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Autore: nouveau    09/10/2018    3 recensioni
Adrien Agreste sarebbe potuto essere la persona più brutta, arrogante e trascurata del mondo, alle sue orecchie -come a tutte quelle pronte a prestargli un minimo di attenzione- la sua voce sarebbe risuonata come la più dolce delle melodie.
[AU]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lavorare nel settore del doppiaggio finiva inevitabilmente con il formare legami e creare amicizie basate sulla frequenza con cui due persone potevano vedersi o i progetti in comune, Marinette aveva avuto modo di appurarlo mentre aspettando che il turno della signorina Sancoeur finisse aveva adocchiato Max e Kim -colleghi conosciuti per caso ad un provino finito male- avviarsi insieme al bistrot poco distante e parlare fitti di film prossimi all'uscita. 
Un'altra cosa che aveva avuto modo di capire, oltretutto, era che il doppiaggio serio aveva standard - e tempi, soprattutto- completamente diversi da quelli a cui era stata abituata dai suoi lavori precedenti. 
Certo, indubbiamente era grata a tutti coloro che le avevano offerto la possibilità di imparare direttamente sul campo e mai si sarebbe permessa di sputare veleno su uno dei suoi precedenti impieghi, tuttavia l'ottica con cui si era scontrata iniziando ad incidere per la ZAG le aveva chiuso alle spalle le porte della gavetta giovanile e dei doppiaggi scrausi registrati in tre sedute per introdurla definitivamente al mondo professionale degli adulti in cui sapeva a che ora sarebbe entrata in sala ma non quando ne sarebbe uscita. 
Quindi, per quanto ne sapeva, ai quaranta minuti che mancavano all'uscita della collega se ne sarebbero potuti aggiungere altri sessanta, tutto stava alle direttive del direttore. 
Al pensiero dell'accuratezza e meticolosità capillare di Gabriel Agreste, Marinette sospirò preparandosi all'idea di una vecchiaia trascorsa fuori alle porte di una sala di doppiaggio, oltretutto lontana dalla sua famiglia e da Adrien che, nemmeno a dirlo, era impegnato dall'altra parte dell'edificio a fare chissà cosa. 
Avrebbe venduto l'anima al diavolo per sapere cosa ma, conscia del regolamento non scritto che vigeva tra committenza e azienda, sapeva quanto compromettente sarebbe stato parlare liberamente e diffondere anticipazioni su un nuovo progetto in corso. 
Sconfitta da quelle certezze -e corrosa da quella curiosità bruciante- lasciò che il capo le scivolasse in avanti e un nuovo sospiro le varcasse le labbra, sconsolata anche dalla momentanea irreperibilità di Alya, impegnata a fare ricerche per un articolo di cui non aveva voluto anticipare nemmeno un piccolo dettaglio. 
Una figura poco distante e piuttosto familiare interruppe le lugubri elucubrazioni, permettendo alla ragazza di alzare il braccio in tempo e assicurarsi che Nino -sordo al mondo a causa delle sue fidate cuffie- la vedesse e la raggiungesse per scambiare con lei i classici due baci di cortesia. 
Prima di dire qualsiasi cosa ebbe la premura di fermare la musica -il cui volume era altissimo- evitando così di parlare a voce troppo alta ed interrompere quindi la quiete che li accerchiava. 
« Heylà! Aspetti di incidere? »
Con un piccolo movimento del capo Marinette diede cenno di conferma. 
« Manca più di mezz'ora, ma stamattina temevo di fare ritardo e quindi mi sono anticipata. Tu che ci fai qui, invece? »
