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Autore: lady igraine    28/08/2018    0 recensioni
Demian ha quasi sedici anni, è armato della tragicità di un adolescente e dell’esperienza di vita di un uomo fin troppo intraprendente. La sua esistenza è in costante bilico tra un morboso amore per la propria famiglia, afflitta dal dramma della malattia terminale della madre, ed un mondo più oscuro, di amici poco raccomandabili che gli permettono di sfogare i sentimenti più ombrosi e repressi della sua anima. È in questa fase che lo incontra Arianna, infantile, irrequieta e altrettanto problematica ragazza, dotata di un instancabile sorriso che cela più malinconie e segreti che gioie. Sono tre, i mesi decisivi, quelli che, nel bene e nel male, lasceranno un segno indelebile nelle loro vite.
***
La coscienza era una bestia oscura che divorava da dentro, lasciando sempre l’impressione di facciata che tutto andasse bene.
"Le persone, da fuori, sembrano indistruttibili, perfette come bambole di plastica che non si possono rompere. È il dentro che è una fregatura, un agglomerato di marciume infilato a forza tra gli organi, da qualche parte"
La sua coscienza era terribile più di tutto, le toglieva molte cose, una ad una, con la noncuranza con cui un bambino strappa i petali ad una margherita
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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À Demian

Capitolo quattordicesimo

Edoné



Jules

Cugino idiota! Che fine hai fatto?

Ho rimorchiato una figa da paura e, visto che se non ci penso io a far uscire il tuo pisello da quei dannati pantaloni tu non combini un cazzo, le ho chiesto di portare un’amica per te.

Passo tra un’ora a casa tua, vedi di esserci

 

14/10/2001

15:40

 

 

Julian era un puttaniere senza speranze. Demian non si sarebbe stupito se tra l’Italia e la Francia avesse già diffuso la sua discendenza, probabilmente difettosa quanto lui. A suo cugino delle donne importava poco o nulla e Demian lo sapeva troppo bene, eppure rimaneva ogni volta basito dalla semplicità con cui riusciva a cambiarne una alla settimana, senza rimorso e senza il minimo legame. Da una prospettiva diversa, il vero freddo, il menefreghista distaccato tra loro due era proprio Jules.

Comunque ammirava la tenacia di quel cugino scapestrato nel tentare sempre quegli incontri combinati, perché nonostante l’insistenza Demian gli aveva dato picche ogni volta, eppure ancora ci provava, a farlo uscire con una delle sue amiche di pessima compagnia.

Deciso a ignorare Julian almeno quanto le fitte di dolore che si diramavano dal costato, si costrinse ad alzarsi dal divano, nella quale era letteralmente sprofondato ormai da ore, per andare in bagno. Il grande specchio dietro al lavandino rifletteva un’immagine decisamente malconcia e violacea. Il viso si era gonfiato dopo le botte prese, pareva una strana e informe maschera tragica che nascondeva completamente la struttura ossea di base, deformità resa più inquietante dalla sfumatura malsana dei lividi in contrasto con il suo naturale pallore.

Abbozzò un sorriso che si sgranò in una smorfia a causa delle contusioni.

 

Beh, almeno oggi non dovrò inventarmi una cazzata per non uscire.

Basterà che veda la mia faccia e sarà persuaso dal portarmi al suo incontro galante.

 

Che di galante aveva gran poco, comunque.

Si sciacquò il volto dolorante con acqua fresca e ne ottenne un tenue sollievo, un solo momento che franò nell’attimo in cui incrociò lo sguardo del suo se stesso riflesso. Esitò, si costrinse a sostenere la vacuità che leggeva nei propri occhi. Non ci era mai davvero riuscito, non senza deviare a sua volta lo sguardo con lo stesso pensiero che sfiorava tutti quelli che s’imbattevano in lui.

 

Sono uno scherzo della natura

 

Cercare di scendere a patti con se stesso non funzionava, lo vedeva chiaramente da sé che qualcosa di sbagliato, di distorto nel suo essere era innegabile, ma proprio per questo non riusciva a sopportare che questo pensiero divenisse concreto attraverso le parole degli altri.

Era troppo reale, aveva paura di odiarsi troppo.

Senza le lenti, inseguiva l’immagine riflessa della linea obliqua che tracciava il contorno della sclera, la patina di un azzurro estraniante, anemico, così lieve da scivolare nella trasparenza, come un vetro sottile. Sotto, s’intravvedevano i rigagnoli rossi dei capillari che davano all’iride una sfumatura rosata. Strizzò le palpebre con forza quasi dolorosa, come se violentandoli questi avessero potuto mutare, eppure la luce tra le tende del bagno gli restituì i medesimi, indefiniti occhi dalla pupilla nemmeno del tutto sferica. Gli restavano solo le lenti a contatto colorate come patetico sotterfugio per nascondere la propria inadeguatezza.

