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Autore: Pendragon_97    09/09/2018    2 recensioni
Nulla più della battaglia di Angmar ebbe il potere di segnare la storia del Reame Boscoso. Tutti ne conosciamo l'esito, tutti abbiamo la facoltà di immaginarla nella sua più vivida crudezza.
Ma cosa cambierebbe se le stesse vicende fossero presentate in prima persona secondo i punti di vista di Legolas e Thranduil?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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THRANDUIL

Thranduil era impegnato nella ricerca da diverse ore, aveva perlustrato gran parte della landa desolata. E così, senza voce, era svantaggiato perché non poteva chiamarlo. Ci provò varie volte ma l'unico risultato fu che il nome del figlio non usciva dalla gola, riusciva solo a pensarlo a volume alto, ma l'unico rumore che produceva era una fastidiosa tosse, e sentiva bruciare la gola, come se avesse ingoiato un tizzone ardente.
Sentiva il peso della stanchezza e del dolore gravare su di sé, mentre la ferita alla gamba pulsava, faceva male e lo rallentava.
Sentiva la testa girare, forse per il troppo sconvolgimento che aveva subito, sì, il grande Re degli Elfi era stato sconvolto. L'unica cosa che dava senso alla sua vita era Legolas, e se fosse morto anche lui? Non ci voleva pensare. Doveva trovarlo prima di eventuali nemici.
Camminava, vagando e uccidendo gli ultimi orchi che attraversavano la sua strada. Nonostante le sue forze stessero venendo meno, un'altra grande forza lo stava alimentando.
La rabbia.
"Voi, maledetta sia la vostra razza! Avete ucciso la mia gemma!" pensò, furente.
L'odio che provava per gli orchi spingeva la sua mano con una forza che non gli apparteneva.
Le pupille dell'elfo guizzavano a destra e a sinistra, alla ricerca disperata del piccolo.
Poteva essere ovunque, eppure non era da nessuna parte.
Rimpianse la sua stupida idea di averlo portato.
In quel momento era tornato alla tenda, o perlomeno a ciò che ne rimaneva: drappi verdi strappati e legnetti spezzati. Frugò tra i resti, e nulla. Per fortuna non era lì, sotto alle macerie.
Lasciò il posto, sempre più disperato, perché non sapeva più dove cercare.
Se Legolas fosse scappato, allora non lo avrebbe più ritrovato.
Gli era rimasto solo un quinto dei soldati con cui era partito, il resto erano cadaveri sparsi sul campo di battaglia, lucenti nelle loro armature, parevano riposare assopiti.
Non aveva più voce per chiamarli, per mobilitarli alla ricerca del figlio. E si sentì immensamente piccolo, impotente.

Si diresse, poi, arrancando verso un paesaggio roccioso, anche questo ricoperto di corpi di nemici e di elfi. Di amici che prima della battaglia avevano brindato con lui, per lui. Per la vittoria.
La pioggia stava lavando via il sangue sparso su quella terra, e dei fulmini iniziavano ad illuminare il cielo, l'unica luce di quella tetra giornata.
Si fermò per riposare ancora un attimo, ancora una volta obbligato dal suo corpo esausto.
Stava dando tutto per perso, quando poco dopo sentì una vocina chiamare. Dei piccoli passi, ed il rumore di un tuono coprì il suono della caduta del piccolo.
Guardò in quella direzione, e vide un mostro ergersi sopra Legolas.
Un attimo dopo, il bambino era dietro di lui.
Sguainò ancora una volta la spada, che riluceva in quell'ombra di una luce che pareva emanasse di suo.
Anche negli occhi di Thranduil si era accesa una nuova luce. L'amore che nutriva per il figlio, per il frutto dell'unione con la sua consorte, fu uno spruzzo di energia che gli permise di scattare contro l'orco.
Il combattimento non fu breve, poiché il Re degli Elfi non era nelle condizioni adatte.
Tuttavia il nemico era grosso, tozzo e goffo. I movimenti erano abbastanza lenti, tanto che Thranduil lo disarmò con due fendenti e quando esso stava per caricarlo, l'elfo riuscì a scansarsi in tempo e ad infilzarlo.
Un rauco grido spaccò il silenzio, poi non si udì altro che il rumore della caduta della pioggia.
Il Re del Bosco Atro rinfoderò la sua lama, e prese il figlio in braccio. Lo strinse a sé.
Se avesse avuto altre lacrime le avrebbe piante, per il dolore che attanagliava e serrava violentemente il suo cuore, e per la gioia di aver ritrovato il suo bambino.
«Sono qui...» riuscì a dire, in un sussurro spezzato.

