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Autore: RadCLiff_    08/10/2018    6 recensioni
Quando la società è divisa per caste genetiche, solo i migliori possono arrivare a realizzare i propri sogni.
In un mondo dove solo i migliori tra i migliori potevano vivere, dove ogni rapporto era basato sulla genetica di appartenenza, lei non avrebbe rinunciato al suo sogno. Nonostante la sua classe genetica fosse la più infima, Clarke voleva arrivare disperatamente alla fonte della sua luce, alle stelle.
Sarebbe stata disposta a fare qualunque cosa, anche a morire.
Clexa Slow Burn
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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VI




Il silenzio era diventato assordante. Si poteva udire il ticchettio dell'orologio da parete della stanza accanto. Strano come la notte e il buio riescano ad amplificare così tanto i suoni.
Konstantin stava riflettendo. Tanti pensieri si stavano agitando nella sua testa, tumultuosi e pressanti, scontrandosi l’uno contro l’altro. Chiuse brevemente gli occhi e sospirò.
Stava cercando di riprendere il controllo di sé.
Clarke aspettava che l’uomo si calmasse, ma poi decise di prendere la parola.

«Si può sapere che diavolo ci fai da me a quest’ora?»

«Non è questa la domanda giusta da fare» i suoi occhi erano ancora chiusi, la mano teneva la sua fronte.

«Si può sapere che problemi hai? È più azzeccata ora?»

Forse stava tirando la corda ma anche Clarke era infuriata, infuriata per come l’abbia aggredita e trattata. La reazione che aveva avuto Konstantin l’aveva messa più in pericolo di quanto non l’avesse fatto il suo invito stesso a Lexa.

«Stai giocando con il fuoco.»

«Ah, sì? Tu invece non potevi trattenerti cinque minuti invece che dare spettacolo con lei ancora davanti a noi?» si mise le mani tra i capelli mentre prendeva un bicchiere di vetro e una bottiglia di vino da una mensola, «Speriamo solo che non abbia sentito troppo del tuo momento di isteria e ora si beva la storia dello zio.»

«Tuo zio?»

«Beh, cosa avresti detto tu con un uomo di mezza età, in casa tua, nel bel mezzo della notte, che aspettava il tuo rientro al buio? La scelta era tra stupratore o zio.»

Si versò un bicchiere di vino e lo portò alla bocca. Fece sparire il liquido gorgogliante dal bicchiere tutto d’un fiato, lasciandosi un leggero alone sull’angolo.

«Almeno è andata via subito.»

«Non capisci la tua posizione, non puoi permetterti di esporti così tanto svelando il luogo dove vivi. Tutti i tuoi segreti sono in questa casa, anche un capello, un solo ciglio e hai chiuso. Dove pensi sia il posto più facile dove reperire cose del genere?»

«Non lo so, sulla mia faccia?»

«Credi sia divertente?»

«Ma perché all’improvviso ti importa così tanto di me?»

«Non è questo il punto.»

«E qual è il punto?»

Konstantin avanza, finché le loro ombre non si fusero sul pavimento. Sapeva che l’uomo non le avrebbe fatto del male ma per un momento l’idea attraversò la sua mente e non poté fare a meno di indietreggiare di un passò.
L’uomo si guardò le mani e le strofinò insieme, come preso dal nervosismo «Non sono una persona molto brava con le parole. Ho avuto tempo di rifletterci e mi rendo conto che nel nostro ultimo incontro non sono stato tanto… giusto con te.» alzò gli occhi e sostenne lo sguardò corrucciato della ragazza, «So che non hai colpa di tutto quello che è accaduto.»
A volte, le risposte non sempre sono quello che cercano le persone ma piuttosto ricercano un motivo, una ragione che semplicemente le faccia stare meglio. Forse è più adatto parlare di causa che risposta. Una causa a cui dare la colpa, una causa per cui indignarsi, una causa a cui indirizzare la propria frustrazione e impotenza davanti alle fatalità della vita. Semplicemente una causa che faccia stare meglio. In quel momento della sua vita, quella causa era diventata Clarke.
Non le stava chiedendo apertamente scusa, ma almeno le stava facendo sapere che si era accorto che non era stato molto disponibile nella loro ultima conversazione.
La ragazza con ancora il bicchiere in mano, lo guardava cautamente.
Comprendendo l’esitazione, lui proseguì «Solo questo, stasera… era solo per questo.»
Con questa ultima frase, la invitava implicitamente a continuare la discussione a meno che non volesse terminarla lì, e a Konstantin sarebbe andato bene lo stesso.

