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Autore: Alexa_02    08/08/2018    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Julianne

 

Ho sempre amato il sabato. È il giorno migliore della settimana. Ti svegli con la paura che dovrai andare a scuola e invece arriva subito quella magnifica sensazione che ti ricorda che è il weekend e non devi andare proprio da nessuna parte. Puoi dormire fino a tardi, puoi fare una mega-colazione nella più totale calma ma soprattutto puoi restare tra le coperte cullandoti con il magnifico ricordo del sogno che hai fatto qualche ora prima. Nel mio caso però, il sogno non è nulla in confronto alla mia meravigliosa realtà.

Sono sveglia da qualche minuto e non sono sicura se sto sognando oppure no. Aaron mi dorme accanto con le mani appoggiate sul cuscino, il lenzuolo ad altezza fianchi e il torace nudo. La maglia che indossava ieri sera è finita sopra una delle mie mensole e lì è rimasta. Il sole entra dolcemente dalle finestre e gli illumina gli addominali scolpiti. Desidero terribilmente toccarlo ma non voglio rischiare che si svegli, sembra così in pace. Ieri, quando è tornato dalla partita, era euforico e a dir poco eccitato e abbiamo finito per fare le ore piccole.

Per non lesionare la mia sanità mentale mi giro dall'altra parte e provo a dormire ancora un po'. Dopo un secondo che ho chiuso gli occhi, le sue braccia mi afferrano e i nostri corpi aderiscono alla perfezione, schiena contro petto. Aaron mugola e mi struscia il naso contro il collo e tra i capelli. Le sue mani mi stringono i fianchi sotto la maglietta e mi sfiorano con dolcezza la pelle. La sensazione che mi scorre nelle ossa è meravigliosa e terrificante. Mi sento a casa, al sicuro, nell'unico posto in cui vorrei stare per sempre. Tutto ciò è spaventosamente bello e allo stesso tempo è una cosa incredibile che non voglio assolutamente perdere.
“Ti ho vista sai” mormora con la voce impastata.

“Cosa hai visto?”.

Mi stringe con più forza a sé e sospira di piacere. “Mi stavi osservando mentre dormivo, come una psicopatica. Non immaginavo fossi quel tipo di fidanzata”.

La parola fidanzata mi procura un brivido allo stomaco. “E quale tipo pensavi che fossi?”.

Ridacchia facendo ondeggiare il letto. “A questa domanda risponderò solo in presenza di un avvocato”.
Mi giro con fatica verso di lui, finché non siamo naso a naso. “Hai un bel po' di domande a cui devi rispondere in presenza dell'avvocato”.

Mi sorride “Del tipo?”.
“Oh, per esempio, ero la prima a cui dedicavi un punto?”. Mi fissa vacuo e sbatte le palpebre velocemente. “Oppure, è vero che hai dedicato un goal a Savannah e l'hai baciata davanti a tutta la scuola?”. Apre la bocca e poi la richiude subito. “A quante ragazze hai fatto questo giochetto?”. Cerco di sembrare arrabbiata ma non mi riesce molto bene perché lui scoppia a ridere di botto. “Sei gelosa!” afferma.

“No che non lo sono” ribatto cercando di non arrossire.
“Eccome se lo sei”. Si tira su e mi scavalca con una gamba, sdraiandosi su di me. “Sei verde di gelosia”.

“Non è assolutamente vero” ribatto cercando di sfuggire al suo corpo tentatore.

Mi morde una spalla nuda “Non costringermi a torturarti per farti ammettere la schiacciante evidenza”.

“Non so di che certezza parli” mormoro ostentando indifferenza. Il mio ulteriore negare gli fa scattare una strana scintilla nello sguardo. Prima che possa reagire, mi infila le dita nelle costole facendomi contorcere dalla risate. Mi solletica entrambi i fianchi facendomi salire le lacrime agli occhi. “Ammetti la verità e smetto”.

“Mai” grugnisco tra le risate.
Aumenta l'intensità facendomi ridere più forte. Quando rischio di farmi la pipì addosso decido di alzare bandiera bianca. “Okay. Okay” mormoro senza fiato “Mi arrendo. Sono gelosa”.

Smette di torturarmi e mi accarezza dolcemente la pelle. “Visto, non era difficile”. Si china verso di me e mi bacia con dolcezza, facendomi fremere dalla testa ai piedi. Vorrei che non smettesse mai. È come se fluttuassi tra le nuvole.

Come se galleggiassi tra le onde.

Come si fossi sdraiata tra i fiori.

Si stacca e mi guarda negli occhi accarezzandomi i capelli. L'intensità nel suo sguardo mi lascia senza fiato. Succede qualcosa di incredibile, il mondo condensa, l'attimo che stiamo vivendo si ferma e capisco che è quel Momento. Il momento delle grandi rivelazioni, il momento in cui ti senti coraggioso e vuoi ammettere ciò che provi. Il momento in cui capisci che quello che senti va oltre i confini dell'immaginabile. Lo vedo nel suo sguardo, nel modo in cui mi tocca e lo percepisco dal suo cuore che batte. Prende aria e la paura mi attanaglia lo stomaco. Non può dirlo, non può provarlo, non posso rischiari di ricambiare un sentimento tanto forte. È pericoloso e fa male.
“Sto morendo di fame” butto fuori di colpo. Scappo. È il mio miglior talento. “Ho bisogno di cioccolato”.
Aaron espira lentamente e sorride “Andiamo a fare colazione?”.

