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Autore: Amantide    09/09/2018    0 recensioni
Due buste identiche, in due appartamenti diversi, indirizzate a due persone con qualcosa in comune.
Sherlock sapeva che il suo incontro con John Watson aveva finito per cambiare in modo irreversibile la sua vita, ma non pensava che sarebbe mai arrivato a tanto. Era bastato uno sguardo, una firma, e tutto era cambiato di nuovo.
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Dal testo:
"In piedi al suo fianco, con indosso uno dei suoi maglioni più belli, c’era John Watson; tangibile e reale come il vuoto che era stato in grado di lasciare nella sua vita. Gli aveva bloccato il polso e lo fissava con sguardo languido senza dire una parola."
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[Sherlolly] [Parentlock]
Genere: Commedia, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo dell'autrice: che bello tornare a scrivere "angolo dell'autrice", devo ammettere che mi è mancato un sacco e per questo non posso far altro che rimproverare me stessa anche se il tempo trascorso era necessario perchè questo è probabilmente il capitolo più delicato di tutta la storia. Facciamo che per tutto il resto vi scrivo a fine capitolo, così evito spoiler e reisco a spiegarmi meglio. Io intanto vi ringrazio, spero che il capitolo vi piaccia e si capisca cosa avevo in mente fin dall'inizio.





8- METAMORFOSI
 
 
Stando a quanto diceva Molly, il Dottor Abrams e i suoi collaboratori non avevano nulla in contrario in merito a quello che c’era stato tra loro e Sherlock stentava ancora a crederci. Si erano detti addirittura entusiasti dell’avvenimento e, nonostante Molly fosse stata categorica nello spiegare che si era trattato di un errore e che non sarebbe mai più capitato, l’intera equipe di psicologi continuava ad augurarsi che tra loro potesse veramente nascere qualcosa. Sherlock rifletteva ininterrottamente su questo aspetto da più di una settimana, aveva perso l’appetito, il sonno e sicuramente anche buona parte della sua sanità mentale, eppure in tutta questa faccenda c’erano ancora troppe cose che non gli tornavano. Mycroft non rispondeva alle sue telefonate e, sebbene fosse un comportamento che era spesso lui il primo ad adottare, la cosa cominciava a dargli sui nervi.
Aveva bisogno di parlare con suo fratello e non aveva nessuna intenzione di tornare in quello stupido club per sentirsi dire che presto avrebbe avuto le risposte che cercava.
Se non altro da quando Molly aveva capito che nessuno era intenzionato a revocarle l’affidamento della bambina stare in sua compagnia era certamente più gradevole, Sherlock se ne rese conto subito. Quando non era a lavoro portava Rosie al parco e se la pioggia non glielo consentiva si dedicava alla cucina con risultati piuttosto soddisfacenti.
“Ho fatto i biscotti, sono perfetti per il tè delle cinque” annunciò lieta un pomeriggio in cui Sherlock rincasò fradicio e infreddolito.
“Quelli della Signora Hudson sono perfetti per il tè delle cinque” fece lui scettico abbandonando il cappotto zuppo nell’ingresso.
“Sì, ma questi sono nettamente meno calorici” precisò Molly allungando a Sherlock il vassoio nella speranza che lui cedesse alla tentazione di assaggiarne almeno uno, “e sono allo zenzero” aggiunse giocandosi l’asso nella manica.
Sherlock la scrutò sospettosa per un attimo, poi allungo la mano e afferrò tre biscotti. “Questo è un colpo basso” dichiarò, “sai che non so resistere ai biscotti allo zenzero”.
“L’acqua per il tè è già sul fuoco” disse Molly tornando in cucina con aria soddisfatta.
Fu così che Sherlock raggiunse la sua poltrona munito di una scorta di biscotti non indifferente accompagnati da un bicchiere di whiskey, gli ci voleva qualcosa di decisamente più forte del tè delle cinque per dimenticare quella giornata passata a contrattare informazioni e favori con la sua rete di senzatetto nelle zone peggiori di Londra sotto la pioggia battente. Cominciò a smistare la posta in cerca di un nuovo caso, l’ultimo si era rivelato un flop, decisamente insoddisfacente e noioso, tremendamente noioso per la precisione. La verità era che da quando John se n’era andato tutti i casi erano noiosi e fin troppo semplici da risolvere. Sentiva il bisogno di tornare a respirare il brivido della caccia e cominciava a domandarsi se mai sarebbe riuscito a rivivere anche solo per un momento l’adrenalina dei casi di una volta. 
