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Autore: Ghen    17/09/2018    7 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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25. Messa di Mezzanotte


«Non cade».
«No, ma se continua a sporgersi così, potrebbe».
«Ma no, sa quello che fa».
«Kara?», sbottò Alex, «Ma l'hai vista?».
A quasi due metri da loro su una scala, Eliza si voltò. «Ragazze? Badate che vi sento». Appese un angioletto celeste con tanto di aureola su un ramo di un grande Albero di Natale, ancora spoglio. «Cosa ne pensate?».
«Che mancano almeno altri tre chili di angioletti misti per farlo diventare un vero Albero di Natale», scrollò le spalle Alex.
«Che spiritosa mia figlia», finse una risata, scendendo e andando a disporsi in mezzo a loro, ammirando l'Albero con le mani sui fianchi. «È meraviglioso», rispose da sola.
Gli addetti ai lavori avevano portato quel vero albero potato dalla riserva direttamente a villa Luthor-Danvers quella mattina, dopo che Eliza lo aveva selezionato da un catalogo con Lillian. Lo avevano messo al centro del salone, con tanto di vaso rosso carminio. Non era solo alto, ma incredibilmente spesso; dovevano essere in tre per poterlo abbracciare intorno ai rami bassi.
«Non capisco perché avete preso un Albero, quando poi il Natale lo passerete a casa nostra».
«Alex», Eliza la fissò, «Anche questa è casa nostra. E non posso pensare che sia Natale in una casa e nell'altra no. Avete addobbato voi l'altro, questo lo faremo tutte insieme, come da tradizione».
Kara sorrise. «A me l'idea piace! Ed è bella l'aria natalizia».
Eliza l'abbracciò di scatto, commossa. «Tu sei mia figlia».
Kara mantenne quel sorriso intanto che la donna si allontanò per aiutare Marielle che vide rientrare dal magazzino della dependance con due scatoloni di addobbi in braccio, mentre Alex sbuffò. «Secondo me, vuole solo due manovali in più». Guardò sua madre. «E poi che fine ha fatto Lillian?», le gridò.
«La poverina è molto occupata con la Luthor Corp in questo periodo dell'anno».
Alex ridacchiò, guardando Kara. «Oppure se l'è svignata», sibilò, facendo sogghignare la sorella.
Prima le luci. Tra angioletti, Babbi Natale, renne dal naso rosso, pacchetti e pacchettini. Tra fiocchi di neve bianchi e celesti, palle rosse e oro, nastrini, fiocchi e pupazzi di neve. Kara sulla scala in cima, Alex ed Eliza in basso, addobbarono l'Albero con pazienza e attenzione, ridendo, ricordando ancora di Kara bambina che voleva picchiare Babbo Natale calato dalla finestra, sentendola sbuffare. Marielle passava gli addobbi. Quando terminarono le scatole ritrovate in magazzino, la donna sfoggiò i nuovi acquisti che avevano scelto lei ed Eliza in negozio. Finito l'Albero, pensarono ad addobbare il resto della casa, passandoci le ore.
Quando Lena rientrò e trovò tutto illuminato, spalancò gli occhi incantata. Si guardò intorno, incredula che quella fosse davvero casa sua; non l'aveva mai vista tanto splendente e colorata nemmeno quando era bambina e Lex obbligava i genitori a festeggiare il Natale. C'era sempre stato un grande Albero nel loro salone, ma mai era stato tanto bello. Nei corrimano delle scale erano intrecciati cordoni dorati; alcuni fiocchetti rossi erano attaccati qua e là negli angoli dei mobili, nelle maniglie; un vaso trasparente su un mobile era stato trasformato in una lampada, con le lucette gialle all'interno e delle pigne e rametti; sul camino erano state appese le calze, una per ognuno di loro, c'era anche quella per Lex; per centrotavola c'era la Stella di Natale con un piatto di pigne e candele rosse vicino. C'erano così tante luci in quel salone che anche con la luce spenta e di notte, ci avrebbero visto come di giorno. «È tutto così… bello».
Eliza le andò incontro con gioia, abbracciando anche lei. «Un'altra soddisfazione! Grazie, tesoro».
Con una scusa, Lena riuscì a portare Kara di sopra. «Davvero bello», commentò ancora Lena.
«Sì, mi piacciono tantissimo le luci natalizie», annuì Kara, squadrata da Lena.
Prima di lasciare la scala, Alex scambiò con Lena uno sguardo. Loro chiusero la porta e si baciarono.
«Allora, com'è andata?», le domandò Lena sulle labbra. La teneva stretta tra le braccia, mai che potesse sfuggirle.
«Beh!». Kara strinse i denti, facendo una smorfia. «Col senno di poi, forse avrei fatto meglio a non chiederle nulla…».
Quella era stata la sua ultima mattina prima delle vacanze natalizie alla CatCo e, dato che nei giorni scorsi, dalla festa, non ne avevano parlato, Kara sentiva che era finalmente arrivato il momento di tirare fuori l'argomento bacio che Siobhan aveva interrotto tra lei e Lena. La ragazza era pur sempre una giornalista, dovevano assicurarsi che la cosa restasse tra loro.
«Siobhan…?». Si era avvicinata a lei cautamente. Erano in pausa e lei era uno dei pochi ancora rimasti seduti davanti la propria postazione. Aveva alzato la testa verso di lei con tutta la calma e lentezza possibile, adocchiandola con sufficienza.
«Parla! Perché mi fissi, ho qualcosa tra i denti?».
Aveva passato i secondi successivi a infilarsi le unghie in mezzo ai denti, intanto che Kara tentava di capire come approcciarsi. «No, emh… È per quanto riguarda la festa a casa mia, veramente. Quanto è successo…».
«Oddio», Siobhan aveva spalancato gli occhi di colpo. «Ora ricordo».
Kara aveva deglutito, fregandosi le mani. «Sì, emh… Vo-Vorrei chiederti, infatti, se potesse restare tra noi».
«Stai scherzando, Danvers?», aveva abbassato la voce di colpo, guardandosi intorno. «Di certo non voglio che si sappia in giro. Nessuno lo vorrebbe».
«Beh… non saprei; credo che i giornali farebbero a gara per scriverci sopra qualcosa».
«Ma allora stai davvero scherzando?», si era guardata di nuovo intorno, con fare palesemente nervoso. «La mia vita privata fa così gola alle riviste? Dopo l'articolo su Gotham, non per vantarmi, ma effettivamente mi hanno seguito diverse nuove persone sui social e mi hanno contattata… beh, cosa te ne frega, non voglio spiattellare ora i miei successi», aveva ridacchiato, «Sarà per quando vorrò tirarmi su il morale. Comunque so per certo di non essere tanto famosa». Aveva scrollato le spalle, ricontrollando i suoi fogli. «Ancora, s'intende. E cercare di adularmi non cambierà in alcun modo il nostro rapporto».
A quel punto, Kara era certa che stesse parlando d'altro. «Temo tu non abbia capito…».
«Mi stai dando della scema?».
«No, no, no, no, no», aveva gesticolato, «No! Solo che… ci siamo capite male, non parlavo di te e…?».
«Il quindicenne», aveva sussurrato, «Mi ha toccato il culo. L'ho lasciato fare quando pensavo… beh, fai finta che non abbia detto nulla».
«Ah… emh, no. Io parlavo…».
«Oh, certo», le aveva scoccato un'occhiata, «Ovviamente di una cosa che riguarda te, ci mancherebbe. Del bacio tra te e la Luthor».
«Shh», si era fiondata verso di lei tanto in fretta che Siobhan si era buttata indietro, terrorizzata che la toccasse.
«Oh, credi davvero che m'importi? Ciò che fai non è affar mio».
«Dunque resterà… tra noi?».
«Tra noi… tra voi più che altro. Puoi anche baciare il tuo cane, per quel che mi riguarda», si era rimessa a trafficare con i suoi fogli, brontolando di come non fossero in ordine, prendendosela con lei.
«Non ho un cane».
«Altrimenti lo faresti?», le aveva scoccato un'altra occhiata. «Dai la colpa all'alcol, per quel che vale. Il solo motivo per cui non vendo questa roba, è che non ho prove. Finché non ho prove, non è affar mio», aveva blaterato a bassa voce, con poco conto.
