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Autore: JeySim90    14/09/2018    0 recensioni
DeathMask, cavaliere d'oro di Cancer.
Come è diventato il cavaliere apparentemente senza nessuna pietà e nessuna morale che abbiamo visto nel manga e nell'anime di Saint Seiya?
E come mai lo si rivede così cambiato in Soul of Gold?
Una serie di "missing moments" sul cavaliere considerato da molti "il più malvagio"...
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Cancer DeathMask, Gemini Saga, Taurus Aldebaran
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Prologo:
ITALIA, anni ‘70

Le fiamme si levavano alte dal vecchio stabilimento, ormai ridotto in un cumulo di macerie e cadaveri sfrigolanti. Il cavaliere, vestito totalmente di eleganti abiti bianchi, osservava le fiamme dello stesso colore dei propri capelli con noncuranza, quasi abituato ad un simile teatro di violenza, sfruttando le proprie capacità per carpire ogni singola variazione di energia in quell’inferno. Aspettando a braccia conserte, rimase ad osservare le scintille librarsi verso il cielo.
Il quartiere sembrava distrutto e malandato tanto quanto l’edificio in fiamme, ma lui sapeva come quella situazione fosse antecedente all’incendio doloso: era cresciuto in posti come quello, sapeva cosa significasse vivere nella miseria.
“Mafia... la piaga di queste terre...”
L’uomo continuava a fissare l’incendio, come ad attendere l’arrivo di qualcuno: qualcuno che non impiegò molto a manifestarsi. Dalle macerie roventi spuntò un bambino dai capelli bluastri, dell’età di circa 6-7 anni, sporco di cenere e con macchie di sangue sulle vesti rovinate. Tossiva, ormai intossicato dal fumo delle fiamme che lo avevano circondato fino a poco prima e che ora andavano affievolendosi. Un bambino normale non sarebbe potuto sopravvivere a simili temperature, ma non si trattava di un bambino normale.

Caldo, eh?
L’uomo sorprese il bambino, che alzò lo sguardo incredulo di trovare qualcuno vivo in quello che ormai sembrava un cimitero rovente. Il piccolo non esitò un secondo: afferrò il coltello che aveva nella propria cintura e si lanciò contro l’uomo, mirando al collo.
Il giovane aggressore si trovò a terra, senza neanche comprendere cosa fosse successo. L’uomo elegante che aveva tentato di colpire non si era spostato di un centimetro, eppure ora aveva in mano il coltello col quale aveva tentato di tagliargli la gola.
Nessuna esitazione: afferrata una pietra al suo fianco, il bambino la lanciò con furiosa precisione verso la tempia dell’uomo.
Trovare una simile testa calda vicino ad un edificio in fiamme mi fa pensare che tu possa essere coinvolto - sogghignò l’uomo che ora si trovava alle spalle del bambino.
“Quando si è spostato?” pensò il piccolo lottatore, ancor più deciso a portare a termine la propria missione.
Ancora una volta il bambino non esitò e, seppur in lacrime per la rabbia, si scaglio contro l’adulto tentando di assestargli un pugno sul volto. Questa volta, il colpo andò a segno.
Il sangue colò sul polso del diabolico fanciullo che, livido di rabbia, guardò con attenzione il bersaglio appena colpito: bersaglio ancora illeso. Fu guardando la propria mano che si rese conto che il sangue proveniva dalle proprie nocche, apertesi colpendo lo zigomo dell’uomo.
Di preciso, una volta colpitomi cosa avresti fatto?
Ancora una volta, il giovane non fu in grado di distinguere i movimenti dell’uomo, che una frazione di secondo dopo lo stava tenendo sollevato per il collo con una mano.
Il bambino, facendosi forza sulle sue braccia ormai indebolite, si sorreggeva al polso dell’uomo cercando di evitare lo strangolamento.
IO VI AMMAZZERÒ TUTTI! TUTTI, NESSUNO ESCLUSO!
L’uomo osservò ancora una volta le macerie. Concentrandosi ed espandendo i propri sensi, era in grado di stabilire con precisione quante anime erano state strappate dai propri corpi: quasi una trentina di uomini adulti ora giacevano carbonizzati o sgozzati.
Mi stai forse paragonando a questi sporchi mafiosi? Senti, moccios...
IO VI AMMAZZO!
Il bambino tentò di sferrare un calcio al volto dell’uomo, col risultato di provare un dolore lancinante al piede. Per tutta risposta l’uomo, per niente dolorante ma molto indispettito, lo scagliò a terra.
Ascoltami bene, ragazzino! Io non ho nulla a che vedere con questi escrementi umani. Sono qui solo per affari, non me ne frega un cazzo di quello che vuoi fare tu.

