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Autore: TripelR    29/08/2018    0 recensioni
Spazio, circa duemila anni prima della nascita di Freezer.
L'Impero, talmente grande e potente da non avere un nome, si è appena ripreso dopo decenni di sanguinosa guerra civile. La nuova famiglia regnante sembra unita e capace, ben decisa a consolidare ed espandere ulteriormente il proprio dominio nell'universo conosciuto. Nel corso degli anni, però, le loro Altezze Imperiali dovranno affrontare i fantasmi del proprio passato e, soprattutto, se stessi.
Genere: Avventura, Azione, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cooler, Freezer, Re Cold
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Ice - Cronache dell'Impero dei Ghiacci

1. Origine
< Vostra Maestà, vostra Maestà! > gridò un servo, raggiungendo trafelato l’Imperatore. < Sua Maestà l’Imperatrice ha partorito! È un maschio! >
Blizzard distolse lo sguardo dalla neve che stava cadendo leggera dal cielo cupo.
< Grazie! > rispose l’uomo. < Andrò subito a vedere mio figlio. >
L’Imperatore percorse a passo svelto il corridoio porticato che lo separava dalla stanza in cui sua moglie aveva partorito. Quando entrò dentro, fece cenno alle serve e all’ostetrica di uscire.
< Come stai, Frøya? >
< Sono solo un po’ stanca, ma mi riprenderò. > replicò la donna, porgendo il neonato che stringeva tra le braccia al marito. < Ma guarda, è nostro figlio! >
< Non mi assomiglia per niente. > notò con disappunto Blizzard. < Ha ripreso tutto da te. >
< Dai, non fare così. > lo consolò Frøya. < Che nome gli daremo? >
< Fuori sta nevicando, che ne dici di Snower? >
< Snower… mi piace! >
In quel momento, tre persone fecero il loro ingresso nella stanza.
< Blizzard, fratello! È un maschio o una femmina? > domandò un uomo, che aveva le placche caratteristiche della sua specie di un limpido colore azzurro.
< Ah, ho vinto io, Kryo! È un maschietto sano e forte! > lo canzonò l’Imperatore.
< Cambieranno mai, Nivea? > chiese la donna che aveva partorito a quella appena entrata.
< Direi di no. > sorrise l’altra, invitando poi la bambina che teneva per mano ad avvicinarsi all’Imperatrice. < Dai, Kylmä. Saluta tua zia! >
< C-ciao, zia Frøya. > salutò la bambina. < Posso vedere il bambino? >
< Ma certo, cara! > replicò l’Imperatrice, che voleva bene a sua nipote quasi come se fosse sua figlia. < Blizz! Fai vedere Snower a tua nipote. >
L’uomo sorrise, avvicinandosi alla bambina.
< È così piccolo… > osservò stupita Kylmä.
< Anche tu eri così, una volta! > le disse la madre, accarezzandole i capelli chiarissimi che le scendevano fin quasi all’attaccatura della coda.
< Vuoi tenerlo in braccio? > chiese l’Imperatore a sua nipote, che stava guardando il bambino con uno sguardo adorante.
< Eh?! Posso tenerlo?! > esclamò la bambina, mentre Blizzard le metteva il piccolo Snower tra le braccia.
< Credi che andranno d’accordo? > domandò Nivea all’Imperatrice.
< Lo spero, sorella mia. > replicò lei. < Lo spero. >
 
