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Autore: Nico_KiS    09/09/2018    5 recensioni
[Prima classificata al concorso "Tokyo Mew Mew: Summer Festival" indetto da Ria sul forum di EFP]
La busta bianca sembrava fissarla dal ripiano di legno, aspettare che lei passasse per ricordarle con brutalità tutto quello che aveva provato a rinchiudere a fondo dentro di sé.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Retasu Midorikawa/Lory
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Hidden between the folds of a letter

Pairing: Kisshu & Retasu

Evento: Fuochi d’artificio

Elemento: Tanzaku  (cartellini dei desideri tipici della festa del Tanabata)

 

 

 

 

 

Una rapida occhiata allo specchio per sistemare alcuni ciuffi verdi sfuggiti all’acconciatura e sarebbe stata pronta. Era uscita di rado negli ultimi mesi ma aveva accettato la tenera imposizione delle amiche di andare al festival per il Tanabata: era un periodo duro per lei e i giorni successivi forse lo sarebbero stati ancora di più, ma quelle attenzioni da chi le era caro le sollevavano un po’ il morale. Una lacrimuccia le imperlò gli occhi al pensiero dell’allegra confusione che la stava aspettando di lì a poco: Ichigo e Purin entusiaste trascinarla da un banchetto all’altro, i brontolii di Minto a riprenderle per la troppa confusione fatta, e lo sguardo di Zakuro posato su di loro, soprattutto su di lei, con fraterna attenzione.

Agitando la testa ricacciò indietro le lacrime: aveva pianto fin troppo, non intendeva più farlo. Lisciò un’ultima volta la piega sullo scollo dello yukata, raccolse la borsetta, si diresse alla scrivania per recuperare il portafoglio e si bloccò.

La busta bianca sembrava fissarla dal ripiano di legno, aspettare che lei passasse per ricordarle con brutalità tutto quello che aveva provato a rinchiudere a fondo dentro di sé. Aveva litigato con sua madre per quella lettera, non avrebbe dovuto accettarla né tantomeno recapitargliela, sapeva benissimo cosa fosse successo, quanto avesse sofferto.
Mi è sembrato così triste. Voleva fartela avere senza che ti spaventassi di nuovo. Decidi tu se leggerla, io dovevo consegnartela. Le parole con cui sua madre aveva posto fine alla discussione qualche giorno prima le tornarono in mente.

Prese la lettera, quasi tremando la rigirò tra le dita, sopra solo il suo nome riportato nella calligrafia un po’ storta e insicura di Kisshu, si sedette sul letto; non era stata in grado di gettarla via, si era imposta solamente di ignorarla, di non leggerla qualunque cosa fosse successa, ma in quel momento contro ogni buon senso e ogni principio sentì di doverlo fare. Aprì piano la busta, estrasse la lettera e la spiegò con lentezza come se quel semplice pezzo di carta avesse avuto il potere di ferirla se non avesse prestato attenzione.

 

Ciao Pesciolina,

ti scrivo perché so che hai bloccato il mio numero, ma non voglio più assillarti, ossessionarti, come i mesi dopo la nostra rottura, ti ho spaventata e non voglio che succeda di nuovo: questo è stato il metodo meno prepotente a cui sono riuscito a pensare.

 

Si portò una mano alla bocca per bloccare un singhiozzo, quel nomignolo, quelle poche righe riaprirono tutte le ferite che il tempo non era ancora riuscito a far rimarginare. Le tornarono alla mente gli orribili mesi passati nell’ansia e un brivido le corse lungo la schiena.
Dopo il loro litigio non aveva più voluto vedere il verde, ma lui non era stato dello stesso avviso: si presentava al Cafè pretendendo di parlarle, la aspettava sulla strada di casa, la tempestava di telefonate e messaggi che lei eliminava senza nemmeno leggere. Un giorno, al suo ennesimo tentativo di ignorarlo passandogli accanto senza guardarlo l’aveva afferrata bloccandola.

 

« Perché continui a ignorarmi? – il tono di voce alterato del verde la investì – Guardami almeno! » uno strattone secco al polso la obbligò a voltarsi.

« M-mi stai facendo male… » balbettò lei spaventata.

Vedendo le lacrime e la paura in fondo agli occhi azzurri Kisshu si bloccò, liberandola immediatamente dalla presa e andandosene. Era rimasta a tremare sola per qualche minuto in mezzo alla strada, e si era avviata verso casa.

