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Autore: StormyPhoenix    27/08/2018    3 recensioni
Los Angeles, primi anni del nuovo secolo. Quasi per caso si incrociano le strade di una ragazza sola e in fuga dal suo passato spiacevole e di una delle band più famose del posto; un sentimento combattuto che diventa prepotente salderà il legame.
(Prima storia sui SOAD, so che è un po' cliché ma vabbè.)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ciao a tutti!
Mi sono appena resa conto che è passato quasi un anno dal mio ultimo aggiornamento... mi scuso perché in quanto lettrice so quanto sia pesante attendere un aggiornamento, ma ho delle spiegazioni per questo che riassumerò con assenza di pc (anche quello che potevo usare prima talvolta all'uni è ora alquanto off-limits) e vari problemi personali che hanno portato ad una totale battuta di arresto su tutti i fronti creativi e da cui mi sto riprendendo solo ora.
So che questo capitolo è probabilmente qualitativamente inferiori ad altri che ho prodotto finora, ma spero possiate capirmi in virtù delle ragioni esposte e, d'ora in poi, farò in modo di non fermarmi e lasciarmi fermare più e di continuare a scrivere per sfogare ed esorcizzare, mi è mancato tanto da far male...
Sono contenta di essere qui a pubblicare di nuovo, e ringrazio calorosamente tutti i lettori e recensori, abituali o giunti durante la mia pausa, per l'affetto e la pazienza! Soprattutto le mie adorate KimWinterNight e Soul_Shine che in questi mesi mi hanno dato spunti e suggerimenti utilissimi oltre ad un grande supporto <3
Buona lettura!



 
Il mattino giunge dopo un tempo apparentemente lunghissimo; fasci di luce entrano dalle finestre e si depositano sul letto, a non molta distanza dal viso. Apro gli occhi lentamente e constato con una certa sorpresa che sia io che Daron siamo ancora nella stessa posizione in cui ci siamo addormentati, lui a pancia in su e io con metà corpo spiaccicata su di lui e la testa abbandonata sul suo torace… il ragazzo non dà alcun segno di risveglio: il suo viso è incredibilmente disteso, i suoi capelli sono spettinati e sparsi sul cuscino e dalle sue labbra socchiuse il respiro esce lento e poco rumoroso. La vista fa fremere di gioia il mio cuore: tendo una mano verso di lui con la massima cautela e traccio delicatamente il contorno della sua mascella, sentendo la barba pizzicare sotto i polpastrelli… voglio svegliarmi di fianco a quest’uomo per il resto della mia vita per godere di questo spettacolo ogni mattina. 
Il mio limbo di pensieri e sensazioni viene interrotto da un basso mugolio che segnala il possibile risveglio di Daron e cerco di non sobbalzare violentemente proprio per non spaventarlo… mi allontano di pochi centimetri e vedo il ragazzo muoversi, sebbene ancora ad occhi chiusi, e giusto mentre mi accomodo di nuovo sul mio cuscino succede qualcosa: abbandona la testa sul mio petto e torna a dormire beatamente, in una posizione identica alla precedente ma invertita nei ruoli. Arrossisco, presa alla sprovvista, poi il calore del suo corpo mi concilia di nuovo il sonno e si torna così nelle braccia di Morfeo ancora ben disposte ad accoglierci.  
 
La suoneria del telefono della stanza interrompe infine il sonno di entrambi, dopo un tempo a malapena quantificabile; ad occhio e croce è abbastanza presto e il mezzogiorno è lontanoDaron, chiaramente scontento del risveglio, si trattiene dallo sbuffare e preferisce schiarirsi la voce prima di sollevare la cornetta. 
«Qui Daron Malakian.» 
«Ben svegliatonano!» persino io riesco a sentire un vocione possente familiare provenire dall'apparecchioed appartiene a Serj«A breve si partedunque provvedi a sollevare il tuo grazioso culetto dal materasso e preparati!» 
«Agli ordini, capo» sbadiglia il chitarristachiudendo la telefonata; lo osservo stiracchiarsi per bene, emettendo qualche grugnito. 