Sei ridicolo, sai solo nasconderti. Nascondi te stesso e nascondi la verità da te stesso.

Non hai alcun senso

 

Il campanello di casa suonò in quel preciso istante, un salvagente lanciato al momento opportuno proprio quando le forze iniziavano a mancare per restare a galla. Era così che si sentiva, quando provava ad affrontarsi, privo di forze, e almeno quel baccano insistente e stonato fungeva da valida giustificazione per abbandonare il duello silenzioso con la sua controparte nello specchio senza farlo sentire debole.

«Ehi, Dami!»

Julian spalancò la porta d’ingresso come un cavallo alla carica, portando con sé una ventata di eccessivo entusiasmo. Il cane si acquattò all’istante e iniziò a ringhiargli contro, causando l’immediato disappunto del cugino, che nemmeno aveva aspettato che Demian andasse ad aprirgli.

«Dami, dove sei? La tua palla di pelo, se non la smette, la butto fuori casa»

Con un sospiro rassegnato Demian si affacciò dal bagno e ritrovò Jules accovacciato in mezzo al corridoio, che a sua volta ringhiava molto ridicolmente a Lalami.

«Hai quasi vent’anni. Lo sai, vero?»

Julian inclinò la testa e alzò gli occhi su di lui con espressione annoiata «Non me lo faccio dire da un marmocchio che si tiene il pisello stretto, manco ce l’avesse d’oro»

Dopo averlo squadrato con un pizzico di perplessità, come avesse notato qualcosa di storto che non gli riusciva di inquadrare, per lo sgomento quasi Julian cadde con il fondoschiena sulle piastrelle.

«Ma che diavolo hai fatto?»

Non era la prima volta che si mostrava al cugino in uno stato poco dignitoso dopo un pestaggio, ma questa volta aveva addosso più segni del solito. Demian si portò una mano alla guancia in un gesto inconscio, incontrò una lesione, un lembo di pelle ruvido e irregolare, e pensò che quando lo menavano a scuola, da ragazzino, difficilmente gli colpivano il viso, per non lasciare tracce.

 

Non è proprio un dettaglio che possa importare a Frankenstein and Co.

 

Dissimulò il proprio imbarazzo passandosi le dita tra i capelli scompigliati.

«Direi il solito» cercò di minimizzare con un sorriso ironico ed una scrollata di spalle che tradiva il disagio.

«Ammettilo, ti sei fatto menare per avere una scusa per darmi buca anche stavolta!» si lamentò il cugino mentre si alzava goffamente. Lo osservò raddrizzarsi, sbattere i jeans neri con i palmi aperti delle mani per cercare di rimediare al pelo di cane che aveva già irrimediabilmente cambiato il colore dei pantaloni «Arrivi a farti livido, non sai proprio più cosa inventarti!»

Jules sollevò la mano e la lasciò sospesa tra loro, Demian esitò, ma poi la strinse «Sei davvero un coglione, giuro. Uno dei peggiori che io abbia mai incontrato»

«Hai la vita sociale di un lombrico Dami, chi cacchio vuoi aver incontrato! Se uscissi con me ne incontreresti di coglioni, e meglio ancora, anche delle fig…»

«Ok, sei stato cristallino! Puoi fermarti qui!»

Julian sfoderò il suo più brillante sorriso da marpione ripescato dai meandri del suo repertorio di scarso seduttore incallito, e gli lasciò una sonora pacca d’incoraggiamento sulla spalla, proprio mentre Demian sollevava gli occhi stanchi al soffitto. L’espressione serena si trasformò a tradimento in una smorfia di dolore mal contenuto. Demian dovette fare appello a tutto il suo amor proprio per non accasciarsi, il sottile lamento che gli sfuggì tra i denti non venne però ignorato da Jules.

«Dirti che sei messo male sarebbe un complimento, lo sai vero? Che ti hanno fatto?»

Si morse l’interno della guancia «Incidente con il motorino!?»

«Sì, certo. Il muro doveva avere un ottimo gancio destro. Dimmi qual è, così gli starò lontano»

 

Che ironia del cazzo

 

Demian si offese e strizzò la bocca in una linea esangue «Non c’è bisogno del muro, un cazzotto te lo do io con molto piacere» borbottò. Riacquisì a fatica una posizione eretta e lanciò a cugino un’occhiataccia obliqua, ma gli bastò vedere l’espressione di Jules per sentire l’orgoglio ferito ritrarsi, in imbarazzo: era palese quanto il suo amico fosse preoccupato.

