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Autore: crimsontriforce    12/07/2009    1 recensioni
“The Tidal Age of Myst”, recitava il quaderno in svolazzanti lettere rosate prima che il fuoco se lo portasse via: il ricordo di passi affiancati sotto la luce gialla dei lampioni è perso per sempre.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Atrus, Catherine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '1. Gente che viaggia nei libri'
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Il mondo ha bisogno di più diari di Atrus. Di quelli placido-adorabili del primo Myst, dico.
A Cyan sembrano esserne pienamente consapevoli, difatti hanno rilasciato una decina di passaggi extra uno più amabile dell'altro (c'è anche Everdunes! E, en passant, cita la Cleft! Cosa ho vinto ad averlo anticipato?) e tre microaggiunte a quelli noti. Qui, sono quelli coi nomi strani.
Dove loro si fermano, prendo timidamente la penna in mano...

Questa pagina deve moltissimo ai paesaggi fantastici di Iblard e in particolare a Iblard Jikan, il montaggio animato Ghibli ad esso dedicato.
E deve ancor più al challenge estivo di Graffias, cui partecipa, perché al leggere il suo prompt “Lungomare con lampioni” la storia s'era già fluffata da sé.


Disclaimer: Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di affettuosa stima.





Un diario bruciato
(The Tidal Age of Myst)





Inizio un nuovo diario con un piacere inaspettato: Catherine ha acconsentito ad accompagnarmi nella prima esplorazione di un'Era e questo stesso quaderno è un suo regalo, un augurio per le memorie condivise che verranno. Per quanto una rilegatura blu decorata in rosa non rientri nelle mie scelte abituali, potrebbe rivelarsi insolitamente adatta alla tranquilla avventura che ci attende, un buon diversivo rispetto alle recenti traversie. Lei dice di averla dipinta pensando a una conchiglia che portasse in sé i colori dell'alba e la somiglianza, se non immediata, è percepibile. Terrò strette queste pagine.
Sono felice di vederla partecipe dopo tanto tempo. Il comune affaccendarci rende gradevoli già le ore che ci separano dalla partenza.
Ora che i ragazzi iniziano a passare del tempo su altre Ere, temo che la solitudine di Myst gravi su di lei, ma dominare simili equilibri va oltre le mie conoscenze. Posso tuttavia adoperarmi per garantirle – e garantirci – un viaggio sereno.


Se qualcuno decidesse un giorno di leggere soltanto gli inizi di tutti i miei diari, troverebbe di che divertirsi: io stesso ne ho riso, quando Sirrus mi ha detto (e dimostrato con prove inconfutabili) che sembro una registrazione rotta. Eppure, ancora una volta, non posso fare a meno di annotare la stessa meraviglia che mi coglie impreparato ogni volta che osservo la realtà dietro ai miei scritti.
Non ho creato questo mondo. Non sono riuscito nemmeno a descriverlo nella sua vera bellezza. Mi limito a proporre una trama, ma il filato prezioso dell'ordito con cui la vedo intrecciata non proviene dalla mia casa né da quella di mio Padre: resta al sicuro nelle mani di un miglior tessitore.
Eppure quella trama c'è. Quello che cerco nel paesaggio della mia mente, ritrovo senza errore davanti al naso, arricchito di un vigore che la mia sempre limitata immaginazione non si arrischia a concepire. La baia in cui siamo arrivati è racchiusa da un cerchio serrato di isole alte e strette. La loro superficie è disuguale a chiazze, come grandi coperte patchwork di pietra: qui lisce, qui porose, qui scavate in forme ardite che si penserebbero volute da mente umana. La diversità di tali risultati, che fremo per poter studiare in loco, dovrebbe essere il risultato innocuo di un'intensa attività vulcanica sotterranea, modellato poi da un'unica forza, la grande marea che dà il nome all'Era.
Spero, almeno, che questo posto sia sicuro. Sento di amarlo già, come un viandante di fronte alle porte di una città sconosciuta.



La grande luna che guida il moto degli oceani, ben visibile attraverso l'atmosfera sottile, sta sorgendo di fronte a noi con una velocità che sorprende l'occhio. Mi stringo alla mia compagna, sentendo la sua spalla nuda sulla casacca, e il satellite già domina il cielo, coperto appena da strati di nubi filiformi all'orizzonte.
È più grande di quel che pensassi? Nutro una speranza. Non ne faccio però ancora parola a Catherine, per timore di deluderla in caso si rivelasse infondata. Quel che ho scritto era un azzardo fin da principio.



Libera dai miei paraocchi di inchiostro e aspettative, è lei a notare per prima un molo slanciarsi verso le isole, seminascosto dagli scogli alla nostra sinistra. Le rocce aspetteranno: mano nella mano, mi lascio guidare verso una scoperta che dichiaro sua e sua soltanto (peraltro, senza un traghetto o una marea eccezionalmente bassa, le mie velleità scientifiche sarebbero state comunque destinate a rimanere tali).



Seguo le sue impronte sulla sabbia. Le altre gioie della giornata vengono offuscate.