«Cosina, la partenza è imminente» dice, riavvicinandosi a me e accarezzandomi i capelli «purtroppo la pacchia è finita.» 
Mi sfugge un grosso sbadiglio mentre sposto controvoglia le coperte; dopo una rapidissima rinfrescata, indossando soltanto della biancheria pulita e più comoda di quella tolta la sera prima, cedo il bagno al ragazzo e nel mentre raccolgo i vestiti in parte sparsi sul pavimento. Una volta finito, recupero una busta per raccogliere tutti i bicchieri di plastica usati, poi si pone un dubbio: come smaltire i palloncini? Sgonfiarli sciogliendo i nodi uno per uno richiederebbe un secolofarli scoppiare produrrebbe casino... alla fine decido per lseconda opzione, ripromettendomi di essere più svelta possibile, e dopo aver messo da parte un palloncino nero e piccino che intendo conservare mi butto a capofitto nella mia opera.  
Non appena il primo palloncino esplode con un sonoro botto, il chitarrista trasalisce violentemente in bagno. «Che diamine è stato?!» poco dopo compare sulla soglia, allarmato e coperto soltanto da un asciugamano in vita ma altrimenti asciutto. «Ah, ora capisco... avvisare no, eh? Mi è preso un colpo!» ansima, portando le mani sul petto. 
«Perdonaminon l'ho fatto apposta!» con facilità tiro fuori lo sguardo più languido che io riesca ad assumere e vedo il ragazzo perdere la sua aria contrariata a favore di un sorrisetto malandrino. 
«Aspettamicosinavengo in tuo aiuto.» 
«Sai che faremo morire di paura tutti e probabilmente ci cacceranno dall'hotel calci?» 
«Nahstai tranquilla.» 
In due finiamo in tempo record di disfarci dei pallonciniprepararci e rimettere in valigia le poche cose usate. 
«Visto, paparinoPronto in tempo!» appena incontriamo gli altri nella hall il chitarrista inizia subito a pavoneggiarsi con Serjche tuttavia lo scruta con aria leggermente truce. 
«Hai solo fatto il tuo doverenano» replica il cantanteimprovvisamente lo acchiappa e gli strofina un pugno chiuso sulla testa con fare giocoso mentre il collega annaspa e tenta di divincolarsi. «Sei un'adorabile peste!» 
«Mi hai spettinato!» il collega finge di crucciarsi per i suoi capelli, ora ancora più disordinati e riottosi di prima.  
«Come se normalmente tu fossi più ordinato...» sogghigna Shavo, guadagnandosi un’occhiataccia. 
«Ma oggi è una ricorrenza importante!» salta su Sako dal nulla, correndomi poi incontro per stritolarmi tra le sue robuste braccia. «Auguri, Gray, ti sei fatta vecchia di un altro anno!» esclama, dandomi qualche fraterna pacca sulla schiena. 
«Se fossi vecchia come dici allora dovresti essere più delicato con i gesti di affetto!» annaspo leggermente, ridendo e ricambiando la stretta. «Grazie, vecchio mio!» 
«Auguri al nostro tecnico dai molti talenti!» appena il tecnico della batteria mi lascia andare si fa avanti Shavo, il cui abbraccio è meno soffocante ma ugualmente affettuoso. 
«Auguri, piccola Nikki!» esclamano in coro John e Serj, prima di regalarmi anche loro un abbraccio a testa e dei baci sulle guance come gli altri.
«Tu
 le hai fatto gli auguri, nano malefico?» 
«Ovvio» Daron risponde in tono oltraggiato, incrociando poi le braccia «sono stato il primo, a mezzanotte.» 
«Ma che bravo!» lo prende in giro Sako. «L’hai tenuta sveglia per questo o l’hai lasciata dormire?! Mi auguro che la seconda ipotesi sia quella giusta!» 
A quel punto un rossore diffuso colora gli zigomi del chitarrista e anche io percepisco il calore in aumento della mia faccia mentre fisso un punto a caso nel vuoto per combattere il lieve imbarazzo. «Karaian, sei un dannato indiscreto! Ma sarò magnanimo e lascerò correre...» 
