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Autore: merty_chan11    13/09/2018    0 recensioni
La partita con l’Inashiro è terminata da poche ore e l’umore della squadra è a pezzi. I ragazzi del terzo anno non alzano più lo sguardo e passano il loro tempo a piangere mentre assistono, impotenti, ai loro sogni andare in fumo. Quelli del primo e del secondo, invece, cercano di contenersi per rispetto verso i loro compagni più grandi ma nel profondo, il cuore di ognuno è distrutto.
Nessuno sembra voler parlare di quell’incontro, nessuno pare in grado di affrontarlo una seconda volta. Nessuno tranne Miyuki, che trascorre un’intera notte a guardare e riguardare quella partita. E qui si accorge che, forse, ha più colpe di quanto si aspettasse.
Dal testo:
[...]
Era come se fosse una specie di maledizione, quella. La maledizione del ricevitore, era così che la chiamava per gioco. La maledizione della persona che aveva il compito di guidare i giocatori alla vittoria.
Ma lui, la sua squadra, l’aveva condotta alla sconfitta.
E fu con questo pensiero in mente che Miyuki accese il videoregistratore e cominciò a guardare la partita, minuto per minuto senza mai fiatare, lo sguardo fisso sia sui suoi compagni che sugli avversarsi. E su sé stesso.
[...]
Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kazuya Miyuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N.d.A.
Salve a tutti! è la prima storia che pubblico in questo fandom e, come faccio sempre quando approdo in una nuova sezione, colgo l'occasione per presentarmi.
Sono Merty, ho iniziato quest'anime da poche settimane su consiglio di un'amica e, che dire? Mi è piaciuto tantissimo sin dalla prima puntata e non vedevo l'ora di scrivere qualcosina per questo fandom. Ho preferito aspettare almeno di concludere la prima stagione prima di lanciarmi su qualche fic e ora eccomi qua^^
Spero che possiate apprezzare la one-shot e che sopratutto piaccia alla senpai che non ringrazierò mai ababstanza per avermi fatto conoscere questa serie.
Buona lettura!

Merty






Fault 

 

 

Miyuki non aveva chiuso occhio, quella notte. Anzi, sarebbe stato più lecito dire che non era nemmeno tornato nella sua stanza. Aveva giusto lasciato la sua attrezzatura abbandonata in un angolo, all’ombra, come se volesse tenerla il più lontano possibile dalla sua vista, e aveva annunciato che sarebbe uscito per fare una passeggiata.

Nessuno aveva fatto domande e per lui era stato meglio così. Perché non sapeva se sarebbe stato in grado di rispondere con una battuta a quelle curiosità di troppo. Perché non sapeva se dalle sue labbra sarebbero volate soltanto parole schiette. E, nonostante per lui fosse il modo migliore di agire, era conscio del fatto che no, era troppo presto, e che ribattere alla delusione con la verità sarebbe servito a ben poco in una situazione di quella gravità.

Miyuki era uscito dalla sua stanza e il caldo afoso dell’estate l’aveva investito come un’onda, ma nulla sarebbe mai stato paragonabile a quello della mattina, ai raggi del sole che battevano sul campo illuminando quel monte dove non sarebbero mai saliti, quella vetta che non avrebbero mai raggiunto. Come se la loro sconfitta fosse il fuoco e i raggi di quel sole un po’ troppo sorridente la benzina che continuava ad alimentarlo. 

Mentre si avvicinava alla sala comune, Miyuki non riusciva a levare dalla sua mente quella partita. Era strano, il modo in cui tutti la descrivevano, soffermandosi sul fatto che ogni istante pareva sfocato, distante, come se fosse accaduto anni e anni prima e non semplicemente poche ore fa. Miyuki aveva ascoltato i discorsi in silenzio, lo sguardo fisso sul cibo mentre ancora nelle sue orecchie risuonavano le lacrime di quelli del terzo anno.

