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Autore: Hypnotic Poison    31/08/2018    4 recensioni
[Seconda classificata al concorso Tokyo Mew Mew: Summer Festival indetto da Ria sul forum di EFP].
Si fermò solo quando si trovò davanti a un piccolo angolo fiorito in cui sorgeva un gazebo bianco, circondato da alti fiori dai petali gialli che catturarono la sua attenzione, così tanto da non sentire il rumore di tacchi sul selciato.
« Sono fiori così allegri, eppure sono protagonisti di una leggenda molto triste, » continuò sovrappensiero la ballerina, facendo un passo indietro.
Kisshu la studiò, la tesa piegata da un lato. « Quale sarebbe? » domandò curioso.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Mint Aizawa/Mina
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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On a summer night

 

 

 

 

Titolo: On a summer night

Pairing: Kisshu&Minto

Evento: Fuochi d’artificio

Elemento: Girasole

Parole: 1777

Nota Autore: vagamente ispirata/connessa a Through All The Sleepless Nights

 

 

Le giornate cominciavano pian piano ad accorciarsi, la brezza che saliva dal mare stava diventando via via più frizzante, solleticando piacevolmente la pelle ancora lasciata scoperta per godersi gli ultimi raggi d’Agosto.

Kisshu prese un sorso dal bicchiere che stringeva in mano, pieno a metà di un intruglio analcolico di un accesso color rosa pesca che aveva sentito captato, in stralci di conversazione con Minto, fosse stato creato apposta per sua cugina Tomoko in occasione del suo diciottesimo compleanno.  Si era messo a leggermente in disparte, vicino ai tavoli dove erano ordinatamente disposti vassoi e vassoi di cibo, per osservare un po’ la folla che stava riempendo quel giardino lussuoso e ben curato. Che si sentisse un po’ un pesce fuor d’acqua, a una festosa riunione di quasi tutti i rami della famiglia Aizawa, era scontato. Che non gliene fregasse nemmeno un po’, era ovvio. Che stesse facendo del suo meglio per la morettina che invece chiacchierava tranquilla, avvolta in un corto abitino verde acqua dalle spalline sottili che gli facevano pregustare la pelle morbida delle sue clavicole, era ovviamente un fatto.

Lui non era una persona che ragionava troppo sulle cose, quello era certo – molti dei suoi più grandi errori erano stati causati proprio da quello, dopotutto. Errori che infatti stava ancora scontando, piano piano, un pezzetto alla volta. Eppure, a volte si domandava se la sua mancata voglia di ponderare mezzo minuto in più sulle cose non giocasse anche a suo favore. Come nel caso del suo rapporto con Minto.

Non si era fatto molte domande, quando erano gravitati l’uno verso l’altra – annessi e connessi e qualche incidente di percorso a parte. Semplicemente aveva lasciato che i pezzi scivolassero sempre di più al loro posto, ritrovandosi decisamente più invischiato di quanto avesse mai potuto pensare. E non lo trovava una debolezza, nossignori, dire che ormai gli era necessario sentire il profumo della mora accanto a lui la notte prima di addormentarsi.

Perciò, per quanto in quel momento avrebbe tanto voluto essere spaparanzato tra le lenzuola con una Minto molto poco vestita accanto a sé, aveva acconsentito a infilarsi in un outfit umano consono e quasi quasi elegante, seppur estivo, per accompagnare la mora a quell’annuale occasione di ritrovo tra familiari (spinto soprattutto dal fatto che così avrebbe anche colto l’opportunità di godersi la tortorella in succinti bikini per qualche giorno).

Sorrise sotto i baffi mentre la osservava da lontano, sempre impeccabile nel suo portamento e avvolta da un’aria di felicità a essere lì insieme ai parenti, lei che ancora soffriva dell’assenza dei suo genitori per la maggior parte delle situazioni. Poi, desideroso di un attimo di quiete – le occhiate gli arrivavano, oh sì - si incamminò pian piano, seguendo il contorno di quell’enorme cortile decorato da palloncini e nastri bianchi, e qualche torcia per facilitare l’arrivo imminente della sera.