Le emozioni, quelle stupide emozioni che John con il tempo, e una dose non ben definita d’insulti e imprecazioni, era riuscito a insegnargli a riconoscere sembravano essere morte con lui, assopite a tempo indeterminato. 
A riscuotere Sherlock da quel torpore fu un suono insolito che riattivò immediatamente la parte razionale del suo cervello.
Qualcuno aveva appena suonato il campanello, troppo timidamente per essere un cliente e con troppa poca convinzione per essere il postino. Non era nemmeno Lestrade, il suo dito pesante era inconfondibile, e nonostante Sherlock nel suo palazzo mentale avesse un archivio di tutte le tipologie di suoni che il campanello del 221B di Baker street era in grado di produrre, il consulente investigativo non riuscì ad attribuire quella scampanellata a nessuno di noto, e lui aveva molta poca voglia di aprire la porta ad uno sconosciuto. 
Dal momento che l’ignoto visitatore sembrava insistente, Sherlock poggiò con svogliatezza il bicchiere di whiskey sul caminetto e si decise a scendere le scale per aprire la porta perché la signora Hudson, troppo presa dalle sue soap opera del pomeriggio, non sembrava intenzionata a fare gli onori di casa. Giunse alla porta inciampando nella vestaglia e si rassettò gli abiti quanto bastava un attimo prima di aprirla e di roteare gli occhi. Davanti a lui, in piedi sotto la pioggia battente, come sempre privo di ombrello, c’era John Watson. Se non altro questa volta gli era apparso con indosso un’impermeabile invece del solito maglione dalla fantasia discutibile.
Sherlock lo squadrò con odio mentre lui si sfilava il cappello inzuppato con un gesto eloquente.
“Adesso hai imparato anche a citofonare” sibilò Sherlock stufo di essere perseguitato. Si voltò e fece per richiudere la porta ma John glielo impedì mettendo un piede all’interno dell’appartamento.
“Ma si può sapere cos’è tutta quest’aria gelida che arriva dall’ingresso?” borbottò la vocetta della signora Hudson seguita dal rumore dei suoi passi.
Sherlock la vide apparire dalla cucina avvolta in uno scialle scozzese e non appena mise piede nell’ingresso cacciò un urlo che mise seriamente a rischio il suo udito.
La donna corse in cucina in preda ad una crisi isterica sotto lo sguardo attonito di Sherlock che non appena la vide sparire nel suo appartamento volse di nuovo lo sguardo alla porta e alla figura che era ancora in piedi davanti a lui.
John vide le labbra di Sherlock comporre il suo nome senza che la voce riuscisse ad accompagnarle. Il detective arretrò di qualche passo concedendo a John lo spazio per entrare e richiudere la porta alle sue spalle.
“Credo che sia il caso di assicurarsi che la signora Hudson stia bene… non la sento più gridare” disse John muovendo qualche passo verso l’appartamento della donna mentre Sherlock sedeva sulla poltrona dell’ingresso come se tutte le forze l’avessero abbandonato improvvisamente.
In quel momento Molly si affacciò dal pianerottolo e vide Sherlock seduto sulla poltrona con aria assente. 
“Va tutto bene?” domandò scendendo le scale. “Ho sentito la signora Hudson gridare…”
“È tutto ok, adesso è con John” disse Sherlock con un filo di voce. A quelle parole Molly si accigliò e volse lo sguardo alla porta della signora Hudson da cui un istante dopo apparve John Watson. La reazione della patologa, sommata a quella della sua padrona di casa, confermò a Sherlock che quello non era il solito fantasma con cui era ormai solito dialogare.
“Ok, cerchiamo di stare tutti calmi” esordì John con il tono più rassicurante di cui era capace guardando uno a uno i suoi ascoltatori. 
Molly era schiacciata contro il muro, la signora Hudson rintanata nel suo appartamento e Sherlock seduto in poltrona, le gambe troppo molli anche solo per pensare di alzarsi.
John incrociò lo sguardo di tutti loro e sentì una stretta al cuore, sapeva di avergli inflitto una sofferenza che non meritavano, ma era stato necessario e ora la cosa più difficile era trovare le parole per spiegarglielo.
