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Autore: Chemical Beam    26/08/2018    0 recensioni
Alexander Randall, ragazzo relativamente pacifico, ama i dolci, la matematica e soprattutto vincere le gare di scacchi; detesta il francese, non avere le idee chiare e le persone irruenti.
Thomas Harris, ragazzaccio dalle origini irlandesi, ama i biscotti al cioccolato (solo quelli cotti alla perfezione), leggere e suonare la chitarra; detesta le sveglie, gli scacchi e le persone prive di carattere.
Due universi paralleli, destinati a non intersecarsi mai.
Ma se fossero destinati ad un incontro?
La parte fondamentale degli scacchi è non sottovalutare mai il proprio avversario.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Scolastico
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«Alex, amore, svegliati!»

«Mh...» mormorò questo, voltandosi verso l'altro lato.

«Andiamo, su, o farai tardi.» La voce pacata di sua madre, dalle scale, continuava a molestare il suo beato riposo.

«Alexander Damarion Randall!» 
Il ragazzo si destò di colpo con gli occhi iniettati di sangue.

Alla sua sinistra, ad un passo dal suo orecchio, la sorella, che gli sorrideva angelica. «Ben svegliato, fiorellino. Lo sapevi che sarebbe successo questo, quando hai avuto la tua geniale idea ieri.»

«Oh, stai zitta, Amy» mormorò lui, mettendo la testa sotto al cuscino e richiudendo gli occhi.

«Eh, no, caro mio» e con un solo gesto lo liberò delle coperte.

«Ma ti ha dato di volta il cervello?!» Il ragazzo si alzò dal letto furioso.
Lei continuava a sorridere come se nulla fosse. 
«"Margaret Amy Randall!"» imitò la voce del fratello. «Ti dice niente, fratellino?»

Lui assottigliò gli occhi. «Sai una cosa, sorellina? Fottiti.» Detto ciò, la spinse fuori dalla stanza.

Sospirò, spossato da quel risveglio traumatizzante. Certo che i loro genitori avevano proprio dei pessimi gusti, in fatto di nomi.

Prese dei vestiti a caso e cominciò a indossarli, mentre scendeva in cucina per fare colazione.

Seduto al tavolo circolare c'era già suo padre, impeccabile nella sua camicia bianca, mentre leggeva il giornale.
Lo salutò senza alzare lo sguardo da questo.

«'Giorno, pa'» rispose lui, avvicinandosi al frigo per prendere la bottiglia del latte.

Non appena si voltò, vide sua sorella scendere le scale già vestita, con una parte dei capelli raccolta dietro la testa e il resto che scendeva libero.
A quella vista, strinse la presa sul contenitore, per poi andare a sedersi a sua volta, assicurandosi di lasciare una sedia di distanza tra lui ed Amy.

La madre portò a tavola dei pancake, segno delle loro origini americane, e li distribuì nei piatti.

«Non volevi svegliarti, amore?» sorrise ad Alexander, che per tutta risposta lanciò uno sguardo assassino alla sorella.

Fecero colazione in silenzio: per il biondo era fondamentale bere il suo caffè macchiato di latte in tranquillità, accompagnato dal gusto formidabile dei pancake.

Mentre Frank Randall commentava le notizie di sport che leggeva, Alexander fece vagare lo sguardo per la stanza, fino a posarlo sull'orologio a muro appeso proprio al lato della porta.

Cazzo, era tardissimo.

Finì di mangiare i suoi pancake in un boccone, per poi alzarsi velocemente e portare il piatto e la tazza usata nel lavabo.
«È tardi, è tardi» mormorava nel frattempo, e quando la madre gli disse che erano solo le sette e trenta, lui rispose che doveva aiutare Paul, affrettandosi ancora di più e correndo di sopra, nel bagno.

Ecco, effettivamente l'amico aveva bisogno di aiuto a scuola, ma non era quello il motivo per cui avrebbero dovuto incontrarsi prima quel giorno.

Mentre era intento a lavarsi i denti con una mano e a cercare di sistemare i capelli con l'altra, il display del suo telefono si illuminò.

PaulMa dove sei???
PaulAlex
PaulDove cazzo sei finito?
PaulDatti una mossa
PaulIdiota, non ti aspettiamo!

Sputò il dentifricio nel lavandino, corse in camera a prendere lo zaino e poi scese di fretta le scale, il tutto mentre cercava di rispondere alle decine di messaggi che l'amico gli stava inviando.

Una volta uscito di casa, intraprese una corsa contro il tempo per giungere alla fermata del bus in orario– proprio lui che odiava correre.

Quando arrivò, trovò Paul che con qualche stratagemma era riuscito a far attendere l'autista per qualche minuto e che, non appena lo vide, gli sillabò un "muoviti" tra i denti, per poi salire e andare a sedersi.

Alexander lo seguì ancora col fiatone e, quando trovò un posto libero, vi si lasciò cadere, portandosi una mano al petto per calmarsi.

«Cazzo» mormorò tra un respiro e l'altro, con gli occhi chiusi e la fronte madida di sudore.

«Puoi ben dirlo» rispose l'amico, seduto sul posto opposto al duo. «Se non fossi arrivato entro cinque secondi, avrei fatto partire l'autista senza di te. Ancora non capisco come abbia potuto dare retta alle cazzate che stavo dicendo e aspettare.»

«Paul Newman, in questo momento posso dirlo: sai essere un grandissimo stronzo, ma ti amo alla follia. Non so come avrei fatto altrimenti.»

L'amico ghignò. «Finalmente l'hai ammesso a te stesso. Complimenti, ti ci è voluto un po'.»