Non si poteva stupire che anche una cugina di Minto (aveva leggermente perso il conto dei parenti) avesse anch’essa una stupenda villa poco lontano dalla spiaggia, di dimensioni ridotte rispetto alla magione degli Aizawa a Tokyo ma decisamente più imponente di tutte le altre case nel vicinato. Né poteva stupirsi che avessero compiuto il tragitto fino a lì comodamente spaparanzati in limousine, la mora che era riuscita a trascinarsi dietro tre valigie per solo una manciata di giorni. Ringraziava, almeno, che Minto gli avesse risparmiato di occupare una delle sicuramente più di quattro stanze di quella casa, preferendo rintanarsi in un graziosissimo alberghetto che affittava piccoli e romantici cottage (con una interessantissima doccia che ancora doveva convincere la tortorella a provare…). Ma dopotutto, quella era forse la seconda occasione in cui Minto lo portava in veste ufficiale di suo ragazzo a un evento di famiglia, sarebbe stato davvero troppo dover pure condividere un tetto – e anche se ormai passava più notti sotto il tetto di villa Aizawa, il fatto che i genitori della mora non ci fossero praticamente mai annullava del tutto il problema di imbarazzanti conversazioni.

Conversazioni che, se ci pensava davvero bene, era difficile avere anche con la rampolla in questione. Solo tra loro due ci avevano messo forse un mese o poco più a ufficializzare la loro relazione, e rivelarlo al resto della ciurma era stato un processo per gradi, accelerato soltanto perché una mattina Ichigo – che mai nella vita era arrivata così in anticipo al Caffè – lo aveva beccato in pieno a rubarle un bacio e un’esplorazione di palmi sotto il pizzo della gonna della divisa. Non che a lui importassero certi tecnicismi, ovviamente, ma avrebbe dato oro per capire cosa frullasse ogni tanto nella mente di Minto e fare in modo che le cose continuassero a navigare tranquille come avevano fatto in quei pochi mesi. Incredibilmente tranquille. Eccezionalmente facili.

Continuò a camminare lungo il perimetro del giardino, seguendo le piccole luci che erano state appese alla siepe divisoria e che iniziavano appena ad accendersi al calar del Sole, godendosi la tranquillità che lo circondava man mano che si lasciava alle spalle i rumori della festa. Si fermò solo quando si trovò davanti a un piccolo angolo fiorito in cui sorgeva un gazebo bianco, circondato da alti fiori dai petali gialli che catturarono la sua attenzione, così tanto da non sentire il rumore di tacchi sul selciato.

« Ah ma sei qui, » voltò appena il viso alla voce di Minto, che gli appoggiò lieve una mano sul braccio, «Eri sparito, mi stavo preoccupando. »

Kisshu schioccò la lingua, sfiorandole subito con un dito uno dei boccoli neri lasciati sciolti: « Avevo bisogno di una pausa dalla folla. »

La mora annuì comprensiva, studiando il volto che aveva imparato a conoscere in quegli ultimi mesi, il petto pieno di sollievo nel vederlo tranquillo e rilassato anche in quella occasione.

L’alieno le portò una ciocca dietro l’orecchio, approfittando per lasciarle una carezza sulla guancia arrossata dal Sole, poi fece un cenno del capo verso l’angoletto colorato: « Quelli sono i fiori che piacciono alla scimmietta, non è vero? »

Minto annuì, avvicinandosi per sfiorare uno degli steli: « Sono girasoli. Si chiamano così perché le loro teste si spostano durante la giornata, si dice seguendo appunto l’arco del Sole. Non ci sono sul vostro pianeta? »

« Se parti dal presupposto che servisse il Sole, tortorella… »

Lei arricciò il naso in risposta, facendolo ridere mentre le si avvicinava.

« Comunque, sono molto belli. Anche se sono più alti di te. »

Minto lo ignorò mentre – controvoglia – si alzava appena in punta di piedi per sfiorare il fiore con il naso.

« Da bambine, io e Tomoko venivamo sempre qua a prendere il tè e a giocare insieme. Da molto piccole riuscivamo a giocare anche a nascondino qui in mezzo. »

« Vuoi dire fino all’anno scorso? »

«… sei un cretino. »

« E tu sei monotona. »

« Sono fiori così allegri, eppure sono protagonisti di una leggenda molto triste, » continuò sovrappensiero la ballerina, facendo un passo indietro.