Con la segreta speranza di un turno di Adrien prossimo alla fine la doppiatrice trattenne a fatica un sorriso entusiasta, sorriso che poi non ebbe motivo di nascere nel sentire la vera ragione che legava l'amico della sua sbandata a quell'azienda.
Nin -ora che glielo aveva detto Marinette riusciva a dedurlo con un semplice sguardo- era un fonico e questo spiegava più che esaustivamente il suo ronzare perennemente intorno alle sale e la sua estraneità all'orecchio della mora.
Non poteva conoscere la sua voce, per quanto indiscutibilmente piacevole questa fosse, proprio perché non doppiava.
« A cosa stai lavorando adesso? » le venne spontaneo chiedere, dato che ormai aveva avuto accesso a un'informazione e tanto valeva chiaccherare per quel tempo che restava loro. 
Oltretutto aveva avuto modo di appurare durante la loro visita frettolosa a casa sua quanto Nino fosse un tipo alla mano e quanto fosse piacevole parlarci, scambiarci quattro chiacchiere avrebbe giovato sicuramente a distendere il clima di tensione elettrica che si poteva respirare nella hall.
« Stiamo montando la terza di Shingeki no Kyojin, l'incisione è terminata qualche settimana fa e adesso tocca a noi della post produzione fare la magia. »
Nel sentire il nome dell'opera Marinette si espresse in un sonoro e teatrale gasp che lo fece sorridere divertito.
« Non mi puoi dire niente, vero? »
L'espressione sornione che vide apparire sul viso dell'altro bastò come risposta: nemmeno per sogno.
Lo vide togliersi gli occhiali e pulirli con la pezza apposita, rimettendoli poi al loro posto dopo essersi guardato intorno con l'aria circospetta di chi è pronto a raccontare qualche indiscrezione in anteprima. Fece per parlare ma poi tornò a chiudere la bocca a e a stringersi nelle spalle, facendo emettere alla ragazza un lamento frustrato.
Tutti sembravano tenerle segreto qualcosa, quel giorno.
Quel piccolo suono, comunque, bastò a convincere l'altro a farle una piccola concezione.
« Diciamo solo che un paio di volte ho dovuto fermarmi, uscire a prendere un po' d'aria e poi ricominciare a montare. »
Da seduta la ragazza si ritrovò quasi in piedi, tesa in avanti sotto un paio di occhi abbastanza confusi dalla sua espressione allarmata. 
« Dimmi solo che Jean non muore!»
Jean Kirschtein, il personaggio a cui si era avvicinata per motivi personali -l'ennesimo grande doppiato da Adrien che le aveva conquistato il cuore- ma che poi si era ritrovata ad adorare, trovando nel design attraente e nel carattere schietto ed onesto uno dei suoi preferiti assieme ad Armin.
Jean, lo stesso Jean del poster affisso sulla parete di camera sua e per cui avrebbe pianto lacrime amare in caso di morte.
« Non siamo arrivati nemmeno a metà stagione in realtà e quindi non so dirti ancora, ma non penso che Isayama si priverebbe così del suo preferito. »
Rilassando i muscoli, Marinette tornò a diventare parte integrante del divanetto su cui si era arenata quasi due ore prima, inarcando le labbra in un sorriso quando vide il ragazzo scavare nella tracolla che gli cingeva le spalle e tirare fuori da questo quello che lei intuì essere il suo cellulare.
Intravide addirittura un leggero rossore colorargli le gote, un imbarazzo che comprendeva e che le faceva tenerezza, che si era portata dietro per tutta la vita e che non ebbe il cuore di commentare.
« Visto che sei qui e devi aspettare ti andrebbe di darmi un parere su una cosa che ho composto a tempo perso? »
Gli occhi azzurri di lei brillarono di entusiasmo, felice che l'altro avesse trovato il coraggio di esporre una propria creazione.
« Scherzi? Sarebbe meraviglioso. »