Lena alzò un sopracciglio, ascoltando le parole di Kara. «Quella ragazza è davvero…».
«Già», annuì Kara. «Ma ce la siamo cavata… È dal giorno prima della festa che non parliamo di questa cosa: dirlo o non dirlo? È certo che non possiamo neppure continuare così».
«Non per molto, hai ragione», concordò Lena, mentre Kara si sedeva sulla sedia davanti alla scrivania. Si abbassò verso di lei, prendendo le mani nelle sue. «Passiamo questo Natale in tranquillità, poi vedremo di dirglielo. Ma non parlo di Alex, dell'intera famiglia. Prima del matrimonio devono saperlo».
Suggellarono la nuova promessa con un bacio, dopodiché Lena le mostrò, accendendo il portatile, il messaggio che le era arrivato. Non aveva risposto al suo nuovo interlocutore, ma aveva provato a capire da dove provenisse il messaggio, un indizio qualsiasi, scoprendo che quel qualcuno si era prudentemente tutelato.
«Hai una vaga idea di chi possa essere?».
«Non voglio sbilanciarmi», le disse, seduta sulle sue gambe, e guardando ininterrottamente il messaggio, «Ma ho lanciato un sassolino parlando di mio padre alla cena, quella volta. Pensavo di non aver ottenuto risultati, ma questo messaggio…».
«Pensi sia stato uno di loro?».
«Qualcuno di loro vorrà sapere cosa so. Ma è anche passato del tempo dalla cena e mi chiedo perché chiunque sia si faccia sentire solo ora», ansimò seccata, «Potrebbe non essere nessuno di loro. Ho lasciato voce che cercavo informazioni sulla morte di mio padre ai miei contatti; magari è solo qualcuno informato che si fa avanti».
Si stettero zitte, riflettendoci, continuando a osservare senza espressione la barra bianca su sfondo nero che compariva e scompariva aspettando una risposta al messaggio.
«Pensi di rispondere?», domandò Kara a un certo punto, aggrottando lo sguardo.
«Non prima di provare ad accedere alla sua identità. Finora ho avuto poco successo, ma so a chi rivolgermi per un aiuto».
Kara annuì. In realtà, quel messaggio non le ispirava niente di buono e una parte di lei avrebbe preferito che Lena non rispondesse affatto. Anche se l'interlocutore, in via teorica, non poteva conoscere la sua identità e il messaggio era stato inoltrato in un canale online, già il fatto che Lena sperasse di hackerarlo era sufficiente per pensare che l'altro poteva sperare lo stesso.

E mentre la famiglia si spostava in casa Danvers-Luthor per le vacanze, Lena continuò a lavorare sul profilo misterioso, prima a casa e poi alla Luthor Corp, cancellando ogni suo dato. Nemmeno la sua forza combinata a quella del suo geniale assistente riuscirono a produrre risultati, capendo che era arrivato il momento di accettare l'aiuto che le aveva offerto l'altra Danvers: al D.A.O. avrebbe trovato strumenti più adatti.
Così si erano diretti lì, all'indirizzo che le aveva fornito. Curioso che ci fosse una banca. Seguita da un Winn in piena agitazione, si lasciò dietro le porte e andò dritta verso un corridoio riservato al personale. Un uomo in divisa la fermò e, quando gli fece vedere l'autorizzazione, invece, l'accompagnò dentro fino all'ascensore. Una volta lì e le porte si chiusero, Winn esplose in un euforico mugolio.
«Aaaah! Siamo dentro alla sede del D.A.O.! Non mi sentivo così eccitato da quando dissero in tv che Oliver Queen è ancora vivo».
Lena evitò di girarsi verso di lui, lo sentiva saltellare.
«Ufficialmente non esiste una sede qui a National City; è tutto così misterioso».
Gli aveva raccomandato di non parlare della microspia ma preferì ricordarglielo, a bassa voce e avvicinandosi, poiché notò la telecamera in un angolo in alto.
Le porte si aprirono in un ingresso che affacciava ad un breve corridoio, con camere ai lati e un'ampia sala davanti. Due agenti li stavano aspettando e dissero loro di seguirli. Li condussero alla sala e un uomo, che dava ordini ad altri agenti seduti in tante postazioni lungo le pareti, andò loro incontro appena li vide, così gli altri due li lasciarono.
«Signorina Luthor», la salutò con reverenza, «Grato della sua presenza». Poi si voltò verso Winn, che intanto si era immobilizzato dalla vergogna. «Signor…?».
«Oh, oh, Winslow Schott Jr, signore! Molto felice di conoscerla e di essere qui», non riuscì a trattenere una risatina nervosa. Lena aggiunse che era il suo assistente e l'agente del D.A.O. annuì.
«Sono il responsabile della sede qui a National City, John Jonzz. L'agente Danvers mi ha spiegato la situazione e ho accettato di farvi venire: avrete a disposizione i nostri computer e i nostri agenti».
Fu in quel momento che apparve Alex, che li salutò.
Winn spalancò gli occhi quando la vide al suo fianco.
«Bene», enunciò Jonzz. «Vediamo di vederci chiaro».
Disse loro di seguirli e Winn continuò a inquadrare Alex con la coda dell'occhio, chiudendo la bocca in una morsa ermetica finché, con mezzo passo deciso, non tirò una manica di Lena. «Ma quella… Ma quella non è la sua nuova sorellastra? La sorella di Kara?». Gli fece cenno di fare silenzio e lui continuò a fissarla.
John Jonzz diede loro possibilità di accedere a uno dei computer che andò a visualizzarsi su un grande schermo a parete, in questo modo, Lena li portò a leggere il messaggio bianco su sfondo nero. Tre agenti, vicino a loro, si misero subito a lavoro. Sebbene agli inizi sembrava che riuscissero a sbloccare qualche codice messo a protezione del profilo misterioso, poi questi li risputarono indietro, proteggendosi con altri codici nati a convenienza. Divennero così tanti che non riuscirono a stargli dietro e dopo minuti e minuti di prove, altri agenti diedero il cambio.
«Che cosa sta succedendo…?», sbottò Alex. Non aveva mai visto nulla di simile.
Dopo che altri tre agenti si arresero per via della testa stanca, John Jonzz accettò che Lena e Winslow ci lavorassero di persona, sperando che con i nuovi mezzi potessero andare oltre. Un'altra agente occupò il terzo computer e si misero d'impegno per riuscire nell'impresa. Non si arresero, nonostante faticassero ormai, dopo mezzora, a tenere alta la concentrazione. Andarono avanti, ma proprio quando sembrava che stessero avendo risultati, un allarme risuonò per tutta la struttura e John Jonzz ordinò agli agenti di troncare immediatamente la connessione.
«Siete riusciti a debellarlo?», domandò poi alla sala.
«Appena in tempo, signore. Nessun danno riportato», gli rispose un agente a uno dei computer poco distanti.
Lui sospirò e poi, passandosi due dita in mezzo agli occhi, si rivolse a loro. «Virus a proteggerlo, è ben equipaggiato. Non abbiamo scoperto l'identità del nostro profilo misterioso, ma sappiamo che, chiunque sia, ci sa fare. Non è un novellino che vuole rifilare uno scherzo». Dopo si rivolse esclusivamente a Lena, con un tono più composto: «Se vuole rispondere, signorina Luthor, le consiglio caldamente di farlo qui, in modo che possiamo assisterla. Per quanto ne sappiamo a contattarla può essere qualcuno facente parte della vecchia organizzazione criminale che vuole farle credere di aiutarla in modo da arrivare a lei, magari proprio l'assassino di suo padre. Non possiamo obbligarla, dev'essere una sua scelta, ma si può fidare che la proteggeremo».
Lena guardò solo un attimo in direzione di Alex Danvers, abbassando un poco gli occhi vitrei per poi, duramente, guardare John Jonzz. «Da quanto tempo lavorate al caso?».
«Sono informazioni riservate, mi dispiace».
«Non avete protetto mio padre».
John prese respiro e deglutì. «Non sapevamo delle intenzioni di suo padre, signorina Luthor. È stato molto bravo a nascondere la sua attività durante quegli anni».
«E loro lo hanno trovato», chiosò. «Voi non lo sapevate, loro sì. Cosa vi fa pensare di poter proteggere me?». Si mise le braccia conserte, guardandolo con attenzione.
