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Autore: Scarlet Jaeger    09/10/2018    1 recensioni
"Ma a volte
l'amicizia fra maschio e femmina non è fatta per
durare a
lungo, perché prima o poi uno dei due finisce per innamorarsi
dell'altro."
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13- Partenza per il campionato mondiale.
 
 
Le parole di mio nonno, pronunciate non molti giorni prima, continuavano a ronzarmi nelle orecchie, accrescendo il mio buon umore e, nonostante tutto, la mia ansia.
Dopo la finale nazionale ho continuato a vedere Takao, Max, stabilito da suo padre in pianta stabile, e il prof Kappa. Con mio sommo dispiacere non avevo più visto Rei, e in quei momenti ero assolutamente certa che non avrei più avuto questo piacere. Continuavo a passare i pomeriggi in casa Kinomiya, con il padrone di casa che continuava a raccontarmi di quando si erano conosciuti con mio nonno e del rispetto che egli provava per lui, ma assistevo anche ai lunghi discorsi sull’imminente partenza dei tre ragazzi. Max e Takao erano stati scelti, insieme a Rei e Kai per formare la squadra che avrebbe difeso i nostri colori, mentre il Prof era stato designato come meccanico, riserva, allenatore e qualsiasi ruolo avesse ricoperto. Mio nonno li avrebbe seguiti e guidati, in qualità di coach e tutore, in quanto tutti e cinque i ragazzi fossero minorenni.
Io invece?
Ovviamente non ero stata contemplata, perché avevo perso la mia occasione venendo sconfitta da Rei. Devo ammettere che quella sconfitta mi bruciava ancora, nonostante fosse stato Rei a infliggerla, Rei che avevo leggermente imparato a conoscere e ad apprezzare. Ma, nonostante ciò, mi aveva precluso la possibilità di girare il mondo e sfidare e conoscere altri Blader di livello mondiale.
A quattro giorni dall’imminente partenza dei sei, mi ritrovai a rigirare il cucchiaio nel latte con la mente assorta dai molti pensieri e dall’amarezza che pian piano si faceva strada nel mio cuore. Sarei stata privata dei miei amici, di mio nonno e dei ragazzi che, volente o nolente, avevano toccato il mio cuore. Sarei stata sola in quei maledetti giorni, in ansia e con la testa tra le nuvole a pensare a loro. Forse per questo che prese la decisione di farmi partire con loro.
«Dici sul serio? Veramente?» scattai sull’attenti appena la mia mente fu sicura di ciò che avevano sentito le mie orecchie. Avevo lasciato cadere il cucchiaio sul tavolo, schizzando latte ovunque insieme ai cereali, ma non mi stava importanto molto in quel momento. Ero assolutamente certa di quel che avevo sentito, perché lui stava annuendo amorevolmente.
«Non te l’ho voluto dire subito, prima volevo essere sicuro di riuscire ad assicurarti un posto in squadra che andasse bene alla federazione. Sarai parte della squadra in qualità di assistente e manager. Hai una buona manualità e conoscenza per riuscire a dare una mano al Prof Kappa. Cosa ne dici?» mi disse, ma io già saltellavo per la stanza, fino a che non lo abbracciai con forza.
«Grazie, grazie!» cinguettai in risposta, mentre con la mano mi accarezzava i capelli.
Sarei partita con i ragazzi, e anche se non avrei sicuramente potuto gareggiare, mi andava benissimo così. Avrei condiviso gioie e dolori con quelli che, oramai, consideravo quasi fratelli. In più mi stava offrendo la possibilità di provare a riavvicinarmi a Kai. Non faticavo a credere che io, Rei, Takao, Max e il Prof saremmo andati d’accordo ed avremmo incrementato il nostro legame…ma lui? Come si sarebbe comportato Hiwatari in questa convivenza forzata? Non vedevo l’ora di scoprirlo, anche a mie spese…
Mi ritrovai a fare le valigie convulsamente la sera prima, schiaffandoci dentro capi con poche cerimonie. Ero stata così presa dalla partenza, di dirlo ai ragazzi e di affrontare con loro i lunghi discorsi su cosa avremmo dovuto affrontare insieme in quel percorso che mi ero materialmente dimenticata che mi sarebbero servite le valigie…Mi era stato categoricamente proibito di portarne più di una, e che non superasse una certa mole. Una valigia di 40Kg non sarebbe comunque stata ammessa. Con la scusa che ero femmina e le femmine portano sempre troppa roba, facendo ridere di gusto nonno Jay, Max ci rese presente di quanta roba portava sua madre quando tornava in Giappone. Anche mio nonno fu del mio stesso avviso, e probabilmente ci fu il suo zampino quando mia madre mi portò una misera valigia di taglia media, dicendomi di farci entrare tutto l’occorrente piegandolo a modo.
