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Autore: vali_    10/10/2018    3 recensioni
[Seguito di "Wash Away"]
Sam, dopo aver perso Jessica, è tornato a cacciare con suo fratello, nonostante continui a credere che la sua vita potrebbe essere molto di più che inseguire mostri e un incubo infinito. Dean si sente meglio ora che ha nuovamente suo fratello al suo fianco, ma Ellie gli manca più di quanto voglia ammettere e, quando una persona a lui cara lo cerca per chiedergli di occuparsi di un problema che la riguarda, non esita un istante a prendere l’Impala e correre da lei.
… “«Scusa Sam, ma non andiamo in Pennsylvania».
La smorfia che compare sulla faccia di suo fratello è un misto tra il disperato e lo spazientito, ma a Dean poco importa di come prenderà questo cambio di programma. «Come? Ma se avevamo detto—»
«Non importa quello che avevamo detto» prende fiato e lo guarda intensamente; non ha voglia di discutere, ma almeno deve dargli qualche informazione su questo cambiamento improvviso. Tanto poi sa che, durante il viaggio, Sam lo riempirà di domande comunque
”…
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima stagione, Seconda stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note: Eccomi qui! :D
Sono un po’ di corsa; è stata una settimana talmente piena che non sono riuscita nemmeno a rispondere alle recensioni al capitolo precedente. Chiedo scusa e cercherò di recuperare il prima possibile :D
Siamo all’epilogo del caso e… e niente, ‘sto capitolo per me è sempre una mattonata, quindi abbiate pietà. Anche se sono pronta al lancio di pomodori e oggetti contundenti *si fa scudo con un cuscino per non essere colpita* Mi farò perdonare, lo giuro! Lo sapete che mantengo le promesse... no? *sorride mentre una gocciolina di sudore le scende lenta dalla fronte*
Vi lascio… anche perché sento già l’odore delle uova marce e ho paura *chiede aiuto e comincia a correre*
Vi mando un abbraccione, a mercoledì! :*

Ps: per chi se lo fosse perso, ho pubblicato una cosina su Sam che potrete trovare qui.

Capitolo 6: White lies
 
I suppose everyone tells little white lies.
Quite often they’re necessary to make someone feel better
or prevent feelings from being hurt.
Whoppers? No, that’s dangerous and they’ll boomerang.
 
(Richard Chamberlain)
 
 
Ingrana la marcia e preme il piede sull’acceleratore, cercando di concentrarsi sulla voce frizzante e soprattutto incazzata che proviene dall’autoradio. Si sente un po’ come Brian Johnson che intona quasi con astio le parole di Back in black una dietro l’altra, anche se adesso è decisamente meno grintoso e carico di come invece l’autore si descrive nella canzone. Molto, molto meno.
 
Più che stanco, Dean si sente preso per il culo, così tanto che se solo ci pensa avverte il sangue scorrergli più velocemente nelle vene dalla rabbia.
 
Ce l’ha con Ellie, sì, come ormai d’abitudine, ma la cosa che gli rode di più oggi è che, in un certo senso, non dovrebbe neanche essere arrabbiato con lei, perché non ha fatto niente di strano a parte rimanere fin quasi all’alba a parlare con suo fratello fuori dalle loro stanze.
 
Li ha visti, ieri notte. Erano seduti sul gradino del marciapiede di fronte al motel e sembravano amici da una vita, tanta era la vicinanza tra di loro e i sorrisi che si scambiavano, quasi fossero due che si ritrovano dopo tanto tempo e parlano di tutto quello che si sono persi dell’altro negli anni.
 
Si era addormentato sul suo letto, ma non si era svestito e verso le tre si è svegliato perché sentiva caldo; gli è bastato dare un’occhiata intorno per capire di essere solo. Il letto di Sam era vuoto e in bagno non c’era, così ha pensato che fosse andato da qualche parte a fare un giro – per quanto fosse strano, visto il soggetto, ma ultimamente per Sam tutto sembra meglio che restare in un letto a dormire, quindi date le circostanze poteva essere un’opzione plausibile – e, proprio quando stava per aprire la porta per andarlo a cercare, ha sentito la sua voce all’esterno. Ha scostato le tende della piccola finestra che dà sul parcheggio del motel e li ha visti lì, appollaiati sul marciapiede come due uccelli canterini.
 
