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Autore: Solare1723    21/08/2018    2 recensioni
Bellamy è un agente dell'FBI affermato, nonché il più giovane ad essere mai diventato tale. Clarke, invece, è una recluta alle prime armi, che cerca il suo posto non solo nel mondo ma anche nell'FBI stessa.
Genere: Angst, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La scrivania era più disordinata del solito quando poggiò la borsa su di essa. Iniziò a sistemare i fogli sparsi su di essa mettendoli in una pila ordinata quando qualcuno bussò alla porta. Era appena rientrato da un viaggio con la BAU in Messico nel quale avevano perso un elemento essenziale e qualcuno già lo disturbava. Quel qualcuno non aspettò neanche una risposta prima di spalancare la porta facendo intravedere la targhetta su di essa 'Bellamy Blake'. John Murphy non ci mise molto a mettersi comodo sulla sedia di fronte alla scrivania incrociando le braccia al petto e guardandolo con un sorriso sghembo. 

"Reyes è riuscita a procurarsi una nuova recluta. Una delle più promettenti, nonché sua amica. A quanto dice è una specie di genio. Pensi che questa ce la farà a resistere?" Bellamy si lasciò sfuggire un sospiro. 

"Muprhy, è un lavoro duro, non tutti entrano nell'FBI e, se ci riesci, devi sapere a cosa vai incontro." John si passò una mano tra i capelli biondo cenere tagliati da poco. Aveva sostituito i capelli lunghi tirati leggermente all'indietro con un taglio più maturo, più idoneo alla sua posizione. Forse anche lui stava maturando dopotutto, si ritrovò a pensare Bellamy. Murphy si alzò dalla sedia stiracchiandosi leggermente, allungando le braccia verso il soffitto. Era pur sempre sera inoltrata e la giornata non era stata delle più semplici, considerando anche l'abbandono di uno degli agenti dalla BAU. Murphy si diresse verso la porta, pronto ad uscirne, quando si girò appena verso il ragazzo dagli scuri capelli ricci e l'espressione stanca, che aveva la nomina di essere stato il più giovane agente ad essere mai entrato nella FBI. Un prodigio che era riuscito a farsi strada tre anni prima dell'età adeguata per entrare. Murphy gli riservò ancora una volta un sorriso sghembo.

"Speriamo che questa sia carina, almeno ti riprendi un po'." e Bellamy si ricredette di aver solo pensato che fosse maturato mentre quello usciva dal suo ufficio ridendo di gusto. Ma il ragazzo non aveva tempo di pensare a quello. Gli bastavano i rapporti occasionali, giusto per liberare le sue frustrazioni personali e sul lavoro, non aveva bisogno di qualcun'altro che contasse su di lui e non aveva il tempo per dedicarsi a qualcosa che non fosse il suo lavoro. Era sempre stato così, fin dal primo giorno, e l'unica persona di cui si preoccupasse oltre i suoi colleghi era sua sorella. Bellamy diede un'occhiata all'orologio posto sulla scrivania: segnava quasi mezzanotte. Il ragazzo si guardò attorno ancora una volta, per assicurarsi che fosse tutto in ordine, prima di prendere la sua borsa e uscire da quell'ufficio fin troppo stretto per lui. 

 

-

 

Un respiro profondo era lo stretto necessario che serviva a Clarke per farsi forza ed entrare nella sede dell'FBI. Raven l'aveva cercata la sera prima, mentre lei era nel suo dormitorio che cercava di prendere sonno. La ragazza l'aveva raggiunta e aveva iniziato a parlarle a raffica di quello che era successo in Messico, lasciando interdetta l'amica. La mora era un hacker prima della sua carriera nell'FBI. Era riuscita ad entrare perfino nei documenti privati del presidente, ma era stata subito bloccata dall'FBI. Era stata arrestata, ma qualcuno in lei aveva visto del buono. Clarke allora era molto lontana e aveva appreso la notizia solo dopo diverso tempo. L'agente Kane l'aveva interrogata, aveva scoperto che tutto quello che faceva era una semplice prova, una prova per vedere fino a dove si sarebbe potute spingere con la sua capacità e allora Kane l'aveva spinta ad accettare il ruolo nell'FBI di esperta d'informatica della squadra BAU. Da allora Raven era diventata essenziale. Ma non aveva lasciato indietro la sua migliore amica. Clarke era una delle reclute migliori e Raven stava aspettando il momento adatto per presentarla alla squadra. Ormai era pronta quindi non aveva senso aspettare, perciò la sera prima si era catapultata da lei e le aveva spiegato tutto, spingendola il giorno dopo a presentarsi insieme a lei. Le mancavano solo un paio di settimane per concludere il suo percorso, ma, da quello che le aveva detto Raven, con la sua bravura l'avrebbero fatta diplomare prima senza problemi, soprattutto se avesse fatto una buona figura. Clarke sapeva che era rara una cosa del genere, ma comunque alla fine si era ritrovata ad aspettare l'amica per entrare insieme in ufficio. Non era la prima recluta che provava a diplomarsi prima del tempo, e non si sentiva affatto sicura di sé stessa, al contrario dell'amica. Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e si girò di scatto, allertata. Raven era là che le sorrideva sornione.