I tre bambini si rincorrevano nella neve, sotto lo sguardo attento dei loro fratelli maggiori. Kylmä aveva ormai altri interessi, piuttosto che giocare a palle di neve. Seduta comodamente all’ombra di un gazebo, con alle spalle una silenziosa cameriera pronta a esaudire qualsiasi richiesta della padrona, stava chiacchierando con suo cugino, nonché suo migliore amico, Snower. Era più piccolo di lei, e non solo d’età. Il figlio di Blizzard, infatti, aveva dimostrato sin da piccolo di non essere in grado di gestire la smisurata energia caratteristica della loro specie: l’Imperatore aveva allora insegnato a suo figlio a controllare la propria forza, raggiungendo uno stato depotenziato. Snower odiava le piccole corna nere, appuntite, che gli spuntavano dai lati della testa in quella forma. Avrebbe voluto essere alto come il padre, ma per ora non gli era permesso di mantenere il suo aspetto originale. Un piccolo ki blast lo colpì in volto, facendolo sussultare.
< Chi è stato? > chiese la ragazzina, fulminando con lo sguardo i piccoli.
< È stato Polar! > rispose subito la piccola Siviria, che aveva paura di finire in punizione, subito appoggiata da Leng, la sorellina di Snower.
< Polar! > tuonò Kylmä con voce stridula. < Chiedi immediatamente scusa a Snower! >
Il figlio dell’Imperatore sorrise, grattandosi il punto in cui era stato colpito.
< Non ce n’è bisogno, sono solo bambini. E poi sei ancora deboluccio, non mi hai lasciato nemmeno un graffio! >
< Uffa! Prima o poi diventerò abbastanza grande così potrò difendere mia sorella da te! > protestò Polar, assumendo un’espressione imbronciata.
< Ehi, stai tranquillo. > replicò Snower, dandogli una pacca sulla testa. < Non potrei mai farle del male. >
Kylmä arrossì. Le sue mani iniziarono a toccare le punte dei capelli chiarissimi, arricciandole intorno alle dita. Lo faceva sempre quando era nervosa. Non sapeva perché, ma quando era con Snower provava spesso quella sensazione. A toglierla dall'imbarazzo fu Kuuti, servo personale di Snower, accorso lì dall’interno del Palazzo.
< Vostre Altezze, Sua Maestà l’Imperatore richiede la vostra presenza immediatamente. > annunciò il grassoccio omino, riferendosi a Snower e Kylmä.
< E noi che facciamo? > chiese Leng, indicando se stessa, Polar e Siviria.
< Voi potete restare qui a giocare! > le annunciò suo fratello Snower. < Visto che sei la più grande dovrai controllare tutti quanti, mi raccomando! >
< Ci penso io! > esclamò orgogliosa la bambina, mettendosi le mani ai fianchi in segno di sicurezza.
“Mio padre? Cosa vorrà proprio ora?” pensò il figlio dell’Imperatore, incamminandosi con l’amica dietro il tozzo Kuuti.
Aveva smesso di nevicare e un sole incerto faceva capolino da dietro le spesse nubi. Quel tempo gli metteva allegria. Guardò con la coda nell’occhio Kylmä che, imbarazzata, stava tentando di sistemarsi i capelli e il vestito con l’aiuto della cameriera che le correva dietro.
< Non poteva avvisare prima, lo zio? > si lamentò la ragazzina. < Pris, aiutami ti prego! >
Dopo qualche minuto raggiunsero la stanza in cui li attendeva l’Imperatore. Con Blizzard, ad aspettare principe e principessa c’erano anche l’Imperatrice Frøya e i genitori di Kylmä.
< Madre? Padre? Che ci fate anche voi qui? > chiese stupita la ragazzina.
< Snower, Kylmä. Ascoltateci bene. > esordì l’Imperatore. < Sapete bene che in quanto membri della famiglia imperiale avete molte responsabilità. Una di queste è non considerare il matrimonio come una scelta libera. >
“Uh, ecco dove voleva andare a parare!” pensò Snower roteando gli occhi.
< Siete cresciuti abbastanza da poter sapere come stanno le cose. > continuò Kryo, rivolgendosi poi a Kylmä. < Tu, figlia mia, sei stata promessa fin dalla tua nascita all’Erede al Trono. >
Colta da un fremito, la ragazzina cercò subito gli occhi di Snower. Lei era rimasta scioccata dalla notizia, ma in qualche modo le sembrava una scelta logica, la degna continuazione di quella che era stata la sua vita fino a quel momento. Era una scelta che l’avrebbe resa felice, pensò sorridente. Negli occhi dell’erede, tuttavia, ombre scure sembravano voler negare quell’eventualità. Dovette essere solo un’impressione, perché Snower le mostrò immediatamente i suoi denti bianchissimi e il pollice della mano destra dritto all’insù.
< Abbi cura della tua futura sposa, Snower. > sentenziò infine Blizzard, l’Imperatore.
 