«Tanto potrai fare le lavatrici tesoro» si esibì quella stessa sera e fu per quello che mi decisi a infilarci tutto con poca grazia, con un diavolo per capello. L’unica cosa che ci adagiai cautamente fu la valigetta del mio bey, con i pezzi di ricambio e ciò che mi sarebbe servito per ricoprire il mio ruolo.
Quella sera mi addormentai felice e, lo ammetto, a un’ora tarda. Non riuscivo ad addormentarmi, pensavo e ripensavo a quel che avrei vissuto e l’ansia e la trepidazione si erano impossessate di me. Mi ero acciambellata sotto le coperte con il mio fidato Star Pegaso al mio fianco e mi rizzai in piedi al primo suono della sveglia, cosa per me alquanto rara. Questo per dire quanto ero impaziente di raggiungere l’aeroporto. Solo una volta in volo mi sarei convinta del fatto che quel che stavo vivendo fosse reale!
Takao arrivò correndo mentre stavamo per avviarci verso l’imbarco, con nonno Jay che imprecava dietro il nipote rimarcando il fatto che fosse sempre in ritardo; il prof Kappa correva dietro di loro, mentre Max era arrivato poco prima con suo padre, che era perso in una lunga chiacchierata con mio nonno. Né Rei né Kai si vedevano, nemmeno quando fummo prossimi a salire sul possente mezzo e dopo aver salutato Kinomiya senior e il signor Mizuhara. Mio nonno però non sembrava particolarmente turbato, quindi non facemmo domande. Ci piazzammo ognuno al posto assegnato sul biglietto della compagnia aerea: Takao vicino a Max, il Prof Kappa vicino a mio nonno ed io in un posto vuoto del corridoio di mezzo. Alla mia destra sedeva una vecchia signora, che sembrava sul punto di addormentarsi, mentre alla mia sinistra c’era un posto vuoto e mi ritrovai a chiedermi tra me e me a chi fosse stato assegnato.
Il mio dubbio venne dissipato non molti minuti dopo, mentre tutti erano ancora presi dalle loro conversazioni da non essersi accorti che due dei loro compagni di squadra ancora non si erano ancora fatti vedere. Inoltre l’aereo aveva oramai acceso i motori.
Solo io ero in ansia? Ma forse sì, e dento di me sapevo anche il perché.
Quando oramai mi ero rassegnata a viaggiare con il posto vuoto alla mia sinistra, vidi un’ombra passarmi vicino, intenta a leggere i numeri dei posti sopra i seggiolini, inchiodandosi proprio di fronte al posto vuoto accanto a me. Voltai appena la testa e mi persi negli occhi ametista di Kai, la cui espressione era quasi incredula quanto la mia. Spostò leggermente lo sguardo dai miei occhi per osservare meglio il numero assegnato sul suo biglietto e lo sentii sbuffare leggermente prima di sedersi, conscio che avrebbe dovuto affrontare il viaggio seduto accanto ad una persona indigesta.
Devo dire che la sua espressione menefreghista e un po’ schifata mi fece male, nonostante già sapevo che era stato mio nonno ad assegnarli il posto accanto a me. Non lo avrebbe messo accanto a nessuno degli altri ragazzi della squadra, oltre forse a lui stesso, ma forse era stato sicuro che, tenerlo legato a lui per tutto quel tempo non avrebbe migliorato l’umore già tetro di Hiwatari, che sembrava giunto lì quasi sotto costrizione.