"Il primo giorno della tua grande carriera." disse la mora con i capelli stretti in una lunga coda di cavallo. Clarke annuì flebilmente, deglutendo a vuoto. La salivazione era al minimo e sentiva le labbra secche. Raven le passò un braccio sulle spalle e iniziarono a camminare insieme. La ragazza al suo fianco zoppicava leggermente, la sua gamba era completamente andata anni prima quando, a seguito di un incarico da hacker illegale, era finita in una situazione davvero orribile ed era finita per ritrovarsi una pallottola nella gamba. Salirono i pochi gradini che le separavano dalle porte scorrevoli dell'edificio, sulle quali porte era impresso il simbolo dell'FBI che si divideva a metà qual'ora esse si aprissero. Varcarono le porte e Clarke si ritrovò immersa in un ammasso ordinato di scrivanie, ognuna di queste occupate da un agente. I pavimenti erano lucidi e riportavano il simbolo dell'FBI mentre altre porte scorrevoli dividevano l'enorme stanza dove si trovavano da altri corridoi. Inoltre vi erano alcune scale che portavano a un rialzamento della stanza. Quelle, si disse Clarke, erano le stanze degli agenti della BAU.

"Non credi sia fantastico?" esclamò Raven sorridendo all'amica. Clarke annuì incerta.

"La tua postazione?" chiese poi alla mora al suo fianco che si limitò a farle un cenno con la testa, indicandole una delle porte scorrevoli. Raven riprese a camminare seguita da Clarke che teneva stretta la sua valigetta al petto, quasi a formare uno scudo per proteggersi da quel nuovo ambiente. Si osservava intorno entusiasta ma al tempo stesso terrorizzata. Guardava dai diversi agenti intenti a parlare al telefono a quelli che interrogavano le persone. Alcuni testimoni erano in lacrime, altri sconvolti, altri ancora rilassati, come se avessero avuto la sicurezza che tutto quello fosse solo uno stupido scherzo. Ma realizzare la realtà li prendeva in pieno, lasciandoli senza fiato. Si perse ad osservare con tale attenzione da perdere di vista il suo obiettivo: seguire Raven. La ragazza si stava dileguando e Clarke non perse tempo a rincorrerla. Nel farlo però si scontrò contro qualcuno. Qualcuno di davvero alto. Il ragazzo dai capelli ricci e scuri la sovrastava con la sua imponente altezza, indossava una camicia bianca che lo fasciava perfettamente e una cravatta a tinta unita nera. Aveva una cartellina tra le mani e l'aria di chi è stato appena svegliato da un sonno profondo. Clarke alzò la testa su di lui, puntando i suoi occhi azzurri nei suoi assolutamente scuri, talmente scuri da non poter distinguere la pupilla del resto. Lo sguardo del ragazzo era indecifrabile, ma qualcosa le fece notare dell'irritazione.

"Dovresti stare più attenta." disse poi stizzito allontanandosi da lei. Clarke continuava a fissarlo senza riuscire a dire nulla. "Se sei qui per testimoniare devi andare da quella parte." aggiunse mantenendo quell'aria di fastidio prima di dileguarsi. Clarke rimase pietrificata fino a quando Raven non la raggiunse.

"Clarke! Pensavo fossi dietro di me!" esclamò la ragazza. La bionda sembrò riprendersi e scosse leggermente la testa.