«Impariamo dagli errori, signorina Luthor».
«Onestamente, signor Jonzz, non sono sicura che possiate davvero proteggere qualcuno. Per quanto riguarda il messaggio dal profilo misterioso, comunque, non sono certa che risponderò. Dunque, al momento, non mi serve alcuna vostra assistenza. Ringrazio per la disponibilità».
Se ne andò e Winn la seguì con il cuore in gola, lanciando un'occhiata a John Jonzz e Alex Danvers.
«Quella Luthor è davvero testarda», sospirò John.
Alex scosse la testa. «Lascia che ci parli io. Anche se non dovessi riuscire a convincerla ad appoggiarsi alla D.A.O., posso convincerla ad appoggiarsi a me». Lo lasciò e corse dietro alla ragazza e al suo assistente, entrando in ascensore appena in tempo, prima che le porte si chiudessero. «Lena», si voltò a lei e, con una tensione veloce del braccio, bloccò l'ascensore premendo un pulsante d'emergenza, mettendo Winn in ansia. «Capisco la tua riluttanza a fidarti, ma al D.A.O. possiamo davvero proteggerti. Faremo tutto il necessario per-».
«Cosa?», la fermò. «Il vostro compito è arrestare i criminali e non mi pare che fino ad ora abbiate fatto un bel lavoro. Non voglio mettere in dubbio ciò che fate, ma se dovete arrivare ad appoggiarvi a dei civili per andare avanti…», sorrise appena, con freddezza, «forse state sbagliando qualcosa. Ho come la sensazione che continuando a modo mio, otterrei più risultati».
Alex lasciò che l'altra premesse di nuovo il pulsante d'emergenza per sbloccare l'ascensore e la tensione di Winn, non riuscendo a replicare immediatamente. «Facciamo ciò che ci è possibile», emise poi, con sguardo basso. «Allora faremo a modo tuo», la guardò. Anche lei conosceva bene i limiti imposti dal D.A.O.. Con loro sarebbe riuscita a proteggerle, mentre al loro fianco sarebbe riuscita a trovare i responsabili per consegnarli alla giustizia. «Ti chiedo solo di tenermi sempre informata, per favore. Altrimenti non potrò fare il mio dovere in questa storia».
L'ascensore si fermò, le porte si aprirono, ma nessuno uscì. Winn guardò una e poi l'altra.
«Mi sta bene», annuì infine Lena, prendendo passo verso il corridoio.
Winn vide Alex sospirare. Stava per uscire, quando la guardò ancora con attenzione. «Dunque… sei davvero tu?». Lei ricambiò lo sguardo confusa. «Sei la stessa Alex Danvers sorella di Kara? Ho fatto ricerche su di te, non è uscito che fossi un agente fed-».
«Winslow», la voce riecheggiò per il corridoio deserto e lui strinse i denti, ricordando che il suo capo lo chiamava ancora col nome per intero quando doveva riprenderlo per qualcosa.
«Devo andare, agente Alex Danvers». Corse via e lei scosse la testa, per poi sbuffare.

Se Lena Luthor aveva un piano, quel piano, al momento, consisteva nel godersi il Natale con la sua nuova famiglia. Spense il pc e lasciò perdere il messaggio, ordinò dei dolci che il servizio della pasticceria le portò direttamente a casa Danvers-Luthor e tutte brindarono all'arrivo del nuovo anno insieme. Durante quei giorni, Eliza convinse le figlie ad arricchire maggiormente la casa di addobbi per via della tradizione e perché anche i vicini avevano più addobbi di loro. Quando Kara tornò a casa, la sera del ventitré dicembre, trovò Alex in piedi sul tetto che installava le luci sotto direzione di Eliza, che le urlava cosa doveva fare. Non era la prima volta che assisteva a quella scena, se non fosse che ora, ai piedi della casa, c'erano anche Maggie che tentava di dare indicazioni anche lei, Jamie che raccoglieva pietre e le ignorava, Lena che storceva uno sguardo impaurita che Alex potesse cadere e Lillian, in un angolo, che parlottava tra sé e sé di quanto sarebbe stato più facile chiamare un tecnico.
«Sarei salita io…», sbuffò Kara. Lei era quella addetta alle altezze ma, ogni volta che si parlava di fare lavori sui tetti, tutti si offrivano al posto suo: Jeremiah, Eliza e infine Alex.
«Non dire sciocchezze, tesoro», ridacchiò Eliza, prendendole calorosamente un braccio. «Alex è brava, ormai lo fa da qualche anno».
Lena si avvicinò, sussurrando contro un suo orecchio: «È perché sei la piccola di casa. Non importa quanti anni tu abbia».
«Lo so», sbuffò di nuovo, adocchiando Alex: la vide mettere male un piede ma continuare a camminare tranquilla. Si allontanò solo di pochi metri con lei dalle altre, capendo che doveva dirle qualcosa, ma continuando a lanciare un'occhiata verso la sorella.
«Senti, mi chiedevo se ti andasse di farmi compagnia, domani. Alcuni laboratori della Luthor Corp sono aperti e dovrò sbrigare delle piccole faccende urgenti. So che è il ventiquattro, magari avevi altri impegni…», lasciò la frase sospesa, abbassando un poco gli occhi.
«Non ne ho, va bene», le sorrise.
«Non so verso che ora finirò, ma se ti ho vicina avrò un incentivo a fare più in fretta, così potremmo trascorrere il resto della serata insieme».
Kara annuì, arrossendo lievemente. «Trovo che sia un buon programma».
Alex le guardò e, per un attimo, perse l'equilibrio. Di sotto, tutte tranne Jamie trattennero il respiro, tra chi portava le mani alla bocca e chi per poco non urlava, ma Alex sbatté solo il sedere sulle tegole, scusandosi.
«Il prossimo anno ci salirò io», sbottò Eliza, passandosi le mani fra i capelli.
Quella sera sul tardi uscirono tutte fuori di casa di nuovo. Squadrarono con sufficienza gli impianti sui tetti delle altre case nel vicinato e poi, seguendo un conto alla rovescia, Eliza accese il loro. Alex prese in braccio Jamie che indicò subito con sguardo meravigliato il gioco di luci che illuminava la loro casa. C'era anche una renna in posa fiera, con una zampa davanti che indicava il cammino; il naso si illuminava di rosso e la bambina, appena se ne accorse, la chiamò Rudolph, come la renna della storia. Girando lo sguardo non vedevano che luci, Babbi Natale vicini alle finestre, renne e slitte di tutti i colori. Le persone che passavano in strada le salutavano perfino in presenza di Lillian e Kara immaginò che la diceria secondo cui il Natale rendeva davvero tutti più buoni nascondeva un piccolo fondo di verità, poiché lei rispondeva al saluto. Poco dopo, dacché si stava facendo tardi, Lillian chiamò Ferdinand che andasse a prendere lei ed Eliza per andare alla consueta festa natalizia con i dipendenti alla Luthor Corp. Eliza sfoggiò uno dei suoi enormi maglioni natalizi con i pupazzi di neve, mentre Lillian un vestito, seppur un poco più sobrio dei suoi soliti.
«Ci ho provato, mia cara… Ma proprio non riesco ad indossarne uno, andarci vestita ad una festa è impensabile», si giustificò quest'ultima salendo in auto.
«Non importa», le strinse una mano, mettendosi vicina. «Non hai bisogno di un maglione natalizio come il mio per mostrarti come la fantastica persona che sei. Alla festa lo sanno; e chi ancora non lo sa, lo scoprirà presto», rise un poco e si guardarono negli occhi, poi si scambiarono un bacio, intanto che la macchina partiva.
Rimaste sole, le ragazze sistemarono prima la piccola camera di Alex con una branda in più in modo che potessero starci tutte, dopo guardarono un film in soggiorno. Non erano certe di aver scelto quello giusto, ma se non altro Jamie era entusiasta:
«Sììì! Ghiascio con me, ghiascio con te, tutto qui è ghiascio», saltellò da una parte all'altra finché Maggie non la minacciò:
«Adesso cambiamo film».
«Noo».
Con la piccola in prima fila sui cuscini su un tappeto davanti al divano, le altre si fecero strette per starci tutte lì sopra. Alex portò un braccio intorno a Maggie e lanciò un'occhiata alle altre due. Qualsiasi cosa sperava di notare, aveva fatto male i conti: in mezzo a loro tenevano le dita intrecciate l'una all'altra e non poteva vederle.
