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Autore: AThousandSuns    16/09/2018    2 recensioni
[Guardiani della Galassia]
[Guardiani della Galassia]Prima classificata al contest "Tuttifrutti - a ognuno il suo cliché di Frandra organizzato sul forum di Writer's Wing
La taglia sul famigerato ladro di Tucson, Starlord, continua a crescere.
Gamora ha bisogno di soldi per riparare quel catorcio che chiama auto, così decide di adescare Peter in un bar. Quanto può essere difficile?
Peccato che le cose non vadano come la cacciatrice di taglie aveva previsto...
[Crime!AU]
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quella volta che una banda di idioti si sono trovati'
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Un posto da bifolchi, ecco cos’è quello.

Un gruppo di bikers sudaticci schiamazza nei pressi del tavolo da biliardo, tanto che il pezzo country che parte dal jukebox nell’angolo a malapena arriva alle sue orecchie.

Gamora abbassa gli occhi sul suo shot ma riesce solo a notare quanto il bancone in legno scadente sia appiccicoso; si maledice di nuovo per aver lasciato decidere alla sua preda il luogo dell’appuntamento.

Dicono che Peter Quill – o Starlord, come tutti si rifiutano di chiamarlo – sia un tipo scaltro, anche se non si direbbe affatto. E se c’è una cosa che Gamora ha imparato in tutti quegli anni passati a fare la cacciatrice di taglie, è che bisogna saper ascoltare la strada.

Non voleva che Quill s’insospettisse, perciò gli aveva permesso di scegliere il posto per il loro appuntamento romantico: Peter alla fine aveva optato per quella topaia in periferia.

Quale razza di idiota ha un profilo Tinder quando si è ricercati dalla polizia? Gamora si chiede come abbia fatto a sfuggire alla cattura fino ad ora. Quello però è il capolinea, per Peter Quill. La donna già sogna come spenderà i soldi della cospicua taglia.

Getta l’ennesima occhiata alla porta d’ingresso; l’angolo in cui si è accomodata le permette di sorvegliare l’intero locale – peccato per l’illuminazione fioca. E per il ventilatore dietro di lei che è guasto e non l’aiuta a dissipare il caldo estivo di Tucson, uno di quelli umidi che si appiccicano alla pelle e ti soffocano. In ogni caso ha lavorato in condizioni peggiori.

La porta si apre di nuovo e le basta uno sguardo per riconoscere il profilo di Quill; nonostante la calura, indossa una giacca di pelle marrone. Il viso è incorniciato dalla barba incolta e Gamora alza gli occhi al cielo al pensiero che non abbia avuto la decenza di radersi per quello che lui crede un appuntamento.

Si avvicina al bancone e non le sfugge lo sguardo con cui la studia. «Ehi, scusa il ritardo. Posso offrirtene un altro?» chiede indicando il bicchierino vuoto tra le mani della donna.

La donna sfoggia il suo sorriso migliore. «Certo.»

Peter ordina con un semplice gesto della mano e torna a posare gli occhi su di lei; c’è una luce strana nei suoi occhi, una scintilla che Gamora non riesce a interpretare.

La strappa da quei pensieri attaccando bottone. «Speravo che la tua foto profilo su Tinder rispecchiasse la realtà, ma non pensavo che la realtà l’avrebbe superata.»

Gamora non riesce a trattenersi dall’alzare di nuovo gli occhi al cielo. «Frasi del genere di solito funzionano con le altre donne?»

Non pare sorpreso dal suo atteggiamento, d’altronde quando flirtavano su Tinder la donna non ammorbidiva il proprio carattere: ha immaginato che Peter l’avrebbe presa come una sfida e non si sbagliava.

«Non mi aspettavo certo che funzionasse con te.»

La barista serve da bere senza nemmeno guardarli in faccia. «Allora perché l’hai detto?»

Peter alza il braccio e Gamora lo imita; i bicchierini si scontrano con un tintinnio lieve. «Mi piace punzecchiarti.»

Incredibile come a ogni parola che l’uomo pronuncia, Gamora abbia voglia di roteare gli occhi al cielo. Insomma, nei vari giorni in cui hanno parlato e perfino ora, comprende come alcune donne potrebbero trovarlo… interessante.

Lei ne ha abbastanza di quei giochetti, ma sperava di farlo bere un po’ così da renderlo meno lucido e più lento. Perciò scuote la testa ma gli sorride, fingendo di fare la preziosa: è un ladro – un ottimo ladro - deve andare matto per certe scemenze.