“In realtà avrei bisogno di una doccia” affermo scivolando via dal letto e dal suo corpo caldo.

Si mette alla ricerca della maglietta “Allora ti aspetto in cucina”.
“Volevo dire che entrambi abbiamo bisogno di una doccia” mormoro appoggiata allo stipite della porta del bagno.

Aaron alza la testa di scatto con la maglietta stretta tra le dita. “È un invito?”.

Mi sfilo la canottiera da sopra la testa “È una proposta”. Mi tolgo i pantaloncini “La tua risposta?”.
Non mi da il tempo di sfilarmi nient'altro, mi prendi in braccio e mi trasporta con impeto verso la doccia di plastica.

 

 

“Jules?” rimbomba la voce di mio fratello contro le mattonelle. “Sei qui dentro?”.

Il getto caldo della doccia gocciola sulla testa bagnata di Aaron per poi scorrere sul mio viso. Gli stringo le braccia al collo con più impeto e lui approfondisce il bacio. È da almeno mezz'ora che siamo sotto la doccia e non ci siamo ancora nemmeno insaponati.
“Jules” chiama Henry più forte. Sobbalzo e scivolo sulle mattonelle viscide rischiando di uccidermi. Aaron mi afferra prontamente e cerca di soffocare una risata.
“Henry cosa c'è?” domando appoggiando una mano sulla bocca di Aaron. Le sue spalle sobbalzano mentre cerca di non ridere troppo forte.

“Ho bisogno di parlare con te” afferma. La tavoletta della tazza sbatte e lui si siede sul water chiuso.

“Ora? Proprio ora?” chiedo. Aaron si libera dalla mia mano e mi appoggia la bocca sul collo.

“È urgente, Jules. Ho un dubbio esistenziale e mi serve un consiglio” afferma criptico.
Aaron mi mordicchia la spalle e il cervello si scollega dal resto del corpo. “Possiamo parlarne dopo che ho finito la doccia?” sospiro.

“No. Ma cosa ti prende? Non è la prima volta che parliamo mentre sei in bagno” mormora confuso.

Aaron sbuffa e infila la testa fuori dalla tendina della doccia “Al momento è già impegnata, puoi passare più tardi?”.

“Oh Dio!” squittisce Henry schifato “Okay torno dopo, potevate dirlo prima! Metti gli slip sulla maniglia se sei impegnata con lui” brontola scappando fuori dal bagno seguito dalle nostre risate.

 

 

La doccia più lunga della storia ci sfibra e ci prepara per una grandiosa colazione. Ci abbuffiamo di pancakes e caffè. Henry giocherella con il suo cibo con l'aria di chi si sente terribilmente nauseato. La prossima volta mi conviene chiudere la porta a doppia mandata.

“Come avete dormito?” trilla la mamma sorseggiando il suo tè allo zenzero.

Aaron le sorride “Magnificamente”.

Sì, concordo. “Immagino” tuba la mamma con una strana intonazione. Sembra quasi maliziosa.

Aaron la guarda titubante. “Perchè?” ha la voce impregnata di paura.

La mamma ridacchia “Ieri sera avete vinto la prima partita della stagione, sarai euforico”. Le sue spalle si rilassano mentre annuisce. “E poi per la ragazza misteriosa”.

Il caffè mi va di traverso e mi brucia le narici. Tossisco e mi asciugo il mento con un tovagliolo. Henry mi batte con impeto la mano sulla schiena.

“Stai bene, tesoro?” chiede mamma. Annuisco cercando di respirare come si deve. Lei si rigira verso Aaron “Ce la presenterai?”.

Lui si chiude a riccio e scuote la testa “Non capisco di cosa parli”.

“La ragazza a cui hai dedicato il primo punto ieri sera, quella che hai indicato nelle tribune” spiega lei.

Aaron indietreggia e la sua espressione si rabbuia “Era un punto per la folla, non per qualcuno di speciale. Non esco con nessuno e non capisco perché ti interessi la mia vita privata”.

“Aaron” brontola Jim dal suo sgabello e da dietro il giornale. “Non essere sgarbato”.

“Dille di non impicciarsi e io non sarò sgarbato” ribatte uscendo dalla cucina.

Jim sbuffa guardandolo uscire. “Gli adolescenti hanno certi sbalzi di umore”.

“Ho detto qualcosa di male?” chiede mamma. Eccome se lo hai fatto.

“No, cara, sono gli ormoni. Non preoccuparti” le assicura Jim.

Lei non sembra convinta ma non replica oltre. Se solo sapesse la verità, la sue espressione non sarebbe di certo quella.