Quando partimmo, appresi dai discorsi che sentivo provenire dai sedili accanto a noi (eravamo nella fila del prof e di mio nonno, divisi solo dal piccolo corridoio), che Rei era già partito qualche giorno prima e ci avrebbe aspettato nell’albergo in cui eravamo diretti, in una città della Cina. Personalmente non vedevo l’ora di rivederlo, e a quanto capii anche gli altri. Ovviamente tutti tranne Kai, che se ne stava imbronciato con le braccia conserte al petto e gli occhi chiusi. Non stava dormendo però, il suo respiro non era così regolare.
In più era la prima volta, dopo il torneo, che avevo la possibilità di parlargli e stargli così accanto, nonostante fossimo nella stessa classe. E la cosa non gli stava certo piacendo. Ero sicura che, se avesse potuto, avrebbe volentieri scambiato il suo posto con una persona seduta il più lontano possibile da tutti noi. Ma non poteva allontanarsi più di tanto, né scendere dall’aereo o ignorarmi. Ok, forse ignorarmi gli sarebbe venuto piuttosto bene, ma confidai nel contrario quando mi rivolsi a lui, dopo circa quindici minuti che l’aereo si era assestato in volo in direzione della nostra meta.
«Sei nervoso?» gli chiesi, mentre il cuore mi batteva all’impazzata. La mia mente stava virtualmente passando in rassegna ogni sua possibile reazione. Immaginai Kai che mi mandava a quel paese, Kai che poco carinamente mi diceva di non rivolgergli la parola o addirittura che si faceva impunemente cambiare di posto perché lo importunavo. Però, a dispetto di tutto ciò che avevo immaginato, si voltò lentamente verso di me con uno sguardo quasi indifferente. Beh, almeno non mi aveva fulminata.
«Tsè, figurarsi…» mi rispose, con il suo solito poco tatto.
«Scusa…» mi ritrovai a dire io, senza neanche aver collegato il cervello, con il tono di voce incredibilmente indignato. Mi scusavo per avergli rivolto parola, seriamente? Ma oramai il danno era fatto e mi dovetti subire un’occhiataccia prima di poter tirare un sospiro di sollievo, dopo che voltò di nuovo la faccia per guardare il sedile di fronte a lui.
«No. Non sono nervoso, sono emozionato di poter finalmente sfidare i blader più forti del mondo» ammise sinceramente e mi sembrò come se parlasse più a sé stesso che a me, visto che non si era nemmeno degnato di guardarmi.
Dopo le sue parole rimasi in silenzio, perché per la prima volta non sapevo cosa rispondere e come comportarmi. Ero sempre in ansia quando gli rivolgevo parola, perché non riuscivo mai a capire come avrebbe reagito. Era lontanamente diverso dal Kai che avevo conosciuto. Se ci fosse stato il ragazzino che avevo imparato a conoscere, probabilmente in quel momento saremmo statati presi dalla conversazione, a parlare fitto fitto come un tempo, a ridere, scherzare e fantasticare su ciò che ci stavamo apprestando a vivere. Saremmo scesi dall’aereo insieme e sarei stata ancora più felice di condividere quei momenti con lui. Ma quel Kai non aveva neanche la forza di guardarmi negli occhi, come se io non fossi altro che uno scarafaggio che per lui non valeva nemmeno la pena di essere schiacciato.
«Tu invece perché sei qua?» parlò invece, destandomi dai miei pensieri, e dovetti immagazzinare bene la domanda prima di riuscire a rispondere, soprattutto perché mi aveva spiazzata. In tutti i sensi. Non mi sarei mai aspettata quella frase, né che mi avrebbe rivolto parola.
«Io…sarò insieme a voi in veste di aiutante del Prof. Modestamente ci capisco qualcosa di Beblade. Lo sapresti anche tu se…» ma le parole mi morirono in gola in seguito all’occhiata sprezzante che mi aveva appena lanciato, con quegli occhi ametista puntati nei miei.