 

Il più grande, insensibile puttaniere in cui sia mai incappato sembra una mamma chioccia in apprensione. Devo aver proprio toccato il fondo

 

Distolse lo sguardo, perché si vergognava. Si limitò a raggiungere il divano e con tutta la delicatezza del caso, si accomodò tra gli stessi cuscini che lo ospitavano ormai da quella mattina, circondato da cartacce di merendine e patatine perché guardare la televisione lo annoiava e il binomio tv-cibo aiutava a trascorrere quelle ore di tedio interminabili. Nei momenti di maggior sconforto, aveva rimpianto di non essersi fermato da Ellie. Sarebbe stato viziato e coccolato, e soprattutto non sarebbe rimasto solo, eppure il pensiero di restare nella stessa stanza con Elena mentre sul display comparivano i messaggi di Arianna, gli aveva morso in qualche modo la coscienza.

Gli sembrava quasi di dover scindere due mondi profondamente diversi che, nemmeno per errore, dovevano entrare in rotta di collisione, neppure attraverso la sua mente contorta.

Julian lo aveva imitato e si era stravaccato scompostamente dall’altro capo del divano.

«Non sto scherzando, ragazzino. Che hai combinato? Io te lo dico, se non me lo dici spontaneamente abbandonerò le simpatiche vesti da cugino cazzaro e assumerò quelle di una figura seria e responsabile. Che ti manca, fidati»

Demian inarcò un sopracciglio e impresse nella linea del suo sguardo obliquo tutto il suo scetticismo. Il cugino sostenne i suoi occhi per poco, poi le orecchie divennero rosse e fu costretto a deviare il volto, smozzicando «Ok, lo so benissimo che come figura di riferimento sono credibile quanto Valeria Marini Presidente del Consiglio. Però sono tipo… il tuo migliore amico, no? Il minimo che puoi fare è dirmi perché ti hanno menato» si zittì un istante, poi gli occhi gli si ingigantirono di sgomento «Non sarà per una ragazza, vero?» esclamò con troppa enfasi «Se è stato per una ragazza io te lo dico, sei proprio un coglione di quelli giganti! Cosa ti ho sempre spiegato? Una tira l’altra! A te serve solo un buco dove infilarti, il contorno è relativo»

«Credibile, detto da uno che sceglie solo strafighe assurde. Certo. Sei rivoltante, risparmiami le tue stronzate»

Solitamente condivideva tutto con Jules, anche se a volte in maniera superficiale, eppure nel caso di Arianna non se l’era sentita. Ancora non aveva definito con se stesso quale sentimento ibrido provasse per quella ragazza, né che ruolo avesse intenzione di farle occupare: la osservava con il maggior distacco possibile, guardingo. Non si fidava di lei. Non era sicuro di apprezzarla.

Eppure, bastava che inconsapevolmente Julian la definisse un buco da riempire, per fargli provare il desiderio di fargli ingoiare i denti. L’indignazione che lo aveva pervaso doveva essere visibile, perché Julian si fece serio «Oh, cavolo»

«”Oh, cavolo” cosa?»

«”Oh, cavolo” sei già stato incastrato»

Demian si accigliò «Se parlassi in modo comprensibile potrei capire di che cazzo stai parlando, lo sai?»

«Ti hanno già incastrato, è evidente. Porcaccia, chi è? Spero almeno che sia bella, ma bella tipo che ne valga davvero, davvero la pena! Porcaccia» imprecò di nuovo, scotendo la testa sconsolato «Ma da me non hai imparato nulla?»

Demian sentì un flusso di calore risalire sul viso e scottargli le guance, seppe con imbarazzo puntuale di essere appena arrossito come un peperone «Nessuno ha incastrato nessuno! Smettila di dire stronzate!» urlò, sollevandosi istintivamente con il busto troppo precipitosamente. Con un lamento ricadde tra i cuscini e imprecò a denti stretti.

Julian lo fissava incredulo, scuotendo lentamente la testa, con una punta di amarezza risentita, quasi «Col cazzo, sei incastratissimo. Peggio di quando da bambino ti sei perso nel labirinto degli specchi e mi è toccato tornare dentro a cercarti. Sei fottuto amico, stavolta non ti posso venire a recuperare!»

Di fronte a quelle accuse, Demian si sentì mortificato.

 

Non è vero un cazzo, non posso più essere incastrato, mi rifiuto. Sono indipendente, non commetterò più un errore così banale. Se ci cadi Dami, giuro che ti meno

 

Minacciarsi da solo non era mai servito a troppo, nella sua vita, eppure ci provava, talvolta, giusto per assicurarsi di aver tentato ogni via prima di fallire. Su questo punto però, su Arianna e qualunque tipo di “sentimento” avesse potuto nutrire, era categorico: sapeva già fin troppo bene che legarsi a qualcuno e schiantarsi a cento all’ora contro un guardrail era la stessa cosa, sapeva bene che dopo esserci caduto con tutte le scarpe, di lui sarebbe rimasto poco nulla.

Una carcassa spolpata da una iena, era già successo, aveva imparato.

