Titolo: Hidden between the folds of a letter
Pairing: Kisshu & Retasu
Evento: Fuochi d’artificio
Elemento: Tanzaku (cartellini dei desideri tipici della festa del
Tanabata)
Una rapida occhiata allo
specchio per sistemare alcuni ciuffi verdi sfuggiti all’acconciatura e sarebbe
stata pronta. Era uscita di rado negli ultimi mesi ma aveva accettato la tenera
imposizione delle amiche di andare al festival per il Tanabata: era un periodo
duro per lei e i giorni successivi forse lo sarebbero stati ancora di più, ma
quelle attenzioni da chi le era caro le sollevavano un po’ il morale. Una
lacrimuccia le imperlò gli occhi al pensiero dell’allegra confusione che la
stava aspettando di lì a poco: Ichigo e Purin entusiaste trascinarla da un
banchetto all’altro, i brontolii di Minto a riprenderle per la troppa
confusione fatta, e lo sguardo di Zakuro posato su di loro, soprattutto su di
lei, con fraterna attenzione.
Agitando la testa
ricacciò indietro le lacrime: aveva pianto fin troppo, non intendeva più farlo.
Lisciò un’ultima volta la piega sullo scollo dello yukata, raccolse la
borsetta, si diresse alla scrivania per recuperare il portafoglio e si bloccò.
La busta bianca
sembrava fissarla dal ripiano di legno, aspettare che lei passasse per
ricordarle con brutalità tutto quello che aveva provato a rinchiudere a fondo
dentro di sé. Aveva litigato con sua madre per quella lettera, non avrebbe
dovuto accettarla né tantomeno recapitargliela, sapeva benissimo cosa fosse
successo, quanto avesse sofferto.
Mi è sembrato così triste. Voleva fartela avere senza che ti spaventassi di
nuovo. Decidi tu se leggerla, io dovevo consegnartela. Le parole con cui
sua madre aveva posto fine alla discussione qualche giorno prima le tornarono
in mente.
Prese la lettera,
quasi tremando la rigirò tra le dita, sopra solo il suo nome riportato nella
calligrafia un po’ storta e insicura di Kisshu, si sedette sul letto;
non era stata in grado di gettarla via, si era imposta solamente di ignorarla,
di non leggerla qualunque cosa fosse successa, ma in quel momento contro ogni
buon senso e ogni principio sentì di doverlo fare. Aprì piano la busta,
estrasse la lettera e la spiegò con lentezza come se quel semplice pezzo di
carta avesse avuto il potere di ferirla se non avesse prestato attenzione.
Ciao
Pesciolina,
ti
scrivo perché so che hai bloccato il mio numero, ma non voglio più assillarti,
ossessionarti, come i mesi dopo la nostra rottura, ti ho spaventata e non
voglio che succeda di nuovo: questo è stato il metodo meno prepotente a cui
sono riuscito a pensare.
Si portò una mano
alla bocca per bloccare un singhiozzo, quel nomignolo, quelle poche righe
riaprirono tutte le ferite che il tempo non era ancora riuscito a far
rimarginare. Le tornarono alla mente gli orribili mesi passati nell’ansia e un
brivido le corse lungo la schiena.
Dopo il loro litigio non aveva più voluto vedere il verde, ma lui non era stato
dello stesso avviso: si presentava al Cafè pretendendo di parlarle, la
aspettava sulla strada di casa, la tempestava di telefonate e messaggi che lei
eliminava senza nemmeno leggere. Un giorno, al suo ennesimo tentativo di
ignorarlo passandogli accanto senza guardarlo l’aveva afferrata bloccandola.
« Perché continui a
ignorarmi? – il tono di voce alterato del verde la investì – Guardami almeno! »
uno strattone secco al polso la obbligò a voltarsi.
« M-mi stai facendo
male… » balbettò lei spaventata.
Vedendo le lacrime
e la paura in fondo agli occhi azzurri Kisshu si bloccò, liberandola
immediatamente dalla presa e andandosene. Era rimasta a tremare sola per
qualche minuto in mezzo alla strada, e si era avviata verso casa.
Da allora non aveva
più visto né sentito l’alieno.
Lo squillo del telefono
la fece sussultare riscuotendola dai suoi ricordi: afferrò il cellulare nel
momento esatto in cui smise di suonare; era terribilmente in ritardo e Ichigo
la stava cercando.
