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Autore: _Lisbeth_    29/08/2018    0 recensioni
Lei era magia ed era arte. Ed era musica e poesia, ed era mille colori, era milioni di arcobaleni. Era bellissima.
. Disegnare è un metodo alternativo alle fotografie. E anche più economico. – rispose Babette, tornando a concentrarsi sul disegno. Rolf annuì, in silenzio, abbozzando un sorriso per ciò che aveva detto la ragazza. Si piegò ad allacciarsi la scarpa, alzando poi lo sguardo sull’altissima torre, per poi spostarlo sul disegno di Babette. – Sai… l’unica differenza che noto, è che la tua torre non arriva a 368 metri di altezza.
Babette sorrise, spostando lo sguardo sul ragazzo. – Oh, be’. Al momento non ho un foglio abbastanza grande per renderla così alta, ma… ti ringrazio
Rolf rise appena, allungando una mano verso di lei. – Rolf.
La ragazza lo guardò, aggrottando la fronte al gesto affrettato, ma stringendo quella mano in risposta. – Babette.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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How long was to wait for you? – Rolf x Babette.
 
20 Luglio ’62: Alexanderplatz, Belino Ovest.

Lei era magia ed era arte. Ed era musica e poesia, ed era mille colori, era milioni di arcobaleni. Era bellissima. Era seduta lì, sulla panchina, le gambe accavallate sotto al vestito giallo così adorabile, che la rendeva ancor più graziosa. I capelli castani erano tenuti su dai fermagli verdi, che lasciavano però cadere dei ciuffi ai lati delle sue guance. La pelle era chiara, le lentiggini erano un po’ ovunque, su viso, braccia, collo, gambe. Tra le mani aveva un blocchetto, su cui stava disegnando. Di tanto in tanto, alzava lo sguardo per guardare, probabilmente, ciò che stava disegnando.
Rolf non era berlinese. Era nato e cresciuto ad Amburgo, ma era scappato. Quel posto non faceva per lui, e voleva sfuggire dalla sorte di militare che lo aspettava. Berlino era ciò che lui dalla vita più desiderava, una grande metropoli in cui c’era rumore e c’era gente, gente vera, gente diversa da quella che aveva visto e con cui aveva vissuto per ventiquattro anni. E ora era lì, finalmente.
Anche Babette era scappata, a ventidue anni. La differenza era che lei fosse fuggita da Berlino Est, grazie all’aiuto di Bertrand. Il padre del bambino che era nel suo grembo, che da due mesi era in prigione per ciò che aveva fatto per lei. Babette non si era mai sentita in colpa per il ragazzo. Sapeva quanto lui la amasse e sapeva ciò che Bertrand avrebbe fatto per lei, anche se aveva cercato di impedirglielo. Anche lei lo amava, nonostante tutto, e le mancava davvero. Non immaginava come avrebbe fatto a crescere il figlio senza di lui, e sperava che, un giorno, l’amato potesse tornare.
Babette era un’artista con l’aria di chi amava la vita. E Rolf, un cinico e diffidente amburghese, si sedette accanto a lei.
- Cosa disegni?
La ragazza sobbalzò leggermente, sollevando lo sguardo dal foglio e guardando la persona che non aveva sentito arrivare. Era un ragazzo che doveva avere l’età di Bertrand, due o tre anni più di lei. Alto, con la pelle chiara e i capelli scuri. Aveva la barba e gli occhi azzurri.
- Il Fernsehturm. Disegnare è un metodo alternativo alle fotografie. E anche più economico. – rispose Babette, tornando a concentrarsi sul disegno. Rolf annuì, in silenzio, abbozzando un sorriso per ciò che aveva detto la ragazza. Si piegò ad allacciarsi la scarpa, alzando poi lo sguardo sull’altissima torre, per poi spostarlo sul disegno di Babette. – Sai… l’unica differenza che noto, è che la tua torre non arriva a 368 metri di altezza.
Babette sorrise, spostando lo sguardo sul ragazzo. – Oh, be’. Al momento non ho un foglio abbastanza grande per renderla così alta, ma… ti ringrazio
Rolf rise appena, allungando una mano verso di lei. – Rolf.
La ragazza lo guardò, aggrottando la fronte al gesto affrettato, ma stringendo quella mano in risposta. – Babette.
Parlarono di tutto: di Amburgo, di Berlino Est, dell’arte, di sport, e di quanto a entrambi piacesse Bob Dylan. Babette era stata indirizzata alla musica dal padre, mentre Rolf aveva scoperto tutto da solo. E Rolf, in quel momento, stava scoprendo anche cosa volesse dire perdersi negli occhi di qualcuno che sembrava essere magia. Che sembrava essere quell’arte di cui lei stessa parlava, la cui voce sembrava più bella delle note di cui parlava, e il cui sorriso assomigliava a qualcosa di indescrivibilmente meraviglioso. Si era perso in quegli occhi castani, cercava di contare anche ogni più piccola lentiggine su quel corpo chiaro. Nessuno lo aveva mai attratto in quel modo.
E Rolf non ci pensò più di tanto, quando si avvicinò a lei, con l’intenzione di chiudere la distanza che stava separando le loro labbra. Sembrava tutto strano, era convinto di star facendo la cosa giusta, ma…
- Che cavolo fai?! – strillò Babette, spingendolo appoggiando le mani sul suo petto.
Quel gesto l’aveva confusa ed era stato abbastanza per farla infuriare. Sconcertata e sconvolta si alzò dalla panchina tenendo il blocchetto sotto al braccio e infilando la penna nella borsa, che si lanciò sulla spalla, indignata. Si allontanò in fretta e furia, sentendo subito dopo la voce di Rolf chiamarla.
- Io… Scusami, mi dispiace! Babette!
La ragazza si girò, guardandolo con occhi di fuoco. – Che diavolo ti è saltato in mente?! Tu mi conosci da nemmeno due ore, io sto aspettando un bambino e… E tu… Oh, cavolo! – sbraitò girandosi nuovamente, intenzionata ad andare via.
Rolf sospirò, osservando la ragazza andarsene. Che gli era saltato in mente? La conosceva appena. E lei era… Incinta. Era stato un idiota, e che stava facendo? Invece di pensare alla sua dignità che era completamente andata a quel paese con quella ragazza, pensava al fatto che lei fosse incinta. Che diamine gli stava succedendo? Non avrebbe mai e poi mai reagito in quel modo.
- S-sei i-in… - balbettò. Babette era abbastanza vicina da riuscire a sentirlo. – Sì, lo sono. E ora non farti più vedere, maniaco che non sei altro!
Rolf si sentì ancora di più un verme. Un vero e proprio verme che striscia insieme alla sua dignità stessa.
- Babette, io… Mi dispiace.
- Ho detto di sparire, è chiaro? – Il volto della ragazza era sconvolto e deluso.  Un po’ come il suo. Solo che lui era deluso da se stesso. Annuì soltanto, sospirando e voltandole le spalle, ritornando a casa. Mentre Babette lo guardava allontanarsi. Scuotendo la testa, con un’espressione delusa in volto. Allontanandosi, a sua volta, anche lei.
 