Arriviamo in uno spazio rotondo di pietra da cui inizia il molo spoglio che avevamo visto da lontano. Nessuna traccia del popolo che ha lasciato questa firma sul terreno. Nessun'orma, tranne l'unica fila tracciata dalle nostre, e nessuna imbarcazione ormeggiata.
Per contro, un camminatoio di legno scuro nasce in questo spazio e prosegue parallelo alla riva verso l'ignoto, protetto per un lato dagli scogli e per l'altro da una semplice staccionata. Dal lato del mare, ogni venti passi circa, si leva un lampione spento. Non so verso quali storie ci condurrà e non ho intenzione di restare ad attenderle. Ci avviamo.



Meraviglia! I lampioni si accendono al nostro passaggio. Dato che camminiamo in direzione del tramonto – tutto sui toni dell'azzurro, così diverso dai cieli di casa – pensavo che seguissero la luce morente del giorno. Mi sbagliavo. Lasciamo dietro di noi una scia di globi gialli luminosi e il loro riverbero sull'acqua increspata, ma non restano accesi a lungo. Lo spettacolo finisce alle nostre spalle, con un'eco dello stesso click con cui è iniziato; non riesco tuttavia ancora a individuare i sensori (di pressione? O che altro?) cui risponde. Ho un'attenuante: ogni venti passi circa, la veste turchese di Catherine si tinge di luce e di un nuovo verde e la mia concentrazione viene reclamata per intero.



Ci fermiamo spesso. Il corrimano, come anche le assi sotto in nostri piedi, non sembra aver patito molte intemperie. D'altronde, con variazioni nel livello del mare che dovrebbero superare lo shahfee, non mi sorprende che questa gente sappia come impermeabilizzare le sue creazioni.
Sotto un lampione, osserviamo l'orizzonte e lo ritagliamo isola per isola, angolazione per angolazione. In ognuna, Catherine mi guida in una storia fatta di aria e di terra, fantasticando di passeggiare su quelle rocce. Lo faremo. Devo solo capire come arrivarci. Resta, forte, l'impressione che non reggerà il confronto con i suoi quadri narrati.



Una torre immensa emerge dall'aria. È questione di attimi: non c'era e ora appare levitare e toccare il cielo.
Come avevo sperato.
So, perché l'ho Scritto, che il fenomeno è dovuto alla composizione dell'atmosfera. In certe, limitate condizioni che avrò piacere di accertare, agisce sulla prospettiva come una lente d'ingrandimento per oggetti che si trovano oltre il reale campo visivo. Saperlo nulla toglie al suo fascino.
La torre non è in rovina. Sembra fatta di pietra, punteggiata da finestre rotonde sulla superficie uniforme delle pareti. Alcune sono illuminate e le nostre storie si fanno ricche di misteri. Catherine è entusiasta. Spero con tutto il cuore che possa essere un buon segno per il futuro.



È anche divertita dalle mie frequenti pause per annotare ogni impressione – dall'idea di far parte degli appunti, suppongo, più che dalle soste stesse.
Dice che suppongo bene.



Le grandi rocce bianche levigate che hanno fatto da sfondo al nostro cammino negli ultimi minuti si riempiono di voci e finestrelle, rotonde come quelle della torre e apparse non meno d'improvviso. Questione di minuti e il paesaggio diventa irriconoscibile. Vengono piantati dei pali. Su di essi fioriscono in gran velocità tende cariche di rossi e di gialli. Sotto, figure che distinguo appena chiacchierano e contrattano. Anche da lontano vedo che sono vestiti con tuniche sgargianti come la stoffa sotto cui camminano. Vendono luci. O si circondano di luci, difficile dirlo da qui. Di fatto è come un secondo tramonto, incastonato fra la spiaggia e la scogliera.
E ora è tempo di chiudere. Catherine mi tende la mano: ci allontaneremo dalla calma dei lampioni e ci mescoleremo alla folla variopinta, senza parlare fra noi né di noi, almeno per il momento. Uno dei nostri quadri immaginati ha preso vita e vi poggiamo il palmo aperto, pronti a un'avventura diversa da tutte quelle che l'hanno preceduta.

















@ Era: “Ok”, mi dico. “Inventiamo un'Era in cui cacciare un lungomare con lampioni. Serve il mare... serve un tema... un tema che abbia a che fare col mare... la marea mi sembra un buon tema. Tidal Age, pronti via! Ora rileggiamo i diari di Myst per rinfrescar lo stile... ...come sarebbe a dire, 'I must return to the people of the Tide'? O_O;;;”
Ho inventato un'Era che già c'era, 'nzomma. ...yay?

@ “of Myst”: sta scritto sui dorsi dei diari. Almeno, in realMyst si vede. The Mechanical Age of Myst et similia. Non so voi, a me fa tenerezza che le chiami così: sono le sue Ere, non di D'ni, non di Gehn, e se le chioccia a modo suo. Il diario di Rime conferma il sentimento.

@ shahfee: unità di lunghezza D'ni. Non volendo impelagarmi nella faccenda del sistema decimale, e visto che avevo comunque in mente “4 metri circa”, uno shahfee andava benissimo.

@ Iblard: acchì! Consiglio vivamente il cortometraggio Ghibli Iblard Jikan, che è una serie di quadri di Iblard vagamente animati con un accompagnamento musicale, senz'altra storia che quella raccontata da ogni singolo dipinto.
   
 
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