QUESTI MALEDETTI HANNO UCCISO LA MIA FAMIGLIA!!
L’uomo titubò un attimo: non per la situazione del bambino, anzi non gli interessava minimamente, e nemmeno per il fatto che un bambino di appena 7 anni avesse attaccato un gruppo di gangster incendiandone il covo e armato di coltello... quello che lo aveva colpito era il cosmo fortissimo che, solo per un istante, aveva percepito provenire dal bambino mentre urlava in preda all’odio.
Era lo stesso cosmo che aveva percepito precedentemente e che lo aveva portato a raggiungere quel paese dimenticato dagli dèi, ma ora era ancora più affilato.
“Possibile che il desiderio di vendetta di questo bambino ne abbia sbloccato il cosmo?”
Moccioso, come ti chiami?
Il ragazzino si asciugò le lacrime. Probabilmente il piede col quale aveva sferrato il calcio si era rotto e ormai, dopo l’assalto al covo, il suo corpo era ormai allo stremo.
Ha importanza?
L’uomo rimase sorpreso.
Come?
I nomi hanno senso se hai qualcuno con cui parlare e vivere...
“Un pensiero simile da un bambino così piccolo?” l’uomo si concentrò un attimo chiudendo gli occhi ed espanse i propri sensi ancora una volta: grazie alle sue abilità era in grado di comprendere molte cose, ignote a chi si limita a percepire solo ciò che vede. Era in grado di percepire distintamente le anime dei morti, le loro sensazioni negli ultimi momenti di vita, i loro desideri e i loro legami. La famiglia di quel bambino doveva essere morta da più di un mese, eppure era in grado di percepirli come fossero lì, come se nella sua furia e disperazione quel bambino si fosse legato ad esse.
“...e se questo bambino fosse in grado di... ”
Senti, moccioso, lo ripeto ancora una volta: non c’entro nulla con coloro che hanno ucciso la tua fam... - non poté finire la frase: dalle macerie lì vicino si levò di scatto un uomo, gravemente ferito, con una pistola in mano. Una pistola puntata contro il bambino che, poco prima, aveva ucciso tutti quegli uomini.
Il giovane killer se ne accorse immediatamente, ma ormai il suo corpo non rispondeva più.

Accadde tutto in una frazione di secondo: prima ancora che potesse premere il grilletto, l’uomo vestito di bianco alzò un solo dito in direzione del superstite e un lampo verde colpì il mafioso, facendolo accasciare al suolo.
Il bambino osservò tutto, incredulo.

Fiuu... È sempre buffo come sia più difficile percepire avversari insignificanti rispetto quelli più pericolosi. D’altro canto, quanto cammini è facile rendersi conto di un grande animale mentre potresti camminare su un insetto senza nemmeno accorgertene, no? - disse sogghignando
TU... Tu hai ucciso quell’uomo? Solo con un dito? E cos’era quel lampo?

Nuovamente incredulo, l’uomo osservò il bambino. Come poteva aver visto quella tecnica sferrata ad una tale velocità?
Senti, moccioso... è chiaro che sei mosso dalla vendetta. Te lo dico chiaramente: quelli che hai ucciso qui stasera forse avranno ucciso la tua famiglia, ma questo non capita solo a te. E per quanto tu possa credere di aver vendicato la tua famiglia, vivrai per sempre nella consapevolezza che da qualche parte qualcun altro compie ingiustizie nei confronti di famiglie come la tua. Ogni giorno, in diverse parti del mondo, i potenti uccidono i deboli. È inevitabile. È una legge del creato. Il potere è tutto, il potere piega il destino e impone la giustizia. Quindi hai due scelte: stare qui come un debole, a piangere sui morti che non torneranno, o venire con me e diventare potente per farla pagare a coloro che ritieni ingiusti.

Il bambino, incredulo, si alzò e, claudicante, si avvicinò all’uomo.
Io... io voglio vedere morti tutti coloro che compiono ingiustizie. Ad ogni costo. Sono disposto ad usare qualsiasi mezzo per avere la mia vendetta.
Seguimi, allora. Ti mostrerò cosa sia il potere. Ti addestrerò. E quando sarà finito l’addestramento, sarai tu il terrore degli uomini malvagi come loro lo sono per i deboli. Andiamo,

moccioso.

Il bambino seguì l’uomo mentre il sole era in procinto di sorgere.
Veramente mi chiam...
I nomi, come dici tu, non hanno importanza. Non quelli che ci vengono dati, almeno: hanno importanza solo i nomi che ci si guadagna.
E tu come ti chiami?
Deathtoll... Deathtoll di Cancer.
Deathtoll... Pedaggio di morte?
Capirai... Molto presto capirai...