 

 

“Mi dispiace per la sfuriata di prima” mugugna Aaron accarezzandomi le guance con entrambi i pollici. Seduto sul tavolo da ping-pong del garage è alto quasi quanto me. Quasi. “Non volevo aggredirla ma ha detto la cosa sbagliata e mi sono innervosito”.
Infilo un dito nel passante della sua cintura. “Le piace impicciarsi dei fatti altrui, potevi dirle una bugia. Ora sembra quasi che tu stia nascondendo qualcosa, e in effetti è così”.

Si acciglia nervoso. “Avrei voluto dirle la verità: Guarda, April, la ragazza con cui esco è tua figlia, mi piace da impazzire e mi uccide dover fare tutto nel buio. Ti prego dacci la tua benedizione e lascia mio padre per sempre” afferma sarcastico “Suona bene. Tu che dici?”.

Sbuffo “Non c'è bisogno di essere ironico, questa situazione fa schifo anche a me”.

“Tu dici? A me sembra che ti trovi bene fare cose di nascosto” ribatte con forza.

Ahi.

Questa fa male. Smetto di toccarlo e lui mi afferra la mano impedendomi di allontanarmi. “Scusa, Jay, scusa. Non volevo dire quello che ho detto. Dio mio, sono orribile. Scusa”.
“Se credi che mi piaccia tutto questo ti sbagli di grosso. Credi che mi diverta a vederti sempre circondato da qualche oca che ti starnazza intorno? Credi che mi piaccia non poterti toccare se non quando siamo soli?”.

“No, lo so”.

“Non mi sembra” ribatto con rabbia.

La porta di metallo del garage si apre e i ragazzi fanno il loro ingresso immersi nel rumore. Mi allontano da Aaron e mi accomodo sulla mia sedia da giardino. Vorrei andarmene nella mia camera a dipingere o semplicemente a dormire, ma non posso abbandonare i ragazzi perché ho litigato con Aaron. Non sono così superficiale.
La manona di Lip mi accarezza la testa “Buongiorno, dolcezza”.

“Giorno” mormoro con poco entusiasmo.

Lui si china su un ginocchio e mi guarda in faccia “Stai bene?”. Annuisco cercando di sembrare sincera. Lui non sembra molto convinto “Sicura?”.

“Lip!” abbaia Aaron “Ci muoviamo, non abbiamo tutto il giorno”.

Lui sembra collegare i fili che Aaron e io gli stiamo porgendo, smette di fare domande stupide e si mette a sistemare gli strumenti.

Quando l'attrezzatura è pronta, i ragazzi provano le due canzoni che abbiamo sistemato e che ha scritto Ty. Funzionano alla perfezione e ne siamo tutti entusiasti.

“Va davvero benissimo” mormoro osservandoli sorridere “Ora è il momento di lavorare su qualche nuovo pezzo” frugo tra i fogli che ho appoggiato sulle cosce “Vi ho portato un paio di testi che potrebbero già andare bene e che non sono troppo femminili”.

Gli porgo le fotocopie che ho fatto del mio diario e loro se le scambiano. Non è stato affatto facile trovare dei testi che andassero bene per il loro sound e che non rivelassero troppo di me. Ho dovuto rileggere tutto ciò che avevo scritto e alcuni ricordi che ho fatto tornare a galla non sono stati affatto piacevoli.

“Sono fantastici, dolcezza, ma secondo me dovresti portare qui sopra il tuo bel culetto e farci sentire come li canteresti tu” asserisce Lip.

“Non se ne parla”.

“Dai, Julie, sei il nostro coach. Tu ci sproni sempre a superare i nostri limiti e dovresti darci il buon esempio” aggiunge Matt.

“Non forzatela, se non vuole non è obbligata” li riprende Aaron. Ed eccolo qui, il principe dalla scintillante armatura. Mi difende dai mostri e lotta per il mio onore, però io non ho bisogno di protezione. Non ho paura del buio e non ho paura dei mostri, quindi perché dovrei avere paura di cantare davanti a delle persone che mi vogliono bene?

Al diavolo. “Va bene”. Tutti e quattro si girano contemporaneamente verso di me. “Canterò”. Mi alzo dalla mia postazione e salgo sul piccolo palco.
“Sei sicura?” mi bisbiglia Aaron. Annuisco guardandolo dritto negli occhi. Voglio che mi guardi. Non ho paura. “Sicurissima”. Sebbene non molto convinto, si sfila la chitarra e con dolcezza me la porge. Mi posiziono davanti al leggio di ferro e fisso il testo che ho scritto. La macchia a forma di foglia causata da uno spruzzo di ketchup mi ricorda di quella serata. Skylar e io ci stavamo rimpinzando di schifezze alle quattro del mattino, dopo una nottata folle. Avevo conosciuto un ragazzo, Grady, mi aveva tenuta lontano dai pensieri opprimenti per tutta la notte e poi si era dileguato come un fantasma. Non che volessi altro da lui ma di solito gli altri ragazzi fingevano di volere il mio numero, lui se ne era semplicemente andato. Mi ero resa conto di quanto poco gli fosse importato di me e di quanto poco mi fosse importato di lui. Così mentre riprendevamo le energie ho buttato giù tutto quello che pensavo di lui.

Sfioro le corde della chitarra e chiudo gli occhi. Non mi serve uno spartito, so che melodia segue le mie parole. Non ho bisogno di guardare il testo, so alla perfezione ogni sillaba del mio diario.