Kisshu la studiò, la tesa piegata da un lato, assaporando con gli occhi la schiena abbronzata e scoperta, la gentile curva dei fianchi su cui danzavano le balze del vestitino, conscio di ogni singolo centimetro di pelle profumata, di ogni singola vertebra che aveva sfiorato con le dita.

« Quale sarebbe? » domandò curioso.

« È un mito dell’Antica Grecia, » Minto lo guardò da sopra la spalla con un sorriso, « Clizia era ninfa del mare, innamorata di Apollo, il dio del Sole, il quale un giorno si innamorò e conquistò la mortale Leucotoe. La ninfa, gelosissima, per vendicarsi rivelò tutto al padre della giovane, che irato fece seppellire Leucotoe viva. Apollo cercò di risuscitare l’amata invano, e poté solo cospargere la tomba di nettare profumato che diede poi vita alla pianta di incenso. Ovviamente, non volle più vedere Clizia, che decise di lasciarsi morire. Per nove giorni, senza toccare né acqua né cibo, digiuna, si nutrì solo di rugiada e di lacrime e mai si staccò da quel posto: non faceva che fissare il volto del dio che passava, seguendone il giro con lo sguardo. Finché, grazie anche alla pietà del dio che tanto amava, non si tramutò nel girasole, continuando ad amare Apollo volgendosi sempre verso il suo Sole. (1) »

Il verde rimase in silenzio qualche istante, aggrottando le sopracciglia: « Ricapitolando, lei amava il tizio, che però l’ha rifiutata perché aveva leggermente fatto la pazza gelosa e per questo si è trasformata in fiore? »

« Hai tolto tutta la magia della favola, ma all’incirca. »

« Mmmh, » lui picchiettò un dito sul bicchiere, prima di prendere un sorso, « Amori non corrisposti, è una storia lunga come il mondo, eh? »

Vide la mora spostare a disagio il peso da un piede all’altro, mormorare un assenso poco convinta al pensiero che lui sapeva benissimo le avesse attraversato la mente.

« Per fortuna che non è il nostro caso, non trovi? »

Minto si irrigidì all’istante, il cuore che le accelerò furibondo contro al petto mentre quella frase si ricomponeva nel suo cervello e il suo possibile, probabilissimo significato le diventava sempre più chiaro, spezzandole inesorabile il respiro in gola. Fissò il ragazzo davanti a lei, sperando che l’abbronzatura e il buio che stava scendendo ormai a tramonto concluso fossero abbastanza per celare il calore che sentiva irradiarsi dal collo, mentre lui sembrava così tranquillo, così convinto di tutto e incredibilmente genuino. Kisshu azzardò qualche passo verso di lei, afferrandole piano le mani.

« Ti lascio senza fiato, eh, tortorella? »

La mora tossicchiò, già un moto di stizza per le sue insopportabili battutine: « … sei proprio un - »

« Cretino, lo so, lo so, » lui rise e le prese il viso tra le mani, specchiandosi negli occhioni scuri che brillavano emozionati, « Fa lo stesso se mi sono inna-»

Un boato improvviso li fece sobbalzare entrambi, mentre una dozzina di colori diversi esplodeva nel cielo rabbuiato e si estingueva in tante fiammelle sottili, subito seguite da altri scoppi.

« Sono fuochi d’artificio, » borbottò Minto, che già aveva percepito il corpo di Kisshu tendersi vicino al suo, « È un’altra tradizione umana, sono piccoli razzi che usiamo per festeggiare. »

« Caotici come sempre, » rimbrottò lui, irritato di essere stato interrotto proprio in quel momento ma decisamente affascinato da quello spettacolo e dal modo in cui le luci giocavano sulla pelle chiara della ragazza, che avvolse con un braccio, « Però… è un bel momento. »

Minto lo guardò da sotto in su, un accenno di sorriso timido sulle labbra mentre si stringeva appena di più a lui.

« Poi non puoi lamentarti che non sono romantico. »

« …cretino. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1) Per il mito di Clizia, Apollo e Leucotoe, tratto dal Libro IV de Le Metamorfosi di Ovidio, anche qui: https://wsimag.com/it/cultura/14473-il-mito-di-clizia-da-ovidio-a-montale

   
 
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