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SANTUARIO, molti anni dopo

Ancora, Moccioso!
Il giovane aspirante cavaliere iniziava ormai ad avere la vista annebbiata per la fatica, al punto che le colonne della quarta casa intorno a lui iniziavano a sembrargli sfocate e traballanti. L’allenamento andava avanti da quelle che sembravano ore, ma poco importava al discepolo: anche un solo secondo di allenamento con quell’uomo durava un’eternità di troppo.
Il suo addestramento per diventare il futuro cavaliere d’oro di Cancer si protraeva ormai da diversi anni durante i quali aveva imparato a lottare, sopravvivere e, più importante di tutto, percepire il cosmo dentro di sé e dentro gli altri. Aveva appreso come percepire gli spiriti dei defunti, ma ora gli insegnamenti del suo maestro lo stavano portando ad un livello successivo per imparare a separare un’anima dal proprio corpo e proiettarla in una dimensione dalla quale non sarebbe stato possibile tornare: l’aldilà.
Fino ad ora, però, il tempo dedicato ad apprendere la tecnica sembrava non dare alcun risultato. L’aspirante cavaliere giaceva a terra, ormai privo di energie consumate dagli innumerevoli tentativi di gestire il proprio cosmo in una maniera così complessa. Sembrava che persino le dita stessero per staccarsi per la fatica.
È inutile, Maestro. Non ce la faccio ancora. È una tecnica troppo complessa!
Il giovane, tremante, stava per crollare in ginocchio quando il dorso della mano del suo maestro lo colpì facendolo cadere a diversi metri di distanza.
Imbecille! Tutto questo tempo e ancora non hai compreso l’essenza del combattimento! Da bambino eri più sveglio - disse il maestro con sdegno.
L’allievo si rialzò a fatica massaggiandosi la mandibola che sembrava pronta a sbriciolarsi dal dolore. Il maestro stava indossando la lucente armatura di Cancer, ma anche senza di essa un colpo simile avrebbe ugualmente sprigionato una forza allucinante.
Ricordi quando ci siamo conosciuti? Eri un poppante, malnutrito e non allenato... eppure avevi sterminato da solo tanti uomini addestrati. Pensi che c’entrasse il numero di tecniche a tua disposizione? No. Tutto ciò che conta, in una guerra come in un duello, è il desiderio di eliminare il tuo nemico. Distruggerlo. Spazzarlo via come fosse polvere. E per portare il tuo cosmo a colpire direttamente l’anima del tuo nemico il segreto è solo uno: odiare il tuo nemico. Disprezzarlo. Desiderare con tutto te stesso di cancellarlo dall’esistenza. Tutti i cavalieri sono in grado di usare il proprio cosmo per distruggere il corpo del nemico, ma noi della costellazione di Cancer sappiamo che per sconfiggere definitivamente qualcuno non basta mirare ai muscoli o alle ossa: bisogna mirare direttamente all’anima, e per farlo bisogna combattere con i propri sentimenti! Questo, e solo questo, è il segreto di tale tecnica. Concentra tutto l’odio che provi in quell’unico colpo, e in un solo istante potrai annullare la vita di chi ti trovi davanti! Ma per farlo devi volerlo.L’allievo si rialzò a fatica, appoggiandosi ad una delle colonne. Aveva sentito quelle parole fino allo stremo e ne comprendeva il significato ed era convinto di odiare il proprio maestro dopo tutte le angherie subite. Forse l’odio non era sufficiente?
Ora la smetterò di perdere tempo con te. Lanciami quella tecnica o andrò a cercarmi un nuovo

allievo più capace, più desideroso di perseguire la giustizia. Magari per convincerlo dovrò eliminarne la famiglia per instillare un sentimento forte in lui come lo era in te una volta...Mentiva, lo sapeva: per quanto cruento, il suo maestro non avrebbe agito in quel modo. Era un Cavaliere di Atena, protettore della Dea della Giustizia! Era certamente noto per i suoi metodi controversi, ma era l’unico disposto a sporcarsi le mani o prendere decisioni scomode per un fine superiore. Eppure... quella frase. Sapeva che si trattava solo di una vuota provocazione, ma l’idea di mietere la famiglia di qualcuno allo scopo di renderlo un buon combattente lo disgustava. Ricordava quanto aveva sofferto, come aveva vissuto in preda alla disperazione dopo la scomparsa delle uniche persone che tenevano a lui.