«Che cosa succederà quando si risveglierà?» chiese a bruciapelo.

Era una domanda che avrebbe voluto fare all’uomo dal momento stesso in cui seppe che Sam era viva. Il percorso che aveva intrapreso era pieno di ostacoli, lo sapeva bene fin dall’inizio, ma quella notizia aveva segnato un’ulteriore complicazione nel suo percorso. Nonostante la sua umanità le suggerisse che non dovesse pensare alla vita di una ragazza come ostacolo, nella realtà dei fatti era tale. Si stupì lei stessa di come, in un angolino del suo cuore, avesse sperato per più di un momento, che quella povera ragazza non si fosse mai più risvegliata dal suo sonno.
Era una domanda che andava a toccare le ferite ancora fresche di Konstantin, «Non te ne devi preoccupare, non verrà a reclamare il suo nome.»

«Chi mi dà questa certezza?»

«La certezza sta nel fatto che, da contratto, continui a versare una percentuale di denaro all’agenzia che hai contattato. Non è tra i loro interessi che ti faccia scoprire o perda la posizione.»

«Tu ne fai parte, come potrei crederti?»

«Infatti, non devi. Il mio compito è proprio assicurarmi che non accada nulla di tutto ciò, sono solo un cane da guardia, non ho controllo su tutto questo» concluse con una nota di amarezza.

«Se tu avessi il controllo invece, cosa faresti?» Clarke voleva metterlo alle strette e ci stava riuscendo perché l’uomo scosse la testa alzando le mani in aria,

«Nono sono venuto qui per questo. Forse è stato uno sbaglio venire stasera» si volse in direzione dell’uscita intento ad andarsene.

«Cosa fai? Scappi?» gli urlò dietro, «Come puoi chiedermi di crederti se è questa la tua reazione? Non pensi che anche io meriti una risposta? Cerca di darmi un motivo per fidarmi di te.»

Konstantin fermò i suoi passi e cercò gli occhi di Clarke, un momento quasi interminabile, «Vuoi sapere cosa farei? Ti avrei detto che tutto ciò non è la risposta ai tuoi problemi, che la vita è molto più che una categoria in cui essere classificati, ti avrei detto che sei giovane e hai la vita davanti, ti avrei detto
di essere felice per quello che hai e vivere in serenità… con le persone che ami.»

«Non hai letto il mio file? Dovresti sapere che non mi è rimasto più nessuno.»

«Sei sicura di quello che dici?»

Gli occhi di Clarke erano diventati ostili, due fessure, «Ho detto che non ho più nessuno» sibilò, «Cosa ne puoi sapere Konstantin, se è davvero questo il tuo nome, di come sia stata la mia vita e di cosa non abbia fatto per arrivare fin qui? Persone perfette come voi cosa potranno mai sapere?»

«Siamo più simili di quanto credi, Clarke» era la prima volta che Clarke sentiva l’uomo chiamarla per nome, per un momento rimase sorpresa.

«Lo trovo difficile da credere.»

«Io non sono come Sam…» il silenziò calò, riempito solo dal ticchettio dell’orologio che era scomparso durante tutta la discussione, «Sono come te, Clarke. Imperfetto.»

Quella confessione improvvisa aveva fatto zittire la ragazza, forse era anche la prima volta che l’uomo diceva qualcosa riguardo sé stesso.

«Tu dici che non capisco, ma capisco meglio di tutti quello che si prova a non rientrare tra i perfetti, non esserlo è come un’ombra che certe volte ti inghiottisce, ma a me non importava, finché c’era Sam… la mia vita era piena con la mia famiglia. Avrei barattato tutto di me per salvarla, ma ironicamente, vale di più una ragazza morta di me.»

«Ti sei appena risposto, è questa la differenza tra noi. Non siamo uguali.»
 