Gli altri trattengono una risata, poi cambiano rapidamente argomento di conversazione. Alzo lo sguardo e incontro quello del chitarrista: gli sorrido e lui mi sorride di rimando, poi mi fa l’occhiolino e mi manda un bacio e non riesco ad evitare di arrossire di nuovo, sia per i gesti che per il ricordo della notte passata. 
 
Di nuovo in viaggio, un po’ di traffico rallenta la nostra uscita da Norimberga e la lentezza mi risulta stranamente pesante. Dapprima mi guardo intorno, resistendo alla tentazione di ricorrere già alle cuffiette, ma dopo non molto cala una sensazione di sonnolenza a dispetto della recente dormita; accetto l’auricolare offertomi da Daron, ma dopo non molti minuti sento le palpebre farsi incredibilmente pesanti e nel giro di circa un minuto cedo al sonno, appoggiando la testa su una spalla del ragazzo. Non so quanto tempo sia passato nel momento in cui mi ridesto, inavvertitamente finita in tutt’altra posizione – accoccolata nel grembo del chitarrista, ancora quietamente dedito all’ascolto di musica – e leggermente stordita. Sento un lieve chiacchiericcio distante e la curiosità mi risveglia del tutto; l’apparizione di Serj nel mio campo visivo infine dà risposta alle mie domande.  
«Siamo in dirittura d’arrivo a Nürburg annuncia, con un sorriso. 
«Buono a sapersi» rispondo, prima di coprirmi la bocca per sbadigliare. «Com’è il tempo fuori?» 
«Poco nuvoloso, ma pare che qui faccia persino più fresco che a Norimberga, quindi conviene coprirsi.» 
Scendendo dal bus, una brezza quasi fredda mi muove un ciuffo di capelli sulla fronte ma non accuso minimamente il freddo, avvolta nella mia felpa e nella mia giacca di pelle.
«Siamo leggermente in mezzo al nulla o è una mia impressione?» dice Daron, guardandosi intorno con aria perplessa mentre aspettiamo che lo staff ci raggiunga. 
«Penso di sì» replico, pensierosa «non vedo grandi e alti palazzi in lontananza, quindi probabilmente siamo nei paraggi di un villaggio. Ma quella che si vede da qui è la pista di F1, il Nürburgring?» 
«Sì!» nelle mie orecchie scoppia improvvisamente la voce di Sako, apparso nelle vicinanze. «Il festival Rock am Ring si tiene là. Praticamente il villaggio sussiste ancora grazie a questo posto, mi sa...» 
«Nikki!» prima di potermi voltare, due persone mi piombano addosso e mi abbracciano contemporaneamente; subito capisco che si tratta di Paul e Bree. «Tanti auguri!» 
«Grazie mille, ragazzi!» rispondo, contenta. Gli altri membri della crew, avendo notato il clamore, si avvicinano a farmi gli auguri anche loro, senza grandi cerimonie e gesti di affetto, e li ringrazio con garbo; il tutto si svolge sotto l’occhio attento ma tranquillo dei ragazzi. 
Dopo aver sistemato tutto nelle stanze e aver placato la fame a pranzo, resta un pomeriggio senza molto da fare e i ragazzi si ritirano nelle proprie camere con aria pensierosa, forse intenti a cercare un modo produttivo per passare il tempo. Appena ritornati in camera, Daron si libera dei vestiti e si stende sul letto senza troppa grazia, per poi assumere una posizione quasi da dormiente, poi mi osserva mentre prendo alcune cose dalla mia valigia e, dopo una rapida rinfrescata, torno in camera con un top e degli shorts di cotone banali, neri e comodi. 
«Cosina, non c’è niente che vuoi fare oggi per il tuo compleanno?» domanda lui, senza smettere di osservarmi. 
«Non ho nemmeno idea di cosa si possa fare in questa zona, onestamente» rispondo, sedendomi sul letto. «Dovremmo provare a chiedere a Paul, visto come se l’è cavata a Norimberga col giro turistico.» 
«Mi sembra una buona idea, potremmo coinvolgere anche gli altri, così non restano soli ad annoiarsi qui. Ma prima...» 