E lì riuscì a percepirlo. L’odio. L’odio per chi gli aveva portato via tutto. La disperazione. La sete di vendetta nei confronti di quegli uomini.
Si rialzò sulle proprie gambe e, chiudendo gli occhi, concentrò ancora una volta il proprio cosmo di fronte a sé, sfruttando il proprio odio. Pur a occhi chiusi percepiva la presenza del proprio maestro di fronte a sé, ma nel farlo lo immaginò con un volto differente: il volto dell’uomo che aveva strappato la vita a suo padre, a sua madre e a sua sorella. Lo vedeva chiaramente di fronte a sé, come se in quel momento il suo maestro avesse avuto addosso una maschera raffigurante quel mafioso. “
SEKISHIKI MEIKAIHA!!

Fu allora che, per la prima volta, il futuro Cavaliere di Cancer riuscì a sferrare il suo colpo mortale. ————————————————————————————————————

ITALIA, 5 anni dopo

Capo! Sta arrivando!
Perfetto, è nostro. Sparate a vista - gli uomini caricarono i fucili e si prepararono, puntando le armi in direzione del portone di ingresso. Doveva essere una spedizione punitiva come tante altre: il capo dell’associazione mafiosa aveva puntato da tempo il piccolo villaggio ai piedi dell’antico santuario in Grecia, perfetto per le loro attività: troppo piccolo per dare nell’occhio, abbastanza grande per trovare forza lavoro attraverso minacce e ritorsioni.
Ma qualcosa era andato storto: giravano voci sul fatto che tale villaggio fosse protetto, in qualche modo, dal misterioso santuario in cima al monte e dagli esseri leggendari che lo abitavano. Loro non avevano, ovviamente, creduto a queste storie e avevano continuato a minacciare i paesani, fino a che... la realtà è che non capiva cosa fosse successo: sapeva solo che i suoi sgherri, cinquanta uomini senza scrupoli e armati a dovere, avevano interrotto le comunicazioni da giorni. Gli ultimi messaggi ricevuti dai suoi uomini parlavano di un mostro vestito interamente d’oro che, disarmato, li stava sterminando.
Il boss pensava ad un ammutinamento, ad una favola inventata dai suoi uomini per staccarsi dall’organizzazione senza dare nell’occhio... ma ora un uomo vestito in armatura d’oro aveva fatto irruzione nella sua villa e gli uomini iniziavano ad essere falciati come fili d’erba.
Chiunque sia questo mostro, è comunque un uomo! Se quell’armatura che indossa è vero oro, uccidendolo recupereremo tutte le perdite! Mirate ai punti scoperti dell’armatura e scaricategli addosso tutto il piombo che avete! - sbraitò il capo, preparando i suoi uomini rimasti che ancora miravano immobili il portone.
Cos’era stato quel velocissimo lampo verde? Forse la tensione? Un’allucinazione dovuta alla paura? Non era il momento di pensarci. Anche il boss, nascosto dietro alla scrivania, caricò il fucile e prese posizione. Fu lì che se ne accorse: i suoi uomini erano immobili. “Troppo” immobili. Sgattaiolò al fianco di uno dei suoi sottoposti per poi rendersi conto della terribile verità: era morto ancora in posizione da combattimento.
Controllò meglio: tutti i suoi uomini erano morti.
Tu sei il capo, giusto?
Una voce scura e penetrante arrivò alle sue spalle e lo fece sobbalzare. Girandosi di scatto premette il grilletto, sfondando il muro con una rosa di proiettili. Non c’era nessuno.

Solo girandosi una seconda volta, cercando l’origine della voce, lo vide: un ragazzo alto, con i capelli blu, vestito di un’elaborata armatura dorata i cui duri dettagli ricordavano delle zampe di un crostaceo.
Una mano dorata si mosse fulminea e l’uomo venne scaraventato attraverso il muro in cartongesso, finendo in un’altra stanza. Il fucile, cadde a terra con un tonfo, molto distante del mafioso.
Era un po’ che ti cercavo. Hai mandato degli uomini ad attaccare il villaggio del santuario. Idea molto stupida - disse il mostro dorato, avanzando lentamente. L’uomo, ferito dal colpo e a terra, era nel panico: stava succedendo davvero o si trattava solo di un incubo?
Posso pagarti! Ti darò tutto quello che vuoi! - implorò il mafioso, disperato.
Il cavaliere si fermò, sogghignando.
Tu non mi darai niente. Sarò io a prendermi qualcosa da te, schifoso - un’aura oscura si levò dal guerriero, iniziando a far vibrare di terrore l’uomo a terra. - Per quelli come te la morte non basta. Con le sofferenze che hai causato persino gli inferi sarebbero una scappatoia per te. Ritieniti fortunato, questa tecnica la riserbo solo per coloro che reputo davvero rifiuti del genere umano - il cavaliere puntò l’indice in direzione dell’uomo, sogghignando dalla rabbia.
Co-Cosa vuoi fare? - balbettò l’uomo a terra.
Vedi, normalmente mi limito a spedire le anime degli uomini inetti nell’oltretomba. Mi ci sono voluti anni per imparare a farlo, ma ho pensato che per le nullità come te serve qualcosa di più severo: ho modificato la tecnica affinché solo una parte possa andare a soffrire nell’oltretomba, mentre l’altra rimane qui sulla terra, imprigionata in una maschera e costretta a percepire per l’eternità le sofferenze degli uomini. Fame, sete, solitudine, fatica, dolore, disperazione. Fidati, ai tuoi sottoposti morti sul colpo è andata molto meglio!
Il cavaliere si concentrò: quella versione della sua tecnica era complessa e ancora difficile da controllare. In quel preciso istante, mentre il malavitoso estraeva una pistola da una seconda fondina, si spalancò una porta.
Accadde tutto contemporaneamente.