 


 
 


Un leggero mal di testa aveva accompagnato il suo risveglio quel giorno. Il cielo era ancora buio quando Clarke si alzò e avvolse in un morbido cardigan di lana sui suoi vestiti stropicciati. Passando da una stanza all’altra si accorse che la luce era rimasta accesa tutta la notte, un piccolo conforto nel mattino ancora addormentato.
La sera prima, dopo che Kostantin era andato via, era stata a lungo seduta tra quelle quattro mura a finire la bottiglia, ma anche tra i fumi dell’alcol non poteva fare a meno di ripensare alla discussione avuta.
Quella mattina sentiva tutto quanto troppo pesante, complice la nottata insonne che aveva avuto probabilmente. Il sonno era stato così disturbato e agitato che si sentiva meno riposata di quando era andata a letto. 
Poteva avvertire la stanchezza del posto di lavoro con i suoi miti e riti sempre uguali e infrangibili: il risveglio, l’ingresso, la timbratura del badge, il pranzo, il caffè con i colleghi, i rapporti, gli aggiornamenti, le scartoffie e così dicendo.
Regole, procedure, processi. Avrebbe voluto solo non essere mai uscita dal letto quel giorno.

«Wow, ti sei data alla pazza gioia ieri? Hai una pessima cera» esclamò Bellamy appoggiandosi alla sua scrivania.

«Mi hai appena data della brutta?»

«Se lo fossi non ti avrei invitata ad uscire» rispose beffardo.

«Ma tu non mi hai invitata ad uscire.»

«Esatto» rise scherzosamente.

«Siamo simpatici stamattina, ti è capitato qualcosa di bello?»

«Bella no, ma brutta sì.»

Clarke fece una finta smorfia e cercò di tirare una gomitata al ragazzo, «Sei pessimo, Blake. È molto più carina tua sorella, lei sì che è una dolce ragazza.»

«Ma se non vi parlate nemmeno.»

«Esattamente».

Il ragazzo scosse la testa divertito, Clarke si alzò dalla sua scrivania e si voltò nella sua direzione «Senti, andiamo a prenderci un caffè. Se non fossi arrivato tu a darmi fastidio credo mi sarei addormentata sulla scrivania.»

«Quindi ti ho salvata.»

«Piuttosto mi hai disturbata.»

«Non importa se bene o male, l’importante è che se ne parli» affermò convinto.

«Ma non hai qualcun altro da tormentare?»

«Sì ma ora ho voglia di un caffè quindi devo per forza fare il tuo stesso tragitto.»

In caffetteria c’era un brusio assordante, affollata com’era dai dipendenti del complesso.
Era l’orario di punta dopotutto, nonostante fosse passata l’ora di pranzo, molti si fermavano a fare quattro chiacchiere con colleghi e conoscenti, un marasma di vita.

«Tu hai già mangiato?» chiese Bellamy.

«Sì, ho pranzato con Raven prima che finisse tutto. Ogni tanto mi fa piacere evitare la folla.»

Bellamy diede una veloce occhiata a cosa ci fosse da mangiare ma non c’era nulla che gli sembrasse invitante. Rimase sull’idea iniziale e optò per un caffè insieme a Clarke.
Lei vide che lo sguardo del ragazzo aveva vagato per un momento tra i piatti rimasti, «Non hai ancora pranzato?»

«No, ma non c’è niente che mi attiri. Rimango per un caffè.»
Clarke tornò con due bicchieri in mano ma, prima che i suoi riflessi potessero salvarla, una donna le piombò addosso, dandole una spallata.
Il liquido di uno dei due bicchieri si versò per terra mentre man mano la macchia si espandeva sul pavimento.

«Cazzo.»

«Mi scusi» disse una voce alterata. La donna aveva lo sguardo visibilmente nervoso, e come le era finita addosso, presto scomparve nella folla.

«Ma che modi sono questi?!» esclamò Bellamy, «Ma chi era quella pazza?»

«Una che aveva molta fretta direi» si chinò a pulire blandamente il disastro per terra, «Tieni, questo è per te. Io ne prendo un altro e ti raggiungo» guardò il pavimento «E magari avviso anche che devono pulire qui prima che qualcuno ci scivoli sopra.»

 Si diresse in direzione del bancone per ordinare un altro caffè, erano poche le persone che stavano lì. Avrebbe fatto in fretta almeno.

«Mi scusi, mi può fare un altro caffè?»

«Due, per favore» la voce corresse l’ordine di Clarke mentre si affacciava accanto alla ragazza.

«Lexa!»