"Scusa, mi ero fermata ad osservare. E poi sono andata addosso a un ragazzo ed era un tale idiota." rispose la ragazza alzando gli occhi al cielo ripensando allo scontro di poco prima. Quel ragazzo non le aveva dimostrato il minimo di rispetto e Clarke si era lasciata calpestare senza dire nulla. Si sentiva delusa da sé stessa. Sperò soltanto di non dover rivedere quel ragazzo mai più nella sua vita. Raven riprese a camminare e questa volta la bionda non si lasciò distrarre. Arrivarono in una stanza che in quel momento era vuota. Al centro di essa c'era un tavolo rotondo con alcune sedie disposte intorno e, dietro di esso, uno schermo piatto appeso al muro sempre con il simbolo dell'FBI. Raven si sedette come se quella stanza fosse casa sua e invitò Clarke a fare lo stesso. Non appena la ragazza si sedette le porte si spalancarono e un ragazzo dai tratti asiatici e i capelli scuri e lisci, entrò nella stanza. Indossava un maglione verde bottiglia e un paio di pantaloni scuri, inoltre teneva un paio di occhiali da vista tra le mani. Quando le notò accennò un sorriso timido prima di stendere la mano verso Clarke. 

"Benvenuta." disse mentre la ragazza gli stringeva la mano. "Sono il dottor Green, ma puoi chiamarmi semplicemente Monty. Benvenuta nella sede della BAU. Tu devi essere la nuova recluta." 

"Si, ecco, sono Clarke Griffin." Monty liberò la presa dalla mano e si mise gli occhiali che poco prima teneva tra le mani. Poi prese posto al fianco della ragazza. Un brusio di voci provenì dall'esterno prima che la porta si spalancasse nuovamente. Alcuni ragazzi entrarono nella stanza e Clarke si sorprese a constatare che fossero tutti giovani. Uno di quelli, dai capelli corti e gli occhi chiarissimi, si sedette al fianco di Raven iniziando a stuzzicarla. Solo dopo si rese conto della presenza di Clarke. Si sporse leggermente tendendole la mano.

"John Murphy." si presentò per poi farle l'occhiolino. Clarke la prese quasi titubante.

"Clarke Griffin." Raven interruppe quel contatto colpendo il braccio di John il quale la guardò quasi compiaciuto. 

"D'accordo Clarke, ti presento gli altri." disse Raven avvicinando la sua sedia a quella della bionda. "Nathan Miller," disse indicando un ragazzo dalla carnagione scura che le fece un cenno di saluto. "Harper Raynolds," una ragazza dai lunghi capelli biondi le sorrise raggiante. "E Atom Ward." questa volta fu un ragazzo dagli occhi estremamente azzurri a sorriderle. Raven sembrava sovrappensiero. Murphy tossicchiò leggermente.

"Faresti bene a non affezionarti, potresti non durare qua dentro." disse Murphy sporgendosi leggermente. Raven gli tirò una gomitata che lo lasciò senza fiato.

"Clarke può prendersi questa libertà perché sarà nella squadra per certo." sentenziò la mora fulminandolo. Il ragazzo si risedette dolorante.

"È tutto?" chiese Clarke ignorando quello che aveva detto John.

"No manca..." in quel momento le porte si aprirono nuovamente e Clarke si voltò a guardare. Era il ragazzo di quella mattina, l'arrogante, l'idiota. Lo guardò sprezzante quando sentì la voce di Raven.

"Bellamy Blake, il leader della squadra." ma Clarke era troppo intenta a squadrarlo e lui era troppo intento a squadrare lei.

"Che ci fa un testimone qui?" chiese Bellamy poggiando la cartella che teneva in mano sul tavolo.

"Non sono un testimone." rispose prontamente Clarke. Poteva essere chi voleva, non si sarebbe fatta calpestare di nuovo.

"E chi diavolo saresti?" chiese allora il ragazzo poggiando le mani sulla cartellina. Il resto del tavolo osservava divertito la situazione.

"La nuova recluta." rispose risoluta. Bellamy abbozzò un sorriso.

"Una principessa come te? Sei sicura di essere nel posto giusto?" Clarke digrignò i denti. Aveva sperato di non vederlo mai più, e invece doveva lavorarci insieme ogni giorno. Sempre se ce l'avrebbe fatta. "Ci sono reclute molto più preparate di te. Non durerai un giorno." a quel punto Clarke scattò e con lei lo fece anche Raven che la bloccò tempestivamente per un braccio.

"Bellamy, andiamo, finiscila. Clarke è una delle migliori." Bellamy si dipinse un ghigno sulle labbra. 

"Vedremo." aggiunse soltanto prima di prendere il piccolo telecomando nero che era sulla scrivania. Raven fece risedere Clarke che la guardò in cagnesco. 