Muori, mostro!
Papà!
Sekishiki Mejou Ha!
Un enorme lampo avvolse la stanza e cadde il silenzio.
Il cavaliere d’oro rimase da solo e, sospirando, si avvicinò al punto in cui poco prima vi era l’uomo che stava per sparargli. Solo un dubbio gli balenò in quell’istante: chi aveva urlato “papà?”. Il cavaliere di Cancer fece qualche altro passo verso ciò che era rimasto della sua vittima: una maschera di ossa e carne dal volto sofferente, segno del legame che il mafioso avrebbe mantenuto con il mondo mortale per l’eternità.
Fu lì, però, che il cavaliere inorridì: di fianco ad essa si trovava una seconda maschera, più piccola... il volto di un bambino. Il cavaliere iniziò a tremare. Possibile che il figlio di quell’uomo fosse entrato nella stanza proprio in quell’infausto istante? E che fosse stato coinvolto nella tecnica? “No... NO! Non doveva andare così... Non...” il cavaliere cadde sulle ginocchia e poggiò le mani a terra, disperato.

Poco distante da lì, appena fuori dalla villa, comparvero altri due cavalieri dalle vesti dorate. Seppur giovanissimi conoscevano fin troppo bene i campi di battaglia... ma qui era diverso: percepivano una violenza mossa da un odio innato.
Pare che Deathmask non si sia risparmiato nemmeno questa volta - commentò il più alto e muscoloso dei due.

Non si tratta, spero, di pura violenza, Aldebaran. Guarda come sono disposti i cadaveri intorno a noi, erano già in formazione da battaglia, probabilmente lo hanno attaccato e lui si è semplicemente difeso - la stessa voce del cavaliere più minuto era però intrisa dal dubbio.
Mu, tendi a vedere il buono in tutti... ma siamo onesti: una volta sul campo di battaglia quell’uomo si lascia andare, non credo li abbia sterminati per mera difesa personale.

Non lo sto giustificando. Qualunque cosa sia successa qui Deathmask ha agito per conto proprio, senza rendere conto al gran Sacerdote e abbandonando la propria posizione. Ha certamente agito bene per difendere il villaggio alle pendici del Santuario, ma venire fin qui per completare l’opera è stato eccessivo.

Camminando, i due raggiunsero le stanze al secondo piano dell’edificio, dove percepivano il cosmo del loro collega.
Lo trovarono in ginocchio con in mano due maschere color sangue; gli occhi dell’uomo erano rossi, lucidi e stanchi, come quelli di qualcuno pentito e sofferente.

Il cavaliere di Aries non poté fare a meno di notare la maschera più piccola, comprendendo al volo il misfatto.
Deathmask, cosa diavolo è succ...
NON CHIAMARMI CON QUEL NOME! - sbraitò il cavaliere di Cancer, ancora sconvolto.

Mu fu sorpreso. Fin dalla sua investitura nessuno aveva mai saputo il nome del custode della quarta casa, era invece stato proprio il cavaliere stesso a definirsi Deathmask da quando aveva iniziato ad appendere nel suo tempio le effigi delle sue vittime. Usanza certamente macabra, ma il cavaliere dell’ariete aveva sempre pensato si trattasse di una sorta di effetto collaterale delle tecniche della più sinistra e oscura delle costellazioni dei dodici cavalieri a protezione del tempio. Non pensava che il nome da lui stesso scelto avrebbe potuto farlo reagire così. Era chiaro che qualcosa non era andato come previsto. - D’accordo. Cavaliere di Cancer, sei stato convocato dal gran Sacerdote per rispondere della tua assenza ingiustificata presso la quarta casa.