Le scrisse un veloce
messaggio di scuse dicendo alle amiche di avviarsi, le avrebbe raggiunte da lì
a poco; quindi riportò l’attenzione sul foglio che stava ancora stringendo.
Sono ridicolo a scriverti dopo un anno da quel giorno, ma
voglio almeno salutarti, almeno provare a chiarire finché ancora posso farlo.
Ti ho ferita e per questo non potranno mai bastare tutte le scuse del mondo, ho
ferito la persona che mi era più cara solo per un momento di orgoglio, perché
in quel momento di fronte alla tua verità non ho saputo che andare nel panico,
risponderti con rabbia. Avrei dovuto stringerti, dirti quanto fossi importate
per me, invece ho fatto il gioco di chi ci voleva vedere divisi, di chi ti ha
messo in testa quella maledetta idea che ha distrutto tutto, ha distrutto noi.
« Si può sapere che
stai dicendo? Chi ti ha messo in testa questa cosa? »
« Rispondimi, ho
bisogno di sapere che si sbagliano. – lo supplicò lei – Dimmi che parlano
perché non ti conoscono come ti conosco io. »
« Io non devo
giustificarmi proprio su niente e non mi frega di cosa pensano quelle! » sbottò
lui.
« Se non vuoi
chiarire significa che in fondo in fondo è vero. S-sono solo un ripiego, un
passatempo per te… Stai con me sperando che un giorno lei diventi tua. »
« Ottimo! E io cosa
dovrei dire allora? – sbottò lui – Non devo forse credere di essere il sostituto
di un bel paio di occhi azzurri? Ti sei aggrappata al primo che ti ha mostrato
un po’ di affetto dopo che Shirogane ti ha dato il ben servito. »
« Qu-questo non è
vero… Io voglio stare con te. » balbettò tormentandosi gli occhiali, lo sguardo
basso.
« Bhe non si
direbbe Pesciolina visto che credi a qualunque cosa ti venga detta tranne che a
me! »
« Ho solo bisogno
che tu mi dica la verità – singhiozzò lei – T-ti prego. »
« La verità è che
non io non sarò mai abbastanza per te qualunque cosa faccia, qualunque cosa io
ammetta non cambierai mai opinione su di me. Sei come tutti gli altri.»
concluse voltandosi.
« Kisshu aspetta… »
le sue parole si spensero nel nulla, mentre l’alieno svaniva davanti ai suoi
occhi.
Non
ha senso ormai accusare qualcuno, la colpa è mia per non averti saputo dire
allora quello che avrei
dovuto, quella verità che solo ora mi è del tutto chiara:
forse non sei la ragione per cui ho deciso di rimanere sulla Terra, ma sei
quella che mi ha fatto restare, mi ha fatto andare avanti ogni giorno in mezzo
a qualunque difficoltà.
Se mi
vorrai ancora parlare mi troverai nel posto dove ti ho detto di essere
innamorato di te, da lì potrò guardare per un’ultima volta i fuochi d’artificio
del Tanabata che ti sono sempre piaciuti tanto e poi partirò, tornerò a casa.
Mi sono lasciato vivere un anno senza di te e non ho più ragioni per restare.
Ti
amo ancora come il giorno del nostro primo bacio, come la prima volta che ti ho
stretto a me, questi mesi di silenzio in cui c’era solo il tuo
ricordo al mio fianco me lo hanno confermato, per questo non posso restare.
Spero
tu possa trovare quella felicità e quell’amore che non sono stato in grado di
dimostrarti e di proteggere.
Anche
da lontano ti amerò per sempre. Addio Retasu.
La carta si increspò
per le lacrime che iniziavano a cadere bagnandola, Retasu la strinse forte al
petto. Tutto quello che avrebbe voluto sentirsi dire l’anno prima era lì,
inciso dall’inchiostro: era stata una stupida a dar retta alle maldicenze, era
stata una sciocca a chiedere a quello stupido orgoglioso una conferma in quel
modo. Aveva perso tutto e aveva dato tutta la colpa a lui.
Qualcosa frusciò tra
la carta e scivolò con un colpetto a terra: la verde, vide con la coda
dell’occhio un cartoncino azzurro vicino ai suoi piedi: riguardò la lettera e
nell’ultima piega trovò un’aggiunta.
Avrei
voluto appenderlo con te lo scorso anno, l’ho tenuto per tutto questo tempo.