La maggiore riuscì a salvare la sorella minore col potere del vero amore mentre Jamie dormiva raggomitolata su un cuscino, Alex e Maggie si baciavano ininterrottamente da almeno quindici minuti per approfondire il potere del vero amore, e Kara e Lena a stento sbattevano gli occhi, commuovendosi e congratulandosi a vicenda per la fine del cattivissimo principe.
Stanche, non aspettarono che le loro madri tornassero dalla festa natalizia che si chiusero nella loro camera in comune. Alex le tenne d'occhio. Aveva perso fin troppe occasioni per fare loro quella domanda, ma ogni volta che si sentiva in dovere di farla, non sapeva nemmeno da che parte cominciare.
Maggie prese Jamie addormentata appoggiandola a sé e così fissò la sua ragazza, non trattenendo un sorriso. «Un nichelino per un tuo pensiero, Danvers». La vide assottigliare lo sguardo.
«Sto diventando paranoica», ansimò. «Prima Kara ed io ci dicevamo sempre tutto, e adesso pare che quel tutto lo racconti a Lena. E non è solo questione di gelosia», specificò all'ultimo.
Maggie inclinò la testa da un lato e dopo oltrepassò il divano, invitandola a seguirla con uno sguardo. «Sono sicura che presto ne verrai a capo. Adesso però aiuta me a portare Jamie a letto, che devo chiederti un massaggio».
«Oh, sono la maestra dei massaggi».
«Aspetto solo te, maestra». Aprì la porta e la richiuse dietro di lei con una risata, a quasi un palmo dalla faccia di Alex, che la riaprì di fretta.

Quella notte, il letto di Lena, appartenuto ad Alex adolescente, restò intatto. Nemmeno sollevarono le coperte che entrambe sapevano avrebbero dormito vicine nello stesso unico lettino. Rischiavano di tanto in tanto di cadere, ma era bello poter dormire abbracciate senza avere l'ansia della separazione al mattino. Chiusero la porta a chiave per evitare sorprese, ma dormirono e basta, beate, ascoltando l'una il respiro dell'altra, e poi Eliza e Lillian rientrare a casa, con un volo di tacco nel corridoio e battute e smancerie vietate ai minori di quattordici anni.
Il pomeriggio del ventiquattro dicembre, Lena colse sua madre da sola in cucina e le spiegò che lei e Kara, quella sera, sarebbero tornate a National City per alcune faccende alla Luthor Corp. Sebbene la donna ammirasse che fosse tanto dedita al suo lavoro, nascosta dietro la porta, Kara la sentì piuttosto contrariata all'idea che sparissero da sole per un po'. La sentì perfino ipotizzare che ormai, quando tornavano a dormire in quella casa, lei e Alex potevano scambiarsi camera per dormire. Kara deglutì: il momento in cui lo avrebbero detto a Lillian si avvicinava e quest'ultima, a quella prospettiva, si dimostrava sempre più discorde.
«Potresti andar da sola. Perché trascinare Kara con te quando anche lei avrà impegni, o li avrebbe se non le fossi sempre appiccicata. Ha una relazione se la memoria non mi inganna: potrebbe passare del tempo con questa persona invece che con-».
Kara spalancò gli occhi quando Eliza le fece cenno di tacere e dopo entrò nella stanza. «Cosa succede qui?».
Kara sentì Lillian prendere fiato, come improvvisamente stanca, e così le spiegò la situazione. «Se le cose si faranno complicate saranno costrette a passare lì la notte, cara, e le cose si fanno sempre complicate quando si lavora al cento per cento. Potrebbero perdersi la Messa di Mezzanotte. Suggerivo a Lena di andar da sola, di lasciare almeno che Kara potesse stare con Alex e te in quel momento. So quanto ci tieni».
Era vero. Da quando era stata adottata, Kara non ricordava neppure un Natale in cui si fossero persi la Messa di Mezzanotte in chiesa. Probabilmente ci sarebbe stato anche Jeremiah. Avrebbe voluto partecipare, ma Lena sarebbe stata da sola e che piacesse o meno a Lillian, sarebbe andata a National City con lei.
Eliza sospirò. «Oh, mi sarebbe piaciuto avervi tutti per la Messa, perfino Lex non parteciperà, arrivando domani. Ma capisco… è una nostra tradizione, non vostra, e siamo ancora in questa strana fase dove due famiglie tentano di amalgamarsi per diventarne una; per unirle, qualcosa rischia di essere tagliata fuori», prese una pausa. «Lena si sentirà tutta sola ad andare, va bene se Kara le fa compagnia. Va bene così. Vorrà dire che il prossimo anno verranno tutte e due, e magari sarà Alex a non esserci», abbozzò una risata e, incredibile, Lillian non ebbe da replicare.
Presero il treno per il centro di National City alle diciassette e un quarto e Alex, saputo che le due erano svignate via insieme, scrisse all'unica persona con cui era riuscita a parlarne apertamente senza provare vergogna per quell'insolita situazione:
Kara e Lena stanno tornando insieme a National City, probabilmente passeranno lì la notte. I miei dubbi si fanno sempre più forti. Pensi ancora che non sia pazza?
Inviò, sbuffando.

Le giornate erano corte e nel silenzio del treno scendeva la sera. Guardando le luci lontane oltre il vetro del finestrino, Kara sorrise nell'immaginare un lungo albero di Natale. Le piaceva tutto di quel momento: la tranquillità, i suoni lontani a parte quello lieve dell'aria condizionata, le luci fioche dello scompartimento, il movimento del treno sui binari, Lena che le teneva la mano, seduta accanto. Avrebbe voluto restare così per sempre. Appoggiò la testa sullo schienale e si voltò a guardarla, sorpresa nel guardarla a sua volta.
«Mi spiace se ti farò perdere la Messa di Mezzanotte. Non era mia intenzione, non avevo idea che fosse una vostra tradizione», bisbigliò.
Kara scosse la testa, «Non importa», mormorò anche lei. «È una tradizione dei Danvers: non c'ero mai stata prima dell'adozione, con i miei primi genitori, intendo. Sono felice di partecipare perché rende fieri di essere parte di qualcosa Eliza e Jeremiah; c'è tutto il quartiere, sai, tutti sorridono, si stringono insieme, c'è calore e attenzione, il buono delle persone. È questo ciò rende bello quel momento, non la Messa in sé. Tutti gli anni sono stata vicino a loro, oggi voglio stare vicina a te. È diverso il luogo, cambia la compagnia, ma il contenuto è lo stesso: sarò con qualcuno che amo». Le sorrise e Lena abbassò un poco la testa, facendole cenno di aver capito.
«Scappiamo», le disse di nuovo, a bassa voce, solo pochi secondi più tardi. Lasciò che avesse di nuovo la piena attenzione di Kara, prima di proseguire. «Potremmo farlo veramente: saremmo solo noi due, lontano, dove più ti piacerebbe andare, dovunque, ovunque, lontano da qui».
«Ho sempre voluto visitare l'Europa», mormorò con un sorriso e vide Lena accendersi, mettersi meglio sul sedile, girandosi verso di lei.
«È fatta! Andiamo, prendiamo l'aereo e atterriamo in Spagna».
«Oh, ma dobbiamo assolutamente girare per il Portogallo prima di andare in Francia».
«Assolutamente», ribadì anche lei, annuendo. «Dalla Francia, saliamo poi per l'Inghilterra».
«Piove sempre, ci ripareremo in qualche pub».
«E faremo l'amore sotto la pioggia».
«Cosa?», rise, diventando rossa. «Va bene».
«Una pioggia leggera, non vogliamo ammalarci. Il sistema sanitario inglese ci impedirebbe per un po' di proseguire il nostro viaggio», risero insieme ma, poco a poco, l'entusiasmo scemò e i loro sorrisi si spensero, così Kara guardò di nuovo fuori e Lena abbassò la testa, guardandosi distrattamente le mani fredde. Accidenti, avrebbe dovuto mettersi i guanti o la pelle si sarebbe spaccata. «Io… dicevo sul serio, prima», deglutì, «sullo scappare».