Mu e Aldebaran erano tesi: la missione di recupero del cavaliere d’oro doveva concludersi senza intoppi, ma sapevano bene che, per quanto fossero in due a doverlo scortare al tempio, un cavaliere d’oro che agisce di testa propria è pericoloso. Inoltre, lo sguardo sconvolto di Deathmask faceva presagire a Mu che le cose avrebbero potuto degenerare. Pronto ad utilizzare il Crystal Wall, Mu fece un altro passo in direzione del collega.

D’accordo, verrò con voi - disse il cavaliere, alzandosi e prendendo con sé le maschere. Mu e Aldebaran rimasero piacevolmente sorpresi, seppur rendendosi conto che qualcosa non andava in lui: nessuna risposta spinosa, nessun insulto gratuito, nessun ghigno. Per quanto con frasi di pessimo gusto, Deathmask era solito scherzare con gli altri cavalieri. Questa volta, però, sembrava assente.

SANTUARIO

Il cavaliere di Aries teletrasportò gli altri al grande tempio. Incredibilmente il gran Sacerdote Shion li attendeva già alla prima casa, dove i tre si inginocchiarono al suo cospetto.
Fu clemente, il vecchio Shion. Sapeva dei trascorsi di Deathmask con la mafia e capiva come fosse probabile che una situazione così vicina all’infanzia del cavaliere di Cancer avrebbe potuto farlo uscire dai ranghi per una lotta personale. Non ci sarebbe stata nessuna ripercussione importante, per questa volta: avrebbe semplicemente dovuto aiutare nella ricostruzione del villaggio ai piedi del tempio, dove i mafiosi avevano creato scompiglio nel tentativo di abbattere Deathmask, e il cavaliere accettò di buon grado, congedandosi per tornare alla propria casa.

Salendo le scale del grande tempio mille pensieri attraversarono la mente del cavaliere. Era stato un male necessario? Si sarebbe potuto evitare? Era certamente possibile slegare la tecnica, ma ora le due maschere erano vincolate l’una all’altra e se avesse liberato le anime anche quella del boss mafioso avrebbe trovato riposo, non poteva accettarlo. Il dubbio era semplice: pesa più la libertà di un colpevole o la condanna di un innocente? Fu attraversando la terza casa che una voce interruppe i suoi pensieri.

Hai fatto bene - commentò il cavaliere di Gemini, Saga, intento a meditare seduto di fronte alla propria cloth.
Deathmask si fermò. Saga era uno dei pochi cavalieri del grande tempio con i quali si sentiva spesso in sintonia: durante una chiacchierata si erano trovati d’accordo su molti aspetti relativi al ruolo di

un cavaliere, tra questi il fatto che il potere superava in importanza tutto il resto e che solo chi era davvero forte poteva creare la giustizia. Ora però Deathmask non aveva voglia di parlarne.
Lasciami stare, Saga, voglio stare da solo... - disse, incamminandosi di nuovo verso la quarta casa.

No, ascoltami. Ho percepito tutto da qui. So cos’è successo e non avevi scelta. Quel bambino si è buttato in mezzo e non avresti potuto fermarlo. E se anche ne avessi avuta la possibilità, rifletti: oggi un bambino è morto, ma quell’uomo era pericoloso e la sua stessa vita avrebbe stroncato quella di molti altri. Non devi fartene una colpa, hai fatto ciò che era necessario... - il tono del cavaliere dei gemelli era calmo e fermo, come se già altre volte avesse ragionato su un simile argomento. Quell’uomo, oltre ad essere uno dei cavalieri più potenti, era un compagno leale: avrebbe fatto di tutto per rincuorare un compagno in un momento così difficile.

Deathmask si sentì sollevato, seppur di poco. La maschera del bambino che ancora reggeva in mano sembrava pesantissima, sia fisicamente che moralmente, ma il cavaliere di Gemini aveva ragione: se non avesse fermato quell’uomo, tanti altri avrebbero perso la vita per mano sua. - ...grazie, Saga... - sussurrò Deathmask, allontanandosi.

Arrivato alla quarta casa, il cavaliere di Cancer completò il suo rito. Appese il volto del mafioso nel colonnato insieme a tutte le altre maschere degli uomini che avevano subito lo stesso destino. Sarebbe rimasto lì, a soffrire e vedere gli altri fare altrettanto. Per sempre. La maschera del bambino, invece, sarebbe andata su un muro diverso. Un muro davanti al quale il cavaliere avrebbe meditato, giorno dopo giorno, sul significato profondo della giustizia.