«Spero non ti dispiaccia che mi sia aggiunta» disse, «Devo tornare subito al lavoro e non ho proprio tempo di fare la fila.»

«No, assolutamente. Se l’avessi saputo te ne avrei portato uno.»

Lexa le sorrise. Si scambiarono un veloce sguardo.
Il silenzio venne riempito dal vociare continuo delle persone, non avevano ancora avuto occasione di parlarsi dopo quello che era successo la scorsa notte. Chissà quanto di quella notte aveva sentito. E se così fosse cosa avrebbe fatto.
Le parole di Konstantin risuonavano nella sua testa, coprendo tutto il rumore di quella sala, si ripetevano insistentemente. Che le piacesse o meno l’uomo aveva ragione. Doveva assicurarsi che non trapelasse niente, doveva verificare se e quanto ne sapesse Lexa. Doveva scoprirlo.
Le bevande furono pronte pochi minuti dopo e Lexa non diede la possibilità di pagare a Clarke, era un ringraziamento per averle permesso di saltare la fila.

«Sei libera domani sera? Credo di doverti ancora un drink» scherzò, «devo ringraziarti ancora per ieri.»

«Sai, ho avuto modo di rifletterci. Non è molto professionale da parte mia uscire con un mio sottoposto.»

«Non ti sto chiedendo di sposarci, vorrei solo poterti ringraziare, Lexa» cercò di convincerla.

«Apprezzo il gesto ma-»

«Niente ma, senti ci penso io ok?»

Il suo sguardo vagò per un momento sul bicchiere che teneva in mano, «Domani sera non posso, sono libera solo il week end.»

«Conosco il posto perfetto.»

«Okay allora…» disse alla fine rassegnata, «e Sam… Fai in fretta e torna al lavoro, intesi?»

Clarke scattò sull’attenti, «Certo, capo.»
E con quello Lexa si congedò, sparendo verso l’uscita mentre si destreggiava ad evitare le persone che incontrava. La sua figura si muoveva con eleganza e sicurezza mentre il rumore dei tacchi accompagnava ogni suo passo, l’occhio veniva ipnotizzato della figura di spalle finché non scomparve dalla visuale.

«Da quando in qua siete amiche voi due?» la voce di Bellamy arrivò alle orecchie della ragazza.

«E tu da quanto tempo stavi ascoltando?» chiese di rimando.

«Da abbastanza direi, stavo venendo a dirti che non c’era posto qua dentro, dovremmo andare fuori.»

«Si ti prego, non riesco più a respirare qui.»

«Non mi hai detto da quando siete amiche voi due.»

«Perché non lo siamo.»

«Non mi sembrava, vi davate persino del tu» lo disse con un tono di fastidio.

«Ma perché stiamo parlando di questo?»

«Perché non dovremmo parlarne?»

«Perché sembra quasi che tu sia geloso, Bellamy.» gli disse compiaciuta, prima di dirigersi verso l’esterno.

Bellamy rise, «Stavo solo cercando di conversare, Sam.»
Era forse geloso? Forse semplicemente Sam aveva colpito nel segno. Se quella era gelosia, beh, quell’emozione proprio non gli piaceva. Era abbastanza facile per lui trovare qualcuno con cui soddisfare la propria libidine, dopotutto. Erano tante le donne che si sarebbero offerte a lui, ma Clarke non sembrava una di quelle, e questo un po' feriva il suo ego.
Si fermarono in una zona che dava l’enorme piazzale come vista, l’aria era frizzantina e rinfrescava i polmoni ad ogni respiro. Clarke si portò alla bocca la bevanda che aveva in mano, dopo tutto quel tran-tran finalmente poteva permettersi un momento di tranquillità per bere in santa pace. Prese un sorso.

«Dio, che schifo» una smorfia di disgusto apparve sul suo viso.

«Eh già, a volte mi chiedo anche io come possano chiamare questi biberoni caffè. Sembra sempre annacquata.»

«E ho perso pure tutto questo tempo per farmelo rifare. A saperlo stringevo la mano a quella che me l’ha buttato per terra e l’avrei ringraziata.»

«Conosco un posto dove fanno un caffè fantastico. Si trova non troppo lontano da qui, dovremmo andarci qualche volta.»