Lo sapeva. All'improvviso l'aria si era fatta tesa e, con un groppo all'altezza della bocca dello stomaco, Kara capì di essere diventata malinconica. Aveva come la sensazione sulla pelle che avrebbe perso Lena, e doveva averla avvertita anche lei, perché scappare avrebbe permesso alle due di stare insieme. Scappare non era esattamente come fare una vacanza. Non potevano di certo scappare davvero. Ed era sciocco provare malinconia per qualcosa che ancora non era avvenuto. Stava con lei ora, era quasi Natale, potevano essere felici. Dal finestrino vide il cielo farsi più torbido, tanto che con la notte che si avvicinava non si vedeva più nulla nemmeno all'interno del treno e accesero le luci. L'improvviso bagliore le fece socchiudere gli occhi e, rivoltandosi verso Lena, la scorse mentre si passava le dita sul viso. «Ehi». Le tolse le mani da davanti agli occhi, capendo che cercava di tamponarli per far sparire le lacrime. I suoi occhi erano così grandi e limpidi, appena rossi sulla pelle intorno, tutta bagnata.
«Mi dispiace di farti perdere la Messa di Mezzanotte», sussurrò con voce strozzata, trattenendo un singhiozzo.
«Ti ho detto che non importa».
«No, no, non è vero», scosse la testa. «È che ti ho… ti ho mentito».
«Su cosa?». Abbozzò un sorriso, stringendole le mani e cercando di guardarla negli occhi che continuavano a sfuggirle per fissarsi su punti lontani.
«Non ho del lavoro da fare», si interruppe e Kara dovette lasciarle andare una mano, che la vide passarsi sotto un occhio. «Volevo solo… passare del tempo con te».
«Oh… va bene», annuì, «Ti avrei detto di sì lo stesso». La vide deglutire e ammutolirsi, guardandola finalmente negli occhi. «Non stai pensando di lasciarmi, vero?».
«No»: Lena sollevò le spalle e finalmente sorrise, solo un attimo. «Cosa te… te lo fa pensare?».
Kara abbassò un poco la testa e fu il suo turno di alzare appena le spalle e guardare altrove. «È il Natale. Amo il Natale, ma mi rende malinconica».
Si avvicinò e la baciò, così Lena chiuse gli occhi e si lasciò trasportare in un bacio lento, pieno, che finì con il loro ricercarsi negli sguardi e sfiorarsi le guance in una carezza. «Anche a me», disse e Kara sorrise.
Ferdinand era già alla stazione quando il treno arrivò. Lena si era ricontrollata il trucco davanti a uno specchietto prima di scendere dal vagone e affrontare l'autista. Si erano sorrise e avevano continuato a lanciarsi sguardi anche in macchina, fino all'arrivo in villa. Nemmeno una luce ad accoglierle dall'esterno: Eliza le aveva dovute staccare a malincuore perché non ci sarebbero state per giorni. Ferdinand augurò alle due Buon Natale e se ne andò, così restarono sole. Si abbracciarono e si baciarono, e Kara ne approfittò per chiederle se andava tutto bene, ma fortunatamente sembrava aver ritrovato il buon umore, sebbene il senso di malinconia fosse ancora dietro l'angolo.
«Hai già in mente di come passeremo questa sera tutta per noi?», sorrise Kara, battendosi le mani, davanti al portone.
«Umh… forse sì», ammise, stringendo le labbra, «Ho pensato a qualcosina». Aprì il portone e, al momento in cui lo spalancò, tutto si accese: ogni lampada di Natale, ogni più piccola luce, l'Albero nella sua maestosa figura, ma c'erano anche luci in più che pendevano dal soffitto come pioggia nell'ingresso, intorno ai corrimano delle scale insieme ai cordoni d'oro, e nei papillon di due ragazze che vennero loro incontro, sfoggiando una divisa rossa e bianca da cameriere natalizie.
Kara restò a bocca aperta, trattenendo il fiato. Una delle due ragazze le diede un cappellino da Babbo Natale e lei se lo portò in testa, sfoggiando un divertito sorriso. «Che cosa hai combinato?».
Una delle due cameriere chiuse il portone e sfilò loro le giacche, e l'altra le invitò a seguirla. Lena sorrise pacatamente, ancora troppo fresca di lacrime, mentre Kara si guardava attorno con un sorriso sempre più ampio, cercando di scorgere le cose in più, quelle che non avevano messo loro, tra l'ingresso e il salone. C'erano altri nastri, candele, fiori e oh, si bloccò: di certo i pacchi sotto l'Albero erano qualcosa di nuovo. E c'era il camino acceso. Ma non fece in tempo a porre domande che la cameriera si fermò presso un tavolino: era a due posti, con una tovaglietta di Natale sopra, rossa con i bordi dorati, due sedie davanti a due piatti con coperchio, e vicino ai bicchieri, al centrotavola, un candelabro d'oro con tre candele rosse.
Mentre Kara cercava di trovare le parole, una delle cameriere si confidò con Lena, che le fece un cenno affermativo con la testa. La ragazza sparì e le luci si spensero di nuovo, a parte quelle dell'Albero, che si attenuarono fino a essere una luce di sfondo, mentre entrambe le cameriere ricomparivano per passare da candela a candela e accenderle tutte, fino alle ultime sul tavolino.
«Che… che cosa hai combinato?!», le ripeté Kara a bassa voce intanto che si avvicinava a lei. Era fisicamente impossibile riuscire a perdere il sorriso, tanto che le facevano male i muscoli facciali.
«Ho qualcosa per te». La prese per mano e l'avvicinò all'Albero, prendendo il pacchetto stretto e allungato.
«Oh, no… Io non ho niente per te».
«Kara… sei qui, no? E non è abbastanza?».
Glielo porse e Kara sfilò il nastrino e tolse la carta, trovandosi davanti a una scatola blu. Aveva iniziato ad agitarsi da quando le luci si spensero, ma ora il cuore le batteva a ritmi incontrollati, poteva sentirlo in gola. Deglutì, intanto che l'altra apriva.
«Mi sono fatta aiutare, per questa», accennò a una risata, mentre l'altra si portava le mani alla bocca: le luci colorate dell'Albero che andavano e venivano ad intermittenza si rispecchiavano sul ciondolino d'argento della collana con la forma del simbolo degli El.
«Te l'ha detto Kal?!», biascicò, incapace di trattenere l'emozione. Appena la scorse annuire, l'abbracciò e la baciò, spingendola su di sé. «M-Mi hai fatto due regali… e io non ci posso, oh cielo, non ci posso credere». Si mise di spalle in modo che Lena le agganciasse la collana intorno al collo e poi sfiorò il ciondolo con evidente commozione, trattenendo gli occhi lucidi. Si girò e la baciò di nuovo, mentre Lena la accoglieva tra le sue braccia.
«Allora sono tre regali», sorrise nel vederla spalancare gli occhi, «Ma quello lo apri dopo». Le indicò un maxi pacco e la portò via, per mano, fino al tavolino. Le due cameriere erano già dietro le loro sedie che attendevano per farle accomodare. «Avrai fame».
Si misero l'una davanti all'altra e le giovani donne, dopo aver sistemato le sedie, si disposero ai lati pronte per togliere i coperchi ai piatti. Lena le sorrideva, adesso, con una nota divertita negli occhi e Kara non seppe cosa aspettarsi, fino a quando la cameriera al suo fianco non sollevò il suo coperchio e, trovando quattro yogurt alla vaniglia e un cucchiaino, scoppiò a ridere.
«Non posso credere che l'hai fatto».
«Non ne potrai più di yogurt», rise, appoggiando il viso sulle mani tenute dai gomiti sul tavolo. «Ti chiedo scusa, non ho proprio saputo resistere».
«Beh… in verità, penso di poter dire con quasi assoluta sicurezza, che mi sta tornando voglia di yogurt da un po'».
«Perfetto». Vide che Kara stava per aprirne uno che rise, così con un cenno alla cameriera, questa le tolse il piatto e gli yogurt, mentre l'altra arrivava con un carrello su ruote dalla cucina. Sostituirono i piatti di entrambe, aprendo i coperchi. «Ho fatto fare un po' di tutto, spero tu gradisca». Il tempo di finire la frase, che Kara aveva già portato alla bocca la prima forchettata.