Faceva un caldo insopportabile su quel dannato pianeta.
< Devi farti le ossa. > gli aveva detto il padre, ordinandogli di servire nell’Esercito Imperiale per un anno, come soldato semplice.
E ora era lì, su quel pianeta rovente che sembrava perennemente sul punto di essere divorato dalla stella attorno alla quale orbitava vorticosamente. Lui e i suoi commilitoni erano in formazione, in attesa degli ordini del loro comandante. Costui era un inetto che aveva ottenuto la carica solo perché un suo antenato aveva combattuto nella Grande Guerra dalla parte di Blizzard e le sue azioni lo stavano dimostrando ogni giorno. Uno dei motivi per cui Blizzard aveva ordinato al figlio di arruolarsi come soldato semplice, è che in quel modo avrebbe capito che non è la forza a risolvere i problemi, ma il modo in cui la gestisci. Quel pianeta, ricco di giacimenti minerari, non avrebbe fruttato niente se fosse stato distrutto. Allo stesso modo, una popolazione viva sarebbe stata una valida forza lavoro o, alla peggio, una sicura fonte di guadagno se tratta in schiavitù e venduta. Come già detto, però, il comandante era un inetto che non riusciva a tenere a bada gli istinti dei suoi uomini. I soldati che componevano l’Esercito Imperiale venivano dai pianeti più disparati della galassia, ognuno con la propria cultura e le proprie tradizioni. Tradizioni che spesso sfociavano in atti selvaggi a danno delle donne delle città conquistate, alimentando ancora di più l’odio degli indigeni per l’esercito invasore. In quella guerra però, la sola presenza di Snower, l’erede al trono, era bastata a mettere in riga tutti quanti. E quando, durante una frugale cena, aveva commentato che lui non avrebbe mai attaccato donne o bambini, tutti si guardarono bene dal contraddire con le loro azioni le sue parole. Se la presenza di Snower aveva salvato la disciplina, lo stesso non si poteva dire della strategia. Il comandante aveva ordinato di avanzare, senza fermarsi troppo in una città e ben presto il nemico aveva iniziato a fare terra bruciata durante la sua ritirata, asserragliandosi infine a ridosso dell’equatore, dove le temperature proibitive avrebbero scoraggiato gli invasori a proseguire. L’Esercito Imperiale li aveva inseguiti fino alle loro estreme fortezze e ora si trovava con le scorte di acqua e cibo che si assottigliavano sempre di più. Stremato dalla fatica e irritato dall’indecisione del comandante, Snower concentrò lo sguardo sulle possenti montagne che proteggevano il nemico. Erano furbi, quegli alieni. Sapevano che il deterrente per la sopravvivenza del loro pianeta erano le miniere, e dove avevano costruito i loro ultimi baluardi difensivi? Esattamente in mezzo ad esse. Quella volta, pensò il figlio dell’Imperatore, non se la sarebbero cavata semplicemente polverizzando ogni cosa. I suoi pensieri si rivolsero poi a Kylmä.
 
A migliaia di anni luce di distanza, la promessa sposa dell’Erede al Trono era alle prese con delle noiosissime lezioni di etichetta.
< Presto diventerete una magnifica donna e poi la moglie di un Imperatore. > le stava spiegando la sua insegnante. < Per questo dovete imparare a comportarvi come si addice a una donna del vostro rango. >
Galatea, questo era il nome dell’insegnante, era molto giovane, ma aveva al contempo aveva un’espressione quasi arcigna che Kylmä aveva visto solo su certe signore canute inacidite dal tempo. Il suo pianeta d’origine era ben noto per l’educazione severissima e meticolosa che i genitori impartivano ai figli e per questo era stata scelta lei, la più promettente tra le ragazze della sua generazione, per ricoprire quell’incarico prestigioso.
< Su, su! Schiena dritta. > le ordinò Galatea, ispezionandola attentamente. < Chiudete quelle gambe, non è buona educazione per una donna stare a gambe aperte, né tantomeno per la futura Imperatrice. >
Kylmä sbuffò. Tutte quelle regole la stavano facendo uscire di testa.
< C’è una regola per ogni occasione. > aveva detto l’insegnante, il primo giorno, subito dopo essersi presentata.
< Kylmä! Kylmä! > gridò Siviria correndo verso la sorella maggiore.
< Che c’è, piccola? > le domandò subito lei, prendendola in braccia.
< C’è una lettera di Snower! > esclamò trionfante la bambina, sventolando un foglio, leggermente stropicciato, sotto al naso della sorella.
< Ma l’hai già letta?! > si allarmò immediatamente Kylmä, quasi strappando di mano la lettera a Siviria.
< No, io non so leggere! > si giustificò la piccola. < Volevo vedere come era fatta una lettera da more. >
Kylmä divenne completamente rossa dall’imbarazzo. Galatea stava per commentare su come fosse indecoroso per una donna lasciar trasparire così facilmente le proprie emozioni, ma uno sguardo torvo della sua alunna la fece desistere.
< Cosa dici, Sivi?! Vorrà solo chiedermi come procede la vita qui a Palazzo! >
< Allora leggila a voce alta. > replicò severa la bambina.
< Vostre Altezze, preferite che vi lasci sole? > domandò l’insegnante, rendendosi conto di essere stata praticamente dimenticata.
Kylmä ci pensò su un attimo e poi rispose di sì.
< Con permesso, allora. > si congedò Galatea con un elegante inchino.
 
