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Autore: ArtemisiaSando    30/08/2018    0 recensioni
[Arkhamverse]
April, giovane medico di Boston, a soli ventinove anni capisce di aver messo in pausa la propria vita per perseguire una carriera che l'ha condotta ormai alla solitudine di un appartamento vuoto fra i mattoni cotti dal sole della capitale del Massachusetts.
Quel bisogno di amore e famiglia che per anni, dopo la morte di suo padre, ha allontanato come una malattia senza mai desiderarlo per se stessa, torna con insistenza alla porta del suo cuore imponendole un cambiamento di rotta.
Ingoiando la paura che per una vita intera ha guidato i suoi passi, decide di accettare un lavoro nella famigerata metropoli del crimine, lasciandosi alle spalle un passato logoro e le vecchie abitudini.
Si trasferisce così a Gotham City. Una città che, con le sue contraddizioni, i suoi miti e le sue tetre leggende, riuscirà a coinvolgerla in modi inaspettati cambiando il corso della sua esistenza per sempre.
[Questo racconto è ispirato all'opera videoludica Rocksteady "Batman: Arkham Knight" e fa riferimento agli avvenimenti accaduti nel gioco e nel relativo prequel comic.]
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alfred Pennyworth, Batman, Joker, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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~18~ Heart issues 2


April lo vide improvvisamente crollare. L'uomo che per ben due volte le aveva salvato la vita, invincibile nella complicata armatura, ora si accasciava al suolo davanti ai suoi occhi sgomenti.

L'impulso fu più forte della ragione. Per quanto le avesse intimato di rimanere al sicuro, per qualche motivo, April era solamente rimasta a guardare, a osservarlo inebetita combattere con la forza di dieci uomini.

Corse da lui, ormai immobile al centro della strada appiccicosa per la cenere e la pioggia, nel silenzio inghiottito dal gorgogliare di fiamme vive, ignorando gli uomini stramazzati attorno a quella scomposta ombra nera.

Sulle prime ne ebbe quasi paura, come la prima volta che l'aveva incontrato. Alto, scuro, minaccioso, eppure ora che il petto si muoveva irregolare a ogni respiro, le lunghe dita nere contrarsi come a voler afferrare qualcosa d'impalpabile, non esitò a inginocchiarsi.

Quasi non riconobbe la tenerezza con cui posò entrambe le mani sulle fredde spalle bardate, scuotendolo appena.

- Riesce a sentirmi? Può aprire gli occhi? -

L'uomo pipistrello non rispose, le palpebre ancora serrate sotto la maschera nera, il fiato corto attraverso la mascella contratta. Sudava copiosamente, poteva vederlo persino attraverso lo spesso strato in fibra di carbonio che si portava addosso.

Cercò di fare mente locale, chiamando in soccorso tutto il sangue freddo che le fosse rimasto nelle vene per quella notte. Le parve il compito più difficile e ingrato a cui fosse mai dovuta sottostare.

Osservò più e più volte, tracciandone i contorni con dita tremanti, la bardatura in qualcosa di molto simile al kevlar in cerca di un punto scoperto, qualcosa che potesse ricondurre la sua mente alla vista familiare di una ferita, una lesione qualsiasi a cui potesse porre rimedio.

Sotto i polpastrelli erano scorse ormai quasi tutte le placche umide e lisce all'altezza del petto e dell'addome quando, al suo tocco, il corpo pesante e abbandonato dell'uomo si contorse in un leggero sussulto.

All'improvviso sembrò che qualcuno avesse prepotentemente acceso un faro nel suo cervello inceppato dalla paura e dall'adrenalina.

Nonostante avesse compreso ben poco della bolgia di colpi che si era susseguita davanti ai suoi occhi, April si accorse di ricordare distintamente il momento in cui uno degli aggressori aveva raggiunto l'addome del vigilante con un grosso taser.

