Lo strano caso
-
Smettila
di agitarti! Mi stai facendo saltare i nervi! - .
-
Non è
colpa mia se sono agitata! È la situazione che è assurda! - .
-
Fa
silenzio! - .
-
Ma che ho
detto di male? - .
-
Sta
zitta, idiota! - .
-
Certo che
quando ti ci metti sai essere davvero antipatica… - .
La
porta dello studio in cui la conversazione si stava svolgendo già da tempo si
aprì, e un giovane poliziotto dall’aspetto giovane e l’aria taciturna fece il
suo ingresso, spostando lo sguardo lentamente all’interno della stanza spoglia.
-
Che
carino… - .
Gli
occhi neri del poliziotto scattarono sul suo volto, pronta a incenerirla.
-
Faresti
meglio a tener chiusa quella fogna, deficiente! - .
Marsha deglutì, abbastanza rumorosamente,
abbassando subito dopo gli occhi per non dover sostenere per un attimo in più
quelli del giovane in completo grigio che sedeva di fronte a lei.
-
Sono il detective
David Terris – si presentò il giovane, estraendo da
una busta di carta – con la quale era entrato – dei
fogli grandi quanto l’involucro cartaceo che li conteneva.
-
Taci - .
Il
commissario Terris sollevò gli occhi dalla busta di
cui stava ancora esaminando l’interno, puntando gli occhi sulla donna.
-
Prego? –
chiese con tono spazientito, socchiudendo gli occhi fino a farli divenire due
fessure.
-
Ehm… - si
schiarì la voce tossendo più volte, massaggiandosi il collo per temporeggiare.
– È un po’ nervosa… Non ci faccia caso… la prego… - .
David
Terris continuò a tenere lo sguardo puntato di fronte
a se per un po’ di tempo, ritornando poi a concentrare la sua attenzione sui
fogli estratti dalla busta, sbattendo le palpebre più volte in preda al
nervosismo.
-
Signorina
Bens – pronunciò improvvisamente, in tono solenne, il
detective, attirando così l’attenzione di entrambe le sue interlocutrici. – Sa
perché è qui? - .
-
A dire il
vero… - .
-
Sì - .
-
No! - .
L’espressione
della donna alla quale si era rivolto mutò repentinamente, facendosi ad un
certo punto disperato.
David
Terris pensò, per l’ennesima volta da
quando aveva ottenuto quel caso, che non si era mai trovato di fronte ad
una situazione simile.
-
Lei è
accusata di omicidio, signorina Bens – spiegò Terris, con una pazienza che non immaginava di possedere,
voltando lentamente, uno ad uno, i fogli che fino a un
minuto prima stringeva convulsamente in una mano, stropicciandoli.
Marsha capì in quel momento che si trattavano
di fotografie. E non di fotografie comuni.
-
Ma cosa…
- provò a dire la donna balbettando, sgranando gli occhi su ogni scatto
macabro, ritraenti corpi dilaniati, con arti mancanti
o sfondati, in diverse prospettive.
-
Sono
state trovate le sue impronte digitali. Non sarebbe ora di confessare? – chiese
il detective con una calma invidiabile, scandendo meticolosamente le parole.
Quando
aveva ottenuto il caso e ne era giunto alla soluzione, non credeva a se stesso.
Non riusciva ad immaginare come fosse stato possibile arrivare ad un risvolto
simile e si era incaponito, volendo constatare, coi suoi occhi, quella che
sembrava essere l’unica verità.
Non
era tipo da risultare così cinico, era solo curioso di vedere fino a che punto
si sarebbe spinta l’indagata quella volta. Soprattutto in quelle condizioni.
-
Co-confessare? Di cosa sta parlando? - .
-
Taci! - .
Sobbalzò.
-
Perché mi
ha fatto vedere queste foto…? – piagnucolò.
-
Falla
finita! Falla finita adesso! - .
-
Che accidenti
dici? - . Si voltò alla sua destra, digrignando i denti tra le lacrime.
Il
detective Terris osservò la scena
allucinato, con occhi sgranati, decidendo di voltare la testa in
direzione dello specchio apparente, al di là del quale sapeva che dei suoi
colleghi li stavano monitorando.
-
Sei una
piagnona! Una piagnona! -.
-
Sta
zitta! - .
-
Per
questo ti trovi in questa situazione! Se avessi lasciato fare tutto a me, a
quest’ora non saremmo qui! - .
Terris continuò ad osservare incredulo la
scena, ascoltando attentamente i botta e risposta che continuavano a scambiarsi
le due donne che aveva di fronte.
Guardò
alla destra dell’accusata, ritornando velocemente ad osservare perplesso lei,
estraendo un fazzoletto di stoffa da una tasca dei pantaloni e asciugandosi la
fronte madida di sudore.
-
Come hai
potuto… - mormorò la donna tra le lacrime, portandosi entrambe le mani sul
volto.
-
Falla
finita. - .
-
No! - .
-
Falla
finita. –
-
NO! - .
-
FALLA
FINITA O
-
SMETTILA!
- .
-
D’accordo.
- .
Una
strana sensazione scosse Terris, quando vide la scena
placarsi così com’era sorta. Si rese conto solo dopo di aver trattenuto il
fiato.
Osservò
l’accusata ancora una volta, soffermandosi sul considerare il suo fisico
mingherlino, le mani piccole dalle dita sottili, il vestito rosso a fantasia
fiorata che la vestiva, corto abbastanza da lasciar intravedere le ginocchia.
Un
fisico per niente possente.
Era
chiaro che fosse stata aiutata da qualcuno… anche se il solo pensiero gli procurava la pelle
d’oca.
