À Demian
Capitolo quattordicesimo
Edoné
Jules
Cugino idiota! Che
fine hai fatto?
Ho rimorchiato una
figa da paura e, visto che se non ci penso io a far uscire il tuo
pisello da
quei dannati pantaloni tu non combini un cazzo, le ho chiesto di
portare
un’amica per te.
Passo tra un’ora a
casa tua, vedi di esserci
14/10/2001
15:40
Julian
era un puttaniere senza speranze. Demian non si
sarebbe stupito se tra l’Italia e la Francia avesse
già diffuso la sua
discendenza, probabilmente difettosa quanto lui. A suo cugino delle
donne
importava poco o nulla e Demian lo sapeva troppo bene, eppure rimaneva
ogni
volta basito dalla semplicità con cui riusciva a cambiarne
una alla settimana,
senza rimorso e senza il minimo legame. Da una prospettiva diversa, il
vero
freddo, il menefreghista distaccato tra loro due era proprio Jules.
Comunque
ammirava la tenacia di quel cugino scapestrato nel
tentare sempre quegli incontri combinati, perché nonostante
l’insistenza Demian
gli aveva dato picche ogni volta, eppure ancora ci provava, a farlo
uscire con
una delle sue amiche di pessima compagnia.
Deciso
a ignorare Julian almeno quanto le fitte di dolore
che si diramavano dal costato, si costrinse ad alzarsi dal divano,
nella quale
era letteralmente sprofondato ormai da ore, per andare in bagno. Il
grande
specchio dietro al lavandino rifletteva un’immagine
decisamente malconcia e
violacea. Il viso si era gonfiato dopo le botte prese, pareva una
strana e
informe maschera tragica che nascondeva completamente la struttura
ossea di
base, deformità resa più inquietante dalla
sfumatura malsana dei lividi in
contrasto con il suo naturale pallore.
Abbozzò
un sorriso che si sgranò in una smorfia a causa
delle contusioni.
Beh, almeno oggi non
dovrò inventarmi una cazzata per non uscire.
Basterà che veda la
mia faccia e sarà persuaso dal portarmi al suo incontro
galante.
Che
di galante aveva gran poco, comunque.
Si
sciacquò il volto dolorante con acqua fresca e ne
ottenne un tenue sollievo, un solo momento che franò
nell’attimo in cui
incrociò lo sguardo del suo se stesso riflesso.
Esitò, si costrinse a sostenere
la vacuità che leggeva nei propri occhi. Non ci era mai
davvero riuscito, non
senza deviare a sua volta lo sguardo con lo stesso pensiero che
sfiorava tutti
quelli che s’imbattevano in lui.
Sono uno scherzo
della natura
Cercare
di scendere a patti con se stesso non funzionava,
lo vedeva chiaramente da sé che qualcosa di sbagliato, di
distorto nel suo
essere era innegabile, ma proprio per questo non riusciva a sopportare
che
questo pensiero divenisse concreto attraverso le parole degli altri.
Era
troppo reale, aveva paura di odiarsi troppo.
Senza
le lenti, inseguiva l’immagine riflessa della linea
obliqua che tracciava il contorno della sclera, la patina di un azzurro
estraniante, anemico, così lieve da scivolare nella
trasparenza, come un vetro
sottile. Sotto, s’intravvedevano i rigagnoli rossi dei
capillari che davano all’iride
una sfumatura rosata. Strizzò le palpebre con forza quasi
dolorosa, come se
violentandoli questi avessero potuto mutare, eppure la luce tra le
tende del
bagno gli restituì i medesimi, indefiniti occhi dalla
pupilla nemmeno del tutto
sferica. Gli restavano solo le lenti a contatto colorate come patetico
sotterfugio per nascondere la propria inadeguatezza.
Sei ridicolo, sai
solo nasconderti. Nascondi te stesso e nascondi la verità da
te stesso.
Non hai alcun senso
Il
campanello di casa suonò in quel preciso istante, un
salvagente lanciato al momento opportuno proprio quando le forze
iniziavano a
mancare per restare a galla. Era così che si sentiva, quando
provava ad
affrontarsi, privo di forze, e almeno quel baccano insistente e stonato
fungeva
da valida giustificazione per abbandonare il duello silenzioso con la
sua
controparte nello specchio senza farlo sentire debole.
«Ehi,
Dami!»
Julian
spalancò la porta d’ingresso come un cavallo alla
carica, portando con sé una ventata di eccessivo entusiasmo.
Il cane si
acquattò all’istante e iniziò a
ringhiargli contro, causando l’immediato
disappunto del cugino, che nemmeno aveva aspettato che Demian andasse
ad aprirgli.
«Dami,
dove sei? La tua palla di pelo, se non la smette, la
butto fuori casa»
Con
un sospiro rassegnato Demian si affacciò dal bagno e
ritrovò Jules accovacciato in mezzo al corridoio, che a sua
volta ringhiava
molto ridicolmente a Lalami.
