On a summer night
Titolo: On a summer night
Pairing: Kisshu&Minto
Evento:
Fuochi d’artificio
Elemento:
Girasole
Parole:
1777
Nota Autore: vagamente ispirata/connessa a Through All The Sleepless Nights
Le giornate cominciavano
pian piano ad accorciarsi, la brezza che saliva dal mare stava diventando via
via più frizzante, solleticando piacevolmente la pelle ancora lasciata scoperta
per godersi gli ultimi raggi d’Agosto.
Kisshu prese un sorso
dal bicchiere che stringeva in mano, pieno a metà di un intruglio analcolico di
un accesso color rosa pesca che aveva sentito captato, in stralci di
conversazione con Minto, fosse stato creato apposta per sua cugina Tomoko in
occasione del suo diciottesimo compleanno.
Si era messo a leggermente in disparte, vicino ai tavoli dove erano
ordinatamente disposti vassoi e vassoi di cibo, per osservare un po’ la folla
che stava riempendo quel giardino lussuoso e ben curato. Che si sentisse un po’
un pesce fuor d’acqua, a una festosa riunione di quasi tutti i rami della
famiglia Aizawa, era scontato. Che non gliene fregasse nemmeno un po’, era
ovvio. Che stesse facendo del suo meglio per la morettina che invece
chiacchierava tranquilla, avvolta in un corto abitino verde acqua dalle
spalline sottili che gli facevano pregustare la pelle morbida delle sue
clavicole, era ovviamente un fatto.
Lui non era una persona
che ragionava troppo sulle cose, quello era certo – molti dei suoi più grandi
errori erano stati causati proprio da quello, dopotutto. Errori che infatti
stava ancora scontando, piano piano, un pezzetto alla volta. Eppure, a volte si
domandava se la sua mancata voglia di ponderare mezzo minuto in più sulle cose
non giocasse anche a suo favore. Come nel caso del suo rapporto con Minto.
Non si era fatto molte
domande, quando erano gravitati l’uno verso l’altra – annessi e connessi e
qualche incidente di percorso a
parte. Semplicemente aveva lasciato che i pezzi scivolassero sempre di più al
loro posto, ritrovandosi decisamente più invischiato di quanto avesse mai
potuto pensare. E non lo trovava una debolezza, nossignori, dire che ormai gli
era necessario sentire il profumo della mora accanto a lui la notte prima di
addormentarsi.
Perciò, per quanto in
quel momento avrebbe tanto voluto essere spaparanzato tra le lenzuola con una
Minto molto poco vestita accanto a sé, aveva acconsentito a infilarsi in un
outfit umano consono e quasi quasi elegante, seppur estivo, per accompagnare la
mora a quell’annuale occasione di ritrovo tra familiari (spinto soprattutto dal
fatto che così avrebbe anche colto l’opportunità di godersi la tortorella in succinti
bikini per qualche giorno).
Sorrise sotto i baffi
mentre la osservava da lontano, sempre impeccabile nel suo portamento e avvolta
da un’aria di felicità a essere lì insieme ai parenti, lei che ancora soffriva
dell’assenza dei suo genitori per la maggior parte delle situazioni. Poi,
desideroso di un attimo di quiete – le occhiate gli arrivavano, oh sì - si
incamminò pian piano, seguendo il contorno di quell’enorme cortile decorato da
palloncini e nastri bianchi, e qualche torcia per facilitare l’arrivo imminente
della sera.
Non si poteva stupire
che anche una cugina di Minto (aveva leggermente perso il conto dei parenti)
avesse anch’essa una stupenda villa poco lontano dalla spiaggia, di dimensioni
ridotte rispetto alla magione degli Aizawa a Tokyo ma decisamente più imponente
di tutte le altre case nel vicinato. Né poteva stupirsi che avessero compiuto
il tragitto fino a lì comodamente spaparanzati in limousine, la mora che era
riuscita a trascinarsi dietro tre valigie per solo una manciata di giorni.