Non avrebbe dovuto piangere, in treno; o non avrebbe dovuto farsi vedere: si era sentita una sciocca. Le nascondeva una cosa molto più grande di un semplice oggi non ho da lavorare, ma aveva così paura che lo venisse a sapere, così paura di dirglielo, così paura che tutto quello che aveva, ora, poteva distruggersi che… Kara era la cosa migliore che potesse capitarle nella vita; la sua nuova famiglia, poter contare su Eliza che la trattava davvero come aveva sempre sognato potesse fare una madre, Alex che a tratti sembrava volersi comportare anche con lei come una sorella maggiore, poteva perdere tutto se la reazione di Kara sarebbe stata anche solo un po' simile a quella che si aspettava. Si trattava dei suoi genitori naturali. Fissò per un po' il ciondolo che le aveva regalato, appeso al collo, mentre mangiavano. Quel Clark, accidenti… si era sentita gelare, la serata della festa, con lui in giardino, e non certo per le basse temperature, quando lo aveva sentito dirle che lui sapeva della vicinanza dei Luthor agli omicidi.
«Non fare che lo scopra da sola», le aveva detto senza guardarla negli occhi, con una nuvoletta di vapore davanti alla bocca. «Potrei dirglielo io, ora come ora penserebbe che stia cercando di mettervi in cattiva luce. Kara è molto protettiva… Quando ha scoperto che sua zia era corrotta, ha creduto nella sua innocenza fino all'ultimo, non avrebbe lasciato che nessuno parlasse male di Astra in sua presenza. Farebbe lo stesso, se le dicessi dei Luthor». Aveva scosso la testa e poi si era sfregato le mani, cercando di riscaldarle. «Pensavo che non dirglielo l'avrebbe protetta… Anche io, al mio tempo, cercai risposte. Ho preso solo abbagli. Questa strada, quella che dovrebbe portare alla verità, è molto lunga oltre che rischiosa».
«Sai che sta cercando di capire chi li ha uccisi?», gli aveva chiesto.
«Certo», aveva abbassato la testa, trattenendo un sorriso. «L'ho letto nel suo sguardo. Dovresti dirglielo», l'aveva guardata in faccia per la prima volta da quando erano usciti in giardino. «A questo punto, se lo viene a sapere da sola, potrà farsi solo del male. Io ho sbagliato a non dirle nulla, ma stavate diventando la sua famiglia, stava vivendo la sua vita e non pensavo si mettesse a cercare risposte, ma adesso le cose sono cambiate e voi state insieme», aveva aggrottato lo sguardo, «come pensi che ti guarderà quando capirà che la tua famiglia poteva salvare la sua e non l'ha fatto?».
Vide Kara ridere, incantandosi. Era sporca di cibo vicino al mento. Di cosa stavano parlando? Perché rideva? O era semplicemente felice? Si sporse sul tavolino e allungò un braccio verso di lei, passandole un fazzolettino sullo sporco. Kara si bloccò e le sua guance si colorarono di un rosa acceso.
Era il suo raggio di sole, non sarebbe riuscita a farla piangere.
Era meglio scappare, scappare lontano, portarla dove nessuno le avrebbe detto che i Luthor c'entravano qualcosa con tutto quello che era successo in passato.
«Cosa c'è?», le domandò Kara, vedendola imbambolata. Lena aveva lasciato cadere il fazzoletto, ma la sua mano era rimasta lì, sulla sua guancia, solo per accarezzarla.
«Devo dirti una cosa…».
«Può aspettare il prossimo piatto?», rise mordendosi un labbro e Lena si tirò di nuovo a sedere meglio sulla sedia, trovando la forza di sorriderle. Kara prese un altro piatto dai vassoi sul carrello e le due cameriere le interruppero solo un momento per congedarsi augurando loro Buon Natale, finendo il turno. Le scrutò fino a quando superarono il portone e chiusero, chiedendo a Lena se non fosse stato rischioso mostrarsi intime davanti a loro, ottenendo solo un breve no con la testa, spiegandole che avevano firmato un accordo di riservatezza. Si stupì ma solo per poco: Lena era piena di risorse. Le sorrise, ingoiando un nuovo boccone. «Non mangi più? Non hai fame?».
«Ti amo», le disse veloce, senza preavviso, guardandola negli occhi. Lena notò che l'aveva colpita, poiché spalancò gli occhi e bloccò la forchetta a mezz'aria.
«Questo-Questo me l'hai già detto, cioè, non che non mi faccia piacere sentirlo, voglio dire».
«Ma?».
«N-Nessun ma, è che oggi mi sembri strana».
«È il Natale». Si alzò dalla sedia avanzando verso di lei senza staccare gli occhi dai suoi, osservandola tremare appena, prima ancora che potesse sfiorarla. Le prese le mani nelle sue e la fece alzare, portandola più al centro del salone, vicino all'Albero di Natale. «Musica. Cd A, brano dodici», esclamò a voce alta e, prima che Kara potesse aggrottare la fronte, la musica, lenta e dolce, partì.
«Dov'è la radio?», chiese a occhi sgranati, guardandosi rapidamente intorno.
«Shh». L'avvolse con la mano sinistra lungo i fianchi e la tenne con la destra sulla nuca, avvicinando la bocca alla sua, ricercando contatto, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro.
Approfondirono subito, assaggiandosi a vicenda, tenendosi strette, ascoltando l'una il respiro corto dell'altra. Lena era così passionale, avrebbe detto Kara se le avesse lasciato un po' di fiato.
«Wow…», le sussurrò e basta, mordendosi il labbro inferiore, senza riuscire a staccare lo sguardo dai suoi occhi freddi.
Lena le prese entrambe le guance e la baciò di nuovo, di nuovo, poi la prese per permetterle qualche passo di ballo, fino ad abbracciarla, ancora in movimento sui loro stessi passi.
Kara non poteva sapere cosa le fosse preso, ma era chiaro che qualunque cosa la tormentasse, forse il fatto che si erano promesse di dirlo alla famiglia dopo il Natale, o il messaggio dal profilo misterioso, non era pronta per confidarsi. Così fu lei a prenderle il viso con una mano, ad accarezzarle una guancia fresca e a sorriderle, prima di scambiarsi un altro bacio. Poi il pensiero la sfiorò: e se la sua fosse una passione forzata? Si sforzava perché la cosa funzionasse? Si stava stufando di lei? No, era impossibile. Perché quel pensiero doveva tormentarla in quel modo? Lena l'amava e glielo aveva confessato proprio poco fa.
Nemmeno si accorsero che aveva iniziato a piovere e la musica era finita, quando dopo tanto che restarono solamente abbracciate a dondolarsi simulando un ballo, avevano capito di volere di più. Kara insinuò le mani dietro la sua schiena, trovando la chiusura del vestito. Aveva così bisogno di sentirla. Si inceppò e si sforzò per non sbuffare, così Lena si voltò, aiutandola. Il vestito scivolò sui suoi seni ed entrambe lo spinsero giù, così lei si tolse anche le scarpe coi tacchi, diventando improvvisamente più bassa.
Lena notò che Kara era nervosa, lo era sempre d'altronde, ma era più che altro un guizzo nei suoi occhi azzurri, perché era molto ferma invece, sapeva cosa faceva e cosa voleva. Lasciò che le sfilasse lo chignon e si guardarono. Adesso era sua: con impeto, le portò la mano destra dietro la nuca e, liberandole a sua volta i capelli dall'elastico della coda e dal cappello, la mano sinistra si introdusse sotto il suo maglione e le tirò la camicia che era allacciata sotto i pantaloni, mentre la bocca si posò sulla pelle calda del collo, poi con i denti freddi, assaggiando e infine con la lingua, lasciandole un brivido. Le sfilò il maglione tirandolo su per il collo, ritrovando la sua bocca, spettinandole i capelli. Aprì i bottoni della camicia con il suo aiuto e si baciarono di nuovo, gettando l'indumento a terra.