Nemmeno il tempo per fare qualsivoglia domanda e mi ritrovo catapultata a gambe all‘aria sul letto, stretta fra due braccia, le cui mani iniziano poi a solleticare. 
«Daron, no! Che stronzo che sei, mi hai attaccata alle spalle!» annaspo, rido e cerco di liberarmi dalla presa e in qualche modo pure ci riesco; a quel punto inizia una lotta all‘ultimo pizzicotto e all’ultima solleticata, che si conclude dopo pochi minuti con me vincitrice che blocco sotto di me il perdente sfruttando il peso. 
«Ti ho lasciato vincere perché oggi è il tuo giorno, sappilo» scherza il chitarrista, leggermente ansante. 
«Non so se sei più imbroglione per questo o più faccia di bronzo perché stai cercando di giustificare la tua disfatta» fingo di essere offesa, incrociando le braccia e girando la testa. «Sei-» 
«Baciami.» La richiesta di Daron, formulata a voce abbastanza alta per interrompermi, ma in tono basso e un poco gutturale, mi coglie alla sprovvista. Torno a guardarlo, noto i suoi occhi languidi, le labbra schiuse, il collo disteso e una generale attitudine arrendevole e il suo stesso languore e desiderio mi pervade. Le sue palpebre si abbassano mentre ancora c’è qualche centimetro di distanza tra i nostri visi e, dopo un lieve tocco ad un angolo della sua bocca, le mie labbra sono contro le sue. Con una mano che quasi in automatico va a poggiarsi sul suo petto completo l’estasi del momento, percependo la calda morbidezza della pelle e il battito cardiaco al di sotto. 
«Ora che ci ripenso, a parte le sorprese di ieri non ti ho fatto un regalo vero e proprio» sono le prime parole che Daron tira fuori, una volta finito il bellissimo momento condiviso, proferite in tono basso e con una vena di imbarazzo. 
«Scherzi? Erano dei bei regali anche quelle!» esclamo, arruffandogli i capelli. «E poi, so che è sdolcinato da morire, ma penso che come regalo tu possa andare più che bene.» 
«Oh, una bestiolina romantica, chi l’avrebbe mai immaginato?!» il ragazzo scoppia a ridere, divertito assai. 
«Parla mister Romanticone!» ribatto, e lui risponde con una linguaccia. 
Due leggeri colpi alla porta annunciano l’arrivo di qualcuno; con un riflesso di risposta inusualmente veloce mi alzo, imitata da Daron che si riveste in fretta. Trotterello verso la mia destinazione, apro e la prima cosa che vedo è la zazzera bionda e arruffata di Paul. 
«Paul! Proprio a te pensavamo, poco fa» esordisco, con un sorriso a trentadue denti. 
«Oh, che onore!» si schermisce lui, scherzoso, poi torna serio dopo un leggero colpetto di tosse. «Serj mi ha implorato di organizzare qualcosa sia in virtù del tuo compleanno, sia per scacciare la noia e allora ho organizzato al volo un paio di cose ora sono venuto a proporre a voi questo piano dopo averlo già mostrato agli altri» riprende, con aria improvvisamente quasi professionale. 
«Entra allora, così ce lo illustri» lo invita dentro il chitarrista, curioso, ora di nuovo vestito e seduto a gambe incrociate sul letto. 
Il roadie entra con passo felpato e si ferma di fronte a lui, mentre io mi risiedo. «Ho proposto di andare prima a dare un’occhiata al Nürburgring, anche se dubito che al momento vi siano corse visto che ospita il Rock am Ring, e poi di recarci nel villaggio e al castello, che è su una collina vicina, nel quale si può fare una piccola visita guidata. Magari voi della band conoscete già il primo luogo, ma Nikki no...» 
«Mi sembra un buon piano. I miei colleghi di band cosa hanno detto? Sako?» 
«Tutti hanno dato parere positivo» replica il biondo, con un sorriso. 
«Bene! Anche io sono d’accordo. Tu, Nikki?» il chitarrista mi interpella, sorridendo a sua volta. 