“So di dovervi delle spiegazioni ma prima di cominciare, se siete d’accordo, vorrei vedere Rosie” senza riuscire ad aggiungere altro, John imboccò le scale scricchiolanti di Baker street e raggiunse Rosie al piano di sopra.
Dopo circa due minuti qualcuno bussò alla porta. C’era una sola persona che era rimasta nel medioevo e usava ancora il battacchio invece del campanello, e quella persona era Mycroft Holmes. Sherlock lo sapeva bene.
Molly aprì la porta e non riuscì nemmeno a stupirsi quando vide il maggiore degli Holmes richiudere l’ombrello e farsi largo nell’ingresso con uno dei suoi sorrisi più tirati.
“Signora Hudson, Dottoressa Hooper, Sherlock” iniziò lui togliendosi il soprabito.
Il detective riservò un’occhiata gelida al fratello.
“Ti avevo avvertito che avresti avuto le risposte che cercavi molto prima di quanto ti aspettassi” gli fece presente Mycroft in risposta a quello sguardo.
“Al momento non ho ricevuto nessuna spiegazione” sibilò Sherlock a denti stretti.
“Dov’è John?” chiese Mycroft a Molly ignorando il fratello.
“Di sopra” rispose Molly con un filo di voce.
Venti minuti più tardi erano tutti seduti nel salotto mentre Mycroft, al centro della stanza, si diceva pronto a spiegare ogni cosa.
“Non voglio starti a sentire!” Sbottò Sherlock prima ancora che Mycroft cominciasse a parlare. Il detective sembrava aver ritrovato nuova forza, sicuramente fomentata da tutta la rabbia che ora sentiva scorrergli nelle vene, e quando lasciò il 221B di Baker street nessuno sembrò trovare il coraggio di corrergli dietro.
A distanza di un’ora, mentre Molly e la signora Hudson sembravano ancora provate dal racconto di Mycroft, John guadagnò l’uscita prima che qualcuno potesse impedirglielo. Camminò per le vie di Londra come se non l’avesse mai lasciata e si pentì di tutte quelle volte in cui per pigrizia aveva preferito muoversi in taxi, Londra a piedi era tutta un’altra cosa.
Fu così che camminando immerso nei suoi pensieri, John raggiunse Northumberland street e non gli ci volle molto per identificare le vetrate del locale di Angelo, conosceva Sherlock abbastanza bene da sapere che si era rintanato proprio lì.
Quando mise piede nel locale si meravigliò di come ne ricordasse ogni dettaglio e subito identificò la figura del suo migliore amico alle prese con la lettura di un menù. Raggiunse il suo tavolo e gli si sedette accanto senza proferire parola.
“Vedo che nonostante la tua assenza non hai dimenticato i posti di Londra in cui si mangia bene.” Esordì Sherlock in tono piatto senza distogliere lo sguardo dal menù.
John fece una smorfia, tutti i mesi in cui era stato via non erano comunque bastati a prepararlo al suo ritorno.
“Sherlock sarò sincero... non so come affrontare questo momento.” Ammise John imbarazzato.
“Tanto per cominciare mi sento in dovere d’informarti che suonare il campanello di casa mia è stata una pessima idea” fece sapere Sherlock negandogli ancora una volta il suo sguardo.
“Tu hai interrotto la mia proposta di matrimonio!” Protestò John a voce un po’ troppo alta. Poco più in là una serie di persone si voltarono a guardarli dandosi gomitate e bisbigliando qualcosa.
“Complimenti John, ancora una volta sei riuscito nell’intento di farci sembrare una coppia gay!” Osservò Sherlock sospirando. “Ti ringrazio, questa cosa cominciava veramente a mancarmi.”
“Senti, mi dispiace, per tutto quanto intendo, non hai idea quanto mi sia costato farlo!” ammise John ridimensionando il suo tono di voce.
“La signora Hudson ha rischiato l’infarto” replicò Sherlock ignorando le scuse di John.
“Si, beh, in realtà l’avete rischiato tutti e tre ma…”
“Mi hai lasciato qui a badare a tua figlia!” sibilò Sherlock chiudendo il menù con un gesto di stizza. “Tu non hai idea di quello che ho dovuto passare! Vivere con Molly ventiquattrore su ventiquattro, gli psicologi e tutto il resto.”