Togliendosi la cloth per risposare, Deathmask continuava a riflettere su ciò che era accaduto. Disposta la sacra armatura nella posizione di riposo, si sedette davanti ad essa come per conversarci, usanza tipica dei cavalieri al pari della meditazione. “Le armature non sono semplici strumenti” aveva apostrofato una volta il sommo Shion “posseggono, se vogliamo dire così, una propria anima”.

Deathmask raramente parlava alla propria cloth, ma ora aveva bisogno di riflettere con essa.
“Era necessario, vero, Cancer?” domandò all’armatura. “Sono certo che fosse necessario. La sofferenza è necessaria per impedire ulteriore sofferenza, no? Il mio maestro mi ha fatto soffrire per creare un cavaliere in grado di proteggere la giustizia” l’armatura giaceva davanti a lui, come ad ascoltarlo. “Dopotutto, chi dice che non si può combattere il fuoco con il fuoco sbaglia. Una fiamma può togliere ossigeno all’altra, giusto? Purtroppo qualcuno deve farsi carico di questo compito. Toccherà a me: soffrirò e farò soffrire i malvagi nel nome della giustizia.”
Osservando bene l’armatura notò diversi graffi: probabilmente segni dei proiettili che lo avevano colpito di striscio. Il cosmo di un cavaliere permetteva loro di schivare abilmente i proiettili e anche in caso di impatto il danno non sarebbe mai stato sufficiente a ferire seriamente un guerriero di Atena. Ad ogni modo Deathmask era riconoscente alla sua cloth, conquistata dopo addestramenti indicibili, che lo aveva protetto ancora una volta...
“Migliorerò ancora. Guiderò la giustizia attraverso il mio potere. E se questo significa che gli altri finiranno col vedermi come malvagio, così sia. Il bene superiore vale qualsiasi sacrificio. Un fine giusto giustifica sempre i mezzi.”

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SANTUARIO, molti anni dopo

Il gran sacerdote entrò nella quarta casa a passo deciso, alla ricerca di uno dei suoi più fedeli aiutanti. Trovò Deathmask in meditazione davanti al muro delle maschere, maschere che negli ultimi anni si erano fatte sempre più numerose.
Deathmask? - il sacerdote interruppe la meditazione dell’uomo, che si voltò lentamente.

Dimmi tutto, Saga - disse con estrema calma.

Ti ho già detto di non chiamarmi con quel nome - commentò Saga, che ormai non sentiva il proprio nome originale da quasi 13 anni se non con Deathmask, uno dei pochi a conoscenza dello scambio di identità avvenuto tra il suo amico e l’ex sacerdote Shion.
D’accordo. Come posso aiutarvi, gran Sacerdote?
L’ex cavaliere di Gemini non poté fare a meno di notare come, negli anni, la voce del cavaliere della quarta casa si fosse fatta più cupa. Non era difficile intuirne il motivo: gli bastò uno sguardo al muro delle maschere dei bambini per pensare a quante volte il cavaliere aveva dovuto prendere decisioni orribili al fine di perseguire gli obiettivi delle sue missioni. Persino il cosmo del cavaliere, a forza di essere guidato dall’odio, si era fatto più duro e freddo. Ormai, estraniandosi dalla propria persona, più che un uomo era diventato una pura forza bellica da utilizzare contro i nemici del tempio.
Ho una missione per te, ma non sarà un compito facile - proseguì Saga.
Senza muovere un muscolo, Deathmask rispose: - Da quando sono al tempio non ricordo molte missioni sempl...
Devi recarti a Goro-Ho, in Cina, ed eliminare l’ex Cavaliere di Libra - la temperatura nella sala sembrò abbassarsi di colpo.
Il vecchio maestro? Scherzi?
La richiesta, per quanto inaspettata, aveva senso. Il vecchio Dokho conosceva Shion dalla precedente guerra sacra, e probabilmente era uno dei pochi a conoscenza dello scambio avvenuto sotto al mantello del sacerdote. Inoltre, gli ultimi avvenimenti stavano iniziando a muovere qualcosa: le guerre galattiche e il ritorno del cloth di Sagitter stavano per cambiare tutto, e se fosse iniziato uno scontro tra saint era meglio partire eliminando i più pericolosi. Dokho era il primo della lista.
Deathmask sapeva che con Saga a capo del grande tempio le cose erano andate meglio. Meno scontri, meno problemi... il potere genera ordine e il nuovo sacerdote era il saint più adatto a controllare la situazione.
Ti sembra che io stia scherzando?
Ovviamente no. Partirò subito. Dovrò darmi da fare: per quanto fermo da anni, è sempre un cavaliere d’oro. Farò tutto il necessario.
Non esitare. Ricordati, per perseguire la via della giustizia... - continuò Saga, ma venne interrotto dall’altro cavaliere.
...ogni tanto bisogna sporcarsi le mani. Lo so. E sai bene che ormai non ho problemi al riguardo...
Poco dopo, il cavaliere della quarta casa, Deathmask di Cancer, vestito della sua Cloth, si incamminò verso l’uscita del santuario.
Aveva molti pensieri, molte domande... sapeva che eliminando Dokho si sarebbe creata una reazione a catena che avrebbe potuto portare ad una guerra civile, ma sapeva anche di essere dal lato giusto: la giustizia era nelle loro mani e toccava a loro a farla rispettare, anche se c’era chi non ne era convinto. Forse, pensò Deathmask, imponendo la giustizia con forza si sarebbe arrivati alla pace... una pace nella quale non avrebbe più dovuto appendere maschere di innocenti alla parete del proprio tempio.

