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Autore: nattini1    09/09/2018    7 recensioni
Sam ha iniziato una nuova vita a Stanford, lasciando gli affari di famiglia senza voltarsi indietro. Ma Dean continua a vegliare su di lui.
Hurt/comfort.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Sam Winchester ha sempre odiato Halloween. Lui sa che i mostri esistono; ha passato anni e anni (praticamente tutti quelli che conta la sua giovane vita) a scovare il male che se ne stava acquattato in angoli bui e umidi o strisciava di nascosto nell’anima di qualche malcapitato. Una vita che nell’immaginario comune avrebbe dovuto avere il sapore del mistero dell’erranza, intrecciato alle più grandi passioni e invece si era rivelata una prigione di regole, dolore e orrori.

Per cui proprio non ce la fa a reggere tutta quella ostentazione di finti denti affilati, corpi insanguinati con liquidi di dubbia composizione e bambini urlanti.

È a Stanford da un paio di mesi e ha trovato una stanza in affitto, ha cominciato a frequentare le lezioni e si sta pure facendo degli amici; stasera però non se l’è sentita di seguire i suoi compagni di corso a una festa in maschera e si è rintanato in un’anonima tavola calda. Forse l’idea di Dean di ubriacarsi quando le cose andavano male non era così sbagliata e lui, alto com’è, dimostra più dei sui 18 anni, per cui non ha difficoltà a ottenere degli alcolici.

Sam ordina il sesto bicchiere di tequila e lo butta giù tutto d’un fiato. Si guarda intorno: nel tavolo a fianco c’è un tipo vestito da Matt Murdock con tanto di occhiali neri che legge un giornale e intanto spilucca da un piatto delle dita di strega e occhi di gelatina. Più lontano c’è un tizio che sembra normale, ma si mantiene in disparte in un angolo e lui non riesce a metterlo a fuoco. Nel corridoio c’è un bambino vestito da pesciolino che vuole trascinare la madre, con un improbabile travestimento da piovra, a vedere da vicino l’inquietante pupazzo dagli occhi luminosi dietro il bancone. La cameriera sta cercando di tagliare allegramente con un coltello da macellaio la crostata della casa, che per l’occasione è stata farcita di una marmellata sanguinolenta. Il suo istinto, o forse è la tequila, gli dice di strapparle il coltello di mano.

Si chiede se ha fatto la scelta giusta lasciando gli affari di famiglia e suo fratello. Da qualche parte aveva letto che la via sbagliata la riconosci perché opprime gli altri, li esclude, li giudica, li emargina, li schiaccia. E ti toglie la pace del cuore.

Beve l’ennesimo bicchiere e poi prova con inaspettato successo ad alzarsi. Decide di portarsi via la bottiglia di tequila con quel poco che ne rimane, paga ed esce barcollando dal locale; l’unica cosa che vuole ora è trovare la strada per la sua stanza. La notte è fredda, l’aria pizzica la pelle e l’anima con quel gelo pungente che solo il calore della stretta della persona amata può scacciare. Ha la strana impressione di essere seguito da qualcuno e non sa dire se la sensazione sia spiacevole o meno: si sente come un bambino che cammina e guarda indietro perché c’è una cosa scura che lo segue, incapace di capire che si tratta della sua stessa ombra.

È troppo ubriaco per camminare dritto senza sostegno e si appoggia a un muro, ma le gambe cedono e, cercando di attutire la caduta, butta la mano che ancora stringe il collo della bottiglia. Il vetro infranto che lacera il palmo della mano gli dà una scarica di dolore che lo rende momentaneamente lucido. Strappa via la scheggia, incurante del sangue che scorre via e barcolla fino al dormitorio; ormai manca poco. Incontra gente che sotto i costumi ha un aspetto vagamente familiare, ridono e gli fanno i complimenti per il realismo del sangue, barcolla fino alla sua porta, cerca di infilare la chiave nella toppa e poi crolla. Ma, prima di perdere definitivamente i sensi, sente un paio di braccia che lo afferrano e gli evitano un brusco scontro con il pavimento.

Il mattino dopo si sveglia nel suo letto, solo, con ancora il sapore della tequila in bocca. Corre verso il bagno e vomita tutto quello che ha dentro, tranne i rimpianti, che ancora non vogliono lasciare il suo animo. Si scosta i capelli dal viso per sciacquarsi la bocca e solo allora si avvede di avere la mano fasciata da un fazzoletto colorato. Slaccia il nodo aiutandosi coi denti e sotto scopre che la ferita è stata pulita e c’è una sutura. Un tipo di sutura che può essere stato fatto solo con più cura che maestria, usando del filo interdentale.

 

 

 

NdA

 

Questa storia è per Snehvide ed è nata per via di un giochino sul gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. Ho sempre immaginato che non solo John, ma anche Dean desse un’occhiata di tanto in tanto a Sam quando era a Stanford, anche senza farsi scoprire.

Spero che vi piaccia!

   
 
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