 

Da allora non aveva più visto né sentito l’alieno.

 

Lo squillo del telefono la fece sussultare riscuotendola dai suoi ricordi: afferrò il cellulare nel momento esatto in cui smise di suonare; era terribilmente in ritardo e Ichigo la stava cercando.

Le scrisse un veloce messaggio di scuse dicendo alle amiche di avviarsi, le avrebbe raggiunte da lì a poco; quindi riportò l’attenzione sul foglio che stava ancora stringendo.


Sono ridicolo a scriverti dopo un anno da quel giorno, ma voglio almeno salutarti, almeno provare a chiarire finché ancora posso farlo. Ti ho ferita e per questo non potranno mai bastare tutte le scuse del mondo, ho ferito la persona che mi era più cara solo per un momento di orgoglio, perché in quel momento di fronte alla tua verità non ho saputo che andare nel panico, risponderti con rabbia. Avrei dovuto stringerti, dirti quanto fossi importate per me, invece ho fatto il gioco di chi ci voleva vedere divisi, di chi ti ha messo in testa quella maledetta idea che ha distrutto tutto, ha distrutto noi.

 

« Si può sapere che stai dicendo? Chi ti ha messo in testa questa cosa? »

« Rispondimi, ho bisogno di sapere che si sbagliano. – lo supplicò lei – Dimmi che parlano perché non ti conoscono come ti conosco io. »

« Io non devo giustificarmi proprio su niente e non mi frega di cosa pensano quelle! » sbottò lui.

« Se non vuoi chiarire significa che in fondo in fondo è vero. S-sono solo un ripiego, un passatempo per te… Stai con me sperando che un giorno lei diventi tua. »

« Ottimo! E io cosa dovrei dire allora? – sbottò lui – Non devo forse credere di essere il sostituto di un bel paio di occhi azzurri? Ti sei aggrappata al primo che ti ha mostrato un po’ di affetto dopo che Shirogane ti ha dato il ben servito. »

« Qu-questo non è vero… Io voglio stare con te. » balbettò tormentandosi gli occhiali, lo sguardo basso.

« Bhe non si direbbe Pesciolina visto che credi a qualunque cosa ti venga detta tranne che a me! »

« Ho solo bisogno che tu mi dica la verità – singhiozzò lei – T-ti prego. »

« La verità è che non io non sarò mai abbastanza per te qualunque cosa faccia, qualunque cosa io ammetta non cambierai mai opinione su di me. Sei come tutti gli altri.» concluse voltandosi.

« Kisshu aspetta… » le sue parole si spensero nel nulla, mentre l’alieno svaniva davanti ai suoi occhi.

 

Non ha senso ormai accusare qualcuno, la colpa è mia per non averti saputo dire allora quello che avrei dovuto, quella verità che solo ora mi è del tutto chiara: forse non sei la ragione per cui ho deciso di rimanere sulla Terra, ma sei quella che mi ha fatto restare, mi ha fatto andare avanti ogni giorno in mezzo a qualunque difficoltà.

Se mi vorrai ancora parlare mi troverai nel posto dove ti ho detto di essere innamorato di te, da lì potrò guardare per un’ultima volta i fuochi d’artificio del Tanabata che ti sono sempre piaciuti tanto e poi partirò, tornerò a casa. Mi sono lasciato vivere un anno senza di te e non ho più ragioni per restare.

Ti amo ancora come il giorno del nostro primo bacio, come la prima volta che ti ho stretto a me, questi mesi di silenzio in cui c’era solo il tuo ricordo al mio fianco me lo hanno confermato, per questo non posso restare.

 

Spero tu possa trovare quella felicità e quell’amore che non sono stato in grado di dimostrarti e di proteggere.

Anche da lontano ti amerò per sempre. Addio Retasu.

 

La carta si increspò per le lacrime che iniziavano a cadere bagnandola, Retasu la strinse forte al petto. Tutto quello che avrebbe voluto sentirsi dire l’anno prima era lì, inciso dall’inchiostro: era stata una stupida a dar retta alle maldicenze, era stata una sciocca a chiedere a quello stupido orgoglioso una conferma in quel modo. Aveva perso tutto e aveva dato tutta la colpa a lui.

Qualcosa frusciò tra la carta e scivolò con un colpetto a terra: la verde, vide con la coda dell’occhio un cartoncino azzurro vicino ai suoi piedi: riguardò la lettera e nell’ultima piega trovò un’aggiunta.