«Ti ho già ripetuto che non ti conosco. Non mi ricordo di te e se anche ci conoscessimo, oramai per me non ha alcuna importanza» mi disse, sprezzante come solo lui sapeva essere. Mi aveva pugnalata di nuovo, una seconda volta, ed io ero stata così incoscientemente stupida da aver riaffrontato con lui quel discorso. Oramai dovevo averlo capito che io per lui non sarei più stata l’affettuosa amica d’infanzia con cui aveva condiviso i primi anni della sua vita. E forse, prima l’avrei capito prima sarei riuscita a stare in pace con me stessa e con lui. Sarebbe stato facile, no? Dovevo solo auto convincermi che il ragazzo accanto a me era solo un omonimo del mio vecchio amico, una persona che gli assomigliava solamente fisicamente, perché caratterialmente era impossibile che fossero la stessa persona. E io mi dovevo solo comportare di conseguenza. In fondo non mi era stato difficile trattare Rei alla sua stessa maniera durante nostro incontro al torneo nazionale. Era stato sprezzante e canzonatorio e io lo ero stata alla stessa maniera. Dovevo solo fare lo stesso.
«Hai ragione Hiwatari» ripresi parola io, cercando di eguagliare i suoi toni menefreghisti e chiamandolo volutamente per cognome, per rimarcare il fatto che lui per me, rispetto agli altri ragazzi, era solo uno sconosciuto. «Il ragazzo che conoscevo non mi avrebbe mai trattata in questa maniera».
Alzai il mento in un’espressione volutamente solenne, assottigliando lo sguardo per fronteggiarlo, ma lui sbuffò solamente, voltando definitivamente lo sguardo dall’altra parte, in direzione degli altri ragazzi ma senza veramente osservarli. Quasi mi pentii di aver usato quel tono con lui. Avevo l’impressione che, così facendo, lo avrei allontanato di più invece che riavvicinato. Non era certo il modo più delicato per riavvicinarmi a lui, ma se l’era cercata.
 
Per tutto il resto del viaggio, Kai non si azzardò più a rivolgermi la parola né uno sguardo. Tenne costantemente lo sguardo dall’altra parte, ignorandomi bellamente e io non potetti fare a meno di tenere lo sguardo imbronciato dritto sul sedile anteriore, fino a che non mi addormentai con la testa ciondolante di lato, per fortuna quello destro, come se anche il mio subconscio fosse stato ben attento a non disturbarlo.
«Wow, che bello, siamo arrivati! Ma dove si trova il palazzo del torneo, non lo vedo!» disse Takao, esibendosi in uno dei suoi commenti fuori luogo mentre si voltava a destra e sinistra fuori dalle porte dell’aeroporto.
«Mi dispiace deluderti Takao ma il palazzo del torneo non è qui. Qui siamo a Hong Kong, mentre il campionato si terrà nella Cina continentale» lo illuminò il prof Kappa e, sinceramente, mi meravigliavo sempre di trovarlo così bene informato. Ma poi mi ricordai che era stato seduto accanto a mio nonno per tutto il viaggio e Takao probabilmente si era distratto per altrettante ore.
«Quindi non siamo arrivati…» afflosciò le spalle con un sonoro sbuffetto, ma mio nonno salvò la situazione mentre faceva cenno a due signori di avvicinarsi.
«No, non ancora, questo è solo uno scalo tecnico, l’aereo che ci porterà a destinazione parte domani, abbiamo un giorno libero. Oggi visiteremo la città e gusteremo il cibo cinese» ci sorrise e noi non potemmo fare a meno di fare salti di gioia. Tutti tranne Kai ovviamente, che se ne stava a qualche passo di distanza da noi, appoggiato al muro esterno accanto alla porta e facendo finta di non conoscerci.
«Questi due signori saranno la nostra guida per la città e coloro che ci accompagneranno prima in albero e poi in aeroporto domani» continuò, accennando ai due uomini in divisa che ci avevano raggiunto, ma noi eravamo troppo emozionati per badarci. Così, con un sospiro rassegnato ed una risatina, al posato dirigente della BBA non restò altro che farsi guidare, seguito da tutti noi, verso il nostro Taxi: un furgoncino bianco in cui saremmo entrati tutti e otto.