«Sei un idiota! Ma penso che oggi potrò sorvolare sulle tue grandissime mancanze.»

Paul roteò gli occhi. «E comunque non interessa solo a te. Sai, anche io sono appassionato di film, nel caso ti sia sfuggito.»

I due continuarono a punzecchiarsi fin quando non dovettero scendere alla fermata precedente a quella davanti alla scuola.

Una volta saltato l'ultimo gradino, come facevano sempre –abitudine presa da quando erano bambini–, si ritrovarono davanti a un piccolo negozio dall'insegna gialla. 
Le lettere colorate di un rosso scuro andavano a formare la scritta Film City, rivisitazione del titolo del famoso film di Tarantino.

I due erano da sempre grandi appassionati di pellicole e potevano vantarsi di una vasta cultura cinematografica.

Qualche giorno prima, erano venuti a conoscenza del negozio per puro caso e, una volta scoperto che era aperto già dalle otto, decidere di andare a dare un'occhiata non era stata affatto una scelta sofferta.

I due amici si guardarono con gli occhi che brillavano, emozionati come non mai. Sentivano che avrebbero trascorso un bel po' di tempo, lì dentro, e le loro aspettative erano molto alte.

Entrarono in punta di piedi, guardandosi attorno.
Era un locale abbastanza piccolo, con muri rosso scuro e due file di scaffali bianchi che dividevano la stanza in vari corridoi.

Sui ripiani, sulle mensole alle pareti: dappertutto c'erano dei DVD, divisi per genere.
Le pareti erano tappezzate di locandine. Al centro del lato sinistro troneggiava quella di Pulp Fiction, i cui colori si abbinavano a quelli del negozio.

Ai due ragazzi sembrava di essere tornati negli anni novanta. Non riuscivano a credere che nella loro città esistesse un posto del genere, che sembrava quasi fuori dallo spazio e dal tempo.

Alexander vagava senza meta tra gli scaffali con tutta la tranquillità del mondo, toccando tutto ciò che poteva e passando l'indice sui vari titoli, mentre scorreva da un punto all'altro.

Ad un certo punto, Paul lo vide lanciare un'occhiata in basso e sbiancare.

«Paul, non vorrei allarmarti, ma...» sussurrò guardandolo fisso negli occhi. «Sono quasi le otto e venti.» Era pallido come un cencio.

«Che cosa?!» strillò lui, guadagnandosi un'occhiataccia dal proprietario del negozio.
Quel giorno, proprio alla prima ora, avevano la verifica di storia e non potevano permettersi di arrivare in ritardo.

E così i due lasciarono immediatamente il negozio –giurando nel proprio cuore che ci sarebbero ritornati al più presto– e intrapresero una folle corsa verso la scuola, che distava qualche isolato da lì.

Paul, da sempre più agile e complici anche le sue gambe lunghe, entrò per primo nell'edificio e si diresse verso la 4°B. Era in ritardo di soli cinque minuti.

Alexander, invece, odiava correre con tutto se stesso. Sudava, i capelli gli si appiccicavano alla fronte, la milza gli doleva in un modo assurdo, non riusciva a respirare correttamente e aveva sempre il timore di posare male un piede a terra e cadere, rompendosi l'osso del collo.

Ecco perché amava fare le cose con calma, prendendosi il suo tempo e restando tranquillo– e soprattutto con tutte le ossa al loro posto.

A quanto pare, però, qualcuno ai piani alti non era d'accordo.

Mentre si affrettava a salire i cinque gradini all'entrata, inciampò sull'ultimo, scontrandosi contro un'altra persona che come lui stava correndo all'interno, qualche centimetro più avanti.

Cadendo, si portò l'ignoto ritardatario appresso e i due rotolarono per qualche metro.

Alexander aprì gli occhi che aveva chiuso per la paura e capì di trovarsi completamente, terribilmente, orribilmente spalmato sul famoso sconosciuto del giorno prima.

Lo guardò negli occhi per una frazione di secondo: aveva dei piccoli ma affascinanti occhi castani, che in quel momento lo stavano guardando ostili.

Alexander si ridestò dai suoi pensieri –quegli occhi non erano assolutamente affascinanti, si ripeteva nella mente– per poi saltare in piedi e aggiustarsi i vestiti.

Doveva scusarsi?
Beh, decisamente. Gli sei praticamente saltato addosso.
Ma non era stato volontario!
In ogni caso gli eri spalmato sopra, e il ragazzo non sembrava molto contento della cosa.
A dir la verità, sembrava proprio che lo detestasse. Un motivo in più per scusarsi.
Scusati!

Il biondo scosse la testa come per riordinare i pensieri e poi si passò una mano tra i capelli.
«Io... Scusami. Stai bene?»

«Meravigliosamente» rispose l'altro, fissandolo dritto negli occhi blu, con un sopracciglio sollevato.

Ad Alexander non sfuggì l'ironia. «Senti, mi dispiace, ero in ritardo, non ti avevo visto e...»

«Ecco, appunto. Non eri in ritardo? Vai in classe.»

Il biondo lo guardò ancora per qualche secondo, per poi voltarsi e ricominciare a correre –prima piano, poi sempre più veloce– verso la propria classe.

Thomas lo guardò allontanarsi, con una mano sulla fascia dello zaino che portava su una spalla sola.

Quando lo vide svoltare l'angolo, cominciò a dirigersi tranquillo verso la propria classe, nella direzione opposta.

Note dell'autrice: come sempre, se la storia vi piace, lasciate una recensione!

  
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