"Si da' il caso..." sussurrò la mora. "Che sarà lui ad avere la maggior parte dell'influenza sulla decisione del tuo diploma, quindi, non ti conviene discuterci ancora. Almeno fino a quando non avrai quel diploma tra le mani. A quel punto potrai fare quello che vuoi. Ma, adesso, lo sto facendo per te. So che non è facile, ma resisti." Clarke sospirò affranta prima di lasciarsi andare sullo schienale e fissare quella che aveva definito come 'idiota' che spiegava la situazione. Glielo avrebbe fatto vedere di che pasta era fatta e che quello era il suo posto. E poi, essendo il leader, non sarebbe dovuto essere più professionale? Clarke lasciò perdere quei pensieri e si concentrò su quello che il ragazzo stava dicendo. La sua espressione era mutata diventando estremamente seria. 

"Abbiamo un caso di pluriomicidio. Tre uomini di sessant'anni, stessa modalità di uccisione a distanza di una settimana l'uno." le immagini proiettate sullo schermo piatto scorrevano sotto gli occhi attenti di tutti. "Chiunque sia stato ha utilizzato una corda per strangolarli e poi successivamente ha tagliato loro gli arti riproduttori."

"Potrebbe essere un modo per vendicarsi di qualcuno. Magari un uomo di sessant'anni che ha abusato dell'S.I." Monty parlò con sicurezza passandosi una penna tra le dita. Bellamy sembrò pensarci su, prima di annuire sommessamente. Si passò una mano sulla cravatta prima riprendere la cartellina. 

"Andiamo a Dallas." aggiunse prima di avviarsi verso la porta ed uscirne. Gli altri non ci misero molto a seguirlo e Clarke scoccò un'occhiata a Raven. 

"Devi andare, Clarke. Sai che io rimango qua." le sorrise la mora. Clarke non sapeva che fare. Il suo primo caso. Per di più senza nessuno che conoscesse al suo fianco. Sentirono dei passi lungo il corridoio e poi Monty fece capolino nella stanza di nuovo. 

"Andiamo, agente Griffin?" le chiese trasmettendole un po' di tranquillità. Clarke deglutì prima di posare una mano sulle spalle di Raven in cenno di saluto e avviarsi nella direzione di Monty. 

 

Il jet privato era qualcosa di nuovo per Clarke. Rimase ferma seduta al suo posto, al fianco di Harper, senza proferire parola per tutto il tempo. Bellamy e Miller continuavano ad esaminare il caso, Monty cercava qualche informazione utile su internet, messaggiando qualche volta con Raven per chiederle consigli, Harper cercava di parlare sia con Monty che con lei, con scarsi risultati, e finì per addormentarsi. L'unico che sembrava divertirsi era Murphy, che cercava di dare fastidio il più possibile a Monty e di conseguenza anche a Raven. Clarke si sentiva quasi fuori posto in quel gruppo di persone totalmente estranee. Per non parlare di Bellamy che si comportava come se lei non esistesse. Per Clarke fu un sollievo quando il jet atterrò. Non le piaceva rimanere ferma per troppo tempo e, inoltre, l'aria si stava facendo pesante per lei. Gli altri scesero immediatamente mentre lei di prese qualche secondo per concentrarsi sulla situazione. Quando trovò abbastanza coraggio andò verso le scale che la separavano dalla terra ferma e un sospiro lasciò le sue labbra. Pioveva leggermente e Clarke non mancò di notare le scale leggermente bagnate. Fece un passo verso il primo gradino quando sentì la terra mancarle sotto i piedi. Sarebbe caduta bruscamente se non fosse stato per qualcuno che la prese prontamente da dietro. La ragazza rimase ferma immobile tra quelle braccia fin troppo possenti. Non si era accorta che qualcuno era rimasto ancora sul jet. 

"Te l'ho detto, principessa, questo posto non è adatto a quelle come te." la voce irritante dell'idiota le arrivò come uno schiaffo, rompendo quell'atmosfera che si era creata. Clarke si affrettò a scostarsi da lui e a sistemarsi la camicetta bianca che indossava sopra la gonna nera che arrivava fino al ginocchio. Si voltò verso di lui fulminandolo con lo sguardo.

"Finiscila di chiamarmi in quel modo." 