«Hai
quasi vent’anni. Lo sai, vero?»
Julian
inclinò la testa e alzò gli occhi su di lui con
espressione annoiata «Non me lo faccio dire da un marmocchio
che si tiene il
pisello stretto, manco ce l’avesse d’oro»
Dopo
averlo squadrato con un pizzico di perplessità, come
avesse notato qualcosa di storto che non gli riusciva di inquadrare,
per lo
sgomento quasi Julian cadde con il fondoschiena sulle piastrelle.
«Ma
che diavolo hai fatto?»
Non
era la prima volta che si mostrava al
cugino in uno stato poco dignitoso dopo un pestaggio, ma questa volta
aveva
addosso più segni del solito. Demian si portò una
mano alla guancia in un gesto
inconscio, incontrò una lesione, un lembo di pelle ruvido e
irregolare, e pensò
che quando lo menavano a scuola, da ragazzino, difficilmente gli
colpivano il
viso, per non lasciare tracce.
Non è proprio un dettaglio che possa
importare a Frankenstein and
Co.
Dissimulò
il proprio imbarazzo passandosi
le dita tra i capelli scompigliati.
«Direi
il solito» cercò di minimizzare con
un sorriso ironico ed una scrollata di spalle che tradiva il disagio.
«Ammettilo,
ti sei fatto menare per avere una scusa per darmi buca
anche stavolta!» si lamentò il cugino mentre si
alzava goffamente. Lo osservò
raddrizzarsi, sbattere i jeans neri con i palmi aperti delle mani per
cercare
di rimediare al pelo di cane che aveva già irrimediabilmente
cambiato il colore
dei pantaloni «Arrivi a farti livido, non sai proprio
più cosa inventarti!»
Jules
sollevò la mano e la lasciò sospesa tra loro,
Demian esitò, ma
poi la strinse «Sei davvero un coglione, giuro. Uno dei
peggiori che io abbia
mai incontrato»
«Hai la
vita sociale di un lombrico Dami, chi cacchio vuoi aver
incontrato! Se uscissi con me ne incontreresti di coglioni, e meglio
ancora,
anche delle fig…»
«Ok, sei
stato cristallino! Puoi fermarti qui!»
Julian
sfoderò il suo più brillante sorriso da marpione
ripescato dai
meandri del suo repertorio di scarso seduttore incallito, e gli
lasciò una
sonora pacca d’incoraggiamento sulla spalla, proprio mentre
Demian sollevava
gli occhi stanchi al soffitto. L’espressione serena si
trasformò a tradimento
in una smorfia di dolore mal contenuto. Demian dovette fare appello a
tutto il
suo amor proprio per non accasciarsi, il sottile lamento che gli
sfuggì tra i
denti non venne però ignorato da Jules.
«Dirti
che sei messo male sarebbe un complimento, lo sai vero? Che ti
hanno fatto?»
Si morse
l’interno della guancia «Incidente con il
motorino!?»
«Sì,
certo. Il muro doveva avere un ottimo gancio destro. Dimmi qual
è,
così gli starò lontano»
Che
ironia del cazzo
Demian si offese e
strizzò la bocca in una linea esangue «Non
c’è
bisogno del muro, un cazzotto te lo do io con molto piacere»
borbottò.
Riacquisì a fatica una posizione eretta e lanciò
a cugino un’occhiataccia
obliqua, ma gli bastò vedere l’espressione di
Jules per sentire l’orgoglio
ferito ritrarsi, in imbarazzo: era palese quanto il suo amico fosse
preoccupato.
Il
più grande, insensibile
puttaniere in cui sia mai incappato sembra una mamma chioccia in
apprensione.
Devo aver proprio toccato il fondo
Distolse lo
sguardo, perché si vergognava. Si limitò a
raggiungere il
divano e con tutta la delicatezza del caso, si accomodò tra
gli stessi cuscini
che lo ospitavano ormai da quella mattina, circondato da cartacce di
merendine
e patatine perché guardare la televisione lo annoiava e il
binomio tv-cibo
aiutava a trascorrere quelle ore di tedio interminabili. Nei momenti di
maggior
sconforto, aveva rimpianto di non essersi fermato da Ellie. Sarebbe
stato
viziato e coccolato, e soprattutto non sarebbe rimasto solo, eppure il
pensiero
di restare nella stessa stanza con Elena mentre sul display comparivano
i
messaggi di Arianna, gli aveva morso in qualche modo la coscienza.
Gli sembrava quasi
di dover scindere due mondi profondamente diversi
che, nemmeno per errore, dovevano entrare in rotta di collisione,
neppure
attraverso la sua mente contorta.
Julian lo aveva
imitato e si era stravaccato scompostamente dall’altro
capo del divano.
