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Autore: francishasgone    09/10/2018    5 recensioni
Un coro si sollevò, e avrebbe potuto giurare di aver sentito la dolce voce di
Caelia:
“Viva il Cavaliere delle Arance!"
Racconto partecipante al contest "Racconti al profumo di frutta" indetto da Dollarbaby sul forum di EFP.
Genere: Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Cavaliere delle Arance


Il sole era ancora timido, quella mattina. Sbirciava da oltre i colli e piano si alzava, non più o meno insonnolito di quanto non fosse Odran. Odran era un ragazzo semplice, in tutto. I suoi pensieri e la loro logica, i suoi sentimenti e anche il suo aspetto fisico: tutto era molto semplice. Anche il suo nome, che significa “verde”, gli fu assegnato dalla madre perché tanto le ricordavano i vasti e semplici prati in mezzo ai quali vivevano.

Si destò, si mise a sedere nel letto e si guardò intorno. Filtrava così timorosamente la luce del sole dalle vecchie finestre in legno, illuminando a tratti la stanza; i suoi tre fratelli più piccoli stavano ancora dormendo, abbracciati nella speranza di aiutarsi l’un l’altro a sfuggire al silenzioso freddo notturno di novembre.

“Oggi è il giorno della raccolta delle arance”, pensò. La sua famiglia si manteneva attraverso la coltivazione di frutta per il Re, specialmente le arance e, oggi, era il giorno della loro raccolta, dopo mesi di impegno.

Si alzò e vestì, raggiungendo poi i suoi genitori e la sorella maggiore in cucina. Un dolce odore di pane inondava la casa e trovò la sua famiglia già a tavola a consumare pane e latte. Non erano poveri: riuscivano a condurre una vita modesta ma dignitosa. Si sedette accanto alla sorella.

“Oggi è il giorno della raccolta delle arance”, disse il padre.

“Sì” rispose lui.

“Questa volta dovrai andare da solo” aggiunse la madre.

“Perché? Aoife non viene con me?” chiese.

“Io sono troppo vecchia e stanca ormai, ho bisogno di lei in casa per cucinare e lavare. Devo preparare la cena per te e tuo padre e ci sono tanti panni ammucchiati che aspettano di essere lavati al fiume.”

Era insolito, sua sorella era sempre andata alla raccolta delle arance ma effettivamente la madre era invecchiata molto: i suoi occhi marroni apparivano più spenti e la pelle più rugosa.

“Tu, padre, dove vai?” domandò al padre mentre infilava pane e formaggio nella sua borsa di logoro cuoio.

“Vado da tuo zio. Dobbiamo preparare le bestie e i carri per il trasporto delle arance e dobbiamo anche decidere come dividerle fra quelle del Re e quelle da vendere ai nobili.”

Odran non rispose.

Salutò i genitori e la sorella e uscì velocemente di casa. La fredda aria passava attraverso i suoi spessi vestiti e lo fece tremare un poco. Si avvicinò al barile dell’acqua e si specchiò, sistemando i capelli scuri e il colletto della morbida camicia di lino. Il riflesso era limpido, chiaro e distingueva bene pure il suo piccolo naso e le sue sottili labbra.

“Ragazzo delle arance, ti fai bello per la tua dama?’’ sentì. Era il suo vicino, un vecchio loquace ma simpatico. Odran gli sorrise: sapeva della sua “dama”.

Fortuita coincidenza, la vide. Abitava quasi di fronte ma non sempre la vedeva: eppure quel giorno la vide. Bella, bellissima era. Così dolce appariva il suo tondo e paffuto viso, e tanto luminosi erano i suoi occhi verdi che Odran pensava che il mondo più non avesse bisogno del Sole, delle stelle e del fuoco. I suoi capelli erano di un arancione così vivo che gli ricordavano sempre la cosa più insolita che potreste mai immaginare: le arance.

Sì, era così. I suoi occhi e i suoi capelli erano come gli alberi d’arance che Odran vedeva tutti i giorni, tutto il giorno.

Un po’ lo vergognava il non poter trovare un paragone migliore per la sua bellezza, ma nel suo piccolo le tonde arance e le loro lisce foglie erano tanto belle e affascinanti quanto lo era Caelia.

Ed eccola lì, che camminava a piccoli passi per stendere il fresco bucato davanti casa. Incrociò i suoi occhi ed entrambi diedero all’altro il sorriso più dolce che avrebbero mai potuto dare. Da tempo Odran stava racimolando denaro per comprare una piccola casetta e un paio di mucche, in modo da poter chiedere in sposa la dolce Caelia, ma per adesso si limitavano a sguardi fugaci e sorrisi: è di notte, quando la Luna era l’unica che avrebbe potuto origliare le loro conversazioni, che si incontravano, si tenevano per mano e parlavano. Parlavano a lungo e poi tacevano per altrettanto lungo tempo, come a far riposare quella fiamma che aveva tenuto viva la conversazione per tutte quelle ore.

Odran si riprese dai suoi pensieri e riprese a camminare verso il carro che li avrebbe portati verso i campi di arance.


Volgeva al termine, quella giornata. Il tramonto, calorosamente, illuminava i cesti colmi di frutti; Odran era seduto vicino ad un cavallo che pigramente beveva da un secchio di vecchio legno. Rifletteva su come investire quelle monete che aveva guadagnato:

“Forse dovrei metterli da parte e lavorare per qualche mandriano? Oppure comprarci qualche capretto? Anche le galline non sono male, ma non fanno guadagnare molto…”.