"Principessa?" chiese il ragazzo mettendosi le mani in tasca. Clarke annuì e lui lasciò parlare il suo ghigno. Il ragazzo cominciò a scendere le scale e Clarke non poté non pensare all'atteggiamento poco professionale di quell'agente. Lo seguì lungo le scale e, una volta scesa, venne raggiunta da Harper con un ombrello scuro che le avvicinò alla testa. 

"Grazie." sussurrò Clarke ricevendo un sorriso come risposta. Non poté non notare Bellamy che camminava incurante sotto la pioggia che si faceva sempre più forte. Le dava fastidio quell'atteggiamento del tutto strafottente che dimostrava verso di lei. Non pensava di meritarselo.

 

Arrivarono alla stazione di polizia che erano rimasti in tre: Clarke, Monty e Bellamy. Gli altri si erano sparpagliati per cercare indizi nella città. Trovarono diverse persone in lacrime appostate fuori di essa. Uno dei poliziotti li fece passare ignorando tutto quel tumulto di lacrime e urla. Raggiunsero il comandante e lo trovarono chino su alcuni fogli. Quando si accorse di loro gli porse la mano prima di farli accomodare.

"Non abbiamo una pista." disse l'uomo visibilmente provato dalla situazione. "Sembra agire senza seguire alcuno schema specifico, sembrano solamente omicidi dettati dalla rabbia."

"Segno che non sa quello che fa." sentenziò Monty. "L'S.I. sta agendo dettato da qualcosa. La rabbia anche probabilmente." Bellamy annuì alle affermazioni del dottore. "Potrebbe avere problemi di gestione della rabbia." Bellamy prese immediatente il suo cellulare mentre il comandante della stazione si dileguava per alcune pratiche da sbrigare. Il telefono del ragazzo suonò solo una volta prima che la voce familiare di Raven risuonasse nella stanza.

"Reyes, trova tutti gli abitanti che hanno riscontrato problemi nella gestione della rabbia. Dopo restringi il campo a persone che abbiano denunciato abusi sessuali, magari da un parente o da qualcuno che abbia avuto sessant'anni." Monty sospirò.

"Non penso abbia denunciato." Clarke osservò la situazione in completo silenzio, cercando di elaborare. 

"Non ho trovato nessuna denuncia ma ho la lista delle persone con i problemi di gestione della rabbia. È davvero lunga." Bellamy si passò una mano sul viso: erano a un punto morto. 

"Va bene, grazie Reyes, ti faremo sapere." sussurrò Bellamy. Poi fece cenno a Monty di seguirlo, ignorando completamente Clarke che, dal canto suo, era troppo persa nei suoi pensieri per accorgersene. Poi qualcosa sembrò scattarle in testa. L'S.I. doveva aver subito abusi ovviamente. Magari da una delle tre vittime. O magari da tutte. Richiamò subito Raven.

"Raven!" esclamò quando l'altra rispose. "Controlla cosa hanno in comune le tre vittime. Se hanno fatto parte di una stessa confraternita oppure un circolo. Qualsiasi cosa." il silenzio aleggiò dall'altra parte del telefono per diversi secondi.

"Facevano parte di un circolo vizioso. Loro tre erano membri insieme ad altri due uomini, che mi risultano deceduti. Ma, la cosa interessante, è il giro di prostituzione che c'era in quel circolo." Clarke sospirò. "Furono tre le donne che testimoniarono di essere state vittime di quel circolo. I cinque vennero arrestati e in seguito rilasciati. E, una delle tre donne, aveva problemi con la gestione della rabbia. Fece diversi anni di terapia, ma il reperto del terapista dice che non si riprese mai del tutto." 

"Grazie Raven! Dammi il nome e l'indirizzo." 

"Clarke, la donna è la figlia di una delle vittime." la ragazza boccheggiò rimanendo senza fiato. 

 

"Salve!" Clarke rivolse un sorriso alla donna che le aveva appena aperto la porta. Questa aveva un aspetto trasandato e rivolse a Clarke uno sguardo indecifrabile. La bionda le porse la mano che la donna ricambiò incerta. "Mi chiamo Clarke Griffin e faccio parte della chiesa qui vicino. Le dispiace se entro?" 

"No, ecco, non sono interessata." disse mentre spingeva la porta verso la chiusura.

"La prego, so quello che è successo a suo padre, vorrei aiutarla." la donna lasciò la porta a metà strada prima di riaprirla. 

 

Bellamy posizionò il cellulare tra lui e Monty ancora una volta.

