I.13
Mariemaia
non ha altro da fare che ricordar la guerra – e, alla sua età,
così si ricorda:
come si sogna.
Due
volte all'anno, Heero va a lasciarglielo avere – un dono di
Natale, uno di
compleanno – ed a veder Wufei, che veglia su di lei come un
compagno di cella o
un fratello maggiore, un guerriero sconfitto che non abbia un
altro comandante
da seguire, guardiano e tutore dell'orfana cui ha ammazzato il
padre.
Une
apre la porta come un cappellano schiude i cancelli d'un vecchio
cimitero; e
Heero scende nella tomba a conferire – da soldato scelto a
generale, da bimba a
ragazzino – coll'ultimo fantasma di cui è l'assassino.
La
prima volta, sei mesi dopo la sua sola sconfitta, lei ha otto
anni appena da
qualche ora; il rimorso negli occhi ha lasciato il posto ad una
qualche
tristezza, quella malinconia che prende chi è sempre vissuto con
assoluta
certezza e poi l'ha persa. Nei toni pastello, infantili, dei
suoi vestiti,
della sua cameretta, immobile sulla carrozzella, sembra una
statua sepolcrale,
un angioletto grottesco, colla faccia di pietra e la testa
rossa. Lei non gli
dice niente, niente gli domanda – forse non c'è niente da
aggiungere, forse c'è
troppo che ancora non capisce –; lui non le risponde. Nella luce
del maggio, alla
finestra, Wufei legge sottovoce versi sui campi, sul bestiame,
sulla pace, con
la spada al fianco ed in alta uniforme.
La
seconda volta, lei è già stanca, consumata da una fame segreta
che le ha
scavato il viso, rendendola più gracile e più grande. "La pace è
logorante", gli spiega, la voce bianca, nitida e squillante – la
cosa più
viva, più brillante, in quel mattino esangue di dicembre –,
svelando ed
assolvendo quello che anche lui sente. Dal suo canto, Wufei ha
un libro chiuso
di poesie in grembo – parole antiche, ideogrammi eleganti,
sull'assenza, la
quiete, l'inverno. Une entra portando tè e biscotti, un'offerta
votiva per i morti;
di loro tutti, morti a loro volta, nessuno l'accetta.
La
nona, Mariemaia veste abiti più pallidi, spogliati di colore,
quasi una divisa
carceraria sul fondo cipria e confetto della carta da parati coi
soliti caroselli
stregati e carillon rotti, che sono tagli per misurare i giorni
in cella quando
il tempo non passa, quando la condanna non si sconta. Ha le
braccia e le gambe
troppo lunghe, le ginocchia magre, sempre ferme; è in quel limbo
indeciso tra
infanzia e adolescenza, quando in atto si è nulla, in potenza
chiunque – a meno
che ogni alternativa non sia stata bruciata, assieme ad un
accordo di non belligeranza,
alla beata innocenza e al resto d'una vita, in un colpo di stato
a sette anni, durante
le vacanze. Che stia crescendo, anche a Heero è evidente; così
come evidente
che per nessuno di loro cambierà niente. Sulla scrivania, tra la
polvere e la
carta da lettere che Mariemaia non usa, Une ha deposto fiori di
campo –
ginestre, malva, camomilla; giunchiglie, fiordalisi e margherite
– che già stanno
sfiorendo e odorano di sterpaglie secche, come l'aria attorno a
certe lapidi
coi nomi consumati dalla pioggia e dal vento, o dalla lima di
chi se ne
vergogna. Wufei scorre un romanzo di formazione o sul venire al
mondo; solo con
un dito tiene il segno.
La
tredicesima volta, lei lo accoglie col fuoco negli occhi: è un
fervore, un'arsura
nuova, che Heero riconosce e che lei ancora non capisce, ma che
la consuma
laddove lo spirito si trasforma in un fatto materiale, al posto
di quello che
non sentirà mai per davvero sotto al mezzo busto – le cosce, le
caviglie, ciò che
le si cela tra le anche – per una pallottola rimbalzata male tra
la dodicesima
costola e la spina dorsale. "Lo sai che siamo vivi tutt'e due?",
gli
rivela comunque, temeraria, vorace ed incurante, in un'offerta
ed un giuramento
segreto, o una trattativa che sa di congiura e profuma
d'intrigo, di guerra promessa. Wufei sfoglia un volume di poesie erotiche che sono
forse anche
d'amore, distrattamente, ripetendo a mente l'Arte di Sun Tzu, quasi sorpreso di ricordarla
ancora tutta, parola
per parola.
La volta
dopo, Heero ritorna trascinando Duo per mano e per la treccia,
come uno scudo o
un vessillo sfacciato in mezzo alla battaglia, con l'onestà
crudele che a
un'altra combattente non vuole risparmiare e che le deve. Ma
Mariemaia si
limita a guardarli tutt'e due, con triplicato ardore ed un
sorriso ferale, come
se Zero-Due fosse un regalo nuovo da scartare – e forse lo è;
meglio: è un'arma
da usare, se solo Heero glielo lasciasse fare. "Che cosa vuoi da
me?", l'accusa lui, ed è una scusa, quasi una difesa; tuttavia è
esitante.
"Niente che tu non possa darmi, Zero-Uno. Niente che tu non
m'abbia già
dato", gelida e dolce, lei gli risponde. Wufei scuote il capo,
corruga la
fronte; tra il divertito e lo sconsolato, guarda al trattato
sulla retorica, la
diplomazia, la persuasione, che mezz'ora prima le stava
declamando.
La
volta ancora successiva non è né a mezz'estate né d'inverno; è
bensì una visita
d'urgenza, che interrompe il rito e spezza l'incanto, prima del
tempo: comunque
vada, non ce ne sarà un'altra; i caroselli stregati, i carillon
rotti, non
staranno più fermi su sé stessi contando un altro anno. Heero
entra con Duo e
due borsoni a testa, pesanti come pesa solo il metallo – è un
peso familiare,
che lo fa sentire più leggero. In piedi, tra il muro e il
secretaire, c'è anche
Trowa, serio e silenzioso come sempre; con la grazia usuale e
con riverente
gentilezza, regge la testa di Quatre fluttuante nello schermo,
su un canale
certo così sicuro che neanche Heero lo potrebbe craccare.
Mariemaia ha l'età
che aveva lui quando si trasformò in una stella cadente per
un'operazione di
violenza e terrore, di liberazione – in cui avrebbe potuto
perder tutto, ma per
fortuna non aveva niente. Come una stella fissa, oggi lei è
raggiante, fulgente
in un bagliore di sangue. Une è discretamente assente, in
avanscoperta o per
poter negare. Stavolta Wufei non sta leggendo niente, però ha in mano
una mappa
ed un giornale – non importa quale: la prima pagina è comunque
un necrologio
per Relena Darlian; qualcuno annuncia anche un funerale.
"Bene,
signori!", sorride la ragazzina che è ritornata ad esser
generale.
"Qual è la situazione? Abbiamo una guerra da finire. È giunta
l'ora di
resuscitare".