Non aveva mai capito il perché di tutto questo. Aveva sempre pensato che quei racconti fossero più per scena, che non era possibile che le persone dimenticassero tutto così in fretta o assistessero a quanto avevano vissuto a pezzi, come se stessero guardando un video in cui mancavano delle parti. Eppure, non poteva non essere vero. Tutti sembravano così confusi, al suo sguardo. Sembravano persi, lontani da quella stanza, forse troppo ancorati a determinati momenti per ricordarsi  il resto.

Ma lui non poteva capirli perché non gli era mai successo. Non c’era mai stata una sola volta in cui la partita appena terminata non mantenesse una presa ben salda sulla alla sua mente, come un parassita che cercava di succhiare via tutta la sua ragione. Non c’era mai stata una sola volta in cui non fosse stato costretto a rivedere ogni singolo momento, anche a distanza di giorni, così nitido e luminoso che faceva quasi male. Come se l’avesse registrato lui stesso. E tutto era così lento e brillante che Miyuki non riusciva a spostare lo sguardo altrove e si ritrovava costretto a dover assistere allo scorrere di quei secondi senza che potesse fare nulla. 

Era come se fosse una specie di maledizione, quella. La maledizione del ricevitore, era così che la chiamava per gioco. La maledizione della persona che aveva il compito di guidare i giocatori alla vittoria. 

Ma lui, la sua squadra, l’aveva condotta alla sconfitta.

E fu con questo pensiero in mente che Miyuki accese il videoregistratore e cominciò a guardare la partita, minuto per minuto senza mai fiatare, lo sguardo fisso sia sui suoi compagni che sugli avversarsi. E su sé stesso. Sembrava che si fosse anche dimenticato di respirare perché era troppo concentrato sui suoi errori, che parevano così grandi in confronto a quelli degli altri, per fare qualsiasi mossa. Sembravano così fatali ora, visti da un’altra prospettiva.

Miyuki iniziò a pensare, mentre la partita procedeva verso la falsa strada della vittoria, che forse aveva sbagliato ogni cosa. Che forse aveva più colpe che meriti in quella partita.

Appena il commentatore annunciò che la partita era conclusa, Miyuki tornò indietro e ripeté quell’azione più e più volte, tenendo gli occhi incollati sullo schermo, assorbiti da quelle immagini in movimento che lo stavano trascinando nel loro abisso di responsabilità. E, man mano che continuava, Miyuki si rendeva conto che la consapevolezza di aver commesso degli errori si faceva sempre più grande. Che aumentavano i dubbi, e i se. 

Forse era stata davvero solo colpa sua.

Aveva sbagliato delle battute. Aveva sbagliato a non accorgersi dello stato di Sawamura, e forse era stato quello il suo passo falso, un errore troppo importante che non poteva perdonarsi. Il peggiore. Perché lui era il ricevitore, ed era il suo compito principale occuparsi dei lanciatori. E invece, e invece…gli era bastato così poco per incrociare lo sguardo di Kataoka al quale era seguita una sostituzione. Ma gli sarebbe bastato così poco anche chiedere un time-out per parlare con Sawamura, per cercare di tranquillizzarlo.

Eppure, non l’aveva fatto.

L’orologio segnava le tre del mattino ma Miyuki non ebbe intenzione di interrompere. Premette per chissà quale altra volta il bottone per riavvolgere l’incontro, per riguardare daccapo quello che si stava trasformando in una spirale di sensi di colpa e ipotesi.

Miyuki rivide ogni cosa, per l’ennesima volta. Rivide le azioni di Tanba e quelle di Ryousuke, e quando si accorse di nuovo che il suo compagno più grande aveva qualcosa che non andava, si maledì mentalmente. Perché forse avrebbero potuto effettuare prima il cambio, ma Miyuki non poteva sapere se qualcosa sarebbe andato diversamente, se questo avrebbe mal condizionato l’umore della squadra perché la presenza uno del terzo anno in panchina, uno dell’importanza di Ryousuke per di più, non poteva sicuramente essere un buon segno. Non all’inizio della partita.