E meraviglioso lo era stato sul serio, perché Nino oltre ad essere un fonico e un fotografo capace era anche un bravissimo dj, fino a quando l'idillio non si era interrotto con un bip che si sovrappose alla canzone in riproduzione e una notifica sui volti di Adrien e del proprietario del telefono, entrambi sorridenti e stretti in un abbraccio nella foto usata come lockscreen. 
Marinette, che non voleva risultare indiscreta, distolse lo sguardo dallo schermo mentre il ragazzo si apprestava a leggere il contenuto del messaggio e  si limitò a guardare il viso dell'altro con curiosità, sorridendo in riflesso all'espressione entusiasta che si palesò poco dopo.
Il telefono tornò a sparire nella tasca dei jeans e per un attimo, uno soltanto, la mora vide le sopracciglia di lui aggrottarsi per un dubbio di cui non era a conoscenza prima di distendersi in un'espressione serena. 
Sicuro, Nino si risistemò la bretella della borsa sulla spalla  e calcò il cappello in un gesto che la mora intuì essere quasi un riflesso automatico piuttosto che un abitudine consolidata nel tempo.

« Ho un'idea migliore. »


***

Adrien era nato un venerdì d'Ottobre, in un giorno in cui Parigi era spazzolata dal vento, la pioggia inondava le strade e l'autunno si annunciava fiero.
Era nato velocemente, come se avesse fretta di uscire dal ventre materno per esplorare il mondo, e sin da subito aveva dimostrato di avere ereditato i polmoni dei suoi genitori; aveva pianto e scalciato fino a quando l'infermiera non lo aveva affidato alla madre, calmandosi immediatamente nel sentire il profumo di Emilie e la consistenza setosa dei suoi capelli biondi sfiorargli una manina paffuta mentre le labbra vellutate si posavano sulla piccola fronte.
Aveva aperto gli occhi -verdissimi come quelli di lei- ed aveva arricciato leggermente il naso per la luce artificiale della stanza d'ospedale prima di battere le palpebre confuso e guardarsi intorno.
E Gabriel lo sapeva, sapeva che i neonati non vedono chiaramente, che la loro vista è offuscata per i primi mesi e non capiscono cosa hanno davanti, ma quando aveva preso in braccio per la prima volta suo figlio e questi gli aveva sorriso niente l'aveva fermato dal piangere.
Aveva pianto sommessamente, stringendosi nelle spalle e  rilasciando di getto  lo stress che aveva accumulato durante le lunghe ore di travaglio, deponendo gli occhiali da vista che si erano inevitabilmente macchiati sul piccolo stipetto accanto al letto. 
Aveva accarezzato il bambino con il terrore di fargli male, passandogli un pollice su una guancia piena e lo aveva trovato piccolo tra le sue mani grandi, una briciola forte quanto basta da tenere il collo dritto da solo quando lo aveva appoggiato alla spalla per stringerlo tra le braccia con delicatezza. 
Ed era stato fortunato nel creare una famiglia felice con la donna che più amava al mondo, era stato benedetto da una divinità a lui sconosciuta per aver avuto una vita così felice. 
Solo che la vita, così come la felicità stessa ed ogni sentimento, è momentanea, è inafferrabile e soprattutto: è imprevedibile. 
Emilie era sempre stata forte, sana come un pesce, una donna attiva che praticava sport ogni volta che aveva del tempo a disposizione e che tutte le domeniche mattine li trascinava fuori dal letto per andare al Bosco di Vincennes, per respirare aria pulita e passare del tempo insieme diceva ogni volta prima di scalciare via le scarpe e correre per il prato a piedi nudi, seguita dai piedi scalpitanti di Adrien.
Era l'essenza della vita stessa e Gabriel, lo stesso Gabriel Agreste che si era sempre limitato a godere del calore del suo sole personale tutto si sarebbe aspettato, ma non un tramonto.
Non il buio, non il gelo, non l'asfissia che gli aveva serrato la gola ed contratto i polmoni quando dall'ospedale avevano telefonato per comunicargli la notizia.
Gabriel Agreste, figlio di Gerarde Agreste, che durante la propria carriera aveva sempre avuto un piano B in caso di fallimento, si era trovato impreparato al dolore più grande che avesse mai provato.
E faceva male firmare i documenti al posto suo, parlare con gli addetti delle pompe funebri per un funerale che ancora gli suonava assurdo, girare per casa e sentir pian piano consolidarsi la consapevolezza che non l'avrebbe più rivista, che non l'avrebbe più accompagnata per negozi, che non avrebbe più assistito a quelle brevi e divertenti sfilate improvvisate nei corridoi dei camerini solo per lui, che non avrebbe più ballato con lei stringendola tra le braccia, che non avrebbe più avuto il suo rossetto stampato sulle guance e non si sarebbe più potuto fingere scocciato, che quelle mattinate al parco non avrebbero più avuto la loro ragione di esistere.
E, soprattutto, faceva male voltarsi ed incontrare negli occhi verdi di Adrien, del loro unico figlio, della luce della loro vita, quelli di sua moglie.
La sua voce sarebbe rimasta eterna, immortalata in una moltitudine di opere a cui le aveva lavorato ma il suo viso aggraziato, le sue ciglia lunghe, le fossette del suo sorriso, tutti i tratti somatici che rendevano sua moglie Emilie erano rimasti in un ragazzino di quindici anni a cui l'affetto materno serviva ancora e con cui lui non sapeva come comportarsi.
Quello più di tutto gli spezzava il cuore.