Sembravano molto in sintonia. Mentre Sam le parlava, Ellie lo guardava negli occhi con quel modo tutto suo di scrutarti a fondo mentre ascolta ogni singola parola che dici e a Dean è montata su una collera così grande che aveva tanta voglia di uscire e fargli una scenata come i genitori quando richiamano i bambini che escono a giocare con gli amichetti e tornano a casa troppo tardi.
 
Sapeva che, se si fossero incontrati, quei due sarebbero andati d’accordo. Hanno gli stessi gusti, gli piacciono le stesse cose e questo è fantastico, davvero, ma non capisce perché Ellie preferisca parlare con Sam che non la conosce affatto piuttosto che scambiare due parole con lui.
 
Non è geloso del fatto che si sono avvicinati un po’ e stanno approfondendo la conoscenza reciproca. In fondo sono costretti a passare molto tempo insieme per via delle ricerche e il caso che stanno seguendo e tutto il resto, quindi va benissimo che preferiscano parlare anziché ignorarsi – come invece fanno Dean ed Ellie. Oltretutto, è sicuro che Sam non la sfiorerebbe neanche col pensiero sapendo cosa c’è tra loro e poi la storia di Jessica è troppo fresca perché possa anche solo pensare di scoparsi un’altra, perciò davvero, la sua non è gelosia. È solo incazzato perché vorrebbe che Ellie lo considerasse di più, almeno quanto fa con suo fratello, che la smettesse con questo teatrino infantile e il suo continuo ignorarlo o rispondergli a cazzo. È tanto difficile avere un cazzo di confronto civile? Almeno per dirgli perché ce l’ha tanto con lui. Dean se lo farebbe bastare.
 
Gira a sinistra facendo un grosso sospiro, imboccando l’ingresso del parcheggio dell’ospedale di Scottsbluff. È dovuto venire qui perché una delle vittime, Dana Frost, l’ha chiamato dicendogli di dovergli parlare con una certa urgenza – le aveva lasciato il suo biglietto da visita, in caso avesse avuto bisogno di aiuto per qualcosa o ricordasse qualche nuovo particolare – e lui si è precipitato qui, lasciando suo fratello e la signorina scontrosa a continuare le loro ricerche per scoprire come uccidere il maledetto Incubo.
 
Ricorda perfettamente dove si trova la stanza di Dana Frost, così entra in ospedale e si dirige velocemente verso l’ascensore, pigiando il pulsante con su scritto il numero quattro. Si alliscia la cravatta – verde con delle righe bianche che gli sembrava s’intonasse bene con il completo grigio scuro che indossa –, un po’ nervoso, ed esce quando il piccolo blim che precede l’apertura delle porte dell’ascensore  gli conferma che è arrivato a destinazione.
 
Raggiunge la stanza a passo svelto, trovando Dana Frost con un aspetto addirittura peggiore di come l’aveva vista l’altra volta: ha due occhiaie ancora più evidenti, gli occhi scavati e vuoti e segni di lacrime asciugate da poco.
Dean si avvicina cauto «Signorina Frost, che cosa… »
«Salve agente» la donna tira su col naso, rigirando le mani in grembo «Mi scusi per… p-per averla fatta tornare. D-dovevo parlare con q-qualcuno». Dean ispira dal naso, avvicinandosi di più al bordo del letto. «L’ho… l’ho capito che lei e i suoi colleghi non siete semplici agenti. E non… non m’interessa s-sapere di più, voglio solo parlare con qualcuno che mi c-creda». Dean annuisce; comprende quello che Dana Frost vuole dirgli, il bisogno delle parole di chi sa. Forse lei l’ha intuito perché le hanno creduto quando ha parlato di aculei e spine in posti insoliti. 
«È in buone mani» Dean le sorride appena, cercando di infonderle un po’ di coraggio per farle confessare quello che le è successo.
 