«Non sto
scherzando, ragazzino. Che hai combinato? Io te lo dico, se
non me lo dici spontaneamente abbandonerò le simpatiche
vesti da cugino cazzaro
e assumerò quelle di una figura seria e responsabile. Che ti
manca, fidati»
Demian
inarcò un sopracciglio e impresse nella linea del suo
sguardo
obliquo tutto il suo scetticismo. Il cugino sostenne i suoi occhi per
poco, poi
le orecchie divennero rosse e fu costretto a deviare il volto,
smozzicando «Ok,
lo so benissimo che come figura di riferimento sono credibile quanto
Valeria
Marini Presidente del Consiglio. Però sono tipo…
il tuo migliore amico, no? Il
minimo che puoi fare è dirmi perché ti hanno
menato» si zittì un istante, poi
gli occhi gli si ingigantirono di sgomento «Non
sarà per una ragazza, vero?» esclamò
con troppa enfasi «Se è stato per una ragazza io
te lo dico, sei proprio un
coglione di quelli giganti! Cosa ti ho sempre spiegato? Una tira
l’altra! A te
serve solo un buco dove infilarti, il contorno è
relativo»
«Credibile,
detto da uno che sceglie solo strafighe assurde. Certo. Sei
rivoltante, risparmiami le tue stronzate»
Solitamente
condivideva tutto con Jules, anche se a
volte in maniera superficiale, eppure nel caso di Arianna non se
l’era sentita.
Ancora non aveva definito con se stesso quale sentimento ibrido
provasse per
quella ragazza, né che ruolo avesse intenzione di farle
occupare: la osservava
con il maggior distacco possibile, guardingo. Non si fidava di lei. Non
era
sicuro di apprezzarla.
Eppure, bastava
che inconsapevolmente Julian la
definisse un buco da riempire, per fargli provare il desiderio di
fargli
ingoiare i denti. L’indignazione che lo aveva pervaso doveva
essere visibile,
perché Julian si fece serio «Oh, cavolo»
«”Oh,
cavolo” cosa?»
«”Oh,
cavolo” sei già stato incastrato»
Demian si
accigliò «Se parlassi in modo comprensibile
potrei capire di che cazzo stai parlando, lo sai?»
«Ti
hanno già incastrato, è evidente. Porcaccia, chi
è? Spero almeno che sia bella, ma bella tipo che ne valga
davvero, davvero la
pena! Porcaccia» imprecò di nuovo, scotendo la
testa sconsolato «Ma da me non
hai imparato nulla?»
Demian
sentì un flusso di calore risalire sul viso e
scottargli le guance, seppe con imbarazzo puntuale di essere appena
arrossito
come un peperone «Nessuno ha incastrato nessuno! Smettila di
dire stronzate!»
urlò, sollevandosi istintivamente con il busto troppo
precipitosamente. Con un
lamento ricadde tra i cuscini e imprecò a denti stretti.
Julian lo fissava
incredulo, scuotendo lentamente la
testa, con una punta di amarezza risentita, quasi «Col cazzo,
sei
incastratissimo. Peggio di quando da bambino ti sei perso nel labirinto
degli
specchi e mi è toccato tornare dentro a cercarti. Sei
fottuto amico, stavolta
non ti posso venire a recuperare!»
Di fronte a quelle
accuse, Demian si sentì
mortificato.
Non
è
vero un cazzo, non posso più essere incastrato, mi rifiuto.
Sono indipendente,
non commetterò più un errore così
banale. Se ci cadi Dami, giuro che ti meno
Minacciarsi da
solo non era mai servito a troppo,
nella sua vita, eppure ci provava, talvolta, giusto per assicurarsi di
aver
tentato ogni via prima di fallire. Su questo punto però, su
Arianna e qualunque
tipo di “sentimento” avesse potuto nutrire, era
categorico: sapeva già fin
troppo bene che legarsi a qualcuno e schiantarsi a cento
all’ora contro un
guardrail era la stessa cosa, sapeva bene che dopo esserci caduto con
tutte le
scarpe, di lui sarebbe rimasto poco nulla.
Una carcassa
spolpata da una iena, era già successo,
aveva imparato.
Di
Annie apprezzo la compagnia. Solo questo e non sarà mai,
assolutamente, più di
questo. Posso accettare di riderci insieme, di vederla, non mi
piacciono le
persone ma lei non è male.
Da
“essere umano accettabile” a “qualcosa di
più”, di
acqua sotto i ponti ne passava anche troppa. Arianna era bella, solo
uno scemo
avrebbe potuto non notarlo o apprezzarla, ma la sua bellezza era fine a
se
stessa, come le scopate con Elena o quel discorso campato in aria con
il
cugino. Una distrazione di mezzo, dalla durata limitata.
Julian,
meditabondo, scrutava il tabacco della sua
sigaretta bruciare come se in quella voluta di fumo potesse scorgerci
il senso
dell’universo. Ad un tratto s’illuminò e
si lasciò sfuggire l’ennesima
imprecazione «È quella dei ritratti, vero? Altro
che “solo una musa» mimò le
virgolette con le dita «Tu te la sei fatta!»