“So più di quanto immagini” ammise John abbassando lo sguardo con aria colpevole.
“Ah, certo! Il mio caro fratellone si sarà divertito a spiarmi e riferirti quanto fosse assurda la mia nuova vita immagino!”
“Mycroft mi teneva informato, sì, ma non credere che separarmi da mia figlia sia stato facile.”
“Avevate organizzato ogni cosa, non è vero?”
John sostenne lo sguardo di Sherlock per qualche secondo, era la resa dei conti.
“Il piano di Mycroft, tu che insisti per guidare l’auto e tutto il resto… eravate d’accordo, non è così?”
“Sì Sherlock, eravamo d’accordo” ammise John con immensa fatica.
Il consulente investigativo sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia con aria affranta. “Dopo anni passati ad affinare le funzionalità del mio cervello, la mia ossessione per i dettagli e la mia capacità di osservazione, sono riuscito a farmi fregare da mio fratello e dal mio migliore amico” osservò Sherlock, lo sguardo perso nel vuoto, “come ho potuto essere così cieco?” domandò più a sé stesso che a John. “Sarà meglio che questa cosa non si sappia o finirò per perdere il lavoro oltre che tutta la mia autostima!” Con quelle parole Sherlock scattò in piedi sotto lo sguardo attonito di John e, una volta afferrato il cappotto con un gesto fulmineo, imboccò l’uscita senza nemmeno salutare il proprietario del locale.
John ci mise un attimo a realizzare cosa stesse accadendo, poi si alzò altrettanto rapidamente e inseguì Sherlock lungo la via.
“Quindi finisce così?” gli gridò dietro senza sperare che si voltasse, “con te che te ne vai in solitaria sotto la pioggia? Che cos’è? Il finale di un film drammatico?”
John vide Sherlock fermarsi di scatto, la pioggia cadeva fitta offuscando la sua immagine e approfittò di quei secondi di esitazione per colmare la distanza che li separava. Quando il detective si voltò il suo viso era una maschera di rabbia, raramente John ricordava di averlo visto così e per un attimo ebbe quasi paura.
Sherlock afferrò John per il bavero del cappotto e lo spinse contro il muro. “Io ho sacrificato tutto ciò che sono per te e questo è il tuo modo di ringraziarmi? Ho badato a tua figlia, ho accolto lei e Molly in casa mia, ho dormito sul divano per mesi, mi sono disintossicato, ho smesso con gli esperimenti a base di frattaglie umane e tu pensi che tornandotene da un giorno all’altro io ti accolga a braccia aperte? Mi hai mentito John!” Gridò Sherlock cavalcando l’ondata di rabbia che stava reprimendo dal momento in cui aveva capito che il John che aveva suonato il campanello era quello reale.
Dopo quell’attimo d’ira improvvisa, Sherlock allentò la stretta e lasciò che John si afflosciasse a terra in una pozzanghera cercando di riprendere fiato mentre lui procedeva nel suo cammino.
“Senti chi parla! Tu invece non mi hai mai mentito! Tu non hai finto la tua morte per due anni, non mi hai lasciato a piangere come un cretino sulla tua tomba, vero?”
“Io ho dovuto farlo, era l’unico modo per fermare Moriarty, mi sembrava di avertelo già spiegato! Credevo che fosse chiaro, e poi io ho fatto una scelta di quel tipo perché sapevo di potermelo permettere, non avevo figli di cui preoccuparmi, ma tu… John non posso ancora credere che tu abbia fatto una cosa simile!”
“Certo! Non puoi crederci perché solo Sherlock Holmes ha delle questioni in sospeso, solo Sherlock Holmes ha una giustificazione per un gesto tanto disperato, ci sei sempre solo tu e il tuo ego, non è così!?”
“La tua scelta è stata talmente necessaria e obbligata che ancora non me ne hai giustificato il motivo!” Il tono di voce di Sherlock era ancora carico di rabbia e John dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non gridare a sua volta, sapeva che se non fosse stato lui a moderare i toni probabilmente sarebbero andati avanti a gridarsi contro l’un l’altro fino al mattino.