Per quanto Batman avesse continuato a combattere senza avvisaglie di aver accusato il colpo, l'arma doveva essere riuscita a scalfire la corazza, fulminandolo.

Avrebbe voluto più tempo per pensare lucidamente, per rallentare i battiti dolorosi del cuore nella gola, mentre il suo istinto la proiettava verso ben poco rosee previsioni. Eppure strinse i denti e ingoiò la paura.

Succedeva un po' troppo spesso ormai, da quando quell'ombra nero pece era piombata a gamba tesa nella sua vita.

Dato che i polsi dell'uomo sembravano impenetrabili quanto il funereo stoicismo dietro cui barricava il resto della propria vita, con un po' di coraggio April fece affondare delicatamente due dita sotto la protezione in gomma spessa che avvolgeva il collo ispido. Tornò a respirare solo quando poté avvertire la carotide pulsare frenetica e irregolare contro i polpastrelli sudati.

Contò mentalmente i battiti, li sovrappose a quelli altrettanto furiosi nel proprio petto e capì che l'uomo era in pericolo. Se non avesse trovato il coraggio e il modo di fare qualcosa l'avrebbe perduto senza neppure averlo ringraziato ancora una volta di aver vegliato sulla sua vita.

Chiamare un'ambulanza era certo fuori discussione, d'altra parte era consapevole che non sarebbe mai riuscita a trasportare quel maciste in armatura da qualche parte con le sue sole forze. Si ritrovò a cercare freneticamente qualcosa sulla superficie della corazza che potesse darle la certezza di non essere completamente sola a guardarlo morire, che qualcuno, da qualche parte, lo stesse aiutando.

Scavò e graffiò in cerca di un appiglio finché le unghie non si scheggiarono e i polpastrelli non sanguinarono, poi la pelle impattò con una superficie diversa, quasi morbida al tatto, a livello dell'antibraccio bardato. Con un sordo click il metallo si aprì sotto le sue dita rivelando un fascio di luce.

Trattenne un'imprecazione quando, di fronte ai suoi occhi atterriti, si proiettò a mezz'aria la schermata azzurrina di un computer. Accanto alla sagoma in scala del vigilante si allinearono tre isodifasiche, ciascuna delle quali sembrava apparentemente monitorare con precisione i parametri vitali dell'uomo accasciato di fronte alle sue ginocchia doloranti.

Un unico puntino rosso pulsava frenetico all'altezza del petto, sbraitando silenzioso un segnale di allerta. Tachicardia ventricolare.

April raggelò. I suoi timori si erano appena solidificati, avevano preso vita nel modo più sgradevole e grottesco che avesse potuto immaginare, impattando fra i suoi pensieri con la violenza di una bomba a mano.

Pensare ancora, pensare in fretta. Non poteva lasciarlo morire, non in quel modo. Dietro le palpebre serrate per la paura e la tensione, all'improvviso comparve in un flash la carcassa ammaccata dell'ambulanza che aveva adocchiato solo pochi minuti prima al lato della strada.

- Torno subito. Resista. - fiottò, senza essere neppure certa che il vigilante potesse sentirla, prima di scattare in piedi fra i detriti che le ferivano le caviglie.

Incespicò sull'asfalto umido, tossendo all'odore acre di fumo e cenere che le feriva i polmoni, il cuore che batteva ribelle nelle tempie al ritmo di un martello pneumatico, fino al retro in penombra del mezzo di soccorso.

Con la disperazione dell'adrenalina che le urlava nelle vene, mise a soqquadro ogni centimetro dei cassetti semiaperti nel ventre vuoto e lurido di metallo cromato finché i polpastrelli non riconobbero il vetro e gli occhi d'ambra non lessero a fatica Lidocaina sull'etichetta. Afferrò a stento una siringa sterile e tornò sui propri passi, i muscoli in fiamme e le ginocchia livide per l'impatto con l'asfalto.