«Anche io, senza dubbio! Tu sarai dei nostri, Paul?» 
«Direi di sì, essendo qui l’unico che mastica ancora un minimo di tedesco...» 
«Oh, giusto... viene anche Bree?» domando, curiosa. 
«Le ho fatto la proposta e si è detta disponibile.» 
«Benissimo! Allora ci prepariamo al volo e vi raggiungiamo nella hall.» 
«Perfetto, aggiorno gli altri. Ci si vede dopo!» si congeda Paul, uscendo dalla camera a passo leggero e chiudendo la porta con attenzione. 
Non vedo l’ora di iniziare il giro. 
 
«Woah, ma è immenso questo posto!» 
In piedi sugli spalti in una delle zone intorno al circuito di F1, dopo un breve giro nei dintorni, la visuale del luogo è amplissima: il verde circonda la pista e l’immenso palco del festival troneggia sulle strutture circostanti, alcune erette per l’occasione, altre preesistenti e normalmente usate come box delle auto da corsa. L’area concerti è ancora brulicante di gente e soltanto al vedere quello sciame umano si fa strada in me un leggero senso di agorafobia. 
«Sì! So che mi sentirò minuscolo su quel palco» conviene il chitarrista «ma cercherò di non pensarci scorrazzando di qua e di là. Lo farò mio!» 
«Immagino già la scena» rido, stringendogli un po’ la mano che tiene intrecciata alla mia già da tempo. 
«E noi, anche se lavoriamo, avremo la visuale migliore» mi fa Sako, con un’occhiata malandrina. 
Ci allontaniamo da lì, sotto l’occhio vigile di un uomo dello staff locale che occasionalmente interagisce con Paul e, usciti da lì, lo ringraziamo e ci lascia. 
«Bene, ora tocca al villaggio e al castello. Non vi dispiace fare una camminata, vero?» ci interpella Paul, tenendo tra le mani una mappa del luogo che è riuscito a procurarsi chissà quando. «Possiamo anche chiamare dei taxi se serve, ma non ho idea delle tariffe...» 
«Meglio a piedi, allora, se no sai che casino!» ride Shavo, grattandosi la testa. 
«E poi una camminata per smaltire il pranzo ci sta» aggiunge Serj, serafico. 
Insieme ci incamminiamo, chiacchierando in tranquillità, talora qualche autista di passaggio ci scocca un’occhiata strana, forse riconoscendoci come forestieri. Il cielo è ancora nuvoloso, ma non sembra che la pioggia sia in arrivo, per cui non affrettiamo il passo e la fatica si sente poco. Passando nel bel mezzo del villaggio ci guardiamo intorno, incuriositi dallo stile architettonico delle poche costruzioni, in parte inusuale per gli stranieri, e osserviamo l’andirivieni invero alquanto scarno degli abitanti che avviene intorno a noi. Alzando lo sguardo, il castello si erge proprio davanti a noi, ma si prospetta come minimo ancora un po’ di cammino per raggiungerlo. 
Dopo una breve sosta e un ultimo tratto di strada che va alquanto in salita, raggiungiamo la biglietteria posta all’ingresso del castello. L’edificio è chiaramente un’ombra del passato, ne resta in piedi forse poco, e in molti punti è visibile il lavoro di restauro applicato in tempi più recenti, ma rimane comunque interessante e vale la pena di arrivare in alto per godere di una visuale sicuramente fantastica.  
«Visto che oggi è il mio compleanno, mi sembra giusto che offra io» mi faccio avanti e pago per tutti, con molta tranquillità, prima che qualcuno possa fare qualunque cosa. «E non voglio sentire ragioni!» aggiungo con una risata, vedendo il mio ragazzo trattenere a fatica una protesta per il gesto che ho compiuto e poi alzare le braccia in segno di resa, mettendo su un finto broncio che contrasta con gli occhi sorridenti. 