14 novembre ’62: Stazione di Postdamer Platz, Berlino Ovest.
 
Rolf entrò nella metropolitana sedendosi sulla panca più vicina, sospirando e posando il suo zaino sulle gambe, guardando davanti a sé incrociando le braccia al petto. Quella giornata era stata un vero disastro. Al bar in cui lavorava avevano lavorato poco e niente, mentre nella palestra era arrivato un idiota di nome Chris. Un vero nullafacente montato. Non aveva voglia di tornare a casa, però ci voleva. Viveva in un appartamento in affitto a Kreuzberg, completamente da solo. Ma se la sbrigava, con o senza qualcuno con cui condividere una casa. Però… Gli sarebbe piaciuto, aver qualcuno.  E, beh, per ironia della sorte, qualcuno entrò proprio in quel vagone. La gonna lunga e azzurra, il maglione bianco e la giacca aperta marrone. I capelli cadevano appena sulle spalle, la frangia davanti alla fronte copriva le lentiggini che si trovavano sparse anche lì. Babette.
Aveva riconosciuto quegli occhi enormi e castani, quella pelle chiara costellata di lentiggini. Quello sguardo attento e tranquillo allo stesso tempo, quella pancia che sporgeva per la vita che ci stava crescendo all’interno.
- Siediti qui! – disse, senza pensare. Era l’unico posto libero, e nessuno si era fatto avanti per far sedere una ragazza incinta. Babette lo guardò, sorridendo e scuotendo la testa quando lo riconobbe. – Rolf.
Il ragazzo era stanchissimo, dopo tutto ciò che era successo quella mattina, ma non gli importava. Oltre a essere una ragazza in gravidanza, era anche Babette. E, sì, era solo una ragazza che aveva conosciuto pochi mesi prima, ma incontrarla di nuovo, dopo la pessima figura che aveva fatto con lei la prima volta, era, a parer suo, bellissimo.
Il posto accanto a lei si liberò dopo poco, e i due ne approfittarono per chiacchierare.
- Quindi, tu abiti a Steglitz.
- Sì, da sola. Beh… Non proprio – sorrise, accarezzandosi la pancia. Rolf annuì, sorridendo – Scusami, forse sono indiscreto, ma… Avete deciso il suo nome?
Babette fece un cenno di assenso – Thaddeus.
Rolf fece una smorfia, facendo in modo di non darlo a vedere. Quel nome era orribile. – Oh, beh… Davvero un bel nome!
- Lo ha… Scelto suo padre. – disse Babette, sospirando. Sembrava insicura. – Vedi, ecco… Bertrand è in prigione. E… Mi ha lasciata. Dandomi ogni colpa.
Rolf aggrottò la fronte. – Scusami, io sono completamente una frana quando si parla di famiglia, amore e… Cose così, ma… Non mi sembra che chiamare tuo figlio come voleva la persona che ti ha lasciata. Ma… A parer mio, puoi fare ciò che vuoi. Ehi, cosa studi? – lo sguardo del ragazzo si posò sul libro che aveva tra le mani la ragazza. Babette lo tirò su, guardandolo. – Oh, questo? E’ un libro sulla scultura attica del quarto secolo.
Rolf sbatté le ciglia, annuendo. – Hai uno scultore preferito?
- Timotheus.
Rolf aggrottò la fronte sorridendo – Perché? Ce ne sono tanti altri che erano migliori di lui.
- Ah, sì? E questo chi lo dice? Mi piace proprio per questo. Perché è raro che qualcuno lo preferisca ad altri. Mi piacciono le sue sculture.
- Bel modo di stabilire le tue preferenze – sorrise Rolf.
- E’ unico. Ecco perché.
- E allora se è…
- Timotheus!