Ma erano soltanto altri dubbi, altri se che andavano ad aggiungersi a quell’infinita lista di tormenti che non lo lasciava andare dal momento in cui aveva udito il fischio della fine.

Miyuki rivide il sorrisetto di Mei, il suo solito sguardo di sfida riprodotto dai pixel per molte, troppe volte, al punto che ora sembrava una minaccia.

“Te ne pentirai, Kazuya” gli aveva detto Narumiya l’anno prima che si unisse alla Seidou. E lui la poteva sentire, poteva sentire quella frase in ogni espressione che Mei indirizzava alla sua squadra.

Il commentatore annunciò che la partita si era conclusa e Miyuki riavvolse il nastro. 

Stavolta, si soffermò su Nori, sul suo sguardo pieno di terrore e di ansia e Miyuki aggiunse l’ennesimo nome alla sua lista. Aggiunse l’ennesima persona che aveva rovinato a causa della sua fretta di concludere il gioco, l’ennesima che non aveva rassicurato. Era stata colpa sua perché Nori stava male, lo potevano vedere tutti, ma lui non aveva mosso un dito.

La sua impazienza l’aveva portato a fare una mossa troppo azzardata e Miyuki vide tutte le sue pedine crollare di fronte quell’ulteriore scacco matto. Continuò a rimandare la registrazione indietro e indietro e tutto ciò su cui i suoi occhi si soffermarono fu il tabellone, ora impresso nella sua mente, insieme a quell’unico punto di scarto.

Un punto.

Era stato soltanto un punto.

Erano stati sopra di due e avevano avuto fretta. Lui aveva avuto fretta e non aveva permesso a quelli del terzo anno di andare alle nazionali. Non aveva permesso alla sua squadra di raggiungere le nazionali perché era stato un idiota, perché non sapeva come approcciarsi, perché nonostante avesse visto che i suoi soliti metodi non funzionavano non aveva fatto nulla. Non aveva tentato nuovi metodi, non si era mosso per aiutare i suoi compagni.

Miyuki aveva visto la vittoria ad un passo dal viso e aveva voluto afferrarla, dimenticandosi ogni cosa. Era stato avido, troppo, e tutto gli era scivolato dalle mani.

Non si sentiva triste, anzi. La tristezza era forse il sentimento più assopito in lui in quel momento. Era più deluso, e arrabbiato. 

Con sé stesso. 

Perché sapeva di essere l’unica persona da incolpare. Gli altri avevano giocato bene,  anche se forse qualcosa poteva essere migliorato. Ma avevano tutti lottato con i denti fino all’ultimo istante mentre lui no. Lui si era già proiettato in un futuro che non sarebbe mai esistito. Aveva ignorato lo stato dei suoi giocatori. Non ci aveva minimamente pensato, deciso ormai a concludere quella partita il prima possibile.

Lui, che pensava sempre a tutto, che era abituato a tener sotto controllo ogni cosa perché era ciò che il suo ruolo gli imponeva. 

Lui, che riusciva sempre a tenere a bada la sua mente, aveva perso di vista i fattori più importanti.

Erano appena le sette e, quando il commentatore annunciò che la partita era terminata, Miyuki spense il videoregistratore e lasciò la sala.

Ma non tornò nella sua camera, e non si diresse verso la mensa per fare colazione.

Andò al campo e cominciò a correre con un unico pensiero in mente, una sola frase che si ripeteva all’infinito mettendo in secondo piano la partita, facendo emergere tutta la sua determinazione e la sua voglia di affrontare avversarsi sempre più forti: dovevano migliorare. Dovevano compiere un salto di qualità. E dovevano farlo tutti; i suoi compagni e lui stesso.

Sopratutto lui, per evitare che un simile errore potesse essere compiuto una seconda volta. 

Per evitare di vedere ancora quelle lacrime ingiuste sui volti della sua squadra.

  
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