«Inoltre, sono sorpreso che tu abbia accettato d’incontrarmi qui» continua Peter con le labbra piegate in un sorriso scaltro.

«È l’ultima volta che ti lascio scegliere il locale.» Gamora gli parla come se dovessero rivedersi.

L’uomo ridacchia e inclina il volto mentre tiene i gomiti poggiati al bancone. «In chat hai detto che non sei di queste parti, vero? Di Tucson, intendo.»

Gamora annuisce e non sposta gli occhi dai suoi. «Non ti ho detto da dove vengo, però.»

«Io dal Missouri.»

«Possiamo avere un altro giro?» chiede la donna voltandosi per un istante verso la barista. Quella non è una parte del suo passato che le piace rivangare ed è curioso che Peter voglia chiacchierare proprio sull’argomento che lei non desidera affrontare; ma no, si sta comportando da paranoica: in fondo si tratta di una normale conversazione, Quill non può sapere quanto il proprio passato la ferisca.

Gamora tiene gli occhi fissi sul bicchiere vuoto quando parla di nuovo: «Chicago.»

Peter fischia. «Ma dai, in pratica siamo vicini! Cosa ti ha spinto ad attraversare metà continente?»

«Potrei farti la stessa domanda» gli fa notare sulla difensiva.

Peter sposta lo sguardo su un punto indefinito davanti a sé e alza le spalle. «Mio padre è un grande stronzo e mia madre… se n’è andata molti anni fa: non c’era più nulla che mi trattenesse in quel buco di paesino.»

Gamora non riesce a capire se sia sincero o no e quella non è una buona cosa: che lo stia sottovalutando?

L’uomo si schiarisce la voce per richiamare la sua attenzione. «È il tuo turno.»

«Il mio turno per cosa?» chiede innocente.

«Il tuo turno per rivelare il tuo passato merdoso: voglio dire, dubito che qualcuno lascerebbe Chicago per Tucson senza una valida ragione.» Ridacchia, ma gli occhi non si addolciscono e Gamora per un attimo crede che non abbia inventato quella storia. Ma perché dovrebbe importarle?

Si prende un istante per rifletterci: ai pochi che lo chiedono di solito mente e dice di averlo fatto perché in Illinois l’attività di cacciatore di taglie non è permessa, ma questa volta non può cavarsela con una menzogna del genere.

Non sa bene perché, ma si ritrova a confessargli la verità, o una parte. «Anche mio padre è un grande stronzo» sussurra prima che possa ripensarci; chissà, magari vederla così vulnerabile lo spingerà ad abbassare del tutto la guardia.

Ironico come menta a tutte le persone della sua vita e poi si ritrovi a sputare il rospo con qualcuno che considera un nemico. Se non stesse lavorando berrebbe un altro drink.

Il sorriso di Peter vacilla. «Allora qualcosa in comune ce l’abbiamo.»

Gamora d’un tratto non è capace di staccare gli occhi da quelli dell’uomo: tirare in ballo il proprio padre non è stata una mossa saggia; quella è una ferita ancora aperta e dolente, una ferita che forse non guarirà mai.

Peter dev’essersi accorto della tensione perché fa per sfiorarle una spalla, ma poi rinuncia in un gesto impacciato. Sembra un tipo spavaldo, ma pare sia tutta una facciata: d’altronde chi è lei per giudicare?

«Senti, vado un attimo in bagno e quando torno ci facciamo un altro giro, uh?»

Gamora alza il bicchiere vuoto. «Andata.»

«Non è così che ti avevo immaginato, sai?»

Gamora vorrebbe chiedergli cosa diavolo intende ma Peter sparisce dietro l’angolo e la donna tira un sospiro di sollievo quando lui si allontana: finge che il proprio passato non esista e tenta di concentrarsi sul vero motivo che l’ha portata in quel bar da quattro soldi. Chiude gli occhi mentre inspira e torna a immaginare i soldi che Quill le frutterà.

Dal jukebox è partita un’altra canzone e questa volta il baccano dei bikers non riesce a sovrastarla. Un paio di note bastano a riportarla indietro nel tempo di diversi anni e rivede sé stessa seduta vicino al biliardo nel locale del padre; dal retro le giunge il tono suadente delle minacce. Gamora stringe il tavolo con le dita e chiude gli occhi fingendo di non essere lì. Ma è lì, non può andare da nessuna parte – proprio come le ricorda la canzone che aleggia nell’aria. Suo padre la chiama, un ordine al quale non può sottrarsi. Ricorda d’aver pensato che se le fosse andata bene, avrebbe dovuto limitarsi a spezzare una falange.

