Capitolo 12: La mia vita con te
(Moderno AU)
* * *
Keith
uscì dal locale con ancora addosso la puzza di alcool.
Si
incamminò verso il suo appartamento in una strada buia ed
isolata,
ma quando raggiunse la porta d'ingresso un avviso di sfratto lo
attese attaccato ad essa.
Doveva
trovarsi un lavoro.
<<
Shiro? >> Lo chiamò sua madre.
<< Ti prego mangia
qualcosa. >> Lo pregò. Seduti in una lunga e
spaziosa tavolata
Shiro giocherellava con una forchetta nel piatto tenendola con la
mano sinistra rischiando di sporcare la tovaglia completamente
bianca, mentre fissava il cibo senza però goderne.
<<
Perché? >> Chiese guardando sua madre con
occhi spenti. <<
Mi restano solo pochi mesi di vita tanto vale finirla subito.
>>
<<
Ti prego, non dire così. >> Gli chiese sua
madre con voce
tremolante dovuta ad un pianto non ancora scoppiato.
<<
Non posso nemmeno tagliare la carne da solo. Non riesco a muovere il
braccio destro. >> Disse Shiro a bassa voce. Non era
sicuro che
lo stesse dicendo a sua madre.
<<
Lo so. >> Rispose comunque lei. <<
È per questa ragione
che te l'ho fatta già tagliare dal cuoco. >>
Continuò
nonostante il richiamo del marito.
Quando
sua moglie lo guardò con un'espressione confusa si accorse
che suo
figlio si era immobilizzato non sentendo più il fastidioso
rumore
della forchetta sbattere sul piatto.
Shiro
aggrottò la fronte infastidito e si alzò dalla
sedia
all'improvviso. << Sei tu che mi uccidi così!
>> Urlò e
senza voltarsi uscì dalla sala da pranzo.
Keith
aveva trovato un annuncio su internet molto allettante.
Non
c'erano molti dettagli, l'annuncio diceva solamente che il suo
compito sarebbe stato quello di tener compagnia a qualcuno ma la paga
era ottima.
Keith
incuriosito decise di provare e, nonostante il prezzo dello
stipendio, non si aspettava di trovare una villa all'indirizzo
indicato.
Keith
non era mai stato in un luogo così lussuoso e, titubante,
suonò il
campanello.
Quando
l'immensa porta di legno si aprì si ritrovò
davanti ad un vasto
ingresso con una grande scala in fondo che si ramificava in due
collegate a due piccoli corridoi con varie stanze.
Il
pavimento era a scacchi mentre il lampadario sfarzoso, al centro del
soffitto, sembrava decorato in oro con dei gioielli chiari che
ricadevano da esso. Doveva averne visto raffigurato uno simile in un
libro una volta.
Ancora
sullo stipite della porta Keith si accorse solo in quell'istante che
vi era qualcuno sulla destra che teneva ancora la maniglia.
Ovviamente,
la porta non si era certo aperta da sola.
<<
Si accomodi. >> Disse l'uomo con tono indifferente.
Keith
ubbidì ignorando la richiesta del maggiordomo di pulirsi le
scarpe
prima di entrare, ancora troppo preso nel guardarsi in giro.
<<
È così che ci si presenta ad un colloquio?
>> Chiese una
donna mentre scendeva le scale.
Keith
si diede una veloce occhiata.
Indossava
una giacca di pelle nera. Sotto di essa una maglietta rossa e dei
jeans attillati ugualmente scuri. << È la cosa
più decente
che possiedo. >>
La
donna sospirò mentre scese l'ultimo gradino e, senza
fermarsi, gli
fece cenno di seguirla.
Il
corridoio era completamente in silenzio. Quella villa sembrava
abbandonata se non per l'aspetto ben curato e il continuo rumore dei
tacchi contro le mattonelle del pavimento della padrona di casa.
Mentre
camminavano gli spiegò che il suo compito era stare con suo
figlio
durante il giorno tenendolo di buon umore e che la notte non era
obbligato a restare e che poteva tornare a casa se voleva, ma l'unica
cosa che colpì Keith era che quella casa era talmente grande
che la
sua voce formava l'eco come ricordandogli quanto fosse fuori posto
lì.