La
vide continuare a piangere, col viso nascosto tra le mani.
Si
alzò, sistemandosi la giacca, recuperando velocemente tutte le fotografie che
aveva sparso sul tavolo, senza, però, perdere d’occhio le due interlocutrici.
Le
dita di Marsha si allargarono, mostrando due occhi
curiosi e attenti, arrossati dal pianto.
-
Sei
rilassata, Marsha? - .
Terris, incuriosito da quel timbro vocale
strano che veniva emesso per l’ennesima volta, ebbe il
tempo di voltarsi solo a metà, prima di vedersi aggredire dalla donna.
Era
saltata sul tavolo e afferrato la sedia sulla quale sedeva il detective con entrambe
le mani, sollevandola e colpendo l’uomo in pieno volto, facendogli perdere
sangue da un punto indefinito della fronte.
Terris si sbilanciò, completamente
impreparato all’aggressione, cercando di recuperare l’equilibrio e di tenere a
bada la donna, ma quella continuò a colpirlo, ripetutamente e con forza. Una
forza che non credeva potesse avere una donna di
quella costituzione.
Marsha continuò a colpirlo anche quando lo
vide cadere a terra, e dopo avergli assestato un colpo in mezzo alle gambe e
uno in testa, lasciò perdere la sedia e trascinò l’uomo per i capelli fino al
tavolo.
Dei
poliziotti entrarono nel momento in cui la donna, calcolata la distanza, ebbe
schiacciato la testa di Terris con il bordo del
tavolo, facendogli emettere un sinistro crack, seguito da una chiazza di
liquido vermiglio che andava estendendosi a dismisura.
-
Oh mio
Dio, che cos’hai fatto! - .
-
Quello
che avresti dovuto fare tu, sgualdrina! - .
I
tre poliziotti accorsi videro il volto della donna cambiare espressione a seconda di ogni frase pronunciata, ognuna delle quali
veniva emessa con timbro vocale diverso. Dovette intervenire un quarto uomo per
portarla via da lì.
-
Cristo
santo… -
mormorò un collega di David Terris dalla sala di
monitoraggio, ancora attonito per la scena svoltasi nel giro di pochi secondi
davanti ai suoi occhi.
-
Ecco
spiegato come diavolo abbia fatto a massacrare l’intera famiglia… - aggiunse un
altro, bianco come un cadavere, con gli occhi sbarrati puntati sul cadavere di Terris, che in quel momento veniva
coperto con un lenzuolo.
-
Ma chi cazzo è? Che cazzo ha? – chiese
un terzo, scattando indietro come se avesse preso una scossa elettrica, con la
faccia più turbata di tutti.
-
Lo
psichiatra che ha seguito il caso l’ha definita “Sindrome della doppia
personalità” – rispose un terzo, lanciando una penna contro il vetro divisorio
e lasciandosi cadere sulla sedia alle proprie spalle.
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Angolo
dell’autrice…
Uhm…
NO. Non mi piace *agita la testa a destra e a
sinistra, facendo preoccupare i lettori, ai quali, quella, risulta una scena
molto familiare…*
Buahahahahah! No, tranquilli, cioè sì, sono pazza,
ma non arrivo a quei livelli XD
(Non ancora vorrai dire… ndTutti)
Vabbè, bando alle ciance, non vi ho nemmeno
salutati u__u’’
Salve!
Sono ritornata in questa sezione con una nuova storia, liberamente ispirata al
romanzo “Lo strano caso del dottor Jekyll e del
signor Hyde” di Stevenson. Non a caso ho deciso
d’intitolarla “Lo strano caso”, facendo un riferimento sia al caso clinico
psichiatrico che al caso poliziesco.
Che
aggiungere? Ulteriori delucidazioni? (le aggiungo non
perché metto in dubbio la vostra attenzione, ma perché temo io di non essere
stata sufficientemente chiara)
Dunque
dunque: le parole scritte in corsivo (quelle al
plurale) sono riferite all’altra lei, quella
che all’inizio trae in inganno (spero, l’intento era quello >__>) e che
alla fine si svela, massacrando il povero detective curioso.
Quindi
fate un paio di collegamenti e capirete che anche il detective si riferiva ad
una seconda persona perché aveva compreso che all’interno dell’accusata, fondamentalmente,
si contendevano il controllo del corpo due personalità.
La
carissima e dolcissima Marsha Bens,
per tutta la durata della storia, non fa che parlare con se stessa.
Riguardo
ai nomi dei personaggi: non ho la più pallida idea se esistano
davvero il nome Marsha e il cognome Bens, così come non so se esista il cognome Terris (David è un nome abbastanza usuale… su cui non mi ci
soffermo con questo dubbio). Ho lasciato libero arbitrio alla fantasia, così
come al trattamento di quest’inquietante e affascinante sindrome. Non l’ho
approfondita, l’ho semplicemente usata ed, essendo questo un horror, come tutti
gli horror che si rispettino ho esagerato.
*Passo
e chiudo*
Che
altro? Non scrivo e mi sottopongo al giudizio di voi splendidi lettori da un po’, quindi, tirate fuori tutta la severità di cui disponete
e commentate!
A
proposito di commenti, volevo ringraziare chi ha scritto la sua in merito
all’ultima storia postata in questa sezione, cioè “La fuga”.
Un
ringraziamento a Mat_y,
Mon-chan, Antote e Kia_do87 per aver commentato. *inchino*
Ora
vi lascio, sperando di avervi fatti perlomeno ridere (nell’eventualità in cui
questa storia vi sia risultata patetica come lo è risultata a me leggendola
ç__ç).
Senza
alcuna pretesa
HOPE87