 

Di Annie apprezzo la compagnia. Solo questo e non sarà mai, assolutamente, più di questo. Posso accettare di riderci insieme, di vederla, non mi piacciono le persone ma lei non è male.

 

Da “essere umano accettabile” a “qualcosa di più”, di acqua sotto i ponti ne passava anche troppa. Arianna era bella, solo uno scemo avrebbe potuto non notarlo o apprezzarla, ma la sua bellezza era fine a se stessa, come le scopate con Elena o quel discorso campato in aria con il cugino. Una distrazione di mezzo, dalla durata limitata.

Julian, meditabondo, scrutava il tabacco della sua sigaretta bruciare come se in quella voluta di fumo potesse scorgerci il senso dell’universo. Ad un tratto s’illuminò e si lasciò sfuggire l’ennesima imprecazione «È quella dei ritratti, vero? Altro che “solo una musa» mimò le virgolette con le dita «Tu te la sei fatta!»

«Non me la sono fatta!» urlò di nuovo, salvo pentirsene, perché la sua mancanza di contegno era solo benzina sul fuoco con suo cugino. Ed infatti, Julian si calcò in viso l’espressione più falsamente sconvolta che gli riuscì «Sei così perso, e non te la sei nemmeno fatta? Dami, le donne sono come i calzini, non puoi tenere sempre lo stesso paio!»

Demian rimase basito per qualche secondo, troppo scioccato per assimilare realmente quell’uscita infelice. Alla fine borbottò, quasi per il principio di non farsi zittire e di dargliela vinta «Neanche tu ne cambi una al giorno»

Julian roteò gli occhi «Ok, al giorno magari no, però… ecco: le donne sono come il latte»

Storse la bocca, confuso «Cioè?»

«Scadono!» disse con un’ovvietà irritante «Una settimana al massimo. Di più e rischi di avere un’intossicazione alimentare. È una fregatura, finirai al guinzaglio! Questa qui da quanto è in giro?»

In un attimo di tentennante incertezza, Demian si ritrovò sovrappensiero a fare i conti e a borbottare «Credo un paio di settimane… ma ci siamo visti solo due volte»

 

E una di quelle “due volte” ci ho dormito insieme, circa

 

Quello era decisamente un dettaglio da omettere quando si parlava ad un pervertito del calibro di Jules, che nel mentre aveva perso quattro tonalità di colore, tanto che Demian temette fosse in brachicardia. Il cugino scattò in avanti, gli afferrò il braccio con la stessa disperazione di un morto di sete e lo strattonò «Sei ancora in tempo» sibilò.

Demian se lo scollò di dosso con un gesto piuttosto brusco e risentito.

«Sto bene così» chiarì, e mise un leggero broncio infantile. Non gli piaceva, che il cugino gli parlasse in quel modo, come se gli stesse offrendo una via di fuga certa e lui stesse cercando una scusa per scappare. Non aveva motivo di allontanarsi da Annie, era tutto sotto controllo. Ora poi che i suoi le avevano comprato un cellulare, dopo la notte fuori casa che li aveva terrorizzati, poteva anche colmare il vuoto di attesa mentre aspettava che il suo aspetto fosse tornato nella media prima di rivederla, sentendola per messaggio. Pensò che non smentire Julian e fargli credere di essere accasato, potesse essere almeno una soluzione agli improponibili appuntamenti che cercava di propinargli. Inoltre, al momento era tanto concentrato su Arianna da aver scordato i segni del pestaggio che si portava addosso.

Il cellulare appoggiato sul un cuscino iniziò a vibrare. Non fece in tempo a tendersi per afferrarlo, Julian fu più veloce e glielo fregò sotto mano.

«Jules, ridammelo» sospirò, ma il cugino rispose con un sorriso sornione «Quindi sarebbe questa “Annie”?»

Si massaggiò gli occhi per contenere la crescente irritazione «Seriamente, non mi va che…»

«Fammi solo dare un’occhiata, giusto per capire quanto sei impantanato»

«… Jules»

«”Undici uomini sulla cassa del morto e una bottiglia di rum”» iniziò a leggere ad alta voce, per provocarlo, ma s’interruppe quasi subito e lo fissò confuso «Ma che razza di messaggi ti ha mandato?»

«È una fan di Sellers, e comunque non sono affari tuoi. Restituiscimi il cellulare!» gli intimò, e rimpianse di non potersi muovere liberamente per strapparglielo di mano e lasciargli un occhio nero di ricordo, magari.

«Non per essere fiscale, ma erano quindici, no?» continuò imperterrito, ignorando la sua richiesta. Tornò al telefono e riprese a scorrere la lista dei messaggi ricevuti «”Ma come pretendi che ce ne stiano quindici?” beh, la sua obiezione ha un perché però. Non ha senso, ma ha un perché. “Beh, se ce ne stanno undici, ce ne stanno anche quindici…”»

In imbarazzo, Demian ingoiò qualunque senso di autoconservazione e saltò letteralmente sulle spalle di Julian, atterrandolo. Si lanciarono in una breve colluttazione per il possesso del cellulare e alla fine, dopo essersi liberato di Jules facendolo ruzzolare poco più in là, si stese ansante con il suo bottino stretto in mano.