Quando
la padrona di casa si fermò davanti ad una porta Keith
tornò alla
realtà intuendo che la donna stesse aspettando una sua
conferma se
avesse capito quale fosse il lavoro che doveva svolgere.
Keith
emise una leggera risata. << Per quanto la paga sia buona
non
faccio quel genere di cose. >>
<<
Signorino il suo rapporto con mio figlio sarà solo ed
esclusivamente
professionale. Crede davvero che lascerei che mio figlio vada a letto
con uno come lei? >>
Keith
aprì la bocca pronto a ribattere ma non fece in tempo che la
donna
aprì la porta rimanendo stupito da ciò che vide.
Un
ragazzo più o meno della sua età, anche di
bell'aspetto, che
combatteva contro una giacca cercando di indossarla con l'ausilio di
un solo braccio, quello sinistro, mentre il destro restava fermo sul
fianco.
<<
Shiro, avresti dovuto chiamarmi. >> Lo
rimproverò sua madre
preoccupata mentre si avvicinava.
<<
Ferma dove sei. >> Iniziò Shiro.
<< Devo riuscirci da
solo. >>
Sua
madre e Keith rimasero in silenzio a guardarlo fallire più
volte
finché dalla frustrazione Shiro gettò a terra la
giacca imprecando.
<< Maledizione! >>
Keith,
d'istinto, si avvicinò lentamente superando la donna,
visibilmente
contrariata, raccogliendo la giacca.
Shiro
si accorse solo in quell'istante della sua presenza e quando gli
chiese chi fosse, Keith rispose semplicemente che lavorava per sua
madre.
Shiro
sbuffò.
<<
Senti, lo so che non è questa la vita che vorresti e
preferiresti
essere più indipendente. Tutti lo vorremmo, ma non
c'è niente di
male nell'accettare un aiuto ogni tanto. >>
Gli
altri due rimasero in silenzio stupiti e dopo averci pensato per un
po' Shiro si lasciò aiutare in silenzio da quello
sconosciuto.
Quando
la mattina dopo Shiro trovò Keith nel suo studio non
sembrava aver
ancora digerito la cosa.
<<
Sei già qui. >>
<<
Devo arrivare puntuale o tua madre mi fa una ramanzina fastidiosa.
>>
Si lamentò Keith seduto sul divano.
La
stanza non era molto grande rispetto allo standard della villa.
Le
pareti della stanza erano coperte dalle numerose librerie appoggiate
ad esse. Al centro vi era una scrivania di legno in mogano con sopra
semplicemente una lampada mentre sotto di essa un tappeto vistoso.
All'angolo vi era un piccolo divano anche esso scuro per rimanere in
tema alla stanza.
Shiro
si appoggiò alla scrivania e lo guardò serio.
<<
Quanto ti paga mia madre? Ti offro il doppio per andartene.
>>
Keith
ricambiò lo sguardo inarcando un sopracciglio.
<< Davvero? >>
Shiro
annuì mentre guardava Keith avvicinarsi alla scrivania,
aprire il
cassetto e porgli il suo libretto degli assegni.
<<
Come sapevi che era lì? >> Chiese Shiro
confuso.
<<
Sono un ottimo osservatore. >> Spiegò Keith.
<<
Non starai cercando di derubarmi. >> Shiro non era ancora
del
tutto convinto.
<<
Credimi, ti sto già derubando con lo stipendio che mi
dà tua madre.
>> Disse Keith sorridendo quando Shiro prese il libretto.
Shiro
lo appoggiò sulla scrivania mentre con la penna, offerta da
Keith,
cercava di scrivere il suo nome.
Keith
non aveva mentito, era un ottimo osservatore e si era accorto che
Shiro, prima di perdere l'uso del braccio, doveva essere destrorso.
Lo capiva da come ogni volta che doveva svolgere un'azione ci metteva
quel mezzo secondo a ricordarsi che non poteva farla con la destra
mentre prima, probabilmente, era abituato a fare tutto con essa.