Vorrei lo avessi tu, fanne pure quello che vuoi.
Si affrettò a chinarsi
a raccogliere il biglietto, lo riconobbe subito: un cartoncino azzurro con dei
piccoli bambù su un angolo, due nastrini verdi su uno dei lati corti. Aveva
acquistato quei tanzaku per il Tanabata dell’anno precedente per esprimere un
desiderio insieme a Kisshu ma non avevano fatto in tempo ad utilizzarli. Sopra
nella stessa calligrafia della lettera il desiderio del ragazzo per l’anno
precedente.
Kami,
ormai sono lontano da casa, fai che questa continui a essere la mia nuova casa
accanto a lei.
Un nuovo singhiozzo
la scosse, le lacrime che le rigavano copiose le guance, e istintivamente
strinse il tanzaku più forte che potè, come se solo quel biglietto con il suo
significato potesse dare ancora un senso al suo essere, come se nell'amore con
cui era stato scritto fosse infusa la sua stessa vita. Un boato lontano la
spaventò, la luce calda dei primi fuochi d'artificio sparati al festival
illuminò il profilo delle case fuori dalla finestra.
Potrò guardare per un ultima volta i
fuochi d'artificio, poi partirò…
Era ancora in tempo,
non era il momento della disperazione: avrebbe lottato per lui, avrebbe fatto
un ultimo tentativo per non sprecare quell'occasione donata loro dal cielo
attraverso quel tenero gesto così strano per lui, ma in fondo così da lui. Si
asciugò le lacrime contro la manica, si alzò in piedi e si precipitò fuori
dimentica del cellulare, della borsa, ma stringendo al petto il desiderio:
sapeva dove trovare Kisshu, non avrebbe mai potuto dimenticare il giorno e il
luogo in cui le aveva detto con così tanta naturalezza quello che provava per
lei.
Era primavera
inoltrata ormai ma ancora l'aria fresca del tardo pomeriggio faceva
rabbrividire sotto i vestiti più leggeri: passeggiando in silenzio fuori dal
parco dove si erano dati appuntamento si fermarono sul pontino che lo collegava
alla vicina strada della stazione. Retasu si appoggiò alla ringhiera ammirando
sovrappensiero il luccicare dorato del sole al tramonto sull'acqua.
Appuntamento, quella parola le suonava ancora così strana rivolta a lei in
compagnia di Kisshu: eppure era così. Da quasi due mesi continuavano con quegli
incontri senza aver mai dato un'etichetta a loro, cos'erano in fondo? Una
coppia. Due amici. Nemmeno lei lo sapeva. Con l'alieno si sentiva a proprio
agio, sentiva di poter essere sé stessa, anche se certe sue frasi, certi
ammiccamenti, la riempivano di un imbarazzo tale da renderla del colore del
cielo in quell'ora magica; il sorrisetto un po' maligno con cui lui ogni volta
ne rideva però le riempiva il cuore, la scaldava dando quasi un senso a quel
rossore.
« Pesciolina, su
cosa stai rimuginando adesso? »
« N-niente… – arrossì lei scattando sull'attenti – E ti ho già detto di non
chiamarmi così. Usa pure il mio nome proprio se vuoi ma non darmi strani
soprannomi. » borbottò tormentandosi un ciuffo ai lati del viso.
« Sai, ci stavo
pensando su – proseguì lui senza dare peso alle proteste – e credo di stare
iniziando a innamorarmi di te. »
Le mancò il respiro sentendo quelle parole e fu sicura che il suo cuore
saltasse un battito o due: rimase ferma, le braccia abbandonate lungo i
fianchi, mentre un calore crescente le colorava il viso fino alle orecchie.
Kisshu si avvicinò a lei posandole delicato le mani sulla vita, la sentì
irrigidirsi al suo tocco e trattenere il respiro.
« Il mio fascino è
innegabile, da togliere il fiato se vogliamo – scherzò – ma vorrei sapere se
hai capito quello che ti ho detto. »
Retasu balbettò
qualcosa di poco chiaro, ma gettò le braccia la suo collo ricambiando la
stretta con cui lo sentì tirarla a sé.
Quel giorno lei non
gli disse che lo amava, non era ancora riuscita a fare chiarezza nel loro
rapporto, andarono avanti un passo alla volta e lei non lo aveva mai
ringraziato per la dolcezza, per la pazienza che aveva dimostrato rispettando i
suoi tempi, goffa e timida di fronte alle prime esperienze con un ragazzo.