La donna annuisce con forza, piegando le labbra in una linea sottile, quasi ricacciando delle lacrime negli occhi. Sospira forte «Stanotte quel… quell’uomo è venuto a farmi visita».
Dean spalanca gli occhi «Le ha fatto del male? Come ha fatto a scovarla?»
Dana Frost scuote forte la testa «Non era qui fisicamente. L’ho s-sognato» si inumidisce le labbra, puntando per un attimo gli occhi sulle sue mani intrecciate tra loro e poi nuovamente su Dean; è incredibilmente inquieta, anche più dell’altra volta «Aveva un aspetto mostruoso, era… era piccolo e… e peloso, aveva degli occhi incavati e… ed era s-sopra di me [1]. Ero s-sdraiata su questo letto e non potevo muovermi mentre lui rideva e squarciava le lenzuola» si passa una mano sugli occhi, scuotendo il capo. «Ha detto che sarebbe tornato. Che mi avrebbe trovato e sarebbe t-tornato da me».
 
Dean decide di intervenire per non farle rivivere l’orrore che deve aver provato. «È sicura che non si tratti solo di un brutto sogno? È stata attaccata di recente, potrebbe aver—»
«No, ne sono certa» la donna lo guarda decisa, gli occhi grandi «Non era un semplice incubo. Sembrava reale, era come se… come se mi stesse toccando veramente ed io… io sono sicura che c’entra qualcosa con quel pazzo. Ne sono sicura. La prego di credermi, io… io ne sono c-certa».
 
Quando Dean esce da quella stanza, per un attimo gli passa per la testa l’idea che Dana Frost sia solo una pazza visionaria che ha preso questa storia un po’ troppo di petto, ma aspetta di tornare dai secchioni per tirare le somme. Non nega che le due cose possano essere collegate, ma non vorrebbe che la signorina si sia fatta semplicemente influenzare dalla brutta esperienza che ha vissuto di recente e abbia interpretato malamente un semplice brutto sogno.
 
L’andata è più veloce del ritorno, complice il traffico praticamente inesistente e qualche limite di velocità superato di poco – quando si tratta della vita e della morte delle persone, le regole possono anche andare a farsi fottere – e, quando rientra nella stanza sua e di Sam, ritrova quei due come li ha lasciati: a tavolino, sommersi da fogli di tutte le grandezze. Ellie ha gli occhiali sul naso e sta leggendo qualcosa sullo schermo del suo laptop, mentre Sam ha la sua solita faccia concentrata – gli occhi che sembrano più vicini e corrono velocemente da una riga all’altra – su un pezzo di carta.
 
Dean si chiude la porta alle spalle, catturando l’attenzione dei due che alzano gli occhi quasi contemporaneamente nella sua direzione.
 
«Allora? Che è successo?» è Sam a domandarglielo e Dean si siede sul suo letto – il busto piegato leggermente in avanti e il viso rivolto verso di loro – allentando il nodo della cravatta e cominciando poi a raccontare la strana storia che gli ha riferito la signorina Frost.
Ellie lo ascolta in silenzio per tutto il tempo, togliendo gli occhiali e rigirandone l’astina tra le dita, poi, quando Dean dice che pensa si tratti della troppo fervida immaginazione della vittima, stringe un po’ gli occhi e storce la bocca. «No, io… io credo che sia proprio lui» digita qualcosa, muovendo rapidamente le dita sui tasti del suo laptop, e lo gira verso Dean. «Gli Incubi infestano i sogni delle donne con cui giacciono» Ellie legge ad alta voce quello che c’è scritto sullo schermo per poi voltarsi nuovamente verso Dean e guardarlo negli occhi. Ormai lo fa solo quando si parla di lavoro «Forse ha mostrato la sua vera natura nel sogno. Per questo lei si è spaventata così tanto».
 
Dean espira e alza le spalle «Probabile. Ma come… come si uccide questo maledetto affare? Avete trovato qualcosa?»
 