 

Taking me high up where I've never been before

I'm holding it back, just one sec, I won't be long

You're just a hideaway, you're just a feeling

You let my heart escape, beyond the meaning

Not even I can't find a way to stop the storm

Oh, baby, it's out of my control, it's going home

You're just a chance I take to keep on dreaming

You're just another day that keeps me breathing

 

Baby, I love the way that there's nothing sure

Baby, don't stop me, hide away with me some more!

Uh, you send me the shiver and the spine might overflow

You're bringing me closer to the edge of letting go

You're just a hideaway, you're just a feeling

You let my heart escape, beyond the meaning

 

Cover my head into the clouds I'm heading home

When you get me going I can't find a way to stop

You're just a chance I take to keep on dreaming

You're just another day that keeps me breathing

You're just a chance I take to keep on dreaming

You're just another day that keeps me breathing

 

Hide away with me some more

You're just a feeling

You're just a feeling

You're just a feeling

 

Cover my head into the clouds I'm heading home

When you get me going I can't find a way to stop

You're just a chance I take to keep on dreaming

You're just another day that keeps me breathing

You're just a hideaway, you're just a feeling

 

Vorrei che non fosse così ma una cascata gelata di ricordi mi si riversa addosso. Le sensazioni mi attraversano e le emozioni fanno capolino dalla scatola in cui le tengo. Vedo tutto, sento tutto e non mi piace. È per questo che non canto mai in pubblico.

“Dio santissimo, dolcezza” prorompe Lip facendomi aprire gli occhi. Mi fissano tutti e quattro con espressioni simili. Matt mi guarda come se finalmente avesse ritrovato qualcosa che aveva perso da tempo. Tyson e Lip sono sorpresi ed estasiati, ma è l'espressione di Aaron a farmi tremare le ginocchia. Ha di nuovo quello sguardo, quello con cui mi ha guardata stamattina. Quell'espressione di completezza e realizzazione, ha la faccia di chi ha capito tutto quello che voleva sapere.

“Come vi è sembrato?” chiedo titubante. “Era okay?”.

“Okay?!” bofonchia Matt “Non era okay, Julie. Era straordinario”.

“Vuoi nascondere al mondo tutto questo!” mi accusa Lip “Ma quanto sei egoista?”.

“Dovresti cantarla tu” parlotta Tyson a bassissima voce.

Sbuffo. “Adulatori. Smettetela, vi ho solo fatto sentire il ritmo, siete voi il gruppo, ricordate?”.

“Davvero non vuoi cantare?” chiede confuso Matt “Forse non te ne rendi conto ma sei completamente nel tuo elemento e ti assicuro che le persone rimarrebbero estasiate nel sentirti cantare”.

No, non davanti alla folla. Non voglio. “Vi ho già detto che sono solo il coach, smettetela di chiederlo. Ora tocca a voi”. Interrompo le loro proteste scendendo dal palco e sedendomi al mio posto.

 

 

 

 

Stiracchio i muscoli sul il copriletto a fiori. Quella stupida sedia da giardino mi farà venire la scoliosi. Mi porto le ginocchia alla fronte e provo a far scrocchiare la schiena.
“Wow. Stai provando qualche nuova posizione?”. Henry mi guarda dalla soglia con un sorrisetto e con il braccio appoggiato allo stipite.

“Sto tentando di combattere la vecchiaia che avanza” ribatto mettendomi seduta “Tu invece cosa fai?”.

“Sto aspettando che la mia sorellina trovi un buco nella sua agenda piena di impegni per dedicarmi un po' di attenzioni” mormora piccato.

Afferro un cuscino con le paillettes viola e glielo tiro in faccia. “Spiritoso. Ora sono libera”.

Henry lo afferra ed entra in camera chiudendosi la porta alle spalle. “Ho bisogno di un po' di Jules-terapia”.

Gli indico la metà del letto libera “Si accomodi nel mio ufficio, signore”. Si lancia al mio fianco e si stende “Cosa la affligge?”.

 

Parliamo per un'ora di Dylan e della situazione incasinata che stiamo vivendo. Henry mi aiuta a far scrocchiare le vertebre e poi si concentra sulla stesura di due perfetti strati di smalto nero sulle mie unghie dei piedi.

“Ieri eravamo in camera sua” mi spiega sistemando il mignolino “La situazione si stava scaldando e suo padre è tornato prima dal lavoro. Avevamo tutto il tempo per rivestirci e fingere di star semplicemente studiando e invece lui mi ha spinto nell'armadio”.

“Mi sembra una sua caratteristica fondamentale quella di buttarti in qualche nascondiglio quando siete insieme. Sei sicuro che non sia una sua fantasia?”.

Mi soffia sullo smalto per farlo asciugare “Non lo so, Jules. Lui mi piace un sacco, è esattamente quello che ho sempre sognato ma solo quando siamo totalmente soli. Come andare avanti se funziona solo quando siamo soli?”.

Già, bella domanda fratellino. “Non credo di avere la risposta a questa domanda”.

“Scusa, non ci stavo pensando”.

