicatamente
accarezzata dalle dita sottili.
“Piccioncini, se non vi fosse di troppo disturbo, io vorrei indossare
qualcosina di più, come dire, coprente… Questa divisa ha decisamente troppi
spifferi.. E vorrei anche dormire un po’, sono esausta.” affermò con tono
pacato, indicando i grandi squarci nel tessuto
blu.
I due si scostarono all’istante, sorridendo imbarazzati: “Certamente, vi
accompagno subito indietro.” esclamò Kou, cingendo col braccio le spalle di
Nat.
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“SHUN-NEESAN!!! NEESAN!!!”
Una vocetta di bambino accolse la ragazza appena entrata in casa e una
saetta mora gli piombò addosso, facendola cadere a
terra.
“Ehi, scricciolo! Come stai?” esclamò la ragazza, scompigliandogli la
folta chioma nerissima, “Dove eri finita, sorellona?? Sono settimane che non ci
vediamo!” la abbracciò lui.
Oro nell’ebano, il piccolo che teneva addosso non poteva avere più di
otto anni.
Shun sorrise: “Ero in missione, fratellino!! È stata una lunga storia..
Mamma e papà dove sono?” chiese lei, alzandosi seduta, “Sono ancora in ufficio,
prima di stasera non torneranno.” s’imbronciò lui, incrociando le braccia sul
petto, “Eddai, dove sei stata sorellona?? Dimmelo!!” la implorò lui,
aggrappandosi alla sua divisa stracciata, “Eh no, Cloude-kun! Prima vado a
cambiarmi e a mangiare qualcosa, poi, semmai, te lo spiegherò dopo!!” ridacchiò
la ragazza, correndo in camera sua.
FINITO!!
FINALMENTE QUESTO PARTO HA VISTO LA SUA
CONCLUSIONE!
Sniff, un pò mi spiace, mi piaceva
tantissimo scrivere questa fic...
Snifff...
Comunque, ringrazio tutti coloro che mi
hanno supportato, grazie di cuore.
Ma la storia non è finita
qui.
In programma ho un secondo capitolo, in
lavorazione!!
UN
BACIONE
SHUN