Ringraziava, almeno, che Minto gli avesse risparmiato di occupare una delle
sicuramente più di quattro stanze di quella casa, preferendo rintanarsi in un
graziosissimo alberghetto che affittava piccoli e romantici cottage (con una interessantissima doccia che ancora
doveva convincere la tortorella a provare…). Ma dopotutto, quella era forse la
seconda occasione in cui Minto lo portava in veste ufficiale di suo ragazzo a un evento di famiglia,
sarebbe stato davvero troppo dover pure condividere un tetto – e anche se ormai
passava più notti sotto il tetto di villa Aizawa, il fatto che i genitori della
mora non ci fossero praticamente mai annullava del tutto il problema di
imbarazzanti conversazioni.
Conversazioni che, se ci
pensava davvero bene, era difficile avere anche con la rampolla in questione.
Solo tra loro due ci avevano messo forse un mese o poco più a ufficializzare la
loro relazione, e rivelarlo al resto
della ciurma era stato un processo per gradi, accelerato soltanto perché una
mattina Ichigo – che mai nella vita era arrivata così in anticipo al Caffè – lo
aveva beccato in pieno a rubarle un bacio e un’esplorazione di palmi sotto il
pizzo della gonna della divisa. Non che a lui importassero certi tecnicismi, ovviamente, ma avrebbe dato
oro per capire cosa frullasse ogni tanto nella mente di Minto e fare in modo
che le cose continuassero a navigare tranquille come avevano fatto in quei
pochi mesi. Incredibilmente tranquille. Eccezionalmente facili.
Continuò a camminare
lungo il perimetro del giardino, seguendo le piccole luci che erano state
appese alla siepe divisoria e che iniziavano appena ad accendersi al calar del
Sole, godendosi la tranquillità che lo circondava man mano che si lasciava alle
spalle i rumori della festa. Si fermò solo quando si trovò davanti a un piccolo
angolo fiorito in cui sorgeva un gazebo bianco, circondato da alti fiori dai
petali gialli che catturarono la sua attenzione, così tanto da non sentire il
rumore di tacchi sul selciato.
« Ah ma sei qui, » voltò
appena il viso alla voce di Minto, che gli appoggiò lieve una mano sul braccio,
«Eri sparito, mi stavo preoccupando. »
Kisshu schioccò la
lingua, sfiorandole subito con un dito uno dei boccoli neri lasciati sciolti: «
Avevo bisogno di una pausa dalla folla. »
La mora annuì
comprensiva, studiando il volto che aveva imparato a conoscere in quegli ultimi
mesi, il petto pieno di sollievo nel vederlo tranquillo e rilassato anche in
quella occasione.
L’alieno le portò una
ciocca dietro l’orecchio, approfittando per lasciarle una carezza sulla guancia
arrossata dal Sole, poi fece un cenno del capo verso l’angoletto colorato: «
Quelli sono i fiori che piacciono alla scimmietta, non è vero? »
Minto annuì,
avvicinandosi per sfiorare uno degli steli: « Sono girasoli. Si chiamano così
perché le loro teste si spostano durante la giornata, si dice seguendo appunto
l’arco del Sole. Non ci sono sul vostro pianeta? »
« Se parti dal
presupposto che servisse il Sole,
tortorella… »
Lei arricciò il naso in
risposta, facendolo ridere mentre le si avvicinava.
« Comunque, sono molto
belli. Anche se sono più alti di te. »
Minto lo ignorò mentre –
controvoglia – si alzava appena in punta di piedi per sfiorare il fiore con il
naso.
« Da bambine, io e
Tomoko venivamo sempre qua a prendere il tè e a giocare insieme. Da molto
piccole riuscivamo a giocare anche a nascondino qui in mezzo. »
« Vuoi dire fino
all’anno scorso? »
«… sei un cretino. »
« E tu sei monotona. »
« Sono fiori così
allegri, eppure sono protagonisti di una leggenda molto triste, » continuò
sovrappensiero la ballerina, facendo un passo indietro.
Kisshu la studiò, la
tesa piegata da un lato, assaporando con gli occhi la schiena abbronzata e
scoperta, la gentile curva dei fianchi su cui danzavano le balze del vestitino,
conscio di ogni singolo centimetro di pelle profumata, di ogni singola vertebra
che aveva sfiorato con le dita.