«Non me
la sono fatta!» urlò di nuovo, salvo
pentirsene, perché la sua mancanza di contegno era solo
benzina sul fuoco con
suo cugino. Ed infatti, Julian si calcò in viso
l’espressione più falsamente
sconvolta che gli riuscì «Sei così
perso, e non te la sei nemmeno fatta? Dami,
le donne sono come i calzini, non puoi tenere sempre lo stesso
paio!»
Demian rimase
basito per qualche secondo, troppo
scioccato per assimilare realmente quell’uscita infelice.
Alla fine borbottò,
quasi per il principio di non farsi zittire e di dargliela vinta
«Neanche tu ne
cambi una al giorno»
Julian
roteò gli occhi «Ok, al giorno magari no,
però…
ecco: le donne sono come il latte»
Storse la bocca,
confuso «Cioè?»
«Scadono!»
disse con un’ovvietà irritante «Una
settimana al massimo. Di più e rischi di avere
un’intossicazione alimentare. È
una fregatura, finirai al guinzaglio! Questa qui da quanto è
in giro?»
In un attimo di
tentennante incertezza, Demian si
ritrovò sovrappensiero a fare i conti e a borbottare
«Credo un paio di
settimane… ma ci siamo visti solo due volte»
E
una
di quelle “due volte” ci ho dormito insieme, circa
Quello era
decisamente un dettaglio da omettere quando
si parlava ad un pervertito del calibro di Jules, che nel mentre aveva
perso
quattro tonalità di colore, tanto che Demian temette fosse
in brachicardia. Il
cugino scattò in avanti, gli afferrò il braccio
con la stessa disperazione di
un morto di sete e lo strattonò «Sei ancora in
tempo» sibilò.
Demian se lo
scollò di dosso con un gesto piuttosto
brusco e risentito.
«Sto
bene così» chiarì, e mise un leggero
broncio
infantile. Non gli piaceva, che il cugino gli parlasse in quel modo,
come se
gli stesse offrendo una via di fuga certa e lui stesse cercando una
scusa per
scappare. Non aveva motivo di allontanarsi da Annie, era tutto sotto
controllo.
Ora poi che i suoi le avevano comprato un cellulare, dopo la notte
fuori casa
che li aveva terrorizzati, poteva anche colmare il vuoto di attesa
mentre
aspettava che il suo aspetto fosse tornato nella media prima di
rivederla, sentendola
per messaggio. Pensò che non smentire Julian e fargli
credere di essere
accasato, potesse essere almeno una soluzione agli improponibili
appuntamenti
che cercava di propinargli. Inoltre, al momento era tanto concentrato
su
Arianna da aver scordato i segni del pestaggio che si portava addosso.
Il cellulare
appoggiato sul un cuscino iniziò a
vibrare. Non fece in tempo a tendersi per afferrarlo, Julian fu
più veloce e
glielo fregò sotto mano.
«Jules,
ridammelo» sospirò, ma il cugino rispose con
un sorriso sornione «Quindi sarebbe questa
“Annie”?»
Si
massaggiò gli occhi per contenere la crescente
irritazione «Seriamente, non mi va che…»
«Fammi
solo dare un’occhiata, giusto per capire quanto
sei impantanato»
«…
Jules»
«”Undici
uomini sulla cassa del morto e una bottiglia
di rum”» iniziò a leggere ad alta voce,
per provocarlo, ma s’interruppe quasi
subito e lo fissò confuso «Ma che razza di
messaggi ti ha mandato?»
«È
una fan di Sellers, e comunque non sono affari
tuoi. Restituiscimi il cellulare!» gli intimò, e
rimpianse di non potersi
muovere liberamente per strapparglielo di mano e lasciargli un occhio
nero di
ricordo, magari.
«Non per
essere fiscale, ma erano quindici, no?»
continuò imperterrito, ignorando la sua richiesta.
Tornò al telefono e riprese
a scorrere la lista dei messaggi ricevuti «”Ma come
pretendi che ce ne stiano
quindici?” beh, la sua obiezione ha un perché
però. Non ha senso, ma ha un
perché. “Beh, se ce ne stanno undici, ce ne stanno
anche quindici…”»
In imbarazzo,
Demian ingoiò qualunque senso di
autoconservazione e saltò letteralmente sulle spalle di
Julian, atterrandolo.
Si lanciarono in una breve colluttazione per il possesso del cellulare
e alla
fine, dopo essersi liberato di Jules facendolo ruzzolare poco
più in là, si
stese ansante con il suo bottino stretto in mano.
A Julian mancava
il respiro, smozzicò «Ma che problemi
hai?» tra un ansito e l’altro. Demian si mise a
sedere e gli lasciò uno
scappellotto poco delicato sulla testa «Che problemi hai tu.
Idiota! Chi ti ha
dato il permesso di leggerli?»