"Reyes." disse Bellamy.

"Allora? Avete risolto grazie a Clarke?" Bellamy guardò Monty confuso.

"Di cosa stai parlando?"

"Clarke ha risolto il caso! Non ve l'ha detto?" 

"Dove diavolo è ora?" esclamò Bellamy prendendo il telefono tra le mani.

"Penso sia andata dalla donna." Il ragazzo sbatté una mano violentemente sul tavolo.

"L'indirizzo, Raven. Potrebbe essere in pericolo." 

 

"Quell'uomo si meritava tutto quello che ha passato. Non era mio padre." le mani della donna tremarono leggermente attorno al bicchiere d'acqua. Clarke le sorrise cercando di nascondere il timore che provava. Era stata avventata forse ad andare da sola? Ma Bellamy le avrebbe creduto? Era convinta che avrebbe potuto convincerla da sola a confessare, senza dover per forza far intervenire nessuno. La compativa. Ma la sua idea stava sfumando poco a poco. Si era giocata il posto nella BAU. Lo sapeva bene. Aveva rischiato troppo e Bellamy non l'avrebbe perdonata.

"Gli uomini fanno schifo, Clarke." era stata di nuovo la donna a parlare, ma sembrava più assorta di prima.

"Pensa che tutti e tre gli uomini meritassero quella morte, Erika?" la incalzò allora Clarke. La donna sospirò.

"Sapessi quello che abbiamo dovuto subire noi donne in quel dannato circolo." strinse il bicchiere con veemenza. "Le mie compagne sono riuscite a superare tutto. Ma io? Io come potevo? Mio padre era uno di loro. Ha abusato di me. E lo facevano tutti." un rumore sordo riempì l'aria è Clarke ebbe la visuale sulla mano sanguinante della donna che avvolgeva i cocci del bicchiere che poco prima aveva tra le mani. 

"Erika, io la capisco." disse solamente Clarke cercando di non posare troppo a lungo lo sguardo sulla mano. Notarla l'avrebbe infastidita ancora di più. "Ma se è stata lei, deve confessarlo." la solennità nello sguardo di Clarke fece scattare la donna in piedi.

"Ho passato i peggiori anni della mia vita in quel luogo! Non-non sono mai riuscita a superarlo." la donna si risedette lasciando la presa dai cocci del bicchiere che ricaddero insanguinati sul pavimento. "Se lo sono meritati. Ogni cosa. Dovevo tagliargli quei dannati arti che mi avevano torturato per anni. Dovevano soffrire." le sirene della polizia si diffusero nel quartiere ma Erika sembrò non scomporsi. "Non mi pento di nulla. E sono pronta a pagare." Clarke si alzò in silenzio e la osservò a lungo, seduta sulla sua poltrona. "Voglio solo dirti una cosa." aggiunse la donna fissandola dritta negli occhi. "Non ho più problemi di gestione della rabbia." e allora Clarke capì che quella donna non era altro che una vittima, che purtroppo era diventata un carnefice.

 

La polizia aveva portato via Erika che non aveva opposto la minima resistenza. Si era semplicemente arresa. La vendetta l'aveva consumata per anni e adesso si ritrovava libera da quel macigno. Clarke rimase davanti la porta di quella casa a osservare le macchine sparire, fino a quando Bellamy non la raggiunse.

"Lo so. Ho sbagliato." iniziò la ragazza. "Mi sono giocata il diploma anticipato, ma dovevo farlo." Bellamy non proferì parola ma si lasciò andare a un grosso sospiro.

"Hai ragione, hai infranto ogni regola possibile. Ma, alla fine, hai risolto la situazione. A volte bisogna uscire fuori dagli schemi. Dare retta all'istinto." Clarke si girò verso di lui con gli occhi spalancati. "Non posso dirti nulla, perché anche io, forse, avrei fatto come te. Posso solo dirti che, forse, mi sono sbagliato su di te e questo è esattamente il tuo posto, principessa." Clarke rimase senza fiato per un secondo, poi lui accennò un sorriso. "Non farmi pentire di questo, ma potrei quasi dirti benvenuta nella squadra." fece un passo avanti rispetto a lei. "Quasi." aggiunse con il suo solito fare sbruffone. Bellamy si divertiva a infastidirla fin dal primo momento in cui gli aveva retto testa. E, averla in squadra, gli avrebbe dato un po' di spensieratezza grazie a quei battibecchi gratuiti.

   
 
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