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Autore: Gipsy Danger    29/08/2018    3 recensioni
Reborn! AU. Riflessioni di un nichilista, sul confine tra sogno e veglia.
Dedicata a Ellie_x3
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Grantaire
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Note: per la best che prompta senza saperlo. Questa è una vecchia, vecchia one-shot scritta nel lontano 201213, che mi sono sempre scordata di postare. Penso sarà la prima e l'ultima in questo fandom, quindi sentitevi liberi di farla a pezzi, se volete. Il titolo e le citazioni derivano dall'omonima canzone, Santissima dei Naufragati.

 

*

 

{E venne dall'acqua, e venne dal sale
la penitenza dalla mano del mare
il comandante avanza e niente si può fare
vuole una morte, la vuole affrontare}

 

Quando dorme dimentica tutto. È il vantaggio del vino. Quella bottiglia che ha portato Joly la sera prima, per meglio digerire i concetti divagati del docente di anatomia? Liscia come l'olio, una porta verso un mondo acceso di colori tenui.
 

È in un bordello e il bordello non è l'unico che abbia frequentato, e lui è seduto sul bordo della poltroncina, un calice sbreccato in una mano, la nuca bianca di una donna nell'altra – una donna con la scollatura vizza e il viso poco imbellettato, perché uno studente nichilista e ubriacone poco si può permettere, quando i primi due attributi vanno a braccetto col terzo. Sono tutti brutti, lì, fuori e dentro, ma non gl'importa, davvero: è il suo mondo, un'insenatura nel marasma della rivolta. Qui inizia, qui finisce, come la tastiera del pianoforte stonato. 

 

Quando dorme le preoccupazioni scolano via. La relazione che avrebbe dovuto consegnare l'altro ieri, e che ora non riparerà più una media intonsa solo perché non si è presentato ad un solo appello. Il blocco nero macchiato di caffé e chiazze purpuree di vino, dove i bozzetti di nudo si susseguono come il sentore di fumo rimasto intrappolato fra le pagine. La borsa di studio che sfuma nelle sue mani svogliate, bisognose di creare senza chiederne il permesso a nessuno, come il martello di Efesto, scagliato giù dall'Olimpo con la benedizione del latte di Era tra le labbra, come nettare, come liquore.
Tutto si sgretola, mentre sprofonda nello stagno placido del sonno.

 

È nel caffé, ma degli amici dell'ABC non ci sono che ombre – la rivoluzione scorre e lui dorme, dorme di un sonno profondo e tinto di foschi presagi. Rosso, il sangue degli uomini furiosi. Nero, il buio delle ere passate. Nero. Rosso. Nel mezzo, la macchia bionda dei capelli di Enjorlas, come oro colato nella fossa, e ordini, e fatti, e morti, e grida, e bandiere. 
Parigi sta gridando, Parigi sta morendo.
Ma l'alcol ha pietà di lui, quella pietà che l'angelo della rivoluzione dimostra per vie perverse.

 

{il cielo rigò di sbarre il suo portale
lo spettro vedemmo venire di lontano
venire per ghermire, nero di dannazione
vita e morte, vita e morte era il suo nome}

 

Quando dorme non prova dolore. Non avverte le unghie che ancora gli pungono la schiena, non lo disturbano i morsi pigri che, per dispetto, per rivalsa, gli fioriscono sul corpo. Perché Apollo dorato invidia il suo sonno, la sua caduta nel vuoto. Apollo, il suo Apollo, ha una musica ossessiva nelle orecchie, e il suo cuore è tamburo, i suoi tendini le corde degli archi, la sua voce squilla giustizia, come la tromba dell'arcangelo. 
La retorica, sulla bocca di Enjorlas, era fuoco, furore e malia. Ora bisbiglia. Non canta più.

 

Non avverte la lacerazione nell'urlo di Courfeyrac quando Gavroche cade e resta sulla strada sporca, all'improvviso non più staffetta, ma solo cucciolo freddato con un colpo singolo, i proiettili a tintinnare fra le dita.
Non si fa straziare dal fulgore improvviso dei colpi di fucile che esplodono a pochi centimetri da lui, dalle schegge di vetro e legno che gli si conficcano sotto le unghie ogni qual volta scivola, scivola, lungo le barricate pregne di sangue e pioggia.

Il rimorso non brucia, nel sonno.

 

{Salvezza, prendimi nell'anima
Madre mia, salvezza, prendimi
questa è la ballata di chi si è preso il mare
che lapide non abbia, né ossa sulla sabbia
né polvere ritorni, ma bruci sui pennoni 


nei fuochi sacri, nei fuochi alati
della Santissima dei naufragati}

 

Prima o poi ci si deve svegliare.

 

Capita che Grantaire socchiuda gli occhi, allora, senza il coraggio di lasciar andare ciò che gli danza davanti alle palpebre, troppo incerto della sua stessa natura. Skyborn, si chiama lo schizzo lasciato sul comodino, nato – di – cielo, un equilibrista che spasima per il vuoto, il nulla. Nihil. Sul filo sospeso che divide una Parigi che corre incontro ai suoi stessi figli sovversivi, e questa parte di realtà.
Quando vede Enjorlas dormire, con un libro di diritto ancora rovesciato sul petto, Grantaire si limita ad allungarsi, pigro come un gatto, e a infilare le dita fra le sue.


Quando dorme si dimentica di tutto, ma non si scorda l'uomo con cui ha scelto di morire. 

 

 

“Un uomo può bere e non essere ubriaco.
Un uomo può combattere e non essere immolato.
E dacché così è stato ordinato da un tempo di rialzarsi e uno di cadere, vieni.
Riempimi il bicchiere d'addio.”

   
 
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