A Julian mancava il respiro, smozzicò «Ma che problemi hai?» tra un ansito e l’altro. Demian si mise a sedere e gli lasciò uno scappellotto poco delicato sulla testa «Che problemi hai tu. Idiota! Chi ti ha dato il permesso di leggerli?»

Il cugino s’indignò «Mi aspettavo messaggi erotici, mica quella roba lì! Ti ha fottuto il cervello quella, ti rendi conto di che discorsi fate? Sei completamente andato, se le dai corda»

«Non è vero» protestò debolmente, appoggiando la schiena al divano. Il fianco gli doleva per quell’ultima, brillante performance.

Spiegare che Arianna era in grado di fare solo discorsi completamente assurdi, senza capo ne coda era troppo difficile, richiedeva troppe parole. Non sapeva nemmeno come ci era arrivato, a parlare di Clouseau, né come poi i messaggi fossero degenerati arrivando a toccare le più inutili sciocchezze. E in realtà non gli importava capirlo, si era divertito e tanto gli bastava. A volte era pure riuscito a immaginare la faccia di Annie tra un delirio e l’altro, l’espressione concentrata e seria ed il tono con cui asseriva alcune verità per lei assolute e totalmente insensate. Era poco impegnativa, rilassante.

Julian aveva ricominciato a sorridere, mentre si rialzava da terra per tornare più comodamente a sedersi. Aveva l’atteggiamento indulgente di un adulto che stesse parlando con un bambino testardo.

«Ehi, se questa ti ha davvero incastrato devi farmela conoscere»

Non riuscì a nascondere la smorfia scettica: presentare una ragazza bellissima e ingenua in maniera irreale ad un puttaniere come Jules. Tanto valeva gettarla giù da un ponte sperando che non si rompesse una gamba o la testa. Il cugino lesse il sottinteso, perché alzò le mani in un gesto di resa «Non te la ruberò, se è questo che ti preoccupa. Non ci proverò nemmeno, giuro! Poi che me ne faccio di una che parla di casse da morto? Me lo affloscia in partenza. Di quel poco che ho letto l’unica cosa interessante era il rum!»

Se saltargli addosso fosse stata ancora un’opzione, Demian l’avrebbe fatto senza esitare, e l’avrebbe picchiato ovviamente. Tanto. Invece ingoiò il fastidio e sputò con piccato orgoglio «Non mi importa cosa farai»

Una parte di lui avrebbe voluto difendere Arianna da quel tristissimo discorso donna-oggetto. Per qualche motivo che mai gli era stato chiaro, Julian non provava interesse per nessuna, né sentiva una qualche forma di rispetto a priori per il genere femminile, il che era paradossale, contando che la persona che il cugino più ammirava e adorava nella sua vita era proprio la cugina Isabeau. Tuttavia, questo doveva valere anche per lui, prendersi la briga di difenderla significava darle un peso reale che non voleva avesse. Un errore simile lo aveva già commesso, era rimasto più che fregato ed ancora gli toccava incontrare l’oggetto della sua umiliazione a giorni alterni.

Non poteva sopportare i legami, nemmeno se con lei era semplice, se il suo sorriso diabolico riusciva ad ammaliare.

Era facile, innamorarsi di una come Arianna quando sorrideva in quel modo.

Era facile e da stupidi, non sarebbe successo.

Scrollò le spalle «Non so nemmeno se e quando la rivedrò comunque, quindi fartela conoscere è l’ultimo dei miei problemi» bofonchiò e provò uno strano senso di sconfitta.

 

Sconfitto da te stesso, benissimo. Non sai nemmeno tu quello che vuoi. Per liberarti di lei basterebbe passarla a Julian, ma ovviamente devi scegliere sempre la strada peggiore.

 

Annie era bella, ma non andava bene per lei. Ad essere del tutto onesti, era Arianna a non andare bene per lui, l’aveva già capito da un pezzo, c’era un’incompatibilità di fondo che lo avrebbe massacrato. Solo che si era confidato con lei, le aveva raccontato un sacco di stronzate, aveva condiviso la sua Sarah. In pratica, aveva già gettato il ponte che non desiderava esistesse, si era fumato il cervello proprio l’unica volta in cui non si era fatto una canna. Si era lasciato andare solo perché l’aveva conosciuta nel momento di maggior debolezza, il più sbagliato possibile.

 

E poi hai cercato di convincerti che fosse speciale, solo per non ammettere con te stesso di aver fatto la cretinata più allucinante della tua vita.