Il cugino
s’indignò «Mi aspettavo messaggi
erotici,
mica quella roba lì! Ti ha fottuto il cervello quella, ti
rendi conto di che
discorsi fate? Sei completamente andato, se le dai corda»
«Non
è vero» protestò debolmente,
appoggiando la
schiena al divano. Il fianco gli doleva per quell’ultima,
brillante
performance.
Spiegare che
Arianna era in grado di fare solo
discorsi completamente assurdi, senza capo ne coda era troppo
difficile,
richiedeva troppe parole. Non sapeva nemmeno come ci era arrivato, a
parlare di
Clouseau, né come poi i messaggi fossero degenerati
arrivando a toccare le più
inutili sciocchezze. E in realtà non gli importava capirlo,
si era divertito e
tanto gli bastava. A volte era pure riuscito a immaginare la faccia di
Annie tra
un delirio e l’altro, l’espressione concentrata e
seria ed il tono con cui
asseriva alcune verità per lei assolute e totalmente
insensate. Era poco
impegnativa, rilassante.
Julian aveva
ricominciato a sorridere, mentre si
rialzava da terra per tornare più comodamente a sedersi.
Aveva l’atteggiamento
indulgente di un adulto che stesse parlando con un bambino testardo.
«Ehi, se
questa ti ha davvero incastrato devi farmela
conoscere»
Non
riuscì a nascondere la smorfia scettica:
presentare una ragazza bellissima e ingenua in maniera irreale ad un
puttaniere
come Jules. Tanto valeva gettarla giù da un ponte sperando
che non si rompesse
una gamba o la testa. Il cugino lesse il sottinteso, perché
alzò le mani in un
gesto di resa «Non te la ruberò, se è
questo che ti preoccupa. Non ci proverò
nemmeno, giuro! Poi che me ne faccio di una che parla di casse da
morto? Me lo
affloscia in partenza. Di quel poco che ho letto l’unica cosa
interessante era
il rum!»
Se saltargli
addosso fosse stata ancora un’opzione,
Demian l’avrebbe fatto senza esitare, e l’avrebbe
picchiato ovviamente. Tanto.
Invece ingoiò il fastidio e sputò con piccato
orgoglio «Non mi importa cosa
farai»
Una parte di lui
avrebbe voluto difendere Arianna da
quel tristissimo discorso donna-oggetto.
Per qualche motivo che mai gli era stato chiaro, Julian non provava
interesse
per nessuna, né sentiva una qualche forma di rispetto a
priori per il genere
femminile, il che era paradossale, contando che la persona che il
cugino più
ammirava e adorava nella sua vita era proprio la cugina Isabeau.
Tuttavia,
questo doveva valere anche per lui, prendersi la briga di difenderla
significava darle un peso reale che non voleva avesse. Un errore simile
lo
aveva già commesso, era rimasto più che fregato
ed ancora gli toccava
incontrare l’oggetto della sua umiliazione a giorni alterni.
Non poteva
sopportare i legami, nemmeno se con lei era
semplice, se il suo sorriso diabolico riusciva ad ammaliare.
Era facile,
innamorarsi di una come Arianna quando
sorrideva in quel modo.
Era facile e da
stupidi, non sarebbe successo.
Scrollò
le spalle «Non so nemmeno se e quando la
rivedrò comunque, quindi fartela conoscere è
l’ultimo dei miei problemi»
bofonchiò e provò uno strano senso di sconfitta.
Sconfitto
da te stesso, benissimo. Non sai nemmeno tu quello che vuoi. Per
liberarti di
lei basterebbe passarla a Julian, ma ovviamente devi scegliere sempre
la strada
peggiore.
Annie era bella,
ma non andava bene per lei. Ad essere
del tutto onesti, era Arianna a non andare bene per lui,
l’aveva già capito da
un pezzo, c’era un’incompatibilità di
fondo che lo avrebbe massacrato. Solo che
si era confidato con lei, le aveva raccontato un sacco di stronzate,
aveva
condiviso la sua Sarah. In pratica, aveva già gettato il
ponte che non desiderava
esistesse, si era fumato il cervello proprio l’unica volta in
cui non si era
fatto una canna. Si era lasciato andare solo perché
l’aveva conosciuta nel
momento di maggior debolezza, il più sbagliato possibile.
E
poi
hai cercato di convincerti che fosse speciale, solo per non ammettere
con te
stesso di aver fatto la cretinata più allucinante della tua
vita.
Era
così ridicolo che gli sfuggi un sorriso «Comunque
non m’importa un cazzo di lei, quindi tieni le tue teorie da
psicologo fuori da
questa casa»
Julian scosse le
spalle e abbozzò un sorriso meno
spavaldo e divertito, a manifestare la sua rassegnazione.
«Sei un
caso perso, Dami. Non conosci neanche te
stesso, sei un dramma vivente»
Si
stizzì e arricciò il naso «Non
rompermi. E passane
una anche a me» ammiccò alla sigaretta,
l’ennesima, che Julian si stava
accendendo. Il cugino gli diede pacchetto ed accendino, senza
aggiungere nulla.