“Sei difronte ad un bivio, Henry. O decidi che è l'amore della tua vita e accetti pro e contro oppure lo lasci e cerchi qualcuno che non abbia paura di affrontare il mondo a viso aperto”.

“Sai che non è affatto facile affrontare il mondo a viso aperto, rischi di beccarti uno sputo in un occhio”.

Gli accarezzo la testolina bionda “Lo so, ma è uno dei rischi che corri se decidi di vivere la vita come vuoi tu”.

Annuisce con lentezza “Ci penserò. Tu cosa farai?”.

“Cosa intendi?”.

“Sei nella mia stessa situazione, ma non vieni spinta negli armadi” afferma “Anche tu sei difronte ad un bivio”.

Scuoto la testa “Non è la stessa cosa”.

“Ne sei proprio sicura?”.

 

 

Resto a fissare il soffitto in cerca di una risposta. Ho assicurato ad Henry che la mia situazione è completamente diversa dalla sua, ma è davvero così? Vale la pena vivere nel buio per Aaron?

“Jay?” domanda. Ogni volta che penso a lui appare, come se lo evocassi. “Possiamo parlare?”.

Annuisco, entra e si stende al mio fianco. Il suo profumo mi avvolge e il calore del suo corpo scalda il mio. Ogni dubbio si dissolve, la sua sola vicinanza mi fa sentire dieci volte meglio.

“Mi dispiace” afferma “Ho detto una stronzata prima delle prove, so che questa situazione fa schifo anche a te. Ma siamo su questa barca sgangherata insieme e non vorrei nient'altro” intreccia le dita con le mie “Mi perdoni?”.

Giro il viso verso di lui per guardarlo negli occhi. Non ho bisogno di una conferma, so che è sincero, guardarlo rende solo il mondo più bello.
“Non saprei, dovresti persuadermi” sorrido.
Aaron si infila una mano in tasca e tira fuori una barretta al cioccolato. “Va bene come inizio?”.

“È fondente?”.

Alza gli occhi al cielo “Ovvio che è fondente, con chi credi di parlare?”.

Lo ricopro di baci e poi mi gusto la mia offerta di pace assolutamente innecessaria ma totalmente apprezzata.

 

 

“Non è affatto corretto!” brontola Aaron seduto sul letto. “Non puoi farlo”.

Infilo il cuscino nella federa ricamata. “Non fare i capricci, è solo per una notte”.

“Sarà anche solo per una notte ma non è giusto” stringe le braccia al petto come un bimbo arrabbiato “Non puoi abituarmi a dormire con te e poi buttarmi fuori dal tuo letto alla prima occasione”.

“La prima occasione?” brontolo sistemando il lenzuolo sul lettino singolo “Dottie e Pey vengono a dormire qui solo stanotte, da domani sera sono di nuovo tua. Smettila di fare il bambino e aiutami a fare il letto”.

Per un secondo rimane in silenzio, poi riapre la bocca con un tono completamente diverso. “Ridillo” impone con voce roca.

“Cosa?”.

“Quello che hai detto prima”.

“Che Dottie e Pey...”.

“No, l'altra cosa” afferma.

“Smettila di fare il bambino?”.

Cerca di non ridere. “Quello che hai detto in mezzo”.

Smetto di sistemare la coperta e mi giro verso di lui. “Che sono tua?”.

Annuisce. Mi avvicino, mi siedo sulle sue gambe stringendogli le braccia intorno al collo. Aaron mi passa le dita sulla pelle dei fianchi senza mai smettere di guardarmi. “Sono completamente e irrimediabilmente tua”.

 

 

 

Dottie e Peyton arrivano nel tardo pomeriggio cariche di valige e con l'aria estasiata. Entrano in casa titubanti e guardandosi intorno come se si trovassero nel giungla più selvaggia. Il che non è affatto sbagliato, la vena artistica di Liv si è sviluppata contro le pareti del salotto e la colpa è ricaduta su di me per averle dato i colori per dipingere. Cole ha preparato uno strano intruglio color vomito che è esploso sui fornelli di mamma e Andy ha passato la giornata in camera sua ascoltando rap ad un volume esorbitante. Aaron e io d'altro canto siamo spariti per tutto il pomeriggio e abbiamo esplorato ogni parte di noi nella sua macchina e nel nostro parco.

“Benvenute” squittisce la mamma dal soggiorno. Indossa un bellissimo e svolazzante vestito color cipria e delle zeppe bianche. Sembra appena uscita da un pubblicità e so che lo ha fatto apposta, adora essere perfetta quando incontra qualcuno di nuovo. Non importa se si tratta della Regina o di Lou, il barbone che vive sotto il ponte, lei deve essere eccezionale per chiunque. “Benvenute nella nostra umile dimora”. Vorrei ricordarle che non siamo nel 1800 ma non ho voglia di discutere davanti alle ragazze. “Sono felice di fare la vostra conoscenza. Io sono April, la mamma di Julianne”. Ma non mi dire.

Pey le porge la mano. “Peyton Jackson, molto piacere”.

Dottie arrossisce mentre sorride timidamente “Dorothea”.

“Sì, conosco già i vostri nomi, Julie mi ha detto tutto di voi”.