 

Era così ridicolo che gli sfuggi un sorriso «Comunque non m’importa un cazzo di lei, quindi tieni le tue teorie da psicologo fuori da questa casa»

Julian scosse le spalle e abbozzò un sorriso meno spavaldo e divertito, a manifestare la sua rassegnazione.

«Sei un caso perso, Dami. Non conosci neanche te stesso, sei un dramma vivente»

Si stizzì e arricciò il naso «Non rompermi. E passane una anche a me» ammiccò alla sigaretta, l’ennesima, che Julian si stava accendendo. Il cugino gli diede pacchetto ed accendino, senza aggiungere nulla.

Quando s’innervosiva, il sapore della nicotina al primo tiro lo rilassava. Aveva sviluppato un bisogno morboso di fumare, ne odiava il sapore ma era dipendente dalla sensazione positiva che gli restava addosso. Non quella stupida necessità che nutrivano molti ragazzini di quindici anni di tenere una sigaretta in bocca per apparire più grandi e fighi. Se contava il tempo trascorso, aveva iniziato a fumare tra i dodici e i tredici anni e non aveva più smesso. Era una droga peggiore delle canne: con quelle poteva gestirsi, non creavano dipendenza. La mancanza di una sigaretta invece lo mandava in astinenza, consumava circa un pacchetto al giorno. Se non lo avessero ammazzato gli altri di botte, prima o poi l’avrebbe fatto il cancro e sarebbe stato il degno figlio di sua madre.

«Allora, per cosa ti hanno ridotto così?»

Inclinò la bocca in una smorfia ironica «Non ti eri distratto?»

Julian inarcò un sopracciglio con fare eloquente «Pensavi davvero che mi sarei potuto distrarre sul serio?»

«Mi sono intromesso negli affari di un ragazzino» confessò, per tagliare la conversazione il prima possibile, ma questo spinse solo il cugino a sporgersi e guardarlo intensamente «Anche tu sei un ragazzino»

Demian rilasciò uno sbuffo di fumo e sorrise sardonico. D’improvviso, si sentiva di nuovo vuoto. quella parentesi di quiete si era già consumata, aveva guastato qualcosa di bello, nella sua testa, lo aveva corrotto. Succedeva sempre così, demoliva tutto ciò che di positivo potesse capitargli e poi, successivamente, si sentiva annientato dalla mancanza.

 

Una come lei non ci fa nulla, nella vita di merda che conduco. Ed io non posso uscirne in alcun modo… nemmeno per qualcuno come lei.

 

«Vuoi che resti a casa con te, stasera? Posso rinunciare a Marta»

Non gli sfuggì la vena malinconica, il sorriso appena incrinato, la testa un po’ china, quasi rassegnata. Aveva bisogno di Julian in quella vita, ma non era un bisogno reciproco. Jules stava bene senza di lui, sembrava ferito ogni volta che provava a parlargli e questo aumentava solo il disagio.

 

Non ho bisogno di lui stasera, ho bisogno di distruggermi

 

Di sfondarsi di alcol, di spaccare la faccia a qualcuno, di fumare e forse anche di qualcosa di più forte.

«Rinunceresti ad un giorno per me? Hai solo una settimana per fare centro, ricordi? Poi si cambia» lo apostrofò ironico, e Julian ampliò il sorriso e ritrovò l’allegria «Già fatto. Con lei sono alla fine della settimana, se no col cavolo che rinunciavo!»

Demian scosse appena la testa «Vai pure e sbattitela. Ho già un impegno stasera»

Con un sospiro, Julian si alzò, gettò il mozzicone della sigaretta fuori dalla finestra aperta dietro al divano, ne osservò la parabola in aria pensieroso.

«Allora io vado» mormorò distrattamente. Poi si voltò a guardarlo «Con la mamma ti copro io, ma vedi di ricominciare ad andare a scuola il prima possibile, idiota»

Demian lo seguì con gli occhi mentre raggiungeva la porta d’ingresso e abbassava la maniglia con lentezza esasperata, esitante. Il cugino si bloccò, incrociò il suo sguardo e con una serietà disarmante, che poco si addiceva alla giovialità del suo volto, aggiunse «Non fare altre stronzate, Dami, o giuro che questa è l’ultima volta che chiudo gli occhi e faccio finta di niente. Vuoterò il sacco con Claire»

«Non lo farai»

Le parole uscirono spontanee, provocatorie, eppure sicure, perché Demian lo sapeva, Jules non lo avrebbe mai tradito. Nel bene e nel male, Julian era dalla sua parte.

Lo vide serrare i pugni, offeso «Cosa te lo fa credere?»

«Tu lo sai, che lì dentro morirei peggio che qua fuori, da solo»

Era la verità: non sarebbe mai sopravvissuto nella casa della zia, con Claire, Lorenzo, Sarah ed il fantasma di maman come una spada di Damocle sopra la testa. Nessuno lo sapeva meglio di suo cugino, ed infatti, in un moto di consapevolezza Julian abbassò gli occhi, sconfitto.