Quando
s’innervosiva, il sapore della nicotina al
primo tiro lo rilassava. Aveva sviluppato un bisogno morboso di fumare,
ne
odiava il sapore ma era dipendente dalla sensazione positiva che gli
restava
addosso. Non quella stupida necessità che nutrivano molti
ragazzini di quindici
anni di tenere una sigaretta in bocca per apparire più
grandi e fighi. Se
contava il tempo trascorso, aveva iniziato a fumare tra i dodici e i
tredici
anni e non aveva più smesso. Era una droga peggiore delle
canne: con quelle
poteva gestirsi, non creavano dipendenza. La mancanza di una sigaretta
invece
lo mandava in astinenza, consumava circa un pacchetto al giorno. Se non
lo
avessero ammazzato gli altri di botte, prima o poi l’avrebbe
fatto il cancro e
sarebbe stato il degno figlio di sua madre.
«Allora,
per cosa ti hanno ridotto così?»
Inclinò
la bocca in una smorfia ironica «Non ti eri
distratto?»
Julian
inarcò un sopracciglio con fare eloquente «Pensavi
davvero che mi sarei potuto distrarre sul serio?»
«Mi sono
intromesso negli affari di un ragazzino»
confessò, per tagliare la conversazione il prima possibile,
ma questo spinse
solo il cugino a sporgersi e guardarlo intensamente «Anche tu
sei un ragazzino»
Demian
rilasciò uno sbuffo di fumo e sorrise
sardonico. D’improvviso, si sentiva di nuovo vuoto. quella
parentesi di quiete
si era già consumata, aveva guastato qualcosa di bello,
nella sua testa, lo
aveva corrotto. Succedeva sempre così, demoliva tutto
ciò che di positivo
potesse capitargli e poi, successivamente, si sentiva annientato dalla
mancanza.
Una
come lei non ci fa nulla, nella vita di merda che conduco. Ed io non
posso
uscirne in alcun modo… nemmeno per qualcuno come lei.
«Vuoi
che resti a casa con te, stasera? Posso
rinunciare a Marta»
Non gli
sfuggì la vena malinconica, il sorriso appena
incrinato, la testa un po’ china, quasi rassegnata. Aveva
bisogno di Julian in
quella vita, ma non era un bisogno reciproco. Jules stava bene senza di
lui,
sembrava ferito ogni volta che provava a parlargli e questo aumentava
solo il disagio.
Non
ho
bisogno di lui stasera, ho bisogno di distruggermi
Di sfondarsi di
alcol, di spaccare la faccia a
qualcuno, di fumare e forse anche di qualcosa di più forte.
«Rinunceresti
ad un giorno per me? Hai solo una
settimana per fare centro, ricordi? Poi si cambia» lo
apostrofò ironico, e
Julian ampliò il sorriso e ritrovò
l’allegria «Già fatto. Con lei sono alla
fine della settimana, se no col cavolo che rinunciavo!»
Demian scosse
appena la testa «Vai pure e sbattitela. Ho
già un impegno stasera»
Con un sospiro,
Julian si alzò, gettò il mozzicone
della sigaretta fuori dalla finestra aperta dietro al divano, ne
osservò la
parabola in aria pensieroso.
«Allora
io vado» mormorò distrattamente. Poi si
voltò
a guardarlo «Con la mamma ti copro io, ma vedi di
ricominciare ad andare a
scuola il prima possibile, idiota»
Demian lo
seguì con gli occhi mentre raggiungeva la
porta d’ingresso e abbassava la maniglia con lentezza
esasperata, esitante. Il cugino
si bloccò, incrociò il suo sguardo e con una
serietà disarmante, che poco si
addiceva alla giovialità del suo volto, aggiunse
«Non fare altre stronzate,
Dami, o giuro che questa è l’ultima volta che
chiudo gli occhi e faccio finta
di niente. Vuoterò il sacco con Claire»
«Non lo
farai»
Le parole uscirono
spontanee, provocatorie, eppure sicure,
perché Demian lo sapeva, Jules non lo avrebbe mai tradito.
Nel bene e nel male,
Julian era dalla sua parte.
Lo vide serrare i
pugni, offeso «Cosa te lo fa
credere?»
«Tu lo
sai, che lì dentro morirei peggio che qua
fuori, da solo»
Era la
verità: non sarebbe mai sopravvissuto nella casa
della zia, con Claire, Lorenzo, Sarah ed il fantasma di maman come una
spada di
Damocle sopra la testa. Nessuno lo sapeva meglio di suo cugino, ed
infatti, in
un moto di consapevolezza Julian abbassò gli occhi,
sconfitto.