Non è affatto vero. “Noi andiamo di sopra, mamma”. Tiro le mie amiche verso le scale prima che April possa fargli delle domande imbarazzanti o dica qualcosa di stupido.

“Ma certo, divertitevi. Chiacchiereremo a cena” assicura lei.

No, non succederà. Saliamo velocemente le scale e ci chiudiamo la porta alle spalle. Entrambe si guardano intorno studiando i dettagli del mio privato e assimilandone i segreti.

“La tua camera è meravigliosa” esala Dottie sfiorando la carta da parati.
“Concordo pienamente” conferma Pey.

Indico le valige che intasano il mio pavimento. “Vi siete portate dietro la casa?”.

“Dottie si siede sulla poltrona “Non sapendo cosa avevi in mente di fare ho portato ogni possibilità di vestiti possibile”.

“I miei vestiti sono pochi ma molto ingombranti” si giustifica Pey. “Quindi qual è il piano per la serata?”.

Ecco la nota dolente. “Pensavo di andare ad una festa...”.

Si scambiano un'occhiata strana. “Quale festa?” domanda Peyton.

Mi gratto il mento fissando la moquette “La festa di Savannah...” bofonchio.

Entrambe strabuzzano gli occhi. “Prego? La festa di chi?” domanda Pey con sarcasmo.

“Savannah” ripeto con più impeto.

“Scherzi, vero?” sussurra Dottie.

“Sentite è solo una festa, la sua casa sarà enorme, piena di gente e non ci noteranno nemmeno. Sarà divertente”.

Peyton scuote tutto il corpo facendo ondeggiare i campanellini appesi al maglione color sabbia “No, sarà un suicidio. Sai cosa ti fanno le streghe se ti presenti ad una delle loro feste senza invito o semplicemente se sei una di noi? Mi sembra che tu sappia già la risposta oppure ti devo ricordare in tuffo in piscina”.

Sbuffo. “Avete così paura di vivere la vita?”.

“Non è paura” mette in chiaro Peyton “È autoconservazione”.

“Sentite, non mi interessa cosa pensano di noi quelle stronze. Voglio divertirmi e vorrei farlo con voi” affermo “E poi non è vero che non siamo state invitate”.

“Qualcuno ti ha invitata? E chi?” chiede Dottie.

“Savannah”.

Pey sbuffa “Allora è di sicuro una trappola”.

“Potrebbe esserlo o potrebbe essere un'occasione per una fantastica serata, lo scopriremo solo se ci andremo”.

Si guardano a lungo, nello stesso modo in cui guardo mio fratello quando comunichiamo mentalmente. Dorothea muove impercettibilmente la testa e Pey sospira. “Va bene, ma se ci aggrediscono me la prenderò con te”.

“Accetto il rischio” confermo sorridente “E poi saremo accompagnate da degli uomini forti e prestanti, non avete nulla di cui preoccuparvi”.

“Aaron viene con noi alla festa?” chiede Dorothea illuminandosi come un'insegna pubblicitaria.

Il suo sguardo estasiato fa incendiare il mio senso di colpa come dei carboni ardenti. Annuisco “Anche Henry, Lip e Tyson”.

Batte le mani contenta “Meraviglioso, ora devo decidere cosa mettermi”.

 

Passiamo il pomeriggio tra maschere di bellezza, video di tutorial per il makeup e immerse tra i vestiti. Per evitare una cena imbarazzante con la famiglia degli orrori ordiniamo delle pizze e le mangiamo in camera. All'ora prestabilita indossiamo i nostri vestiti e finiamo di pettinarci. Dottie indossa un abito floreale, stretto in vita e con le spalline sottili e un paio di saldali con il tacco color champagne. Peyton, dopo una lunghissima discussione, decide di indossare un mio vestito. Un tubino blu e degli stivaletti neri, che decide di abbinare ad una parrucca nera e spettinata.

Io metto un vestito color borgogna, sfasato e con le spalline spesse e cascanti. Hai piedi porto degli stivali alti fino al ginocchio e senza tacco, sono l'autista designata quindi meglio indossare qualcosa di comodo.

Spingo le ragazze in corridoio e verso le scale. “Wow, signore siete uno schianto” apprezza la voce calda di Aaron. Quando entra nel mio campo visivo mi manca l'aria nei polmoni e mi devo sorreggere alla maniglia della porta per non restarci secca. I jeans neri gli fasciano le gambe alla perfezione, la maglia bianca lascia intravedere il segno degli addominali e la giacca color tortora completa un quadro già perfetto. Vorrei che fossimo soli così potrei dire tutto ciò che penso. È spettacolare e lo sa. Dal modo in cui mi guarda immagino stia pensando la stessa cosa.

“Siete davvero bellissime” commenta Henry da dietro Aaron. La sua voce alleggerisce la tensione e interrompe il momento imbarazzante. “Andiamo?”.