Per
questa ragione Shiro non era in grado di scrivere il suo nome con la
sinistra, senza contare che non riusciva a tenere fermo il libretto
con una mano sola.
<<
Sembra che resterò qui ancora per un po'. >>
Disse Keith
incrociando le braccia soddisfatto.
Shiro
non disse nulla, non lo guardò nemmeno in faccia, si
girò e si
sedette sul divano dove prima vi era Keith.
<<
Certo che qui ci sono molti libri. >> Notò
Keith cambiando
discorso mentre si guardava intorno.
<<
Mi piace leggere. >>
<<
Cosa leggi? >> Chiese Keith curioso.
<<
Non dobbiamo essere amici per forza. >> Disse Shiro senza
guardarlo, tenendo la testa di lato osservando il nulla
disinteressato.
<<
Ragiona. Io ho bisogno di quei soldi e tu sai meglio di me che tua
madre non mi manderà via tanto presto, quindi
perché non provarci?
>>
Shiro
lo guardò con la coda dell'occhio ma rimase in silenzio a
pensarci.
<<
Tutto ciò che riguarda lo spazio. >>
Spiegò Shiro. <<
Lo amo. >> Confessò lasciando nascere un lieve
sorriso sulle
sue labbra, stupendo Keith.
<<
È molto bello. >> Concordò Keith
ricambiando il sorriso.
Ma
così come era nato il sorriso di Shiro sparì
all'improvviso. <<
Mi sarebbe piaciuto diventare un'astronauta, ma inutile dire che non
ero idoneo. >> Ricordò. << Avevo
anche pensato di farmi
amputare il braccio per sostituirlo con una protesi, ma presto la
malattia prenderà il controllo di tutto il mio corpo e non
posso
sostituire ogni singola parte. >>
Keith
abbassò lo sguardo. Non ebbe il coraggio di ribattere
capendo che
non doveva essere stato facile vedere il proprio sogno svanire nel
nulla per un qualcosa che non dipendeva da lui. Forse anche per
questo che si ostinava a voler fare tutto da solo.
Né
Shiro né Keith quel giorno riaprirono il discorso, rimasero
in
silenzio.
I
giorni diventarono settimane ed entrambi fecero lo sforzo di
conoscersi a vicenda.
Con
il passare delle settimane Keith si rese conto che quella routine gli
faceva bene, che era diventata addirittura un piacere. Non era mai
andato ai suoi precedenti lavori di buon umore. Anche passare del
tempo con Shiro era diventato un piacere.
Superato
l'ostacolo della maschera che portava Shiro per via del dolore
provocato dalla malattia, si accorse che Shiro era tutt'altra
persona.
Era
dolce e sensibile, gentile persino, anche quando sbagliava. Non era
più come i primi giorni che ogni errore era un'ottima scusa
per
mandarlo via, ora ci passava sopra e addirittura lo incoraggiava a
fare meglio la prossima volta.
Keith
fu riportato alla realtà da un tonfo provenire dalla stanza
di
Shiro. Allarmato, non ci pensò due volte a precipitarsi a
controllare lasciando il piatto così com'era nel lavandino.
<<
Shiro! >> Lo chiamò non appena aprì
la porta.
Keith
si congelò sul posto alla vista.
Shiro
era disteso a terra accanto al letto e non dava cenno di rialzarsi.
<<
Shiro. >> Lo chiamò di nuovo mentre si
inginocchiò accanto a
lui per controllare che non si fosse fatto del male.
<<
Keith. >> Iniziò Shiro dolorante.
<<
Sì? >> Attese.
<<
Non mi sento più le gambe. >>
Fu
come risvegliarsi da un sogno e all'improvviso Keith si
ricordò
perché lui fosse lì.
<<
Non è poi così male. >>
Shiro
sospirò girandosi a guardare Keith dalla sua sedia a
rotelle. <<
Davvero? >> Chiese sarcastico.
<<
Facciamo una scommessa. >> Propose Keith sorridendo.
<<
Non sono dell'umore. >> Disse Shiro svogliato.