«Lo
credevo anche io» mormorò «Ma non sono
più sicuro
che tra il “qua” e il
“là” ci sia differenza ormai»
Demian sorrise,
una piega morta e fredda del viso
congestionato. Aspirò un’altra boccata di fumo e
lo congedò «Dà un bacio a
Sarah da parte mia»
***
Urla, risa, fumo.
Musica.
In una parola:
Edoné.
Quello era il
locale preferito di Nicolas, dove tutti sapevano di
poterlo trovare, perché Nico era sfuggente a tratti, la
figura mitologica degli
ambienti più malfamati, il pusher di cui tutti parlavano,
difficile da
incontrare e tanto mitizzato da risultare impossibile, ma al bere e
alle donne
non ci sapeva rinunciare, così come alla coca.
Confuso dalla
troppa vodka ingerita che sfasava la sua vista già
deteriorata,
Demian barcollava fra quella massa di corpi che saltava al ritmo di
musica, urtandolo
fin quasi a buttarlo a terra. C’era un nuovo gruppo che
suonava un metal
cattivo, aggressivo, sicuramente scandinavo. Il casino era tale che era
impossibile capire qualcosa, anche solo le parole della canzone che
parevano,
alla sua mente offuscata, strani latrati. Il costato continuava a
dolergli, ma
l’alcol che gli scorreva nelle vene aveva reso tutto leggero
e vaporoso e niente
era a fuoco, a causa anche del fumo colorato che veniva rilasciato
sulla pista,
s’innalzava nell’aria e fondeva le sagome in
un’unica, grande massa pulsante di
vita.
il cuore pompava
il sangue a tempo con la musica.
In un moto di
lucidità riuscì finalmente ad individuare il
tavolo che
Nicolas occupava abitualmente, circondato da poltrone usurate e bagnato
da una
luce appannata. Sul muro erano appesi vinili originali di vecchi gruppi
Rock
del passato, Demian una volta li aveva studiati e aveva riconosciuto
qualcosa dei
Pink Floyd e Phisical Graffiti dei Led Zeppelin, roba forte e sprecata
in quel
mare di persone strafatte e inconsapevoli.
Il suo amico era
stravaccato su una poltrona a gambe divaricate, con un
braccio a cingere le spalle di una ragazza parecchio disinibita e
disponibile,
completamente spalmata sul suo petto, il sorriso sciolto in una risata
languida. Stava
fumando e gli bastava
vedere l’espressione divertita sul suo viso per sapere che
non era una
sigaretta. Nell’ altra mano stringeva un bicchiere mezzo
pieno di un qualche cocktail
che ad ogni movimento inconsulto minacciava di rovesciarsi sulla sua
accompagnatrice
di turno. Accanto c’era Alex, capelli rasati e
l’immancabile piercing al
sopracciglio, un sorriso stranamente ebete e gioviale per i suoi
standard;
Andrea non si era fatto la barba, aveva un pizzetto imbarazzante e
l’aria di un
orso, accentuata dai capelli crespi troppo lunghi e unti che gli
ricadevano
sulla fronte, in un’inestricabile rete. Tra tutti, si
sentì sollevato nel ritrovare
Davide tra i presenti: con quell’aria da sfattone, la felpa
enorme e la cresta
biondissima sparata in aria con il gel, la testa rasata ai lati,
restava l’unico
che avesse voglia di vedere.
E
almeno non c’è quel rompipalle
di Teo
«Dem!»
urlò Davide da lontano, saltando in piedi ed agitandosi come
un
ossesso per attirare la sua attenzione. Nico lo vide,
allontanò la ragazza in
modo poco gentile e si alzò per andargli incontro. Era
allegro, a giudicare
dall’odore già parecchio alticcio, e lo
afferrò senza tanti complimenti per il
collo, costringendolo ad abbassarsi. Con la testa incastrata sotto il
suo
braccio, Demian sentì le nocche del pugno di Nico sfregare
dolorosamente contro
la cute.
Scoppiò
a ridere, nonostante il bruciore che gli inumidì gli occhi.
«Piccolo
stronzetto ingrato, che fine avevi fatto?» urlò
sopra la
musica, trascinandolo dagli altri. Non lo fece rispondere,
gridò ancora «Ehi,
idioti! Guardate chi si è deciso a tornare!»
Alex distolse
l’attenzione dalla ragazza che stava civettando con lui,
Davide sorrise raggiante e gli porse subito il pugno che Demian
colpì con il
suo.
«Che
fine avevi fatto, amico? E poi, cazzo ti è successo? Sembri
finito
sotto un treno!»
Alex anche, si
sollevò e gli porse il pugno in segno di saluto
«Hai
fatto rissa senza di noi? Spero per te che gli altri siano messi peggio
di
quanto non lo sia tu, o ci farai fare brutta figura»
Dem
sollevò le spalle con noncuranza
«L’altro ha il naso rotto, direi
che siamo pari»
Dave, come un
criceto iperattivo e strafatto gli scrollò il braccio
«Sei
nei guai, Teo vuole farti nero!»
«Già.