La pelle di Lena era così fredda quella sera che Kara pensò di tenerla stretta a sé, stringere le mani sulla schiena più a lungo che poté anche quando l'altra cercò di spingerla indietro e riprenderla, andando addosso all'Albero. La sentì chiederle scusa, in un bisbiglio e con un sorriso, attirandola di nuovo verso di lei e poi inchinandosi per sganciarle i pantaloni. Glieli spinse giù con forza. Le sfilò le scarpe e tolse entrambi, così la sentì risalire con caldi baci lungo le gambe, stringerle gli slip ma senza toglierli, baciando la pancia, oh, passando la lingua intorno all'ombelico. Per avere la pelle tanto fredda, pensò Kara, la sua bocca era così calda che l'avrebbe sciolta…
Si strinsero di nuovo, si baciarono di nuovo e Lena le prese una mano, attirandola verso il divano. Ma si sedettero là solo pochi attimi che fu Kara a spingerla sulle spalle in basso, mettendosi sopra. Lasciò che si sollevasse solo per fare in modo da poterle sganciare il reggiseno, e allo stesso tempo sganciò il suo. Kara la baciò lungo il collo, le strinse la vita, la sentì gemere intanto che la teneva con una mano sulla nuca e un'altra sulla schiena, come se temesse a lasciarla andare.
«Stai bene?», le domandò soffiandole addosso, lasciandole un bacio poco sotto a una clavicola.
«Shh».
«No. Stai bene?», si ripeté, sollevandosi il tanto per vederla negli occhi, ma lei li aveva chiusi. «Lena… non credo sia solo il Natale». Non ricevendo risposta, alla fine si alzò, camminando scalza e quasi nuda fino al tavolino, coprendosi il seno con un braccio per istinto.
Lena riaprì gli occhi solo per cercarla. La rivide passarle accanto qualche attimo più tardi, con uno yogurt e un cucchiaino in mano. Si sporse e, alzando un sopracciglio, notò che si era seduta sul tappeto davanti al camino, riprendendo il cappello e infilandoselo in testa. Uff, sapeva di aver combinato un guaio. Si alzò lentamente per non girarle la testa e salì al piano di sopra, anche lei quasi nuda e scalza. Quando tornò, portava con sé una coperta colorata. Si sedette accanto a lei e la coprì, poi coprì se stessa. Il fuoco stava quasi per spegnersi; dopo che se ne erano andate le due ragazze che avevano fatto da cameriere non lo aveva più guardato né ravvivato nessuno, ma non le importava: perfino quella casa che sentiva da sempre fredda, oggi sembrava un po' più calda. «Ti chiedo scusa», disse sinceramente, con gli occhi ancora fermi a osservare una piccola fiammella che lottava per sopravvivere, sotto due grossi tronchi di legna.
«Non devi», mormorò, col cucchiaino in bocca.
«Certo che devo».
«Va bene: devi», decise Kara, abbassando lo yogurt e appoggiandolo sul tappeto, mentre gesticolava con il cucchiaino ancora in mano. «Mi prepari una sorpresa ma sei triste, sei particolarmente… emh, irruente, ma sei co… come se la tua testa fosse continuamente altrove, e mi chiedi di scappare e ti metti a piangere e non capisco… M-Mi sento come se mi mancasse qualcosa e per questo», prese una pausa, leccando di nuovo il cucchiaino prima di metterlo via, dentro al barattolino dello yogurt rimasto, «non riuscissi… a capire cosa ti passa per la testa e se non parli con me, Lena, non so che cosa devo fare».
Era arrabbiata, o almeno si sforzava per esserlo, ma Lena non riusciva a fare a meno di pensare a quanto fosse bella in quel momento: gli angoli della bocca sporchi di vaniglia, il ciondolo che le aveva regalato, lucente, sul collo scoperto, le spalle nude con i boccoli biondi che le coprivano a tratti, spettinati come la criniera di un leone, con il seno nudo in scorcio, nascosta dalla stessa coperta che le aveva dato per non prendere freddo e che ora smaniava dalla voglia di toglierle. Anche se sapeva di essersi comportata in modo strano e di averla indispettita, aveva ancora una voglia matta di farla sua.
Si guardarono, ascoltando il rumore della pioggia che batteva violentemente sui vetri. Lena era conscia che quello sarebbe stato un buon momento per parlarle a cuore aperto, ma appena si sforzava per farlo, le parole morivano prima di arrivare alla bocca, definendosi una codarda. «Non… so cosa dire», mormorò infine, guardando di nuovo il fuoco. Kara stava per riprendere il barattolino quando Lena prese la sua mano e la portò contro il proprio petto, baciandola un momento. «Sono solo… un po' stressata, immagino». La vide guardarla con occhi grandi, ascoltando il suo cuore che batteva. «Il messaggio che mi è arrivato e non so da chi, dobbiamo trovare un modo per mettere la microspia in casa Gand e… le nostri madri tra poco si sposano. Sarà difficile per noi dirglielo. Non voglio perderti».
«Non mi perderai», scosse la testa Kara, avvicinandosi per portarle via un bacio, «Non mi perderai mai». Lena l'amava, ripeté per sé, l'amava quanto l'amava lei. Si baciarono ancora, rischiando di scivolare sul tappeto. «Dirglielo sarà una sfida, tua madre annusa l'aria e già si mostra contraria, e poi Eliza… non so come la prenderà al fatto che anche l'altra figlia frequenta una donna».
«Kara… lei sta per sposarne una».
Arricciò il naso, trattenendo un sorriso. «Sì, lo so, ma lei vorrebbe dei nipoti… E per quanto ami Jamie, voglio dire… Alla fine ha accettato Alex, ma ci riempe la testa di questa cosa dei nipoti da quando eravamo al liceo e penso abbia riposto le sue speranze in me».
«I figli non sono proprietà dei genitori: Eliza ti vorrebbe felice prima di ogni altra cosa, prima del suo stesso desiderio di avere dei nipoti».
«Sì…», strinse le labbra, «beh, non sono certa di quale cosa venga prima, per lei. Senza contare che se sto con l'altra ragazza che sta quasi per diventare un'altra sua figlia… Mi pare che le possibilità di avere dei nipoti diminuiscano». Si guardarono e risero, finché Lena non alzò le mani per sistemarle alcune ciocche sotto il cappello.
«Tu lo sai che anche due donne possono avere dei figli, vero?».
«Credo lo sappia anche lei», rise.
«Forse… dopotutto, saperlo è solo nel suo lavoro».
«E Alex…», scosse la testa, abbassando un poco gli occhi. «Non lo so. Io penso che sarà semplicemente dalla mia parte».
Lena annuì. «Anche Lex».
«E se anche mai ci dovessero dire di stare lontane?», Kara aggrottò le sopracciglia e Lena la guardò dritta negli occhi. «Dovessero dirci che è sbagliato, che non possiamo, c-che dobbiamo solo essere sorelle… beh, allora io dirò no. Perché non ti lascerò. Neanche in quel caso».
Lena si sporse da un lato e la baciò. Strinse le sue labbra morbide, accolse la sua lingua calda, le tenne il mento e passò un dito sulla sua pelle accaldata per via del camino. Si chiese se, se avesse saputo cosa lei sapeva, avrebbe continuato a pensare lo stesso.
«E sui Gand troveremo una soluzione. Capiremo come agire insieme», continuò, staccandosi da lei piano, mettendole una mano davanti alla bocca. «Sul messaggio, invece… non mi piace quella storia, forse dovremo solo ignorarlo».
«Ignorarlo?», si tirò su con la schiena di colpo, «Potrebbe davvero sapere chi ha ucciso mio padre».
«Oppure potrebbe essere l'assassino», controbatté, «E in quel caso è chiaro che lo saprebbe».
«Non possiamo ignorarlo, è troppo importante».
«Quindi hai deciso che gli risponderai», aggrottò un poco lo sguardo, scettica. «Non mi avevi detto nulla».
«Lo sto decidendo ora, credo».
«È troppo rischioso».
«Per trovare delle risposte bisogna rischiare, Supergirl. O vuoi essere la sola a farlo? Devo ricordarti la tua visita ai Gand?».
«Era diverso».
«Sì», annuì, «Lo hai fatto tu e non io. Questo è diverso».
Kara alzò gli occhi al soffitto, sbuffando. «Va bene… Parliamone con Alex, prima». Mi darà ragione, pensò.
«Perfetto». So già che concorderà con me, pensò Lena.
«Non voglio litigare con te», mormorò poco dopo Kara, stringendole una mano con la sua.
«Su questo siamo d'accordo», sorrise.