Keith
lo ignorò e posizionandosi dietro la carrozzella lo condusse
fuori
in giardino. << Scommetto che oggi ci divertiremo.
>>
<<
Keith. >> Lo richiamò Shiro, infastidito
dall'essere ignorato.
<<
Pronto? >> Domandò Keith chinandosi sulla
sedia a rotelle
tanto da avere il viso vicino a quello di Shiro.
<<
No. >> Rispose secco l'altro, ma ancora una volta fu
ignorato e
Keith cominciò a spingerlo aumentando sempre di
più la velocità
insieme al passo finché non si ritrovò a correre.
<<
Allora? Non ti sembra di volare? >>
Shiro
sbuffò. Ovviamente no. Era chiaro che non fosse la stessa
cosa
eppure più sentiva come si divertiva Keith emettendo dei
suoni
infantili dalla sua bocca e il vento tra i capelli più quel
gesto
del tutto sciocco lo rasserenava e Shiro non riuscì
più a
trattenere una risata che andò ad unirsi con quella di Keith.
<<
Dove siamo? >> Chiese Shiro ancora bendato.
<<
Fidati di me. >> Disse Keith mentre si
posizionò davanti a
lui.
Delicatamente
gli tolse la benda e finalmente Shiro fu in grado di vedere di nuovo.
Si
trovavano in una sala enorme, piena di poltroncine come in un cinema
ma davanti a loro non vi era nessuno schermo.
Shiro
confuso girò la testa, l'unica parte oramai ancora mobile,
verso
Keith che gli sorrise emozionato.
Un
rumore meccanico proveniente dal soffitto attirò
l'attenzione di
Shiro che alzò la testa per vedere il soffitto che si apriva
sotto
il suo sguardo per lasciare spazio alla vastità del cielo
pieno di
stelle luminose.
Shiro
non riuscì a trattenere una lacrima che gli rigò
il viso.
Per
quanto amasse lo spazio e le stelle era da anni che non si era
più
soffermato ad osservarlo. Troppo doloroso.
Keith
gliela asciugò al suo posto.
<<
Come ci sei riuscito? Ci siamo solo noi. >> Chiese Shiro
felice.
<<
Ho avuto un piccolo aiuto. >> Rispose Keith mentre
guardava
dietro Shiro.
Shiro
sentì dei passi avvicinarsi a loro, ma impossibilitato nel
muoversi
aspettò che la terza figura si mostrasse a lui, anche se
dovette
ammettere che l'attesa gli metteva ansia.
Quando
si presentò davanti a lui Shiro notò che si
trattava di una giovane
ragazza, probabilmente più giovane di loro, con dei capelli
castano
chiaro e degli occhiali chiaramente troppo grandi per lei.
La
ragazza gli sorrise gentilmente. << Tu devi essere Shiro.
È un
piacere conoscerti, io sono Pidge e lavoro qui. >>
Shiro
non rispose spostando il suo sguardo verso Keith che cercò
di
rassicurarlo con un sorriso.
Sorridendo
a sua volta Shiro disse << Adesso mi ricordo. Sei la
migliore
amica di Keith. >>
<<
Davvero? >> Chiese lei entusiasta. << Come
sei dolce
Keith. >> Lo prese in giro fingendosi commossa mentre si
mise
una mano al petto.
<<
Cosa?! >> Urlò Keith imbarazzato.
<< No, sta mentendo!
Non ho mai detto una cosa simile. >> Continuò
rosso in viso.
Shiro
e Pidge si guardarono non riuscendo a trattenere una risata.
<<
Ehi, Keith. >> Aggiunse Pidge. << Credo che
mi piaccia
già >>
<<
Keith, facciamo una scommessa? >> Il tono di Shiro era
strano,
Keith non seppe riconoscerlo lasciandolo perplesso. Sembrava stanco e
amaro ma decise di assecondarlo.
<<
Certo, lo sai che amo le scommesse. >> Rispose allegro
sedendosi sulla scrivania.