Alzò un sopracciglio e lo stuzzicò, «Bellamy Blake, mi stai forse invitando ad uscire con te? Non mi hai dato della brutta giusto mezz’ora fa?»

«Infatti, non ti sto invitando fuori. Voglio far conoscere a una mia amica un posto dove bere caffè decente senza avere conati» le sorrise con una certa complicità, «Che ne dici quindi?»

«Ti lascio con il dubbio, devo tornare al lavoro. Siamo stati anche per troppo tempo qui fuori.»

«Ora che Lexa è tua amica possiamo anche fare tardi, no?»

«Hai il coraggio di provarci?» gli chiese sfidandolo.

«Credo di no. Quella donna mi metti in soggezione, è sempre così stronza, credo di non esserle simpatico. Meglio che torniamo dentro, mi stanno aspettando in laboratorio.»

 
 

 




 
«Quindi anche voi esseri perfetti vi aggirate nei bassifondi. Pensavo fosse un vizio solo della tua amica.»

Due occhi, quasi rettiliani, la fissavano mentre le mani erano occupate a lucidare un boccale. Murphy, era questo il suo nome se non ricordava male, capelli tirati e camicia nera, stava dietro al balcone proprio come l’altra volta.

«Chi ti dice che sia una di loro?»

«Chi ti dice che sia scemo?»

Clarke rise.

«Non si risponde a una domanda con un’altra domanda» lo ammonì.

«Mi dispiace principessa ma qui è già tanto se ti rispondono.»

«Toglimi una curiosità, che ci fa Raven con uno come te?»

Murphy la guardò con un sopracciglio alzato.

«Ci stai provando con me, biondina?» le chiese divertito.

Forse aveva capito perché Raven amava passare il tempo nel pub di Murphy, il sarcasmo tagliente del barista era una boccata d’aria fresca nelle noiose giornate passate in mezzo ai colleghi.

«Meno chiacchiere e più alcool, grazie.»

«Sai, potrei farti la stessa domanda. Che ci fai con una come Raven? Hai l’aria di una che ha la puzza sotto il naso» concluse mentre le versava un drink nel bicchiere.

«Non sai quanto ti sbagli, amico mio.»

«Beh ti sei appena sbagliata, non sono tuo amico.»

«Sei sulla strada giusta per perdere una cliente, lo sai?»

Murphy si stava divertendo in quel battibecco, alzò le mani in segno di resa, «Offre la casa questo giro» e scomparve dalla vista di Clarke, impegnato a servire altri clienti che stavano iniziando a popolare il locale.
Mentre si portava il boccale alle labbra, soltanto un tremito quasi impercettibile della mano rivelò la sua sorpresa per quella voce profonda che si era levata alle sue spalle, «Buonasera.»

«Eccoti Lexa!» si girò alle sue spalle, «Spero che tu non abbia avuto difficoltà a trovare il posto.»

Lexa presto si sedette al balcone insieme a Clarke e prima ancora che ordinasse, Murphy le porse un cocktail davanti.

«Spero non ti dispiaccia, ho ordinato un giro anche per te. Il barman ha detto che i cocktail con l’ombrellino piacciono a tutti quanti. C’era anche la variante con la bandierina ma mi sembri più tipo da ombrellino.»

«Molto scenografico.»

«Mi fa piacere che ti piaccia.»

Lexa prese un sorso e il sapore fruttato le riempì la bocca. Aveva ragione in effetti, non era affatto male. Doveva farsi dire il nome del cocktail prima di andarsene.

«Come conosci questo posto? C’è un’atmosfera molto… originale qui» lo disse con poca convinzione.

«Me l’hanno fatto conoscere alcuni amici. C’è sempre un’aria molto interessante in questo posto e inoltre è un locale che difficilmente i nostri colleghi frequenterebbero» ripensò a Raven, «In teoria.»

Se Lexa era preoccupata che sarebbe stato poco professionale farsi vedere in giro insieme allora se nessuno le avesse viste, il problema non sussisteva.

«Come sta tuo zio?» chiese a bruciapelo, quasi disinteressata mentre giocherellava con la cannuccia.

Clarke non si lasciò sorprendere da quella domanda, anzi, se lo aspettava «Sta bene, grazie. È dovuto andare via subito dopo. Emergenza di lavoro.»
Quando sapeva realmente Lexa di quella sera?