- Se può sentirmi, la prego, mi aiuti. -

Quasi non osò sperarlo, eppure all'improvviso l'uomo riaprì lentamente le palpebre serrate. I velati occhi blu si conficcarono nei suoi per un lungo istante, mentre il respiro affannoso di entrambi si trasformava in condensa scontrandosi nell'aria satura.

Batman sollevò con fatica la mano sinistra protetta dal guanto rinforzato solo per slacciare sapientemente l'antibraccio destro. Il tonfo sordo sull'asfalto parve rimbombarle fra le costole, fino alla gola riarsa sciogliendo di un poco il nodo di tensione che le bloccava il respiro.

- Andrà tutto bene. -

Non conosceva la tenerezza con cui gli aveva parlato, non sapeva da quale piega del suo cuore fosse traboccata, eppure, mentre le palpebre scure tornavano a chiudersi, lasciò che la punta delle dita sfiorasse il viso ispido, madido di sudore freddo.

Prese un respiro, poi un altro tentando di raffreddare i pensieri che si agitavano incessanti sotto la superficie, di sedare il fine tremore delle mani mentre riempiva goffamente la siringa.

Era una sciocchezza. Forse la sciocchezza più pericolosa che avesse tentato in vita sua. Iniettare un farmaco in vena era facile in ospedale, circondata da infermieri, sterilità e la certezza di poter rimediare. Farlo in un momento come quello sarebbe stato come giocare d'azzardo ed April non era mai stata una giocatrice.

Trovato l'accesso esitò ancora un istante, il più lungo della sua esistenza, l'ago così vicino da sfiorare la pelle, le dita rigide come ghiaccioli, ma il cuore in subbuglio.

Avrebbe potuto ucciderlo, certo, ma non tentare nulla avrebbe significato comunque averlo sulla coscienza. L'istante fortunatamente passò e l'indecisione scivolò via con le gocce di sudore che le imperlavano la fronte gelata, bastò una minima pressione perché l'ago bucasse la vena. Non le restava che aspettare.

Il tempo sembrava non scorrere mai, intrappolato com'era in quell'aria densa e appiccicosa, si stiracchiava pigro fra le pulsazioni sempre troppo elevate sulla proiezione azzurrina all'antibraccio del vigilante.

Rallentarono infine e così le sue, permettendole di respirare, finché finalmente il cuore non tornò a battere regolarmente sotto la corazza impenetrabile in fibra di carbonio.

Le calze si erano strappate e le ginocchia sanguinavano, tanto a lungo avevano strisciato sull'asfalto per rimanere sopra di lui, eppure April si lasciò scappare un sorriso nervoso quando i chiari occhi blu si aprirono di nuovo sui suoi.

Non aveva ucciso l'unica speranza di Gotham. 



Bruce era stordito.

Il petto gli doleva come se uno dei fratelli Tweedle ci si fosse appena seduto sopra, la gola così secca quasi avesse ingoiato una manciata di cenere e il mondo danzava ancora in spire grottesche attraverso le palpebre di piombo.

Le dita cieche graffiarono l'asfalto lurido in cerca di un appiglio in quella realtà che sfuggiva improvvisamente al suo controllo, i muscoli rigidi si contrassero a vuoto in un respiro affamato.

Eppure, persino attraverso il rombo del sangue nelle orecchie, riuscì a captare una presenza solida accanto a sé.

Sarebbe scattato in piedi se solo le gambe avessero collaborato, avrebbe affrontato qualunque cosa gli si fosse parata davanti con la stessa metodica determinazione che si addiceva a condizioni fisiche migliori. Invece non erano nemici quei contorni morbidi e familiari, quei chiari occhi d'ambra legati ai suoi così stretti da fargli dimenticare perché si costringesse a trattarli con tanta freddezza.

La ragazza lasciò sfuggire un sospiro dalle labbra socchiuse e solo allora Bruce riuscì a riguadagnare lucidità a sufficienza da sbilanciarsi su quanto fosse appena accaduto.