Quando ci aprirono la stanza in cui avremmo pernottato, il nostro stupore riandò alle stelle. Era chiaro che la federazione non si era risparmiata in quanto a confort. Nonostante fosse una camera per cinque, in cui avremmo pernottato tutti insieme (mio nonno ne aveva una più umile e piccola tutta per sé e Rei non era ancora contemplato), era bella e spaziosa e aveva due locali. In uno sorgeva un confortevole salottino, mentre nell’altro erano posti i cinque letti all’occidentale.
«Guardate, c’è un letto grandissimo!» si esibì Takao, con il tipico sguardo di un bambino che è stato appena portato al parco giochi. Provò anche a fare un passo in quella direzione, probabilmente per spiccare un salto e affondarci di petto, ma fu trattenuto, straordinariamente per il colletto, proprio da Kai.
«Basta ragazzi, non siamo venuti qua per queste sciocchezze» lo ammonì, ma nella sua voce non c’era un tono particolare né freddo. Sembrava solo esasperato dai modi troppo festosi del nostro amico. Ma quello riuscì a tenergli testa con la sua solita aria bonacciona e con il suo solito fare amichevole.
«E dai! In fondo abbiamo il diritto di divertirci un po’» gli rispose con un piccolo risolino, prima di sottrarsi alla presa e lanciarsi finalmente sul letto, elogiandone le qualità e rendendoci noto che fosse più comodo del suo.
«Ha ragione, non dovresti essere sempre così serio, divertirsi un po’ fa bene» gli diede man forte Max, parlando rivolto a Kai. Lo sentii perché ero proprio dietro di loro, accanto alla porta d’entrata della stanza.
«Ci aspettano tempi duri e voi pensate solo a divertirvi» rispose loro Kai ed io mi feci più attenta, in modo da intervenire se fossero finiti a litigare, ma lo sguardo e il tono di Hiwatari non erano accusatori, in più aveva parlato guardando un punto indefiniti della stanza e gli altri due, bellamente spaparanzati su un letto, gli stavano sorridendo. Almeno per il momento non erano scoppiate catastrofi imminenti…
«Ti sei dimenticato che abbiamo vinto alla grande al torneo nazionale? Sono i nostri avversari che devono preoccuparsi» continuò Takao, con un sorrisetto ebete sulla faccia e Max a dargli ancora più manforte. «Spero solo che tu abbia ragione…» gli rispose il mio oramai ex amico, con un tono poco convincente, ma andò poi ad osservare il traffico scorrere sotto di noi dalla grande finestra della stanza e capii subito che il discorso per lui era finito lì e che non ci avrebbe degnato ancora della sua considerazione. E lo lasciammo fare mentre io e il prof prendevamo posto nel letto di fronte a quello in cui si erano posizionati gli altri due, a parlare dei fatti nostri quasi come se Kai non ci fosse.
Venimmo interrotti poco dopo da mio nonno, che ci aveva mandato in stanza solo per posare i bagagli e ci disse che eravamo attesi per il pranzo. Così scendemmo nel grande salone, dove prendemmo posto in un tavolo circolare e ci vennero subito servite squisite leccornie. Non avevamo neanche il tempo di respirare, di parlare oppure guardare in faccia il cameriere per la foga che avevamo di assaggiare quelle bontà. Almeno fino a che non arrivò il dolce, servito con una tazza di tè (probabilmente usanza del luogo), che il cameriere in divisa blu ci versò. E solo dopo che rivolse parola a Takao alzammo tutti gli occhi su di lui, compreso il diretto interessato, che saltò sulla sedia tanta era stata la meraviglia di trovarselo di fronte.
«Ah, ma sei Rei!» schizzò, mentre ancora si reggeva la pancia piena con le mani.