Quando l'intimità tra loro aveva iniziato a crescere, ad essere esplorata,
però, si era spaventata e ne aveva parlato con le amiche e così erano nati
tutti i problemi: lo avevano sicuramente fatto per proteggerla, ma non
conoscevano l'alieno come lei, e così era stata tanto sciocca da mettere in
dubbio tutto quello che aveva vissuto sulla propria pelle sulla base delle loro
parole.
Questo turbinare di ricordi le affollava i pensieri mentre con il fiatone
correva lungo la via inciampando di tanto in tanto per colpa dei geta(*),
le vie erano deserte e solo lo scalpitio del legno sull'asfalto riempiva i
silenzi fra un botto e l'altro, il ritmo dei fuochi dopo essere diventato più
serrato stava rallentando, gli ultimi giochi di luci nel cielo gettavano lunghe
ombre sul suo cammino: mancava poco al termine dello spettacolo e non sapeva
quanto il ragazzo si sarebbe trattenuto sul pontino.
"Ancora un angolo. Ti prego aspettami, sto facendo più in fretta
possibile." pregò tra sé.
Percorse gli ultimi
maledetti metri che la separavano dalla sua meta, vide un figura a malapena
illuminata sul ponte e ancora una volta pregò fosse lui: avvicinandosi iniziò a
riconoscere la figura familiare dell'alieno che assorto nei suoi pensieri
sembrò non notare il concitato rumore che gli si stava avvicinando. Fu tentata
di urlare il suo nome, ma quando fu a pochi metri, lui si voltò di scatto,
stupito dal rumore e ancor di più dal vedersela di fronte: mosse qualche passo
verso di lei che gli rovinò addosso, un laccio dei geta strappatosi per la
corsa.
La afferrò senza
pensarci stringendola per le spalle e aiutandola a raddrizzarsi.
« Sei venuta. » solo
due parole dette con il sorriso mentre le mani la strinsero un po' di più.
Avvertendo quella
pressione lei si ritrasse, il ricordo di mesi prima ancora impresso nei suoi
sensi la spaventò.
« Non voglio farti
male – scattò lui interrompendo immediatamente il contatto – è solo che non
riesco a credere che tu sia qui, che io possa di nuovo toccarti.
« Scusami, mi sono
comportato da idiota, sono diventato violento. Mi merito la tua diffidenza. »
Retasu non rispose,
prese la sua mano e la strinse un attimo in silenzio sorridendogli appena.
« Sei stato un idiota
sì, ma lo sono stata anch'io. Non avrei dovuto credere a nessuno se non a te,
questa sera l'ho capito. – aprì appena il palmo in cui ancora teneva stretto il
cartoncino azzurro – Ci credi ancora? »
« Non ho smesso un
secondo di sperare si realizzasse. »
Lo tirò a sé appoggiando
il viso contro il suo petto e sospirò serena dopo mesi sentendo il calore
familiare avvolgerla.
« Sai, quel giorno su
questo ponte non sono stata in grado di dirtelo… » arrossì appena lei
sollevando il viso verso di lui.
« Che il mio fascino toglie
il fiato? » scherzò lui sempre più sé stesso per il solo averla accanto così.
Quella battuta così
da lui, così inopportuna, non potè che strapparle una risatina.
« Ti amo. »
(*) Geta: sono
dei sandali tradizionali giapponesi con una suola in legno rialzata
da due tasselli. La pronuncia è gheta.
Probabilmente
per molti è un crack pairing ma devo dire che,
secondo me, la Kisshutasu ha delle potenzialità u.u
Se
aveste notato degli errori di battitura, ripetizioni di parole o concetti, o in
generale una certa sconclusionatezza nella lettera di Kisshu, è in parte
voluto: l'ho scritta di getto e non ho trovato giusto revisionarla in fase
finale o imbellettarla, volendo enfatizzare
l'idea di lettera "di cuore" redatta da una persona non abituata
alla scrittura.
Spero piaccia a tutti voi che avete letto fino a qui e come sempre vi invito a
lasciare recensioni e dare le vostre opinioni ^-^
Ps: mi
scuso con chi avesse avuto difficoltà a leggere il testo della lettera,
purtroppo EFP non caricava a dovere il font che avevo usato… Ho semplificato la
cosa, ora non dovrebbero esserci problemi -.-
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