Ma aveva fatto del suo meglio ed Adrien era cresciuto.
Aveva continuato le superiori -mostrando tra l'altro un discreto interesse per le materie scientifiche- e si era diplomato con ottimi voti nonostante la sua scelta di continuare nel mondo del doppiaggio e il tempo che questo gli portava via, conscio -come suo padre lo era stato alla sua età- di come il loro ambito lavorativo cambiasse rapidamente.
Aveva fatto il test d'ingresso alla Sorbona per frequentare il dipartimento di Fisica dell'Università Pierre e Marie Curie ma poi il ragazzo aveva sentito la voce dell'istinto parlare per lui ed aveva abbandonato per continuare la sua carriera. È divertente, gli aveva semplicemente risposto mentre sfogliava un fumetto.
E non aveva mai smesso, non aveva mai mancato un appuntamento, non una scadenza, non si era mai ritirato sebbene le difficoltà, le sfuriate imparziali che gli aveva fatto in pubblico,  i cali di voce, la febbre, i suoi coetanei che vivevano una vita diversa dalla usa.
Adrien era stato lì, sempre, e questo era bastato a renderlo il ragazzo maturo che era agli occhi di Gabriel.
Il ragazzo che non aveva permesso alla perdita della madre di cambiarlo, che si era adattato alla loro vita casalinga completamente al maschile e al dividersi le faccende svolte poi canticchiando, che mangiava con un sorriso sulle labbra e la riconoscenza negli occhi qualsiasi cosa suo padre preparasse per lui, poco importava la patina di bruciato o la totale assenza di sale.
E lui aveva imparato due cose in quei cinque anni trascorsi da quando sua moglie era venuta a mancare, due cose che gli ritornavano in mente quando si ritrovava dall'altra parte della cabina di doppiaggio.

Quanto cucinare gli risultasse maledettamente difficile e quanto fosse fortunato ad avere il figlio che aveva, quanto questi si meritasse tutto ciò che il mondo aveva da offrire ed ogni elogio esistente.
Quanto fosse fiero di lui.

Ed era in momenti come quelli che il suo orgoglio da genitore scalpitava di più, quando oltre a lui, Adrien e il fonico in sala c'erano altre persone, forse a causa di quella consapevolezza egoista -quella piccola briciola di soddisfazione che lo convinceva che tutto sommato aveva fatto un buon lavoro- che gli ricordava che anche lui aveva plasmato quel giovane uomo.
Poco importava se a fare da spettatori erano Nino -che conosceva da quando lui ed Adrien frequentavano l'asilo e a cui si era inevitabilmente affezionato- e la collega più giovane, probabilmente l'amico del figlio lo conosceva così bene da aspettarsi una cosa simile da lui.
Ma lei no.
Tenendo gli occhi puntati sulla propria progenie e senza la minima vergogna, Gabriel Agreste quindi si pronunciò.

  « Non trova che mio figlio sia perfetto, signorina Dupain-Cheng? »  
  « Lo è. »  

Rispose quasi subito lei, rendendosi conto subito dopo della propria ammissione ed avvampando.
Allora Marinette distolse subito lo sguardo da Adrien, dalla sua mimica facciale che a pieno rispecchiava tutti i sentimenti, tutte le emozioni e tutti gli stati d'animo che la sua voce avrebbe dovuto trasmettere, dai sorrisi che intervallavano le battute e che indirizzava loro, dalla luce gioiosa che attraversava il suo sguardo nel fare il lavoro che più gli piaceva al mondo, per guardare il suo direttore di doppiaggio.
Mosse le labbra senza emettere suoni, le strinse in una linea dura e poi rispose con quella che Gabriel avvertì essere la sincerità più disarmante che potesse ottenere da una sconosciuta.