« Quale sarebbe? »
domandò curioso.
« È un mito dell’Antica
Grecia, » Minto lo guardò da sopra la spalla con un sorriso, « Clizia era ninfa
del mare, innamorata di Apollo, il dio del Sole, il quale un giorno si innamorò
e conquistò la mortale Leucotoe. La ninfa, gelosissima, per vendicarsi rivelò
tutto al padre della giovane, che irato fece seppellire Leucotoe viva. Apollo cercò
di risuscitare l’amata invano, e poté solo cospargere la tomba di nettare
profumato che diede poi vita alla pianta di incenso. Ovviamente, non volle più
vedere Clizia, che decise di lasciarsi morire. Per nove giorni, senza toccare
né acqua né cibo, digiuna, si nutrì solo di rugiada e di lacrime e mai si
staccò da quel posto: non faceva che fissare il volto del dio che passava,
seguendone il giro con lo sguardo. Finché, grazie anche alla pietà del dio che
tanto amava, non si tramutò nel girasole, continuando ad amare Apollo
volgendosi sempre verso il suo Sole. (1) »
Il verde rimase in
silenzio qualche istante, aggrottando le sopracciglia: « Ricapitolando, lei
amava il tizio, che però l’ha rifiutata perché aveva leggermente fatto la pazza gelosa e per questo si è trasformata in
fiore? »
« Hai tolto tutta la
magia della favola, ma all’incirca. »
« Mmmh, » lui picchiettò
un dito sul bicchiere, prima di prendere un sorso, « Amori non corrisposti, è
una storia lunga come il mondo, eh? »
Vide la mora spostare a
disagio il peso da un piede all’altro, mormorare un assenso poco convinta al
pensiero che lui sapeva benissimo le avesse attraversato la mente.
« Per fortuna che non è
il nostro caso, non trovi? »
Minto si irrigidì
all’istante, il cuore che le accelerò furibondo contro al petto mentre quella
frase si ricomponeva nel suo cervello e il suo possibile, probabilissimo
significato le diventava sempre più chiaro, spezzandole inesorabile il respiro
in gola. Fissò il ragazzo davanti a lei, sperando che l’abbronzatura e il buio
che stava scendendo ormai a tramonto concluso fossero abbastanza per celare il
calore che sentiva irradiarsi dal collo, mentre lui sembrava così tranquillo,
così convinto di tutto e
incredibilmente genuino. Kisshu azzardò qualche passo verso di lei,
afferrandole piano le mani.
« Ti lascio senza fiato,
eh, tortorella? »
La mora tossicchiò, già
un moto di stizza per le sue insopportabili battutine: « … sei proprio un - »
« Cretino, lo so, lo so,
» lui rise e le prese il viso tra le mani, specchiandosi negli occhioni scuri
che brillavano emozionati, « Fa lo stesso se mi sono inna-»
Un boato improvviso li
fece sobbalzare entrambi, mentre una dozzina di colori diversi esplodeva nel
cielo rabbuiato e si estingueva in tante fiammelle sottili, subito seguite da
altri scoppi.
« Sono fuochi
d’artificio, » borbottò Minto, che già aveva percepito il corpo di Kisshu
tendersi vicino al suo, « È un’altra tradizione umana, sono piccoli razzi che
usiamo per festeggiare. »
« Caotici come sempre, »
rimbrottò lui, irritato di essere stato interrotto proprio in quel momento ma
decisamente affascinato da quello spettacolo e dal modo in cui le luci
giocavano sulla pelle chiara della ragazza, che avvolse con un braccio, « Però…
è un bel momento. »
Minto lo guardò da sotto
in su, un accenno di sorriso timido sulle labbra mentre si stringeva appena di
più a lui.
« Poi non puoi
lamentarti che non sono romantico. »
« …cretino. »
(1) Per
il mito di Clizia, Apollo e Leucotoe, tratto dal Libro IV de Le Metamorfosi di Ovidio, anche qui: https://wsimag.com/it/cultura/14473-il-mito-di-clizia-da-ovidio-a-montale