Lui ci sorrise cordialmente e ci salutò ad uno ad uno, indugiando molto più su di me, aprendosi in un sorriso ancora più largo mentre mi osservava. Devo ammettere che mi sentii avvampare e non per colpa della bevanda bollente che mi ero ritrovata a bere dall’imbarazzo, ustionandomi rovinosamente la lingua e facendo sicuramente una mera figura. Per fortuna nessuno sembrò averlo notato. Forse solo Kai, che storse il naso girando la faccia da un’altra parte. Però mi ripresi abbastanza in fretta, almeno per sentire mio nonno che spiegava agli altri il perché della presenza di Rei come cameriere. Capii che il ragazzo era amico del proprietario e ogni tanto andava a dargli una mano, che aveva girato il mondo nonostante la giovane età, e che era finito a fare i lavori più disparati per permettersi di girare il paese, fino a che non fu invitato in Giappone proprio da mio nonno. Dopo quei racconti, Rei Kon mi sembrò ancora più affascinante e già mi vedevo con lui, seduti da qualche parte, a parlare delle sue esperienze e io ad ascoltarlo ammaliata. Ma scaccia il pensiero, perché in quella breve visione il viso di Kai si sostituì a quello di Rei e la mia mente mi riportò ai momenti in cui io e lui ci stendevamo sulla riva del fiume a parlare delle sfide a Beyblade che avevamo affrontato durante il giorno.
Scossi di nuovo il capo, impedendomi di distrarmi ancora, soprattutto quando mio nonno aveva spostato il discorso su qualcosa di più importante.
«Allora ragazzi, vi sentite in grado di partecipare a questo torneo Cinese? Questo impegno è una fase importante di qualificazione per il prossimo campionato mondiale. Infatti, se non dovessimo vincere qui, non potremmo accedere al campionato che si terrà negli Stati Uniti d’America!» disse, mentre tutti iniziavamo a prestare più attenzione e Rei prendeva posto tra Takao e Max, su una sedia presa da un tavolo vuoto accanto al nostro.
«Vi spiego le regole del gioco» continuò «queste qualificazioni saranno utilizzate come un vero e proprio torneo con squadre di quattro elementi. Ogni partita è disputata da tre giocatori, che entrano in campo uno alla volta in base alle esigenze del momento. Il quarto è la riserva» Takao annuì sommessamente, costringendo mio nonno a una pausa, ma riprese in fretta. 
«È quindi chiaro che la squadra che ha vinto la maggior parte degli incontri si aggiudica la vittoria della partita» finì, ma prima che uno di noi prendesse parola, questa venne proprio da Kai.
«Quindi si tratta di un lavoro di squadra, giusto? Per esempio: se io dovessi vincere, ma gli altri si facessero eliminare la partita sarebbe persa, è così?»
Ci furono alcuni attimi di silenzio, seguiti da sguardi allarmati degli altri e quello leggermente interdetto di mio nonno, che però annuì semplicemente dicendo semplicemente: «si esatto, è proprio così. In questi casi l’unità è più importante, bisogna lasciare da parte l’egoismo. Bisogna essere sempre uniti» ci rese noto e, nonostante ci guardò negli occhi uno ad uno, non faticai a capire a chi principalmente erano rivolte la sue parole.
Hiwatari rimase con lo sguardo rivolto al suo dolce intatto prima di riaprire bocca di nuovo.
«In pratica significa che i nostri destini sono legati» iniziò e dal tono di voce lieve e dal fatto che parlò a bassa voce mi sembrò più rivolto a sé stesso che a noi.
«No!» disse in seguito, alzandosi dalla sedia e rivolgendo ancora una volta la sua attenzione a mio nonno, dimenticandosi di noi altri. Ma per fortuna il mio vecchio ebbe la risposta pronta.
«Aspetta» lo ammonì infatti, bloccandolo al suo posto, anche se era rimasto in piedi «noi ora formiamo una famiglia e dobbiamo restare uniti» gli spiegò dolcemente, nonostante l’espressione seria. Ma Kai fu più veloce. Aprì un braccio nella nostra direzione, indicandoci distrattamente e ricominciando a parlare tenendo alto il suo credo.