«Purtroppo, quando il lavoro chiama bisogna rispondere. A proposito, che lavoro fa?»

«Non mi parla mai del suo lavoro, preferisce lasciare le questioni di lavoro al lavoro. Mi pare abbia un impiego in un’azienda, ma lo riempiono di mansioni e lo caricano di cose da fare.»

«Capisco, è un vero peccato. L’altra notte mi sembrava davvero arrabbiato quando sei tornata a casa.»

«A tal proposito, volevo chiedere scusa per l’accaduto. Era venuto a trovarmi e non mi ha trovata, si era preoccupato.»

«E ha pensato bene di aspettarti al buio in casa.»

«Sì, potrebbe sembrare strano ma-»

«Non sembrava strano. È strano» stava testando Clarke, il tono quasi fosse una battuta ma gli occhi erano indagatori.

Quella conversazione stava andando nella direzione più sbagliata possibile ma almeno Clarke ora aveva la certezza che a Lexa quella notte qualcosa non era quadrato. Doveva rimediare prima che potesse scavare ancora più a fondo. Doveva farlo al più presto possibile.
Serviva solo una versione credibile.

«Mio zio è piuttosto strano e ha modi molto insoliti nel fare le cose. A volte non può fare a meno di essere inquietante e spaventare tutti» cercò di ridere e sembrare più naturale possibile, «Da piccola mi spaventavano le sue visite, dicevo sempre ai miei genitori che mi metteva paura e piangevo ogni volta che lo vedevo» il suo sguardo si perse come se stesse avendo un flashback di quei giorni, ormai passati. Lexa la ascoltava raccontare di quei piccoli momenti d’infanzia, mentre con la coda dell’occhio cercava di scrutare le sue reazioni.

«E quindi-»

«Sam!» una voce fece girare entrambe.

Il tempismo, quello perfetto, a volte è capriccioso e può cambiare la vita delle persone, letteralmente. In quell’occasione, se fosse esistito un premio per il tempismo, Clarke gliel’avrebbe conferito con tutti gli onori.

«Raven!»

La ragazza si stava facendo largo tra gli altri presenti del locale, in una mano teneva un drink mentre con l’altra cercava di salutare agitandola sopra la testa. Si avvicinava tenendo gli occhi fissi sull’amica, probabilmente non aveva notato la presenza della compagnia con cui era.

«Che sorpresa, Sam! Perché non mi hai detto che eri qui?»

Clarke non riuscì a trattenere un sorriso, «Raven! Che bello vederti» e lo pensava per davvero, «Come mai anche tu qui?»

«Ma che domande» alzò poi la mano dove teneva la bevanda, «Quello per cui sei qui anche tu no? E inoltre non sarei una brava fidanzata se non ti tenessi d’occhio, ho saputo che oggi qualcuno ti ha chiesto di prendere un caffè , eh» disse con un tocco di malizia verso l’allusione.

Lexa si schiarì la gola attirando l’attenzione di entrambe, «Buonasera, Reyes.»
Raven girò verso l’altra figura, le ci volle un momento per realizzare chi fosse di fronte a lei, «B-Buonasera, signorina Woods. Che cosa- che bella coincidenza.» era piuttosto disorientata, aggrottò le sopracciglia con un’espressione perplessa, «Anche lei qua. Seduta accanto a Sam. Mh…» solo allora ipotizzò che probabilmente le donne erano venute insieme, «Ehm... forse ho disturbato, mi stanno aspettando. Dovrei proprio andare, vi auguro buon proseguimento» disse infine imbarazzata.
Nel mentre, a Clarke balenò in testa un’idea. Forse la risposta a tutti i sospetti di Lexa era davanti ai suoi occhi.
Raven.

«No, Raven. Per favore, resta.» si spostò in direzione dell’amica e dolcemente le prese per il polso, un gesto che la bruna notò subito come inconsueta, «Lexa, credo sia inutile nasconderlo adesso» prese un sospiro e lo disse tutto d’un fiato, «Io e lei stiamo insieme.»

Raven non stava capendo più niente di tutto quello che le stava accadendo attorno, forse era la musica assordante che le comprometteva l’udito e la comprensione delle cose dette ma aveva giurato di aver sentito Sam che affermava davanti al loro capo che intrattenevano una relazione insieme.

«Noi due, cosa?» chiese perplessa.