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Epilogo.

Vecchio, versamene un altro! - sbraitò Deathmask.
Il liquore rossastro scivolò nel bicchiere, creando riflessi color rubino. Bevendo ancora, l’ex- cavaliere di Atena assaporò ancora una volta il prodotto della cantina asgardiana, percependo il calore dell’alcolico diffondersi nella sua gola.
Ne erano successe di cose. La percezione del tempo degli ultimi avvenimenti era molto sconclusionata in lui. Sapeva solo di aver visto la morte ormai troppe volte. Prima al grande tempio,

poi al castello di Ade e ancora una volta al muro del pianto. E ora si trovava lì, in una terra straniera a sorseggiare un liquore e giocare a carte con uno sconosciuto. Vincendo, questa volta.
L’incontro con Aiolia di qualche ora prima lo aveva sorpreso, ma non lo aveva certamente smosso più di tanto. Sì, la guerra contro Ade era ancora in corso e sì, forse mettendo insieme le forze avrebbero potuto raggiungere Seiya e gli altri nell’Elisio. Ma il tempo di combattere per lui era finito: dopo lo scontro con Shiryu, la sua cloth sembrava averlo abbandonato, aiutandolo solamente in occasione del crollo del muro del pianto. Se anche Aiolia e gli altri fossero stati in grado di abbandonare quel luogo, lui non li avrebbe seguiti.

Il dono, misterioso, di una nuova vita era visto da Deathmask come un riscatto di tutte le volte in cui aveva dovuto sporcarsi le mani per un bene superiore. Ora, forse, per la prima volta da quando aveva 7 anni, poteva essere lui a giovare delle vittorie di altri guerrieri. Non gli importava di combattere ancora: nella sua testa c’era solo quella ragazza del banco dei fiori.

Non percepiva più il peso delle maschere della sua vecchia casa: sapeva che con la sua morte per mano di Shiryu gli spiriti bloccati in essa erano stati liberati. In questo modo si erano liberati anche gli spiriti degli uomini malvagi che aveva bloccato per un’eterna sofferenza, ma andava bene così: non avrebbero più potuto ferire nessuno, mentre gli innocenti avrebbero potuto raggiungere il Nirvana.

Non aveva più sensi di colpa e forse, finalmente, dopo una vita solitaria avrebbe potuto avere di nuovo una famiglia.

Era l’ultima mano: sguardo deciso verso il proprio avversario, carte in mano, portando un bel gruzzolo al centro del tavolo. L’avversario non doveva avere ottime carte perché ormai sembrava tremare.
Deathmask invece era calmo, impassibile, con carte orrende in mano. Poteva solo bluffare (la fortuna raramente era dalla sua parte), ma d’altro canto era bravo a indossare maschere.

Il suo avversario abbandonò la partita, uscendo dall’osteria e lasciando i soldi sul tavolo. Deathmask li portò a sé con un ampio movimento del braccio per poi metterli in un borsello. “Con questi, forse, potrà permettersi le cure che le servono” pensò.
Tenne giusto qualche moneta per sé per saldare il conto al bancone, quando si accorse che non c’era il solito oste dietro ad esso: era così concentrato sulle carte che non si era nemmeno accorto del sostituto.
Questa sera la fortuna è dalla tua parte! - commentò il nuovo oste, osservando la vincita.
Così pare - rispose allegro l’ex cavaliere, brindando mentalmente a se stesso.
Forse era quello ciò che lo aspettava. Dai campi di battaglia con guerrieri e divinità ad una semplice taverna in cui provare a racimolare qualcosa per qualcuno a cui voleva bene. Per la prima volta, dopo anni, poteva sorridere serenamente.

   
 
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