<<
Cosa scommetti che smetterà di funzionare per primo? Il
cervello o
il cuore? >> Chiese Shiro mostrando un sorriso che fece
venire
i brividi all'altro.
Il
sorriso di Keith gli morì sulle labbra.
Era
uno di quei giorni.
Ultimamente
capitava spesso. Il strano umorismo di Shiro veniva fuori quando il
dolore si faceva più acuto costringendolo a dover prendere
degli
antidolorifici o semplicemente quando era una giornata no e preferiva
rimanere da solo.
<<
Smettila, non sei divertente. >>
<<
Perché no? Sappiamo entrambi che accadrà presto,
è solo una
questione di tempo. Dato che sono solo un uomo che aspetta la sua
morte impotente almeno divertiamoci su. >>
<<
Ti ho detto di smetterla! >> Ribatté urlando
Keith ormai in
piedi e visibilmente agitato.
Shiro
guardava in silenzio Keith fare avanti e indietro per la stanza come
alla ricerca di una soluzione che entrambi, però, sapevano
fosse
inesistente.
<<
Non dire così. >> Continuò Keith
dopo essersi calmato
fermandosi a guardarlo.
Si
inginocchiò davanti a lui appoggiando la testa sulle sue
gambe come
alla ricerca di un conforto che nessuno dei due avrebbe trovato.
Il
loro rapporto era cambiato durante gli ultimi mesi nonostante nessuno
dei due avesse sentito l'esigenza di esprimerlo a parole.
<<
Io voglio stare con te. >> Si lasciò sfuggire
Keith in un
sussurro pentendosene subito dopo, sapendo che lo avrebbe ferito.
<<
Io- >> Cercò di dire con voce tremolante
mentre le lacrime
cominciavano a pizzicargli gli occhi, ma Shiro lo fermò.
<<
Non dirlo. >>
Keith
alzò il viso per guardarlo negli occhi. <<
Perché no? >>
<<
Ti prego, lo sai il perché. >> Lo
pregò Shiro cominciando
anche lui a cedere.
<<
Non è una cosa che posso controllare, ok?! >>
Iniziò alzando
di nuovo la voce frustrato. << Non l'ho deciso io e non
cambierà. >>
Una
lacrima scese lungo la guancia di Keith e in Shiro nacque il
desiderio di potergliela asciugare.
<<
Non posso toccarti. >>
<<
Non mi importa. >> Disse Keith ormai in mezzo ad un
pianto
scuotendo ferocemente la testa.
<<
Potrei morire da un momento all'altro. >>
Continuò Shiro.
<<
Non mi importa. >> Ripeté abbassando la testa.
Shiro
sopirò. << Sei testardo. >>
<<
Mai quanto te. >>
Shiro
gli sorrise dolcemente anche se in quel momento Keith non poteva
vederlo.
<<
Questi mesi sono stati molto importanti per me Shiro. >>
Disse
Keith raccogliendo le forze. << Non hai idea di quello
che tu
hai fatto per me e non mi riferisco allo stipendio, lo sai vero?
>>
<<
Lo so. >> Rispose Shiro rassicurandolo. <<
Grazie di aver
reso questi mesi meno amari. Ti amo anche io, Keith. >>
Keith
alzò la testa asciugandosi velocemente le lacrime con una
mano per
poi rivolgere lo sguardo a Shiro.
<<
Shiro? >> Lo chiamò ma non ci fu nessuna
risposta.
NdA:
Mi
dispiace così tanto! Shiro!!!
Ma
se non facessi del male almeno una volta al mio personaggio preferito
non sarei io.
Ci
sono tante cose che potrei dirvi su questo capitolo, mi ha davvero
emozionato.
Sono
stata ispirata da molte cose.
La
prima parte della storia mi è venuta in mente mentre facevo
delle
faccende domestiche notando che mi si era stancato prima il braccio
sinistro e allora mi sono ricordata che da piccola ho rischiato di
perderne l'uso ma grazie alla terapia posso usarlo. Uso ancora la
destra per fare qualsiasi cosa e infatti l'altro si stanca presto. Il
resto è storia.
Spero
vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate.
Al
prossimo capitolo!
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