 

Avrei voluto appenderlo con te lo scorso anno, l’ho tenuto per tutto questo tempo. Vorrei lo avessi tu, fanne pure quello che vuoi.

 

Si affrettò a chinarsi a raccogliere il biglietto, lo riconobbe subito: un cartoncino azzurro con dei piccoli bambù su un angolo, due nastrini verdi su uno dei lati corti. Aveva acquistato quei tanzaku per il Tanabata dell’anno precedente per esprimere un desiderio insieme a Kisshu ma non avevano fatto in tempo ad utilizzarli. Sopra nella stessa calligrafia della lettera il desiderio del ragazzo per l’anno precedente.

 

Kami, ormai sono lontano da casa, fai che questa continui a essere la mia nuova casa accanto a lei.

 

Un nuovo singhiozzo la scosse, le lacrime che le rigavano copiose le guance, e istintivamente strinse il tanzaku più forte che potè, come se solo quel biglietto con il suo significato potesse dare ancora un senso al suo essere, come se nell'amore con cui era stato scritto fosse infusa la sua stessa vita. Un boato lontano la spaventò, la luce calda dei primi fuochi d'artificio sparati al festival illuminò il profilo delle case fuori dalla finestra.
Potrò guardare per un ultima volta i fuochi d'artificio, poi partirò…

Era ancora in tempo, non era il momento della disperazione: avrebbe lottato per lui, avrebbe fatto un ultimo tentativo per non sprecare quell'occasione donata loro dal cielo attraverso quel tenero gesto così strano per lui, ma in fondo così da lui. Si asciugò le lacrime contro la manica, si alzò in piedi e si precipitò fuori dimentica del cellulare, della borsa, ma stringendo al petto il desiderio: sapeva dove trovare Kisshu, non avrebbe mai potuto dimenticare il giorno e il luogo in cui le aveva detto con così tanta naturalezza quello che provava per lei.

 

Era primavera inoltrata ormai ma ancora l'aria fresca del tardo pomeriggio faceva rabbrividire sotto i vestiti più leggeri: passeggiando in silenzio fuori dal parco dove si erano dati appuntamento si fermarono sul pontino che lo collegava alla vicina strada della stazione. Retasu si appoggiò alla ringhiera ammirando sovrappensiero il luccicare dorato del sole al tramonto sull'acqua.
Appuntamento, quella parola le suonava ancora così strana rivolta a lei in compagnia di Kisshu: eppure era così. Da quasi due mesi continuavano con quegli incontri senza aver mai dato un'etichetta a loro, cos'erano in fondo? Una coppia. Due amici. Nemmeno lei lo sapeva. Con l'alieno si sentiva a proprio agio, sentiva di poter essere sé stessa, anche se certe sue frasi, certi ammiccamenti, la riempivano di un imbarazzo tale da renderla del colore del cielo in quell'ora magica; il sorrisetto un po' maligno con cui lui ogni volta ne rideva però le riempiva il cuore, la scaldava dando quasi un senso a quel rossore.

« Pesciolina, su cosa stai rimuginando adesso? »
« N-niente… – arrossì lei scattando sull'attenti – E ti ho già detto di non chiamarmi così. Usa pure il mio nome proprio se vuoi ma non darmi strani soprannomi. » borbottò tormentandosi un ciuffo ai lati del viso.

« Sai, ci stavo pensando su – proseguì lui senza dare peso alle proteste – e credo di stare iniziando a innamorarmi di te. »
Le mancò il respiro sentendo quelle parole e fu sicura che il suo cuore saltasse un battito o due: rimase ferma, le braccia abbandonate lungo i fianchi, mentre un calore crescente le colorava il viso fino alle orecchie. Kisshu si avvicinò a lei posandole delicato le mani sulla vita, la sentì irrigidirsi al suo tocco e trattenere il respiro.

« Il mio fascino è innegabile, da togliere il fiato se vogliamo – scherzò – ma vorrei sapere se hai capito quello che ti ho detto. »

Retasu balbettò qualcosa di poco chiaro, ma gettò le braccia la suo collo ricambiando la stretta con cui lo sentì tirarla a sé.