“Sherlock tu sei un uomo formidabile, sei un pozzo di scienza e un topo di biblioteca insieme, sai distinguere l’anno d’immatricolazione di una macchina dal suono del suo motore e intuisci il mestiere di una persona soltanto guardandola, se scegliessi una parola a caso dal vocabolario so per certo che tu potresti scriverci un trattato di almeno cinquanta pagine, sei il mago del travestimento e della menzogna e hai vissuto esperienze a limite dell’incredibile ma c’è una cosa di cui non sai quasi niente e di cui mi auguro che tu non debba mai sapere più di ciò che sai…”
Sherlock si fermò sottò ad un lampione e rimase in ascolto. John e le parole erano sempre stati una coppia vincente. Poco importava se le parole fossero caratteri battuti a ripetizione su una tastiera o se uscissero dalla sua bocca, il modo in cui John le sceglieva e le legava tra loro creava sempre aspettativa, e non si poteva fare a meno di proseguirne l’ascolto o la lettura perché generavano una curiosità che andava a tutti i costi soddisfatta.
“La guerra” concluse John fissando l’immagine di Sherlock illuminata dal lampione. Sherlock non reagì e John approfittò del suo silenzio per proseguire il racconto.
“Quando la conosci la prima volta capisci subito che è un qualcosa che non ti abbandonerà mai veramente, ti entra sotto la pelle, nelle ossa, nell’anima… e per quanto tu possa cercare di dimenticarla rinunciando ai gradi, lasciando l’esercito, cambiando addirittura vita e lavoro, la verità è che lei non si dimenticherà mai di te, e quando verrà a cercarti, ovunque tu sia, ti troverà.” John fece una breve pausa, aveva bisogno di riprendere fiato perché parlare dei suoi trascorsi aveva un prezzo emotivo elevato, ma sapeva di non poter negare a Sherlock quella verità, lui stesso era stato molto esigente a parti invertite e non aveva nessuna intenzione di risparmiarsi.
 “Quando sei in guerra contro un nemico scopri che è molto facile fartene altri, e a volte i nemici peggiori provengono dalle tue stesse file, sanno tutto di te, conoscono i tuoi punti deboli meglio del nemico principale e sanno come ottenere ciò che vogliono… anche a distanza di anni.”
“Sei stato minacciato?”
“Minacciato, ricattato, perseguitato, spiato… sì, è iniziato tutto un anno fa.”
“Avresti dovuto parlarmene” protestò Sherlock.
“Non credere che non ci abbia pensato” John fece un mezzo sorriso che si trasformò in una strana smorfia. “Non dormivo la notte, esattamente com’era successo a Mary il mio passato era tornato a tormentarmi e non potevo permettermi di fare la sua stessa fine, Rosie aveva bisogno di me.”
“Perché non mi hai detto niente?” insistette Sherlock.
“Perché Mycroft mi ha convinto che non potevi aiutarmi, o per lo meno non nel modo in cui avresti voluto farlo tu, lui mi ha proposto una soluzione e io l’ho accettata.”
“Hai consultato Mycroft e non me? Pensavo ti fossi rivolto a lui solo per scomparire!” Sherlock sembrava profondamente indignato.
“Guerra e governo non hanno in comune solo l’iniziale, Sherlock. Ci sono interessi e molti altri aspetti in gioco, aspetti che un membro del governo britannico poteva aiutarmi a comprendere e sfruttare a mio vantaggio molto meglio di un investigatore privato. Questo devi riconoscerlo.”
“Continua” borbottò Sherlock a denti stretti.
“Mycroft mi ha offerto una copertura affinché potessi sparire da Londra il tempo necessario a risolvere i miei problemi, credendomi morto nessuno  mi avrebbe più cercato; Rosie sarebbe stata al sicuro e io avrei potuto agire indisturbato all’estero sotto falsa identità. Una volta definiti gli ultimi dettagli Mycroft mi ha impedito di parlartene.”
“Cosa?”
“Sherlock, non sapevo quanto sarei stato via, e non sapevo nemmeno se sarei tornato. Nonostante avessi le idee chiare e un buon piano, qualcosa poteva comunque andare storto. Fortunatamente avevo già nominato te e Molly come padrino e madrina e Mycroft ha detto che l’unico modo per evitare che Rosie restasse in orfanotrofio per sempre era che voi l’adottaste, ed eravamo concordi che se fossi stato io a chiedertelo tu non avresti mai accettato un simile incarico.”
“Forse perché avrei preferito aiutarti invece di restare qui a fare il padre adottivo!” Replicò Sherlock sempre più sconvolto da tutto ciò che John e suo fratello avevano tramato alle sue spalle.