Lexa era perplessa quanto Raven, perché Sam le stava dicendo una cosa del genere? E da quanto andava avanti la loro storia? Non aveva notato mai nulla che potesse indicare un legame sentimentale tra le due, eppure era quello che le stava dicendo.
Fece mente locale e ripensò a quelle piccole cose e gesti che aveva sempre visto e che avrebbero potuto essere cariche di sentimento tra quelle due ragazze. Alla fine, le vere risposte, come le vere domande, non sono fatte di parole: sono fatte di azioni, di gesti, di atti, di opere in cui possono anche essere compresse le parole e i significati più profondi.
Da qualche parte dentro di lei, c’era qualcosa che le dava fastidio di quella confessione.

«Sì, era un segreto che volevamo tenere per noi, anche per evitare situazioni spiacevoli sul lavoro, ma credo di dovertelo confessare per poterti spiegare come stanno le cose» affermò guardando l’amica, con i suoi occhi azzurri cercava di chiederle un segno di complicità, «Mio zio, purtroppo non approva tutto ciò e… non avendo mai incontrato Raven, ti ha scambiata per lei. Sono davvero desolata che si sia comportato in quel modo irrispettoso.»

«Sì, lo zio di Sam è molto conservatore ed è sempre stato molto restìo ad accettare la nostra relazione» ammise complice, «È davvero dura per Sam» concluse portandosi la mano sugli occhi, come presa da un momento di emozione, «Per noi.»
Il segreto era trovare una versione credibile e aggiungere quel tocco di ingiustizia e sentimentalismo, atto a scuotere l’empatia delle persone.
Clarke rimase stupita di come Raven fosse entrata immediatamente nella parte, senza nemmeno tante spiegazioni. Non era brava solo con la meccanica, fisica e quant’altro, era una vera maestra anche nella recitazione. Se non fosse stata lei l’altra bugiarda, sarebbe stata ingannata dalle sue parole.

«Mi spiace molto per la vostra situazione» disse Lexa, si sentiva a disagio per come si erano messe le cose. Un senso di colpa iniziò a pervaderla, le dispiaceva davvero per quello che dovevano vivere, aveva anche messo Sam in una posizione difficile. I suoi sospetti l’avevano costretta a venire allo scoperto, dopotutto non erano affari suoi.

«Lexa non potevi saperlo, mi vorrei solo scusare per il disagio e tutta la situazione surreale che si era creata. Oltre al passaggio, vorrei ringraziarti anche per la tua pazienza e comprensione.»

«Se ti serviva un passaggio potevi chiamarmi sai?» si intromise la sua presunta ragazza, «Non c’è bisogno che ti dica che puoi chiamarmi in qualunque momento.»

La serata continuò così, leggera e scorrevole. Dopo un primo momento di disorientamento, Raven aveva iniziato a divertirsi a sguazzare in quella situazione. Forse fin troppo. Ci stava prendendo la mano.

«Da quanto tempo state insieme?»

«Da poco tempo in realtà, ma Sam mi veniva dietro già da molto» rispose Raven, «Mi ha confessato che si struggeva per me.»

«Sì, ma non scendiamo in questi dettagli imbarazzanti» cercava Clarke di salvare almeno un po' della sua dignità.

Probabilmente era una delle serate più inusuali e divertenti a cui aveva mai partecipato ultimamente, non capitava tutti i giorni di bere con il proprio superiore e ubriacarlo a furia di alcool e frottole.
Quell’incontro inaspettato aveva ribaltato tutta la situazione, poteva considerarsi un incontro molto pasticciato ma di fatto aveva cambiato la situazione. Durante il corso della serata l’atmosfera si era allentata e la spigliata Raven era riuscita con le sue risposte a confermare quella nuova verità, a cui Lexa sembrava ormai essersi abituata.




 

 
 

Ciao, scusate per il ritardo. Da una parte per i vari impegni, dall'altra ho voluto rifare tutta la presentazione dei vari capitoli e ammetto di aver perso un pò di tempo.
​Dovrebbe risultare più semplice e fluido 
da leggere ora. 
Per quanto riguarda la storia spero che non vi stiate annoiando, la narrazione sta procedendo un pò lentina perchè vorrei andare per gradi. Fatemi sapere cosa ne pensate. 

Un abbraccio °u°
  
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