«Mi dispiace deluderla» iniziò, ma io fui estremamente certa che non era prontamente così, «ma io proprio non ce la faccio!» finì, sprezzante come suo solito. Per fortuna non me ne accorsi solo io, perché prima che prendessi parola ci pensò Takao.
«Cos’hai detto?» ringhiò, in contrasto con il suo solito tono di voce bonario, ma il nostro compagno lo interruppe di nuovo, parlando però in direzione di mio nonno.
«Grazie per il pranzo, era davvero ottimo» e dopo questo breve utilizzo delle buone maniere fece retro front e si diresse verso l’uscita, senza neanche più degnarci di uno sguardo, un saluto o una spiegazione. Rimanemmo tutti a guardare il punto in cui era sparito, scioccati.
Fu mio nonno a riprendere in mano la situazione e la parola.
«Ora che si fa…siamo nei guai, tutte le squadre devono essere composte da quattro giocatori, se uno se ne va dobbiamo trovare un sostituto o ritirarci» finì, addentando finalmente il suo dolce in un gesto di puro sconsolamento.
Io dal canto mio avrei voluto dire che, nonostante il ragazzo appena uscito mi reputasse inutile, sia come giocatrice che come persona, io ero sempre una Blader, quella che aveva messo un po’ in difficoltà Rei, quella che era arrivata ai quarti di finale, quella che a cui loro avevano insegnato tutto! Ma non mi azzardai a dire nulla, perché una piccola parte del mio inconscio sperava nel ritorno di Kai, e a quanto pareva anche gli altri la pensavano come me. Kai era un elemento indispensabile per il bene della squadra, me ne rendevo conto. Non potevo sostituire la sua forza, lui era diventato un giocatore eccellente e lo aveva dimostrato nella finale disputata contro Takao, che quest’ultimo aveva vinto per un pelo e per mera fortuna potrei quasi affermare…
«Tranquillo presidente, i Bladebreakers riusciranno a togliersi dai guai» sentii rispondere proprio lui, mentre si alzava dalla sua sedia, eguagliato dagli altri.
Due minuti dopo stavamo tutti e cinque correndo per le vie della città, intenti a far ragionare quel capoccione del mio ex migliore amico.
Fine capitolo 13
 

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Colei che scrive:
Ma salve e ben trovati! Sì, lo so,  è passato una marea di tempo T.T chiedo pietà. Penso sia stato il lasso di tempo più lungo e tortuoso che abbia mai vissuto O.O In questi mesi mi sono dedicata ad un progetto molto ambizioso, che si è concretizzato da poco, e cioè il mio primo libro (nato per giunta da una fanfiction), perciò ho dedicato ad esso tutta me stessa e molto del mio tempo. Adesso sono più tranquilla (non ho avuto neanche un periodo molto rilassante, l’ansia per la pubblicazione, unita al lavoro e a piccoli problemi di salute mi hanno fatta andare fuori di testa O.O). Ma non siamo qua a parlare di me :D parliamo della storia. Finalmente siamo giunti alla partenza per il torneo Cinese, con il rapporto di Saya e Kai sempre al punto di partenza e con la consapevolezza della ragazza di provare una certa simpatia per il nostro amico cinese…chissà che succederà :P Mi rendo conto che non succede nulla in questo capitolo che già non sappiamo e che praticamente corrisponde all’episodio 8 della prima serie (dove ho ripreso molti dei discorsi diretti), ma vi prometto che d’ora in poi non scriverò a pappagallo xD la storia seguirà la linea temporale della serie. Rimarrò fedele ma continuerò a cambiare qualcosa, anche i discorsi, in modo che torni tutto con l’aggiunta del mio personaggio ehehe e sappiamo anche chi stiamo per incontrare :P spero che vi abbia suscitato un po’ di curiosità. Non vi abbandonerò per altrettanto tempo, ve lo prometto T.T se c’è ancora qualcuno che segue ancora questa storia in questo fandom purtroppo abbandonato T.T
Io vi ringrazio di essere arrivati fino a qua, e vi do appuntamento al prossimo capitolo :P
Un bacione a tutti!
  
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