 

 

Dopo soli venti minuti in mezzo alla folla che si dimena e che suda ho bisogno di una pausa. Lascio Dottie e Peyton in pista e sparisco nel corridoio. La casa di Savannah è così grande che mi ci vogliono diversi tentativi prima di trovare il bagno. Una volta dentro mi rinfresco il viso e ritrovo il controllo del mio corpo. Prima che riesca a tornare in soggiorno la proprietaria della casa mi abbranca in un abbraccio invadente e molto alcolico. Il suo profumo di Chanel è completamente coperto dall'odore pungente della vodka che si sta scolando senza sosta. “Sei venuuuuta!” squittisce ridendo e ondeggiando pericolosamente. “Sono cooosì felice che tu sia qui!”.

“Sì, pure io” mormoro senza il suo stesso entusiasmo.

“Dopo facciamo il gioco dell'oca alcolico, stai in squadra con me vero?”. È così sbronza che ho paura che mi abbia scambiato per qualcun altro.

“Ma certo” assicuro.

Ride e saltella eccitata, poi la sua attenzione viene catturata altrove e mi lascia andare. Me la svigno prima che mi si appiccichi di nuovo addosso. Scivolo lungo il corridoio e mi infilo in cucina. Un gruppo di ragazzi prepara dei cocktail colorati e dall'odore familiare. Tutto questo è tremendamente faticoso, il mio corpo ricorda quanto è divertente sballarsi e divertirsi e il mio cervello si oppone strenuamente alla sensazione. È sfibrante litigare con se stessi. Un ragazzo mi passa un bicchiere rosso e stracolmo di tequila e decido che è il momento di una fuga rapida sul pianeta Aaron. Mi infilo di nuovo nel bagno e frugo nella borsa alla ricerca del telefono. Ma prima che possa scrivergli qualcun altro si infila nel bagno con me.

“Julie!” esala Matt. Dal modo in cui si aggrappa alla parete di mattonelle e dallo sguardo vacuo capisco che ha esagerato anche lui con gli alcolici. Ma c'è qualcuno sobrio a questa festa?

“Matt” mormoro “Cosa c'è?”.

“Ti stavo cercando”.

“Sono qui”.

Avanza dondolando e si siede sul bordo della vasca. “Ti devo parlare”.

Resto ferma di fianco al lavabo, non ho paura di Matt ma questa situazione grida guai da ogni angolazione la si guardi. “Perchè non parliamo fuori da qui, magari mentre bevi un po' d'acqua”.

Provo ad avanzare ma lui alza la mano “Ho bisogno di dirti una cosa, è importante e ci serve privacy”.

“Qualsiasi cosa tu debba dirmi la posso ascoltare anche fuori di qui”.

“Io ti amo ancora”.

Il cuore mi sprofonda tra le viscere. È come se si staccasse dalle vene e dalle arterie e cadesse contro il mio intestino. È una sensazione sgradevole e annuncia solo guai. La sua affermazione ha condensato almeno una decina di problemi.

“Non dici sul serio, sei ubriaco marcio”. La negazione è la prima risposta che il mio cervello ingrippato riesce ad elaborare.

“Mi sono ubriacato perché non sapevo come affrontare le sensazioni che provo. Da quando sei riapparsa nella mia vita è tutto più chiaro, ti amo ancora. Non ho mai smesso, è dal campeggio che volevo dirtelo”.

“No” ribatto “Non è vero, tu stai con Nicole e ami lei, quello che senti è un mix di l'alcol e ricordi di avventure di due bambini”.

“So perché fai così” si alza precario sulle gambe.

“Cosa?”.

“Neghi perché hai paura delle conseguenze, ma lo so che anche tu ricambi”.

Non solo è ubriaco, ma è anche presuntuoso. “E cosa ti farebbe crede che io ricambio?”.

“Beh” alza le spalle come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Sei sempre intorno a me a scuola, ti sei unita alla band per me e tratti male Nicole perché sei gelosa”.

Non so se ridere o prenderlo a sberle. “Hai completamente frainteso, Matt”. Sono stufa di questa conversazione. Mi avvio verso la porta cercando di scansarlo ma lui è stranamente più veloce e mi blocca contro le piastrelle fredde. Non mi lascia nemmeno il tempo di protestare e si china a baciarmi.

È diverso.

Sbagliato.

Fastidioso.

Nulla a che fare con quello che provo con Aaron. Ho l'istinto di lottare e scappare via. Voglio il mio ragazzo.

Quando prende fiato, faccio l'unica cosa che mi viene in mente, gli mollo una ginocchiata nei paesi bassi. Matt si accascia e colgo l'occasione per una fuga. Mi lancio in corridoio e verso le scale, corro su per i gradini e il più lontano possibile da quel bagno. Due mani mi afferrano e tiro un urlo di aiuto come una balena arenata.

“Ehi, Jay, sono io, tranquilla” la voce di Aaron mi tranquillizza all'istante. Mi fiondo tra le sue braccia e mi nascondo contro il suo petto. “Ti stavo cercando, stai bene?”.

“Portami via”.

 

 

 

Restiamo sdraiati su un'enorme sdraio morbida posizionata su un terrazzino, in una della camere padronali. Non so esattamente quanto tempo passa, la musica ci arriva leggera e le voci dei ragazzi sembrano così lontane. Aaron mi chiede più volte se sto bene e io mento assicurandogli di stare una favola. Non posso dirglielo, proprio no. Scenderebbe al piano di sotto come una furia facendo fuoco e fiamme contro il suo migliore amico. Non è questo che voglio, Matt domani non si ricorderà nulla e sarà tutto dimenticato. Sì, andrà così.