Non te la farà passare liscia tanto facilmente»
commentò Andrea lugubremente,
aprendo bocca per la prima volta. Il suo pessimismo cosmico ai limiti
del leopardiano
e il suo malumore costante lo rendevano indigesto, per cui Demian non
sapeva
mai come rapportarsi a quel malumore e finiva con il tacere. Andrea non
si era
mosso, non l’aveva salutato, era rimasto seduto con la sua
birra in mano e gli
occhietti acquosi annebbiati. Intervenne però Nicolas, che
lo costrinse ad abbandonare
la sua perplessità per sedersi accanto a lui «Non
ti toccherà, non corri
rischi. Sei un piccolo bastardo fortunato!»
La ragazza che
fino a quel momento si era trovata in uno stato di
adorazione assoluta per Nico, fu costretta ad allontanarsi e lo fece
senza
nascondere la propria stizza. Ora fissava Demian con l’odio
più assoluto.
«Il
minimo che puoi fare è dirmi perché cazzo sei
sparito nel nulla. Non
vorrai abbandonare il giro, spero!»
Come
se lasciarlo fosse tanto
semplice
Nicolas a volte lo
trattava davvero come un bambino, ed era assurdo, paradossale
considerando il soggetto in questione. Il resto della combriccola lo
fissò con vivo
interesse, fatta eccezione per Andrea che era tornato alla sua birra ed
era concentrato
sul liquido ambrato.
«Le
solite cose. Sai di che parlo» urlò sopra la
musica martellante che
copriva ogni voce ed ammiccò a Nico perché
cogliesse l’antifona. Il ragazzo
sorrise quasi complice e si sporse verso di lui in modo che solo loro
due
potessero sentire «E come sta la bambolina?»
«Sta
bene, aveva solo qualche esame» mentì.
Ogni volta che
necessitava di prendersi del tempo da quel gruppetto,
usava Sarah come alibi. Nico la conosceva di nome e di vista, non le
aveva mai
parlato ma sapeva a grandi linee la situazione e quindi, se la citava,
subito
si ammorbidiva.
«Se
è per lei sei sempre giustificato. Adoro quella bambolina,
è
bellissima»
«Smettila
di parlare di lei così, sembri un vecchio
pederesta!»
Nicolas
scoppiò in una risata sguaiata ai limiti
dell’animalesco, ma
aveva gli occhi più buoni quando parlava di Sarah,
più normali. Forse, perché anche
lui aveva avuto un fratellino che però era morto in un
incidente quando aveva
sette anni. Lo avevano investito, e Nico non aveva mai davvero superato
quella
perdita. Era il suo demone. Tutti lì avevano un demone,
persino Davide, in
apparenza il più tranquillo e sereno. Macerie su cui, per
qualche motivo, non
riuscivano a ricostruirsi una vita.
«Dovrai
farmela conoscere, prima o poi!»
«Non se
ne parla proprio. Saresti un trauma a vita!»
Ma
come può anche solo venirti
in mente che io possa mettere la mia Sarah in contatto con uno
psicopatico
cocainomane? Con l’ultima riga ti sei aspirato pure il
cervello!
«Nico,
ne vuoi?»
Alex
richiamò il ragazzo porgendogli un piattino con quattro
strisce bianche,
come a rimarcare il pensiero che lo aveva appena sfiorato. Nicolas
sorrise
ferino, prima di chinarsi ed aspirarne una con un suono strano simile
ad un
risucchio. Arricciò il naso, lo sfregò con la
mano, tentò di passargli il
piatto in un gesto abituale che Demian, come sempre,
declinò. Aveva provato
diverse schifezze nella sua breve esistenza: non aveva mai disdegnato
il fumo e
gli acidi. La cocaina però, restava un grande
tabù non ancora infranto,
nonostante tutto.
Lui e Davide erano
gli unici puliti su quel versante, si spaparanzarono
malamente su un divanetto e si passarono una canna. Con
l’effetto del fumo,
ogni pensiero eccessivamente complesso e negativo svaporava, si
ritrovava con l’amico
a parlare di discorsi importanti come l’Amazzonia che era il
polmone della
terra, o l’estinzione dei tonni. Cose senza senso che lo
liberavano dal
malessere.
Voleva lasciarsi
andare quella sera, completamente, senza remore.
Voleva dimenticare
tutto quello che gli aveva detto Jules, che Sarah
avrebbe dovuto incontrare maman presto o tardi, che il futuro si
presagiva uno
schifo. Scordare ogni cosa, compresa la sua irremovibile decisione: che
Annie
non faceva per lui, che lui non faceva per lei.
Se
per farlo serve della vodka…
ne butterò giù tutta quella necessaria.
NOTE AUTRICE
Chi non muore si
rivede! Sono molto impegnata, ma la storia non è
sospesa… così, giusto per farvi sapere che non ho
abbandonato il progetto
nonostante l’attesa secolare tra un capitolo e
l’altro!
A presto!