E invece aveva scavato una fossa.

Gamora prende un bel respiro ma somiglia più a un singhiozzo e ordina un altro drink con la speranza di affogare quei ricordi, al diavolo il lavoro. Allunga la mano sullo sgabello accanto a lei e tasta il bozzo rassicurante nella sua borsetta, un teaser. Deve concentrarsi sull’arresto o non finirà bene. Ci sono anche spray al peperoncino e manette: aggrotta la fronte e si chiede se Quill sia un buon combattente.

Da ciò che ha sentito in giro è il tipo d’uomo che si tira fuori dai guai con la sua parlantina più che con i pugni: non sarà un problema.

Però sente un formicolio alle mani e capisce che qualcosa non quadra: non è così che ti avevo immaginato, sai?

Una frase semplice, innocente; allora perché Gamora ha un brutto presentimento?

Sbatte le mani sul bancone e si maledice mentre raggiunge il bagno: non l’ha controllato quando è arrivata, un errore da novellina perché Peter potrebbe essersi insospettito e lì dentro potrebbe esserci una…

Finestra. Che ora è spalancata.

Gamora ringhia un’imprecazione tra i denti stretti e si fionda all’esterno, appena in tempo per guardare Quill salutarla e sgommare via su una moto sportiva.

Stronzo.

 

 

La porta si chiude con un tonfo rumoroso che fa tremare i vetri sottili dell’appartamento, l’ha spinta con troppa foga ma non le interessa. La sua auto l’ha quasi lasciata a piedi per strada in una degna conclusione di quella giornata. Sperava di passare dal meccanico con i soldi della taglia di Quill, ma a quanto pare quel pezzo di ferraglia ambulante dovrà attendere.

Vorrebbe cancellare il fallimento dell’ultima ora ma sa che non può farlo, perciò si limita a prepararsi un caffè che corregge con un goccio di whisky.

Afferra il telecomando per accendere la tv ma il cronista che riassume le notizie non basta per distrarla, così si sposta in bagno e con una mano apre il rubinetto della vasca mentre nell’altra tiene ancora la tazza di caffè.

Si sbarazza dei vestiti con gesti assenti e li lascia cadere sul pavimento; a piedi scalzi torna in bagno a controllare la temperatura dell’acqua: estate o no, un bagno caldo l’aiuta sempre a sciogliere i nervi. Forse un po’ troppo caldo, ma Gamora s’immerge lo stesso abbandonandosi a un sospiro frustrato.

È arrabbiata con sé stessa – no, peggio: è delusa.

Delusa perché sa quanto vale e sa che quel mestiere è la sua vocazione: non è semplice fare il cacciatore di taglie, ed è pericoloso. È un lavoro incerto e non offre molta prospettiva, ma è abbastanza impegnativo da tenere i pensieri e i ricordi a bada – e questo a Gamora basta.

I suoi pensieri tornano a Quill: il ladro sapeva esattamente chi era e perché era lì, eppure si è presentato lo stesso. Perché? La spiegazione più logica è che volesse giocare un po’ con lei: farle credere di avere il controllo, di essere vicina ad arrestarlo per poi ingannarla e umiliarla.

È solo colpa sua: l’ha sottovalutato. A quanto pare non è la sola, visto come continua a sfuggire alla legge, ma quel pensiero non la fa sentire affatto meglio. Perché lei è sempre stata quella che trionfa quando tutti falliscono: è il suo talento, ma anche la sua maledizione. Per questo era la prediletta di suo padre…

Ora capisce che la domanda che Peter le ha posto non era affatto casuale: Quill ha usato il suo passato come un’arma per confonderla e farle abbassare la guardia, e c’è riuscito alla grande. Lei gliel’ha permesso, come fosse una novellina e non un’esperta cacciatrice. Gamora oggi ha infranto la prima regola del proprio mestiere: lasciar fuori le emozioni. Di certo ha imparato la lezione.

Afferra la spugna e comincia a sfregare la pelle senza alcuna delicatezza, come potesse grattare via dal corpo il proprio passato e i propri peccati.

La verità è che Gamora è più colpevole della maggior parte degli idioti a cui dà la caccia per lavoro, non importa quanto si allontani da Chicago o quanto tempo passi dal suo addio a quella città maledetta.