  « I-Intendo dire.. Lui è un vero professionista e lo ammiro molto, n-non lo conosco molto bene ma è sempre stato molto gentile con me e-- umh-- sembra molto simpatico.. »

Nino, che aveva assistito alla scena con un sorriso stampato in volto si intenerì alla reazione della ragazza che, ovviamente, non era abituata all'uomo e al suo modo inusuale di dimostrare la propria approvazione per il figlio.
Allora le circondò le spalle in modo amichevole e sorrise al più grande.

« La metti in difficoltà così, andiamo! »  

Risero entrambi, una per il nervoso e l'altro per sincero divertimento.
Ma fu in quel momento che la ragazza rimase sorpresa, quando, contrariamente alla sua aria glaciale, Gabriel proruppe in una risata bassa e completamente inaspettata.



You know I'm back like I never left (I never left)  
Citando Macklemore: sono tornata ma è come se non me ne fossi mai andata (mai andata)
ed è vero, perché ho avuto problemi personali -e un lungo periodo privo di idee fervide, durante il quale ero più propensa a cancellare la storia piuttosto che mandarla avanti- ma mi sono sempre aggirata per la categoria Miraculous, leggendo tutto ciò che avevo a disposizione nella speranza che mi tornasse l'ispirazione (e soprattutto la voglia) di mandare avanti la mia AU.
Detto questo, il prossimo argomento del giorno è il seguente:
BNHA è iniziato e, personalmente, io sto volando altissimo.
Lorenzo Scattorin come All Might è superbo, Gianluca Iacono per Aizawa è micidiale e Claudio Moneta -esatto, lui! Proprio lui!- come Present Mic mi riporta ai bei tempi in cui interpretava l'arbitro dei tornei di Dragon Ball.
A circa dieci (10) anni fa.
Non avevo ancora iniziato l'anime -lo so, sono indietro di quasi due anni, avete ragione- e quando mi sono decisa a farlo lo hanno annunciato in italiano quindi ho preferito aspettare almeno la prima serie doppiata.
E ne è valsa la pena, perché la dedizione, l'accuratezza e la scelta squisita per ogni doppiatore ha ripagato tutte le settimane di struggimento.

Tornando alla storia: volevo scrivere e stare male, sostanzialmente.
Avevo introdotto il lutto di mamma Agreste e sapevo che non avrei dormito sonni tranquilli se non fossi tornata a parlarne, in particolar modo dopo Style Queen e Queen Wasp perché diciamocelo chiaro e tondo, quei due episodi sono pieni zeppi di informazioni difficilissime da digerire ed avevo la necessità fisica di scrivere dell'amore struggente di Gabriel per sua moglie.
Ma un altro mio desiderio, questo forse anche più pressante del precedente, era quello di scrivere della dedizione di lui per Adrien, di quanto sebbene il lutto gli spezzi il cuore giorno per giorno il pensiero di avere un figlio lo aiuti ad andare avanti.
Inoltre volevo scrivere di quanto Gabriel è fiero di suo figlio, perché Adrien merita questo ed altro e quella è una delle mancanze per cui più soffro durante gli episodi.
Gabriel ha sicuramente svariati problemi e vive in una realtà distorta, ma sa di essere il padre di un raggio di sole. Deve solo trovare il modo di dimostrare i suoi sentimenti.
 

Con ancora l'adrenalina post Boku no Hero Academia in circolo e la notte che è ancora giovane vi saluto e spero davvero di aggiornare in tempi meno discutibili in futuro.
Un bacio,
nouveau
(che, come il titolo di questa storia,
è uno pseudonimo provvisorio)

! ! P L U S    U L T R A ! !

   
 
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