«Va tutto bene...»



LEGOLAS

La paura si impadronì del cuore del piccolo elfo, costringendolo a galoppare talmente forte che nessun Mearas sarebbe mai riuscito a sostenere tale andatura. Prima del dolore, prima della rabbia che ammontava nella sua mente per ciò che l'Orco avrebbe potuto fare al suo papà, era il timore a guidare le azioni del principino.
In quel dì dalle apparenze uggiose il sole non sarebbe mai uscito, eppure Legolas era in ombra in quell'istante. Una grande chiazza scura rinchiudeva l'intero suo corpo, una macchia che pareva possedere vita giacché essa si muoveva esattamente come il genitore.
Protetto dal proprio papà, confortato persino dalla presenza della sua grande ombra, Legolas si sentiva finalmente al sicuro e malgrado il dolore cominciasse a farsi sentire, egli – traballando 
volle ugualmente alzarsi in piedi.

«Non ti arrendere ada!»

Fu la violenza di pochi istanti dopo, quando l'Orco tentò di disarmare il padre e quest'ultimo rispose con un fendente letale che Legolas si inorridì, crollando a terra.
Mai, nella sua innocenza di bambino, aveva veduto una tale crudeltà. Mai la figura del genitore - del suo papà!
era stata deturpata da una smorfia di dolore, sofferenza e odio. Mai i suoi occhi avevano brillato tanto intensamente in assenza della regina.
Smarrito, lo sguardo del piccolo, bagnato da pure lacrime di terrore, dapprima si posò sul cadavere di quella strana creatura ancora agonizzante e successivamente sui propri pantaloni, orrendamente strappati ed insanguinati. Chiazze rosso scarlatto si susseguivano a lacerazioni, residui di sporco e granelli di polvere. Gli doleva il volto, gli doleva il mento con il quale aveva picchiato a terra.
Denso liquido rossastro gli colava sulla tunica che la madre stessa gli aveva fatto indossare quel mattino. Si sarebbe arrabbiata? Probabilmente sì giacché sempre ella aveva richiesto compostezza e regalità al proprio primogenito. Tremando vistosamente, Legolas alzò appena un dito per sfiorare quanto gli adornava il suo bel volto. Una melma, accesa ed infiammata per giunta.

«Ho...  avuto tanta paura.»

La voce smorzata dal pianto che, prepotente, si fece largo nel cuore dell'elfo, impedendogli di parlare. Non un solo termine sarebbe sfuggito da quelle tenere labbra senza un singhiozzo ad accompagnarlo.
Tirando su con il naso, abbracciando forte il collo del genitore, Legolas poggiò la parte del viso sana sopra la fredda corazza metallica che ricopriva la spalla del regnante. Non un rumore proveniva dall'orizzonte, freddo e sconsolato così come il cuore del piccolo che -tuttavia - ignorava la crudele realtà.

«La mamma si arrabbierà, ada. Ho sporcato la tunica nuova…»

Disse infine in un sussurro, gemendo appena di dolore mentre il suo sguardo cristallino osservava l'infrangersi di sporadiche gocce di pioggia sulla corazza del reale.
Se la battaglia - quella fisica - poteva considerarsi conclusa, la lotta contro il dolore e quel vuoto ch'avrebbe caratterizzato l'eternità dei due elfi era appena iniziata.


 
   
 
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