- Sì, è di quello che stiamo parlando.
- No, no. Ecco come posso chiamare il bambino. Timotheus. – disse Babette, sorridendo. Rolf rise – Mi sembra venti volte meglio di Thaddeus, come nome.
Sulle guance di Babette si allargò un sorriso, che formò due fossette ai lati delle sue labbra. Poi, guardò le fermate e si accorse di una cosa. – Rolf, abbiamo sorpassato Kreuzberg!
- Me la farò a piedi. – rispose il ragazzo, sorridendo e sentendo poi annunciare la fermata di Steglitz. Aiutò Babette a scendere, uscendo con lei. Si fermarono davanti ad un edificio piccolo e scuro, dove abitava Babette. La ragazza si girò verso Rolf, sorridendogli, allungando il libro verso di lui. – Tieni.
Rolf non era sicuro di aver sentito bene. – Come?
- Tieni. Su, è un regalo. Mica veleno per topi.
- E’ tuo…
- E allora? L’ho finito, non serve più. Mi hai aiutato a scegliere, dopotutto. – disse sorridendo mentre Rolf prendeva il libro dalle sue mani ringraziandola.
Si erano salutati, e Rolf stava per tornare a casa. Quando, d’un tratto, non sentì la ragazza urlare il suo nome. – Rolf!
Si girò, con aria interrogativa. Babette gli fece cenno di raggiungerla, e così Rolf fece. Si sentì prendere entrambe le mani, mentre, veloce come un gatto, Babette appoggiava le labbra sulle sue. Il ragazzo spalancò gli occhi, stupito, per un attimo. E subito dopo fu magia. E subito dopo fu poesia, e arte. Come era Babette.
 

12 Febbraio ’63: Steglitz Klinikum, Berlino ovest.
 
- Ciao, Timo. - La ragazza strinse il bambino al petto, sorridendo e accarezzandogli la testolina, sulla quale potevano intravedere dei ciuffetti biondi. Gli occhi, sotto le palpebre chiuse, erano enormi. Quando lo avevano pesato, era ben quattro chili e mezzo. Sarebbe stato un ragazzo forte e tenace, un bambino energico e vivace. Lo sapeva, lo aveva immaginato dalle urla che aveva fatto quando lo avevano tirato fuori. Era suo figlio, dopotutto. Suo e… Di Bertrand. Probabilmente il padre non lo avrebbe visto crescere, non lo avrebbe forse mai visto in ogni senso. Sospirò, lasciando un bacio sulla fronte del bambino che, forse, avrebbe dovuto crescere da sola.
Però c’era Rolf. Rolf le era sempre stato accanto, in quei mesi. Non c’era stato giorno in cui non l’avesse aiutata, l’aveva portata in ospedale, ma per rispetto nei suoi confronti era rimasto fuori, durante il parto e dopo.
Babette vide dei fiori spuntare da dietro alla porta. Scoppiò a ridere, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo. – Ma chi sarà mai!
Rolf si affacciò sorridendole, chiedendole timidamente il permesso per entrare nella stanza. Lei annuì immediatamente, facendogli spazio sul letto accanto a lei. Rolf si sedette, guardando quel fagottino azzurro tra le braccia della sua ragazza, ridendo mentre allungava una mano per prendere quella del bimbo. - E così finalmente ci conosciamo, Timo.
Babette sorrise, porgendogli il bambino. Rolf era confuso. Gli stava facendo prendere in braccio suo figlio? Il figlio di Bertrand? Un bambino non suo? Il suo cuore mancò un battito, quando la ragazza sussurrò le parole più belle e che più gli facevano onore che potesse sentire.
 - Timo, questo è papà.
   
 
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