È lei l’unica cosa maledetta: non c’è perdono per ciò che ha fatto; non può tornare indietro e deve ammettere a sé stessa che non è in grado di andare avanti, a dispetto di quanto ci abbia provato: dal passato non si può scappare.

Ma cosa credeva, che fuggire e trasferirsi in un altro stato avrebbe cambiato le cose?

Che suo padre gliel’avrebbe permesso?

Sa che non dovrebbe, ma non riesce a resistere a quella malsana tentazione e prende il cellulare tra le mani ancora umide. Scorre fino a trovare un unico messaggio lasciato da un numero sconosciuto un paio di giorni prima.

Torna a casa, o verremo a prenderti.

Una minaccia. Una promessa.

Vorrebbe stringere il cellulare tra le mani così forte da distruggerlo; vorrebbe tornare a Chicago solo per guardare suo padre dritto negli occhi e sputargli addosso tutto il veleno che ha serbato in quei lunghi anni; vorrebbe che nel suo cuore ci fosse solo odio per lui, ma sa che non è così e questa consapevolezza non le dà pace. Nonostante tutto il male che le ha arrecato – a lei e a sua sorella Nebula – oltre a l’odio c’è qualcos’altro, un legame che non riesce a recidere.

Gamora s’immerge completamente nell’acqua ormai tiepida; tiene gli occhi chiusi e sotto la superficie i rumori le giungono ovattati e irreali, compreso il battito tumultuoso del suo cuore che non accenna a calmarsi.

Forse fare un bagno bollente nel bel mezzo di quella giornata torrida non è stata una buona idea; riemerge dopo qualche secondo e si affretta a uscire. Si riveste in fretta con i primi indumenti che le capitano a tiro e si stende sul letto; forse dovrebbe mettere qualcosa nello stomaco ma proprio non ha fame.

L’incontro con Quill l’ha scombussolata e sapere che gliel’ha fatta sotto il naso in quel modo la fa imbestialire: odia non avere il controllo e odia ancor di più fare la figura dell’allocca.

Il cellulare che vibra per un istante la distrae; scatta seduta sul materasso quando legge il mittente.

Come te la passi, sorellina?

Gamora non sa per quanto tempo rimane a fissare lo schermo ma ad un certo punto le sue dita tremanti cominciano a digitare una risposta.

Devi essere mezza morta in un cassonetto dell’immondizia per scrivermi.

Nebula risponde subito ignorando la frecciatina: non ha voglia di scherzare.

Ha contattato anche te?

Certo che non va per il sottile: in fondo non è mai stata brava a far conversazione.

Sì. Dove sei?

Molto lontano da Chicago. Ma tornerò lì presto.

Gamora osserva il messaggio e s’irrigidisce: sua sorella deve aver battuto la testa, sta farneticando.

Cos’hai intenzione di fare?

Ciò che avrei dovuto fare anni fa.

Proprio le parole che non avrebbe voluto leggere.

Nebula… che intendi?

Siamo state due sciocche a pensare di poter andar via di casa. Non c’è altro posto per quelle come noi.

Sa che sta parlando a un muro e Nebula non cambierà idea, ma deve provarci: potranno anche aver avuto le loro divergenze – parecchie, in realtà – ma si tratta pur sempre di sua sorella.

Lo sai che non è vero. Non sei costretta a tornare indietro.

Attende, teme il messaggio di Nebula che non tarda ad arrivare.

Se nostro padre vuole che torni allora tornerò. E stavolta avrò la forza di fare ciò che devo.

Sua sorella non è mai stata il tipo da piegarsi, piuttosto preferisce spezzarsi: sa che non tornerà a Chicago per sottostare agli ordini del padre.

Sta andando ad ucciderlo.

Potrei tornare con te.

Non le risponde subito e Gamora non stacca gli occhi dallo schermo. Alla fine il cellulare vibra di nuovo.

No, sappiamo entrambe che non vuoi.

Ha ragione: è stanca di combattere. È stanca degli ordini, ma soprattutto della violenza. Sua sorella invece ne ha bisogno: ha bisogno di chiudere quel cerchio. Potrebbe, ciamarlama non ne ha il fegato; e poi nemmeno lei è brava a far conversazione: cosa potrebbe mai dirle?

Quindi le manda un unico, breve messaggio.

Buona fortuna.

   
 
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