Il suo flusso di pensieri fu interrotto da una voce che gridava da lontano. Non capiva cosa stesse dicendo, era troppo lontano; vide un suo coetaneo correre verso di lui. Odran gli corse incontro e il ragazzo si fermò, ansimante. Quello che gli disse fu talmente agghiacciante che la ricordò come la notizia più straziante e atroce che mai ebbe sentito.

“Il Regno di Vann ha invaso e assediato la città!”


Così ricordava l’ultima sua giornata nella sua città, nel Regno di Elin. Così, Odran, ricordava la giornata che gli tolse tutto, la giornata che rese la sua persona vuota e disperata. Ricordava che quel giorno corse, corse e corse per raggiungere la sua famiglia e soprattutto Caelia. I Regni di Elin e Vann erano nemici secolari ma avevano raggiunto un accordo: perché era successo tutto ciò? Corse così tanto quel giorno che le gambe gli dolsero e le piante dei piedi gli sanguinarono per giorni: eppure quel dolore non avrebbero mai potuto paragonarsi al supplizio di vedere la propria casa e dintorni in fiamme, mentre soldati tutt’intorno continuavano disperatamente a battersi contro i nemici. Anche quando si accasciò a terra e gridò, verso il cielo, quanto più disperatamente potè non si sentì per niente meglio.

Erano passati cinque anni e, invanamente, Odran nel suo piccolo aspettava ancora il ritorno di quella famiglia e di quella ragazza che aveva tanto amato. Erano spariti nel nulla? Non ci voleva credere, non ancora almeno. Questi pensieri e altro facevano da sottofondo alle spade che, con un suono metallico, si scontravano. Era sul campo di battaglia.

Entrato nell’esercito segreto organizzato dal principe di Elin, qualche anno fa, con obiettivo la liberazione del Regno di Elin, non vi fu mai giorno nel quale non allenò corpo e mente a vedere la spada parte di sé, come fosse un’estensione del suo braccio, imparando a muoverla nel modo più fluido ma pesante possibile: ed eccolo lì, conosciuto uno dei paladini più valorosi di quel piccolo esercito di persone che ormai, da perdere, non aveva più nulla se non la propria patria. Sangue e grida e cavalli e spade: questa era l’ultima battaglia, quella decisiva, dopo aver organizzato tutto nei minimi dettagli per cinque lunghi anni. Odran si sentiva invincibile: il rancore e l’angoscia alimentavano il suo corpo. Il sole era chiaro, alto, il cielo azzurro. Il ragazzo fermò il proprio cavallo e guardò davanti a sè, riprendendo fiato. Il Principe era vicino a lui, alla sua destra.

“Cavaliere delle Arance, hai dimostrato una disumana forza d’animo. L’onore che volevo a me stesso e al mio nobile sangue riservare non mi spetta: il tuo nobile cuore ne possiede molto più diritto. Và, Cavaliere! Và! Io e i restanti paladini staremo alle tue spalle, quindi và! Và, più avanti si trovano il Generale nemico e la sua scorta, và! Liberaci da coloro che persero dignità in nome del potere!”

“Grazie sua maestà” disse Odran, “Non dimenticherò mai nulla di tutto ciò che fecero anni fa: il ricordo resterà vivo come viva dentro di me rimarrà la donna che più di tutte umiltà e bellezza adornano. La mia spada fenderà i nemici, in nome di quel verde e di quell’arancione che troppo presto si spensero! In nome del Regno di Elin io vado perchè nessuno è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli! Per essere uomini felici e non umani disperati!”

E con questo il suo cavallo partì, tanto veloce quanto veloce era la luce di quel luminoso sole.

 

Il ragazzo guardò davanti a sè. Erano passate delle ore, delle lunghissime ore. Attraversò, pieno di ferite e con un braccio assente, le alte mura della sua città, del Regno di Elin. Sì, della sua città.

“Sua maestà il Principe ce l’ha fatta!” gridarono subito i pochi abitanti che rimasero ad Elin. Subito un gran frastuono si alzò, e sarebbe cresciuto se il Principe non avesse zittito la folla con un elegante gesto di mano.

“Sudditi, signori. Oggi è stata vinta la guerra. Oggi, abbiamo sconfitto il nemico che per cinque lunghi anni ci ha oppressi, torturati.” disse. Odran si guardò intorno, dall’alto del suo cavallo. Non vide i visi che avrebbe voluto vedere.

“Oggi siamo tornati ad essere il Regno di Elin!” aggiunse il Sovrano. Altri schiamazzi e acclami si sollevarono: il Principe dovette alzare la voce per farsi sentire.

“Ma non grazie a me.”

La folla si zittì, nuovamente, e cominciò a bisbigliare. Spostò il cavallo e fece spazio ad Odran.

“Eccolo, il Cavaliere delle Arance! Che con nel cuore il ricordo più vero della nostra Elin, ci ha liberati”

Sì! Ce l’aveva fatta! Per tutto quel tempo quasi non ci credette, ma tutto tornò alla sua mente: l’arrivo dei rinforzi, la sconfitta della scorta del Generale e lo scontro finale con lui, che portò alla vittoria Odran e gli altri. Era là, aveva vinto. Aveva vinto!

Un coro si sollevò, e avrebbe potuto giurare di aver sentito la dolce voce di Caelia:

“Viva il Cavaliere delle Arance!”

 
  
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