Lei gli aveva salvato la vita, avrebbe potuto scappare, mettersi in salvo, invece aveva deciso di rimanere con lui, per lui. Difficile non montarsi la testa.

- Sembra proprio che io e lei siamo pari ora. -

Il sorriso sulle labbra piene era tirato e stanco. Nonostante il freddo pungente tracce di sudore solcavano le tempie scoperte e due ciocche scomposte di capelli mogano ondeggiavano ribelli nella brezza fuligginosa. Le dita piccole tremavano appena premute sull'incavo dell'avambraccio destro, privo della corazza che Bruce vagamente ricordava di aver slacciato.

Eppure era bella.

- Lei è un'incosciente. -

Non c'era spazio per la comprensione in quel suo mondo violento e distorto. La ragazza aveva rischiato fin troppo per essergli accanto, era qualcosa a cui non sapeva rispondere se non con la disciplina dietro cui aveva imparato a trincerare il suo cuore.

- A quanto pare è già tornato in sé. - ridacchiò nervosamente al suo cipiglio, mascherando dietro il sarcasmo qualcosa che somigliava a sincera preoccupazione, poteva leggerlo chiaramente fra le rughe sottili che le erano sbocciate in fronte.

Bruce non poteva abbandonarsi a quel momento, per quanto sapesse di doverle molto, non poteva lasciarsi distrarre, né rischiare di metterla di nuovo in pericolo. Come sempre avrebbe ignorato il dolore e la spossatezza che gli accartocciavano il cervello e sarebbe sparito il più in fretta possibile.

- Devo andare. -

Lapidario, distante. Questo doveva essere per lei, come per chiunque altro avesse incrociato il suo cammino. Cercò di sollevarsi, ingoiando lo strappo dei muscoli in fiamme, senza che l'ombra della sofferenza gli oscurasse il viso. Inattaccabile.

- Ci scommetto. Ma qualcuno le ha appena defibrillato il cuore con un taser. Ha rischiato l'arresto cardiaco, dovrebbe seriamente considerare di restare sdraiato per qualche minuto. -

Tentò di trattenerlo a terra, era infastidita, ma Bruce stava già cercando a tentoni l'antibraccio sull'asfalto umido. Il corpo gli doleva tutto, eppure si rimise prontamente in piedi non appena riuscì ad afferrarlo e a ripristinare l'integrità della propria protezione.

- Come non detto. Senta ... -

La dottoressa cercò di tenergli dietro, zoppicava appena e, solo quando le dita esili si aggrapparono al suo braccio per trattenerlo, Bruce notò le ferite sottili alle nocche, le ginocchia graffiate e sanguinanti. Non riuscì a reggere l'insostenibile preoccupazione accesa dietro le iridi color miele.

Quel contatto lo turbò con la veemenza di una scossa elettrica. Non avrebbe permesso a se stesso una tale leggerezza, non l'avrebbe legata a sé per doverla un giorno seppellire come era accaduto con Talia.

- Mi lasci! - abbaiò sperando di spaventarla, che la sua irriconoscenza riuscisse in qualche modo a incuterle lo stesso orrore che più di una volta aveva visto negli occhi di chi aveva soccorso, ma April non cedette di un passo, solo le dita scivolarono lontane dal loro precedente appiglio.

- Non mi pento di essere rimasta. Altrimenti a quest'ora sarebbe morto. -

Le pupille di pece immobili nelle sue in un moto di cieca determinazione, nonostante il respiro lasciasse le labbra in rapidi sbuffi di condensa, e per un istante Bruce non seppe come ribattere.

- Quindi la prego. La prego, faccia attenzione. So che l'ospedale è fuori questione, ma se dovesse avere problemi ... al cuore intendo, se dovesse sentire qualche aritmia, venga da me. Non le chiedo di promettere, solo almeno di pensarci. Sa dove abito. - continuò più dolcemente, lasciando andare un sorriso storto sul volto tirato.