«Lo credevo anche io» mormorò «Ma non sono più sicuro che tra il “qua” e il “là” ci sia differenza ormai»

Demian sorrise, una piega morta e fredda del viso congestionato. Aspirò un’altra boccata di fumo e lo congedò «Dà un bacio a Sarah da parte mia»

 

***

 

Urla, risa, fumo.

Musica.

In una parola: Edoné.

Quello era il locale preferito di Nicolas, dove tutti sapevano di poterlo trovare, perché Nico era sfuggente a tratti, la figura mitologica degli ambienti più malfamati, il pusher di cui tutti parlavano, difficile da incontrare e tanto mitizzato da risultare impossibile, ma al bere e alle donne non ci sapeva rinunciare, così come alla coca.

Confuso dalla troppa vodka ingerita che sfasava la sua vista già deteriorata, Demian barcollava fra quella massa di corpi che saltava al ritmo di musica, urtandolo fin quasi a buttarlo a terra. C’era un nuovo gruppo che suonava un metal cattivo, aggressivo, sicuramente scandinavo. Il casino era tale che era impossibile capire qualcosa, anche solo le parole della canzone che parevano, alla sua mente offuscata, strani latrati. Il costato continuava a dolergli, ma l’alcol che gli scorreva nelle vene aveva reso tutto leggero e vaporoso e niente era a fuoco, a causa anche del fumo colorato che veniva rilasciato sulla pista, s’innalzava nell’aria e fondeva le sagome in un’unica, grande massa pulsante di vita.

il cuore pompava il sangue a tempo con la musica.

In un moto di lucidità riuscì finalmente ad individuare il tavolo che Nicolas occupava abitualmente, circondato da poltrone usurate e bagnato da una luce appannata. Sul muro erano appesi vinili originali di vecchi gruppi Rock del passato, Demian una volta li aveva studiati e aveva riconosciuto qualcosa dei Pink Floyd e Phisical Graffiti dei Led Zeppelin, roba forte e sprecata in quel mare di persone strafatte e inconsapevoli.

Il suo amico era stravaccato su una poltrona a gambe divaricate, con un braccio a cingere le spalle di una ragazza parecchio disinibita e disponibile, completamente spalmata sul suo petto, il sorriso sciolto in una risata languida.  Stava fumando e gli bastava vedere l’espressione divertita sul suo viso per sapere che non era una sigaretta. Nell’ altra mano stringeva un bicchiere mezzo pieno di un qualche cocktail che ad ogni movimento inconsulto minacciava di rovesciarsi sulla sua accompagnatrice di turno. Accanto c’era Alex, capelli rasati e l’immancabile piercing al sopracciglio, un sorriso stranamente ebete e gioviale per i suoi standard; Andrea non si era fatto la barba, aveva un pizzetto imbarazzante e l’aria di un orso, accentuata dai capelli crespi troppo lunghi e unti che gli ricadevano sulla fronte, in un’inestricabile rete. Tra tutti, si sentì sollevato nel ritrovare Davide tra i presenti: con quell’aria da sfattone, la felpa enorme e la cresta biondissima sparata in aria con il gel, la testa rasata ai lati, restava l’unico che avesse voglia di vedere.

 

E almeno non c’è quel rompipalle di Teo

 

«Dem!» urlò Davide da lontano, saltando in piedi ed agitandosi come un ossesso per attirare la sua attenzione. Nico lo vide, allontanò la ragazza in modo poco gentile e si alzò per andargli incontro. Era allegro, a giudicare dall’odore già parecchio alticcio, e lo afferrò senza tanti complimenti per il collo, costringendolo ad abbassarsi. Con la testa incastrata sotto il suo braccio, Demian sentì le nocche del pugno di Nico sfregare dolorosamente contro la cute.

Scoppiò a ridere, nonostante il bruciore che gli inumidì gli occhi.

«Piccolo stronzetto ingrato, che fine avevi fatto?» urlò sopra la musica, trascinandolo dagli altri. Non lo fece rispondere, gridò ancora «Ehi, idioti! Guardate chi si è deciso a tornare!»

Alex distolse l’attenzione dalla ragazza che stava civettando con lui, Davide sorrise raggiante e gli porse subito il pugno che Demian colpì con il suo.

«Che fine avevi fatto, amico? E poi, cazzo ti è successo? Sembri finito sotto un treno!»

Alex anche, si sollevò e gli porse il pugno in segno di saluto «Hai fatto rissa senza di noi? Spero per te che gli altri siano messi peggio di quanto non lo sia tu, o ci farai fare brutta figura»

Dem sollevò le spalle con noncuranza «L’altro ha il naso rotto, direi che siamo pari»

Dave, come un criceto iperattivo e strafatto gli scrollò il braccio «Sei nei guai, Teo vuole farti nero!»