 

Quel giorno lei non gli disse che lo amava, non era ancora riuscita a fare chiarezza nel loro rapporto, andarono avanti un passo alla volta e lei non lo aveva mai ringraziato per la dolcezza, per la pazienza che aveva dimostrato rispettando i suoi tempi, goffa e timida di fronte alle prime esperienze con un ragazzo. Quando l'intimità tra loro aveva iniziato a crescere, ad essere esplorata, però, si era spaventata e ne aveva parlato con le amiche e così erano nati tutti i problemi: lo avevano sicuramente fatto per proteggerla, ma non conoscevano l'alieno come lei, e così era stata tanto sciocca da mettere in dubbio tutto quello che aveva vissuto sulla propria pelle sulla base delle loro parole.


Questo turbinare di ricordi le affollava i pensieri mentre con il fiatone correva lungo la via inciampando di tanto in tanto per colpa dei geta(*), le vie erano deserte e solo lo scalpitio del legno sull'asfalto riempiva i silenzi fra un botto e l'altro, il ritmo dei fuochi dopo essere diventato più serrato stava rallentando, gli ultimi giochi di luci nel cielo gettavano lunghe ombre sul suo cammino: mancava poco al termine dello spettacolo e non sapeva quanto il ragazzo si sarebbe trattenuto sul pontino.
"Ancora un angolo. Ti prego aspettami, sto facendo più in fretta possibile." pregò tra sé.

Percorse gli ultimi maledetti metri che la separavano dalla sua meta, vide un figura a malapena illuminata sul ponte e ancora una volta pregò fosse lui: avvicinandosi iniziò a riconoscere la figura familiare dell'alieno che assorto nei suoi pensieri sembrò non notare il concitato rumore che gli si stava avvicinando. Fu tentata di urlare il suo nome, ma quando fu a pochi metri, lui si voltò di scatto, stupito dal rumore e ancor di più dal vedersela di fronte: mosse qualche passo verso di lei che gli rovinò addosso, un laccio dei geta strappatosi per la corsa.

La afferrò senza pensarci stringendola per le spalle e aiutandola a raddrizzarsi.

« Sei venuta. » solo due parole dette con il sorriso mentre le mani la strinsero un po' di più.

Avvertendo quella pressione lei si ritrasse, il ricordo di mesi prima ancora impresso nei suoi sensi la spaventò.

« Non voglio farti male – scattò lui interrompendo immediatamente il contatto – è solo che non riesco a credere che tu sia qui, che io possa di nuovo toccarti.

« Scusami, mi sono comportato da idiota, sono diventato violento. Mi merito la tua diffidenza. »

Retasu non rispose, prese la sua mano e la strinse un attimo in silenzio sorridendogli appena.

« Sei stato un idiota sì, ma lo sono stata anch'io. Non avrei dovuto credere a nessuno se non a te, questa sera l'ho capito. – aprì appena il palmo in cui ancora teneva stretto il cartoncino azzurro – Ci credi ancora? »

« Non ho smesso un secondo di sperare si realizzasse. »

Lo tirò a sé appoggiando il viso contro il suo petto e sospirò serena dopo mesi sentendo il calore familiare avvolgerla.

« Sai, quel giorno su questo ponte non sono stata in grado di dirtelo… » arrossì appena lei sollevando il viso verso di lui.

« Che il mio fascino toglie il fiato? » scherzò lui sempre più sé stesso per il solo averla accanto così.

Quella battuta così da lui, così inopportuna, non potè che strapparle una risatina.

« Ti amo. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Geta: sono dei sandali tradizionali giapponesi con una suola in legno rialzata da due tasselli. La pronuncia è gheta.

 

 

 

 

Probabilmente per molti è un crack pairing ma devo dire che, secondo me, la Kisshutasu ha delle potenzialità u.u

Se aveste notato degli errori di battitura, ripetizioni di parole o concetti, o in generale una certa sconclusionatezza nella lettera di Kisshu, è in parte voluto: l'ho scritta di getto e non ho trovato giusto revisionarla in fase finale o imbellettarla, volendo enfatizzare  l'idea di lettera "di cuore" redatta da una persona non abituata alla scrittura.
Spero piaccia a tutti voi che avete letto fino a qui e come sempre vi invito a lasciare recensioni e dare le vostre opinioni ^-^

 

Ps: mi scuso con chi avesse avuto difficoltà a leggere il testo della lettera, purtroppo EFP non caricava a dovere il font che avevo usato… Ho semplificato la cosa, ora non dovrebbero esserci problemi -.-

 

  
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