Il giro all’interno del castello è alquanto breve ma non per questo noioso o frettoloso, e nel mentre l’audioguida ci illumina sul passato di questa fortezza, caduta in rovina e spesso distrutta o danneggiata. Tra corridoi, scale e scalette varie, di cui alcune al buio e a chiocciola al limite della claustrofobia, saliamo sempre più fino a giungere alla zona scoperta del muro che corre intorno alla fortezza e collega le torri. In quel momento ci si para davanti un panorama mozzafiato, che si stende per chilometri di fronte a noi, una distesa in cui predomina il verde, punteggiato da edifici e attraversato da strade. In lontananza riusciamo anche a vedere il Nürburgring, un grande ammasso grigio circondato dalle macchie di vegetazione circostanti. Vicino ad alcuni parapetti vi sono alcuni grossi binocoli su dei supporti, per poter vedere ancora più lontano. 
«Sembra un po’ di rivedere la mia natìa Armenia» ammette Shavo, guardandosi intorno con gli occhi che gli brillano, non si capisce bene se per la gioia o per una certa commozione. «Anche lì c’è tanto verde, come qui.» 
«Incantevole, non c’è che dire» commenta un sorridente Serj. 
Gli altri proferiscono qualche parola, sotto voce, come a non voler rompere la magia visiva di fronte a loro; Daron è incredibilmente taciturno e fissa ciò che ha davanti a sé, salvo occasionalmente voltarsi a cercare i miei occhi per rendermi partecipe della sua inespressa contentezza. 
«Ci vuole una foto!» 
«La scatto io, non amo troppo essere fotografato» si fa subito avanti Paul. 
«E no, dai, ti voglio nella foto con me! Sarà il mio ricordo tangibile di questo compleanno» protesto con vigore e subito vedo il ragazzo vacillare nella sua decisione, poi dà il suo assenso. «E va bene» si arrende «chiedo allora la cortesia a qualche turista nei dintorni.» 
In breve tempo troviamo un visitatore che ci fa questo grande favore e, poco prima dello scatto, qualcuno fa una battutaccia che mi fa scoppiare a ridere... perlomeno il sorriso sarà venuto bene!  
Ad opera compiuta, i ragazzi iniziano ad avviarsi verso l’ingresso dal quale siamo usciti prima, mentre io e Daron sostiamo ancora un po’ presso il parapetto, invece il biondo, tornato in possesso della macchina fotografica, si avvicina a noi. «Naturali e sciolti, vi faccio una bella foto ricordo» bisbiglia, facendoci l’occhiolino. 
Il chitarrista sembra un poco a disagio in un primo momento, poi segue la direttiva di Paul egregiamente. Il click e il flash ci immortalano davanti allo splendido panorama, l’uno di fronte all’altra, intenti a guardarci negli occhi con un sorriso leggero mentre lui tocca lievemente la mia guancia dal lato nascosto e io ho le mani posate sulla sua felpa, all’altezza della base del collo. 
«Bene, possiamo andare» sospira soddisfatto il nostro fotografo mentre ci avviamo giù per le scale. 

In previsione di una possibile levataccia all’indomani, la sera preferiamo non fare tardi e, con un ulteriore brindisi a cena, si concludono gli inattesi festeggiamenti del mio compleanno. 
Una volta pronta per dormire, mi concedo lo sfizio di buttarmi a peso morto sul letto, dove il mio ragazzo si è già accomodato in posizione fetale, provocandogli così uno spavento, ma le sue proteste si tramutano in risate nel momento in cui vado in estasi per la combinazione di lenzuola fresche più gambe nude e lisce. 
«Sei una bestiolina molto strana e divertente» ride, avvicinandomisi e poi stringendomi a sé. «Tutto okay, cosina?» 
«Sì, tutto okay» sospiro nel suo abbraccio, riempiendomi le narici del suo odore. 
«Soddisfatta della giornata?» 
«E c’è da chiederlo?! Credo sia stata una delle giornate più belle della mia vita, che si contano sulle dita di una mano. Il miglior compleanno di sempre, con le migliori persone che potessi mai volere al mio fianco.» 
«Sono felice di sentirti dire questo» replica lui, accarezzandomi lungo la colonna vertebrale per farmi rilassare,  scatenando così i brividi, e baciandomi a fior di labbra per darmi la buonanotte. 
Non vedo l’ora che sia domani. 
  
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