Non le promise nulla. Non rispose né si, né no, temendo che la voce l'avrebbe tradito, portò solo nel cuore quelle parole mentre distoglieva lo sguardo dal suo, tornando a passi lenti verso la Batmobile. 





April fu scortata a casa dalla polizia quella sera.

Nel tripudio stonato di sirene e idranti antincendio, la lasciarono parlare solo quando ebbe mostrato loro il tesserino di riconoscimento del Gotham Mercy, permettendole di raccontare in breve ciò a cui aveva assistito.

Tralasciò volutamente i dettagli del suo incontro con Batman, senza soffermarsi sull'indiscutibile vulnerabilità dell'uomo verso cui gli agenti provavano un atterrito rispetto.

Le sembrò di aver trascorso giorni senza dormire nel momento in cui mise piede nel proprio appartamento, la stanchezza le crollò addosso come un macigno mentre raccoglieva i pensieri, guardando il soggiorno buio con occhi vuoti.

Avrebbe voluto farsi una doccia, andare immediatamente a dormire ignorando la cena e le insistenze di Waffle, ma non poté fare a meno di ripercorrere mentalmente le poche parole che aveva scambiato con l'oscuro vigilante di Gotham.

Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare un senso alla tenerezza con cui gli aveva parlato, all'istinto incosciente di preservare la sua vita.

Era un uomo vinto, distrutto quello dietro la maschera nera, un uomo che pure le aveva mostrato un cuore altruista, dedito al sacrificio di sé, seppure in modo impacciato, quasi goffo. Di nuovo l'aveva guardata a quel modo, quasi sapesse, quasi la sua vita contasse davvero qualcosa per lui.

Si lasciò andare pesantemente sul divano di pelle scura, il volto fra le mani ferite di cui non aveva la forza di occuparsi.

Pensò a lui, a quello che doveva aver sofferto a causa di quel suo voto dissennato alla giustizia, al perché fosse tornato a tormentarla, finché, prima di potersene accorgere, si addormentò di un sonno profondo e senza sogni.

Oltre il vetro della porta finestra, il bagliore prepotente di un lampo s'insinuò sotto le palpebre chiuse, riportandola bruscamente alla coscienza. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso da quando era tornata all'appartamento, ma le luci erano quiete nei grattacieli vicini, suggerendole che fosse ancora notte inoltrata.

Con un sospiro si convinse ad alzarsi, ignorando i muscoli intorpiditi, per tornare a dormire nel proprio letto. Il miagolare profondo di Waffle, tuttavia, richiamò la sua attenzione, se non fosse stata troppo esausta perfino per pensare avrebbe giurato che un'ombra si fosse mossa entro i confini della terrazza.

Il cuore perse un battito. Trattenne il respiro concentrando le pupille cieche sull'oscurità ignota oltre il vetro umido della porta finestra, finché l'ombra non divenne stranamente familiare. Alta, massiccia, somigliava in maniera inquietante alla sagoma di un gigantesco pipistrello dalle ali ben chiuse.

Le ultime parole che aveva scambiato con il vigilante si allargarono a macchia d'olio nel cervello ancora intorpidito e d'istinto spalancò la finestra per fronteggiarlo nel buio appiccicoso, squarciato a tratti dalla luce dei neon e di lampi lontani.

- Santo Dio. Sta bene? - esclamò preoccupata, ma il cuore batteva pianissimo quasi a non volersi far riconoscere dalla gigantesca figura davanti a lei.

Eppure per un lungo istante il suo bieco interlocutore non rispose, continuando solamente a guardarla con occhi che la ragazza non poteva vedere.

- Sì. - gracchiò infine uscendo dall'ombra, impalmato nella corazza di solitudine e freddezza che si portava addosso, ma ad April parve l'ombra di un sorriso quella che si stiracchiava sulle sue labbra sottili.