Alla mia amata Kylmä
Il cuore della ragazza iniziò a palpitare più forte.
Non sono mai stato bravo con le parole, per questo mi limiterò a raccontarti quello che succede qui, su questo desolato pianeta. L’altro giorno si è presentato al nostro campo un ambasciatore della fazione nemica che vuole la pace. Costui ha parlato in privato con il nostro comandante e il giorno dopo una delegazione più nutrita è uscita dalla roccaforte del nemico. Un araldo ha preso la parola e ha annunciato che, secondo gli accordi raggiunti con il nostro comandante, la guerra si sarebbe risolta con uno scontro tra due campioni. Come c’era da aspettarselo, sono stato scelto per rappresentare la mia fazione. Mentre mi dirigevo verso lo spiazzo in cui si sarebbe consumata la battaglia decisiva, un grido di entusiasmo si è levato dalle schiere dell’esercito nemico, uscito allo scoperto per assistere a quello scontro decisivo. “Perkele, Perkele!” urlavano, acclamando il grosso guerriero che stava venendo verso di me. Doveva essere alto almeno tre metri ed era più nero di qualsiasi altra cosa nera abbia mai visto in vita mia. Il suo torso era solcato da innumerevoli cicatrici, ma nessuna delle ferite che le avevano causate doveva essere stata fatale. Mi ha guardato dall’alto in basso. Aveva capito chi ero ma non ne sembrava turbato. L’araldo stava intanto annunciando alle truppe che quello era uno scontro mortale, ma noi due già non lo sentivamo più. Non ne avevamo bisogno, sentivamo nell’aria che quel duello si sarebbe potuto concludere soltanto con la sua morte o con la mia. Ho dato inizio alla nostra battaglia lanciandomi verso il suo collo taurino, pregustandomi già il dolce sapore di una facile vittoria. Invece, inspiegabilmente, la mia mano ha trovato soltanto aria polverosa. Prima che potessi rendermene conto, Perkele era sopra di me, con le mani unite a formare un pesante maglio che ha calato sulla mia schiena. Ovviamente non mi ha fatto alcun danno. Credo che se lo aspettasse, in realtà. Mi ha guardato con un ghigno, indicandomi la coda. Non la potevo muovere! Ho pensato che doveva avermi colpito un nervo. Una strategia niente male, per sconfiggermi. Pian piano mi avrebbe paralizzato ogni arto, se non avessi fatto niente per impedirlo. Ammetto che ho avuto un po’ di paura, al punto da usare la Lama Distruttrice anche se non ce n’era bisogno per un nemico di quel livello. Anche quel tentativo però è stato un buco nell’acqua. Per quanto facessi fare a quel dannato disco movimenti rapidi e improvvisi, il mio avversario sembrava sempre un secondo avanti a ogni affondo. Dopo il mio prima attacco avevo pensato che fosse dotato di una velocità straordinaria, tale da permettergli di combattere con me quasi alla pari, ma non era così. Era come se percepisse il pericolo in anticipo e trovasse poi una via di fuga con veloci movimenti del corpo. Ma se non avesse trovato una via di fuga? “Telecinesi!” ho pensato, trionfante. Sarebbe stato lui a finire paralizzato e morire, non io. In realtà, è stato più difficile di quello che credevo. Durante gli allenamenti ho usato la telecinesi soltanto per spostare oggetti inanimati, non per tenere bloccare giganti alti più di tre metri. Alla fine, però, ci sono riuscito. Mi sono avvicinato ed ero pronto a finirlo, ma prima ho voluto togliermi una curiosità. Come si era procurato quelle cicatrici? Lo sai cosa mi ha risposto? Che si è fatto colpire una volta da tutti i nemici che ha sconfitto, prima di ucciderli! Un pazzo, vero? E ancora più pazzo sono io, che ho interrotto la telecinesi per permettergli di attaccarmi. La ferita mi brucia ancora, ma presto avrò la mia personale cicatrice di guerra! Comunque, quando ho infine ucciso il mio avversario, un grido di gioia si è levato da entrambi gli eserciti. Non avrei mai pensato che la fine di una guerra potesse rendere felici sia i vincitori che i vinti, ma quello che ho visto mi ha costretto a ricredermi.
 
Tuo, Snower
 
PS. Pensavi veramente che avrei finito la mia prima lettera per te così? In realtà mi manchi tantissimo e non vedo l’ora di rivederti.
 
PPS. E sai una cosa? Ti rivedrò molto presto perché mi hanno dato il congedo e sto per tornare a casa!
   
 
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