La magia della terrazza si interrompe dopo un leggero trambusto proveniente da fuori e da un messaggio di SOS di Peyton. Quando la raggiungo in salotto capisco entrambi i segnali. Dottie è in piedi sul tavolo da biliardo, ubriaca fradicia, che balla con altre ragazze. Intorno a loro si è radunata una folla eccitata e altrettanto alticcia.

Pey mi arpiona il braccio. “Si può sapere dove diavolo eri?! Qui abbiamo un problema enorme”.

“Sì, lo vedo” affermo “Hai provato a farla scendere?”.

“Secondo te me ne sono stata qui a guardarla come una scema? Ovvio che ho provato, non mi ascolta”.

“Ora provo io”. Mi faccio largo tra il mare di folla e afferro la mano di Dottie che ondeggia a ritmo di musica. Mi sorride vacua e con gli occhi lucidi. “Julianne! Vieni a ballare con noi!”. I ragazzi che le fissano, la sostengono eccitati. Che schifo.

“No, Dottie, grazie. Sai è ora di andare a casa, perché non scendi da lì?”.

Scuote la testa come una rock star “Noooo. Mi sto divertendo”.

“Noi stiamo andando, avanti vieni con noi”.

Si passa le mani lungo il corpo come una spogliarellista. Questo suo lato sicuro e sensuale un po' mi turba. “No, voglio restare. Uno di questi bei ragazzi mi porterà a casa”.

I ragazzi in questione confermano con entusiasmo. “Non se ne parla proprio” la tiro per il braccio “Forza scendi, non siamo in un locale per lo spogliarello, avanti”.

“Lo spogliarello?” domanda confusa “Va bene”. Cerca la lampo dell'abito e prova a sfilarselo. Prima che possa tirarla giù dal tavolo di forza Aaron mi precede. Se la carica in spalla ed evita che mostri le sue grazie a tutta la scuola. “È ora di andare a casa, pazzerella”.

 

 

Dopo avere caricato Dorothea in macchina riusciamo finalmente a dirigerci verso casa. Peyton la osserva dal sedile del passeggero mentre le sbava sui sedili posteriori e russa come un trombone ubriaco. Prima di raggiungere la macchina ha vomitato nel giardino di Savannah e ha riprovato a sfilarsi il vestito altre due volte. Aaron l'ha sbrancata in entrambe le occasione e poi ci ha aiutate a metterla in macchina. Avrei voluto ricoprilo di baci ma Peyton ci stava osservando, perciò.

“Che serata assurda” commenta Peyton.

“Già, non dirmelo”.

“È stata divertente, però” afferma “Ci siamo scatenate ad una festa di Savannah, non lo avrei mai potuto credere possibile”.

Svolto a sinistra e il maggiolino cigola. “Bastava un po' di fiducia”.

“Grazie di averci tirate fuori dal guscio, alcune volte è davvero difficile fingere di adorare la vita da emarginate”.

“Di nulla, forse qualcuno ha bisogno di un po' di pratica con gli alcolici. Quanto ha bevuto?”.

Pey ridacchia “Credo solo un paio di bicchieri, dei ragazzi le hanno offerto da bere e lei si è lasciata convincere, comunque la stavo tenendo d'occhio”.

“Scusa se sono sparita, ho avuto una cosa da fare” borbotto.

Peyton fa un verso strano “Ne sono sicura” mormora sarcastica.

“Che vorresti dire?”.

“Non devi mentire con me, Jay, ho capito cosa nascondi”.

Mi si gela il sudore lungo la schiena “Cosa?”.

“Oh avanti!” tuba “Vi ho visti, tu e Aaron”.

A quella affermazione per poco non finiamo fuori strada. “Cosa? Come?”.

“Il modo in cui vi guardate, il modo in cui vi muovete quando siete vicini, il modo in cui fingete di non volervi saltare addosso. Si vede che c'è qualcosa sotto, o almeno io l'ho notato. Capisco facilmente certe cose”.

La paura mi stringe il petto in una morsa, ho quasi l'intenzione di lanciarci tra l'erba per evitare questa conversazione. “Io...”.

“Jay tranquilla. Non ho intenzione di farti la morale o giudicarti. Ti capisco, sono un'esperta di relazioni complicate”.

“Anche tu hai una storia segreta con il tuo fratellastro?” domando.

Lei fa un verso schifato. “I miei fratelli sono terrificanti. Io ho qualcosa di simile”.

“Sarebbe a dire?”. Sapevo che nascondeva qualcosa di grande, ma non credevo di questo genere.

“Ti giuro che te ne parlerò, solo non ora, okay?”.

Annuisco “Quando vuoi”.

“E stai tranquilla, manterrò il tuo segreto”.

“Davvero?”.

Ride che se avessi detto un'ovvietà. “Ovvio” li accarezza la mano “Le ragazze incasinate si aiutano a vicenda, giusto?”.

   
 
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