Stranamente quella risposta riuscì a ferirla, il cieco senso del dovere che lo aveva portato quasi a sacrificarsi per lei già una volta, lo aveva riportato lì per dirle addio.

- Non pensavo sarebbe tornato. Non è in debito con me, non doveva venire fin qui per forza. -

Stava tremando e sapeva che, di quel fine tremore che si era impossessato del suo corpo, il gelo della sera era responsabile solo in parte.

- Mi ha detto che sarei dovuto tornare ... in caso avessi avuto problemi col cuore. -

Di nuovo quella voce profonda, raspante, eppure questa volta le parole fecero fatica a penetrare la sua coltre di diffidenza.

- Cosa? -

Non fece in tempo a chiedere altro, che, di nuovo, com'era accaduto solo un paio di settimane prima, chinandosi appena su di lei, la bocca dell'uomo aveva raggiunto delicatamente la sua, accogliendo il suo respiro in un bacio intenso, istintivo.

April sentì il cuore accelerare bruscamente la sua corsa, mentre le mani dell'uomo esitavano nel cingere la sua schiena, spingendola solo delicatamente verso il corpo alto, piazzato. Di nuovo ebbe la stessa sensazione di familiare calore, di aver colto qualcosa in lui che non esisteva se non erano così vicini.

Lasciò che il respiro si adattasse alla frequenza del suo, profondo, regolare nel petto ampio premuto contro di lei. Inalò l'odore leggero di colonia ormai evaporata, di fumo e polvere, sentì il calore della lingua dell'uomo sulla propria, esitante e delicata, finché non allontanò le labbra sottili dalle sue in una curiosa armonia.

Lo guardò lasciarsi sfuggire un respiro, quasi un rimprovero, ma negli occhi blu la tensione di qualche ora prima era già scomparsa. 





- La prego, non mi chieda di nuovo perché l'ho baciata. - azzardò Bruce ancora così vicino a lei da poterne percepire il respiro tiepido, leggero sulla pelle.

Era stato forse il bacio più intenso che avesse mai scambiato con una donna, almeno in quella tenuta.

Ascoltò il cuore della ragazza rallentare appena le pulsazioni nel petto premuto contro il proprio e quasi si lasciò sfuggire un sorriso.

- Non era esattamente quello che avevo in mente. -

Gli occhi velati dalla penombra umida nella condensa dei loro respiri saettarono distanti, in attesa di qualcosa che Bruce non sapeva come comunicarle.

Conosceva bene la natura della propria attrazione per la dottoressa e altrettanto bene conosceva i rischi a cui l'avrebbe esposta se solo si fosse lasciato andare. Sarebbe bastato un istante di distrazione e avrebbe potuto perderla per sempre.

- Neppure lei sa cosa fare, vero? In un certo senso mi ricorda qualcuno ... - sorrise poi, quasi fosse riuscita a leggergli sotto la pelle qualcosa che non aveva avuto il coraggio di confessare neppure a se stesso. Forse provava qualcosa per lui, forse era persino Bruce Wayne l'uomo nei suoi pensieri, non Batman, l'uomo che era riuscito a strapparle un sorriso come quello.

- Credo di averla messa nei guai. - gracchiò contro la gola improvvisamente secca, soppesando attentamente la luce dietro le iridi opache nella speranza di non illudersi. Invece la ragazza scosse leggermente il capo, i capelli ribelli contro la brezza notturna che già odorava di pioggia.

- Mai quanto ci si è messo lei. Come ha fatto ad innamorarsi di me? Mi conosce appena. -

Lo stava chiaramente prendendo in giro, c'era ora un piacevole misto di confusione e sincera curiosità nel fondo delle iridi cangianti nei colori bizzarri dei neon. La franchezza di quella domanda riuscì a spiazzarlo, accelerò i battiti del suo cuore in uno strano equilibrio nell'umidità elettrica della terrazza.