«Già. Non te la farà passare liscia tanto facilmente» commentò Andrea lugubremente, aprendo bocca per la prima volta. Il suo pessimismo cosmico ai limiti del leopardiano e il suo malumore costante lo rendevano indigesto, per cui Demian non sapeva mai come rapportarsi a quel malumore e finiva con il tacere. Andrea non si era mosso, non l’aveva salutato, era rimasto seduto con la sua birra in mano e gli occhietti acquosi annebbiati. Intervenne però Nicolas, che lo costrinse ad abbandonare la sua perplessità per sedersi accanto a lui «Non ti toccherà, non corri rischi. Sei un piccolo bastardo fortunato!»

La ragazza che fino a quel momento si era trovata in uno stato di adorazione assoluta per Nico, fu costretta ad allontanarsi e lo fece senza nascondere la propria stizza. Ora fissava Demian con l’odio più assoluto.

«Il minimo che puoi fare è dirmi perché cazzo sei sparito nel nulla. Non vorrai abbandonare il giro, spero!»

 

Come se lasciarlo fosse tanto semplice

 

Nicolas a volte lo trattava davvero come un bambino, ed era assurdo, paradossale considerando il soggetto in questione. Il resto della combriccola lo fissò con vivo interesse, fatta eccezione per Andrea che era tornato alla sua birra ed era concentrato sul liquido ambrato.

«Le solite cose. Sai di che parlo» urlò sopra la musica martellante che copriva ogni voce ed ammiccò a Nico perché cogliesse l’antifona. Il ragazzo sorrise quasi complice e si sporse verso di lui in modo che solo loro due potessero sentire «E come sta la bambolina?»

«Sta bene, aveva solo qualche esame» mentì.

Ogni volta che necessitava di prendersi del tempo da quel gruppetto, usava Sarah come alibi. Nico la conosceva di nome e di vista, non le aveva mai parlato ma sapeva a grandi linee la situazione e quindi, se la citava, subito si ammorbidiva.

«Se è per lei sei sempre giustificato. Adoro quella bambolina, è bellissima»

«Smettila di parlare di lei così, sembri un vecchio pederesta!»

Nicolas scoppiò in una risata sguaiata ai limiti dell’animalesco, ma aveva gli occhi più buoni quando parlava di Sarah, più normali. Forse, perché anche lui aveva avuto un fratellino che però era morto in un incidente quando aveva sette anni. Lo avevano investito, e Nico non aveva mai davvero superato quella perdita. Era il suo demone. Tutti lì avevano un demone, persino Davide, in apparenza il più tranquillo e sereno. Macerie su cui, per qualche motivo, non riuscivano a ricostruirsi una vita.

«Dovrai farmela conoscere, prima o poi!»

«Non se ne parla proprio. Saresti un trauma a vita!»

 

Ma come può anche solo venirti in mente che io possa mettere la mia Sarah in contatto con uno psicopatico cocainomane? Con l’ultima riga ti sei aspirato pure il cervello!

 

«Nico, ne vuoi?»

Alex richiamò il ragazzo porgendogli un piattino con quattro strisce bianche, come a rimarcare il pensiero che lo aveva appena sfiorato. Nicolas sorrise ferino, prima di chinarsi ed aspirarne una con un suono strano simile ad un risucchio. Arricciò il naso, lo sfregò con la mano, tentò di passargli il piatto in un gesto abituale che Demian, come sempre, declinò. Aveva provato diverse schifezze nella sua breve esistenza: non aveva mai disdegnato il fumo e gli acidi. La cocaina però, restava un grande tabù non ancora infranto, nonostante tutto.

Lui e Davide erano gli unici puliti su quel versante, si spaparanzarono malamente su un divanetto e si passarono una canna. Con l’effetto del fumo, ogni pensiero eccessivamente complesso e negativo svaporava, si ritrovava con l’amico a parlare di discorsi importanti come l’Amazzonia che era il polmone della terra, o l’estinzione dei tonni. Cose senza senso che lo liberavano dal malessere.

Voleva lasciarsi andare quella sera, completamente, senza remore.

Voleva dimenticare tutto quello che gli aveva detto Jules, che Sarah avrebbe dovuto incontrare maman presto o tardi, che il futuro si presagiva uno schifo. Scordare ogni cosa, compresa la sua irremovibile decisione: che Annie non faceva per lui, che lui non faceva per lei.

 

Se per farlo serve della vodka… ne butterò giù tutta quella necessaria.

 

 

NOTE AUTRICE

 

Chi non muore si rivede! Sono molto impegnata, ma la storia non è sospesa… così, giusto per farvi sapere che non ho abbandonato il progetto nonostante l’attesa secolare tra un capitolo e l’altro!

 

A presto!


  
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