“Esatto! È proprio per questo che Mycroft mi ha convinto a non coinvolgerti!”
“Rifilarmi una bambina di cui occuparmi tu lo chiami non coinvolgermi?!” Lo interruppe Sherlock incredulo.
“Se ti avessi parlato di questa storia avresti fatto saltare il piano, la copertura e tutto il resto.”
“Ti avrei salvato la vita!”
“Sherlock hai fatto di meglio… hai salvato la vita di Rosie, e Molly con te. Era questo il tuo ruolo questa volta, so che a te piace essere sempre al centro della vicenda ma questa volta non poteva essere così, e ti assicuro che per quanto ti possa sembrare marginale, il tuo ruolo era cruciale per il bene di Rosie. E come puoi ben vedere, anche se probabilmente stenti a crederci, io ho portato a casa la pelle da solo, per una volta me la sono cavata anche senza di te.”
“Hai fatto leva sui miei sensi di colpa affinché accettassi l’affidamento di Rosie.” Rifletté Sherlock ad alta voce.
“Sì, lo ammetto, ho pensato che il dolore per la mia perdita ti avrebbe spinto a vedere Rosie come una mia estensione e non come una semplice marmocchia e ho sperato con tutto me stesso che per una volta avresti dato ascolto al tuo cuore. Quando Mycroft mi ha informato che tutto era andato come speravamo ho pianto un pomeriggio intero e ammetto che era strano immaginarti ad occuparti di lei, ma ero felice, ero felice Sherlock, e quel pensiero mi ha dato nuova forza e adesso eccomi qua.”
“Quindi, ora tutto tornerà come prima?” chiese Sherlock incerto su ciò che voleva sentire come risposta.
“Meglio di prima… avrai di nuovo il tuo appartamento tutto per te e potrai ricominciare con gli esperimenti, ma ti pregherei di restare alla larga dalla cocaina e altre schifezze simili.”
Sherlock fece una smorfia. “Molly non la prenderà bene… aveva appena superato la paura che le togliessero l’affidamento di Rosie per via di quello che è successo fra…”
John si accigliò. “…che è successo fra?”
“Lascia stare” tagliò corto Sherlock prima che fosse troppo tardi.
“Perché invece di preoccuparti per come la prenderà Molly non mi dici come la prenderai tu?”
“Te lo farò sapere non appena l’avrò capito” fece Sherlock un attimo prima di riprendere il cammino. “Ah, una cosa John…” aggiunse voltandosi un’ultima volta “bentornato a casa amico mio”.
John guardò Sherlock allontanarsi sotto la pioggia avvolto nel suo cappotto con il cuore colmo di gioia, non l’avrebbe mai ammesso ma John sapeva che con quella frase Sherlock l’aveva perdonato.



Angolo dell'autrice: ok, finalmente posso scrivere senza rischiare spoiler. Dunque, penso che questo capitolo sia molto delicato (e per questo complicato da scrivere) per tanti motivi. Tanto per cominciare è l'ultimo (anche se ci sarà un piccolo epilogo che ho già scritto e vedrete pubblicato probabilmete settimana prossima) e quindi dovevo assicurarmi di non lascaire nulla in sospeso. Il ritorno di John, per quanto fosse un punto saldo della storia fin dall'inizio, non sapevo come metterlo in scena... avevo paura di ricalcare troppo quello che nella serie era il ritorno di Sherlock e allo stesso tempo mi sono interrogata a lungo su quale fosse la reazione più IC di Sherlock ad un avvenimento del genere. Ad oggi non sono ancora convinta al 100% della sua reazione ma non essendo un mio personaggio penso che il 100% della convinzione sia un'utopia quindi benvenga quella percentuale d'incertezza che mi attanaglia. Spero che voi con le vostre opinioni possiate fare luce su questo aspetto. Questo capitolo è John-Sherlock (e non Johnlock) centrico e non me ne vogliano gli altri personaggi ma a mio avviso era giusto così. Non posso che chiedervi di essere generosi con i commenti perchè questa è la prima long su questo fandom che scrivo e per me è fondamentale capire se l'esperimento è riuscito. :-)
Grazie mille ancora per il vostro supporto, appuntamento alla prossima settimana per l'epilogo! 

 
  
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