- E lei che cosa prova, dottoressa? -

Non riuscì a risponderle se non con una domanda, complice l'evasività imparata nei lunghi anni di addestramento. La richiesta parve turbarla più di quanto Bruce avrebbe voluto, eppure non poté negare di averle sempre voluto chiedere cosa la giovane dottoressa provasse per lui, se il suo cuore non avesse battuto invano nelle lunghe notti di incertezza e solitudine.

- Non lo so. Lei non è il primo uomo ad essere piombato nella mia vita di recente. Forse c'è qualcosa fra noi, ma ho passato così tanto tempo ad allontanare chiunque che potrei averlo perso senza neppure saperlo. Eppure, in qualche modo, mi fido di lei, la sua vita mi sta a cuore per qualche motivo. - soffiò in un sospiro e di nuovo gli occhi grandi e allungati brillarono dei riflessi del tramonto, confessandogli una verità che Bruce aveva agognato e temuto allo stesso tempo.

Ora che sapeva, tornare indietro sarebbe stato impossibile. Senza esserne pienamente coscienti avevano provato le stesse sensazioni, le stesse emozioni.

La ragazza era nel suo cuore da molto più tempo di quanto Bruce avesse mai voluto ammettere, forse Alfred aveva ragione, forse avrebbe dovuto seguire il suo cuore una volta tanto, lasciarla guardare quello che si agitava sotto il groviglio di lividi e dovere che era diventato.

- Lo stesso vale per me. Non sono qui per dirle addio, dottoressa. - rispose ignorando la paura, sperando che la ragazza riuscisse a scorgere il suo cuore oltre quelle parole, chiunque lei stesse guardando, chiunque stesse amando. Bruce sapeva che non l'avrebbe tradito.

Non rispose, ma le guance avevano appena cambiato colore alla luce fioca delle distanti insegne al neon.

- Grazie per avermi salvato la vita. - continuò ancora così vicino a lei da poterne captare il lieve respiro, non le avrebbe mai dato l'occasione di vederlo, eppure più di qualunque altra cosa temeva un suo rifiuto.

Ora che l'aveva trovata, perderla per sempre sarebbe stato insopportabile.

- Dovevo. -

Gli occhi d'ambra si conficcarono nei suoi attraverso la coltre d'umidità, finché le dita della ragazza si mossero verso il suo viso. Poteva vederle tremare ancora sospese a mezz'aria, quasi non avessero dimenticato i suoi precedenti rifiuti.

Bruce si lasciò cullare per un attimo nell'illusione di poterla amare, di essere amato a sua volta e, per quell'unico breve istante, si concesse di godere di quei sentimenti, di quanto fossero veri, istintivi. Avvertì il tepore delle dita sfiorare la pelle, ignorando la maschera, e si stupì di quanto avesse rilassato i suoi muscoli, calmato i suoi pensieri febbrili.

Erano anni che qualcuno non lo guardava in quel modo, con la stessa disinteressata tenerezza che vedeva impressa sul volto imperlato dalla pioggia che aveva preso a cadere al ritmo dei loro cuori in subbuglio.

Avrebbe voluto sorriderle se ne fosse stato ancora capace, ricambiare il sollievo di quel colpevole tepore ma che cosa era rimasto ormai dell'uomo che non fosse rabbia, testarda autocommiserazione?

Invece rimase immobile, il calore della mano di lei ancora sul viso, come una strana promessa.

- Buonanotte. -

April si accomiatò in un sussurro, leggendo nel suo ostinato silenzio che era arrivato il momento per entrambi di tornare ciascuno al proprio mondo.

Né si aspettò una risposta, mentre l'uomo pipistrello già percorreva a grandi falcate l'oscurità che lo separava dal parapetto, abbracciando la pioggia densa di quella notte gelida e immobile con un salto nel vuoto.

   
 
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