«Io ti capisco, Lena; abbiamo le stesse paure, in fondo. Ti chiedo solo… di non tagliarmi fuori dalla tua testa, di parlare con me, sfogarti, di essere sincera su cosa succede», annuì con un sorriso, staccandosi di nuovo, mentre Lena deglutiva. «E ne usciremo insieme». Lena si sbilanciò di nuovo verso di lei per portarle via un altro bacio, che sciolsero con un sorriso. «Tolgo il barattolino prima che», ammiccò e le guardò le labbra con desiderio, ancora tanto vicine, «prima di… sì, macchiare il tappeto».
Si mosse per prenderlo che Lena la fermò, le prese la mano con il barattolino quasi vuoto di yogurt e ci immerse un dito, per poi infilarselo in bocca, sotto lo sguardo arrossato dell'altra. «Conosco una buona lavanderia», chiosò. Lo immerse ancora, stavolta lo passò sul collo di lei, tra un orecchio e il mento. La coperta scivolò sui loro corpi seminudi quando lei si sporse verso Kara per leccarle via lo yogurt lasciato sulla pelle accaldata. La sentì tremare ed era certa che non fosse per il freddo. «Sfogati, Kara, dimmi cosa ti passa per la testa».
«Ti stai vendicando per qualcosa?», sussurrò: aveva usato le sue stesse parole.
«Ti sembra una vendetta?», ridacchiò, «Hai una concezione strana di cosa significhi vendicarsi, Kara Danvers… Io voglio solo mangiarti». Kara tremò di nuovo, impercettibilmente e, avvampando, ingigantì gli occhi, cercando di concentrare altrove il suo sguardo: Lena non si perse un attimo del suo tentennamento e capì che, con una sola frase, riuscì a spezzare ogni sicurezza che si era guadagnata con la confidenza presa fino a quel momento. Le sembrò di rivedere la ragazzina sbigottita a cui era caduto il gelato addosso quando la paragonò alla vaniglia. E le piaceva.
Kara aprì la bocca per rispondere ma non riuscì a dire una sola parola di senso compiuto, se non forse un mugolio sorpreso e imbarazzato che tutto sapeva meno che di qualcosa in una lingua conosciuta. Capì che sarebbe sempre stato facile per Lena buttare giù le sue difese perché non riusciva a essere la ragazza determinata che credeva, come Supergirl in campo, quando si trattava di lei, del suo sguardo, della sua voce, delle sue mani sulla propria pelle. Lasciò che la spingesse schiena contro il tappeto morbido, sfiorarle il seno con le dita fredde, con l'alito caldo e la lingua, poi facendola rabbrividire, con il cucchiaino ghiacciato sporco di yogurt sui suoi seni turgidi. Le sfuggì un gemito breve, mordendosi un labbro, quando iniziò a leccarglielo via.
Non era mai stato così. Lena era la sua prima volta con una donna, ma non era la prima volta che stava in intimità con qualcuno, nel cercarsi, volersi, desiderarsi e, avrebbe detto, anche mangiarsi. Ma quello che riusciva a farle provare anche solo quando la sfiorava era completamente diverso da quello provato fino a prima di lei, e forse era anche perché l'amava e, a questo proposito, doveva considerare di non aver mai davvero amato qualcuno come amava Lena, ma era come se sapesse sempre dove mettere le mani. E la bocca. E il resto. In effetti, ovunque. Il suo corpo era tutto per lei. Dovunque la toccasse diventava fuoco.
Le passò lo yogurt sul mento e, dopo aver leccato anche quello, la imboccò, dopo si baciarono. Se ripensava di averle detto che le stava tornando voglia di yogurt solo un po' prima, alla cena…
«Ti piace?», le sorrise. Con una mano reggeva il cucchiaino, ma con l'altra era scesa in basso, tentandole gli slip.
La fissò cercando di capire cosa risponderle, frastornata dal calore e conscia che presto avrebbe scoperto quanto la stava desiderando in mezzo alle gambe, dove si sentiva già pulsare. «… sì», deglutì, «Non avevo mai- emh, di-diciamo mai pensato a questo buon utilizzo dello yogurt».
«Mi hai ispirato, mia musa». Prese il cappello e se lo infilò sulla testa, facendo sorridere l'altra, poi si baciarono.
Lena lasciò il cucchiaino sul tappeto e le tirò gli slip, così Kara alzò il bacino in modo da poterglieli sfilare. Entrambe fecero scivolare via anche i suoi, ma Kara non era certa che si sarebbe lasciata toccare in quel momento, anzi, ne aveva avuto conferma quando le sollevò le mani e le braccia sulla testa, prendendosi un attimo per tastarle e baciarle. Le sorrise ancora e la sentì di nuovo leccarle il collo, laddove era rimasto dello yogurt, e poi scendere lentamente, tocco dopo tocco, sollevandole le cosce. Aveva ancora la bocca umida di vaniglia, calda, come calda era lei. Kara smise di respirare e incurvò la testa, quando la avvertì su di lei.
A un certo punto non si sentì più nulla se non il suono della pioggia scrosciante, i suoi respiri sommessi e il ticchettare di un orologio sulla parete davanti, vicino al monitor collegato al campanello: era da poco passata la mezzanotte. Non riuscì a trattenere un sorriso.


***


Era stato un modo diverso di accogliere il Natale. Si erano tenute abbracciate lì sul tappeto, davanti al camino spento, nude e protette da quella sola coperta. Poi Kara aveva mangiato qualcosa e aperto l'altro regalo di Natale: un enorme gatto di peluche. Avevano parlato un po' prima di prendere sonno, con la voce ormai impastata e il peluche vicino. Kara si girò verso il camino con un sorriso sulle labbra e Lena le lasciò un bacio su una spalla, per poi tenerla stretta a sé, lasciando che lei l'avvolgesse con le braccia.
Lena era certa che Kara stesse dormendo. «Vorrei tenerti così per sempre». Poi chiuse gli occhi mentre l'altra li riapriva con il groviglio sullo stomaco.
Risvegliandosi, per fortuna, il senso di malinconia era scomparso. Era Natale ed era tra le braccia di Lena, non poteva esserci inizio migliore. Sentiva l'orologio, non c'era la pioggia, e il buon profumo di caffè appena fatto. Caffè? Marielle non sarebbe venuta e se le braccia che sentiva addosso erano quelle di Lena, come faceva a…? Riaprì gli occhi piano e con evidente confusione, aggrottando le sopracciglia. Si mise a sedere portando con sé la coperta, sentendo che doveva aver svegliato anche Lena.
«Buongiorno».
Spalancò gli occhi nell'ascoltare quella voce ferma, cercando di mettere a fuoco la figura che aveva davanti, capendo di essere state scoperte. Piuttosto alto, snello ed elegante, con una tazza di caffè tenuta in una mano e l'altra in tasca. Calvo.
«Tu devi essere la mia nuova sorellina. È un piacere conoscerti di persona, finalmente».
































***

U-oh! Beccate! Beh, c'è da dire che finalmente conosceremo Lex :D
Succede poco in questo capitolo, me ne rendo conto, ma è un passaggio lento a proposito, un far godere alle due protagoniste dei momenti felici (o quasi, ops) tra loro e la famiglia.
Cosa sta succedendo a Lena? A quanto pare, quando lei e Clark sono usciti fuori a parlare nel capitolo precedente, hanno tirato in ballo anche ciò che Lena insistentemente tiene nascosto a Kara… Lena ha paura, molta paura, di poter perdere tutto ciò che ha ora: non solo Kara, ma una famiglia. Come biasimarla? Sarà mai pronta a fare quel passo?
Intanto scopriamo che il profilo misterioso si è ben protetto e che non sarà affatto facile, forse impossibile, accedere alla sua identità. Avete idee a proposito?
Da tenere presente Alex che invia un messaggio a qualcuno… Chi sarà?
Kara e Lena hanno avuto un altro momento di intimità, e non parlo solo di ciò che pensate! Hanno discusso, Kara vorrebbe che Lena condividesse i suoi pensieri con lei, e hanno probabilmente sporcato il tappeto. E il groppo all'altezza della bocca dello stomaco di Kara? Avete mai provato quel senso di malinconia?

Ditemi cosa ne pensate e vi lascio al prossimo capitolo, che riprenderà proprio da dove siamo rimasti.
Il prossimo capitolo si intitola L'amore non basta e sarà pubblicato qui lunedì 24 :D


   
 
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