Sam annuisce, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio e coprendosi la bocca con la mano come i ragazzini educati. Vai a dormire prima la sera, fratellino, se poi non reggi questi ritmi. «In realtà, più che come ucciderlo, abbiamo capito come attacca» Dean lo guarda ed è tutto orecchie «In pratica, nel folklore romano, questi esseri erano solo degli animaletti molesti che, tramite i sogni, molestavano donne e uomini. O meglio… »
Sam guarda Ellie che risponde prontamente «I Succubi gli uomini e gli Incubi le donne» lo sguardo di Dean va da uno all’altra e viceversa. Sembrano due bambini che devono interpretare una parte – ognuno la sua – in una recita e non sa se questo teatrino gli piace. O meglio, forse gli piacerebbe di più in altre occasioni, non ora che è ancora incazzato per le loro uscite notturne. Gli sembra di essere tornato a quando papà e Jim lo ignoravano, solo che adesso fa decisamente più male, perché in un certo senso comprendeva il loro comportamento – anche se non completamente e gli faceva comunque rabbia. «In pratica i Succubi si preoccupano di andare a letto con degli uomini per prenderne il seme e gli Incubi, con quello stesso seme, molestano le donne per poi metterle incinte, perché è l’unico modo che hanno di riprodursi».
Dean spalanca gli occhi «Quindi Dana Frost sarebbe—»
Ellie stringe le spalle «Questo non lo so. Insomma… non è che queste cose vanno sempre a buon fine» guarda Sam come in cerca di una qualche sicurezza e lui annuisce.
«La leggenda dice questo, ma non c’è nessun caso al mondo di un figlio nato da questi esseri. O comunque non è documentato, quindi forse… forse non funziona esattamente come per le api e i fiori».
«Me lo auguro per quella poveretta» Dean si passa una mano sugli occhi «Comunque non ho ancora capito che avete scoperto di nuovo».
Sam scorre la rotella del suo mouse e dà un’occhiata veloce allo schermo prima di guardarlo nuovamente «Beh, siamo arrivati alla conclusione che questo essere non può vivere solo nei sogni, come lascia intuire il folklore. Voglio dire, non è un’allucinazione, o qualcosa che s’infila nel letto di qualcuno solo nella mente di quest’ultimo. È vivo e reale».
«Sì, a questo c’ero arrivato anch’io».
Sam lo guarda di traverso, ma non gli dice nulla e continua il suo discorso «Infatti abbiamo scoperto che ci sono dei particolari momenti dell’anno, quelli dove queste bestie hanno voglia di accoppiarsi, in cui prendono sembianze umane per mimetizzarsi e riuscire a molestare le loro vittime, che si dà il caso sia proprio questo: la fine di maggio e l’inizio di giugno [2]» muove ancora l’indice sulla rotella del mouse «Per questo suppongo che sia il momento migliore per ucciderli».
Dean deglutisce e ci riflette su «Quindi voi credete che si uccida come un qualsiasi essere umano?»
Sam fa spallucce «Non so, è possibile. Non c’è niente che ci smentisce, comunque, perciò… credo che una pugnalata o una pallottola al cuore o alla testa possano bastare».
 
Dean sfrega le mani tra loro – i gomiti appoggiati sulle ginocchia – e stringe le labbra. «Allora armiamoci di pallottole d’argento e sale e facciamolo nero. Ci sarà qualcosa, in tutto l’arsenale che abbiamo nel bagagliaio, che riesca a fottere questo figlio di puttana» né Sam né Ellie dicono nulla, perciò continua a parlare «Propongo di tornare in ospedale stanotte e trovare un modo per incastrare lo stronzo. Dana Frost ha detto che ha paura che ritorni, perciò ci appostiamo fuori dalla sua stanza e lo prendiamo alla sprovvista. Il disegno che ha fatto Ellie ci aiuterà a riconoscerlo. Lo stordiamo e poi lo portiamo via e lo ammazziamo da un’altra parte».
Sam lo guarda perplesso «Sì, ma… l’ospedale è un luogo pubblico, Dean, non possiamo portare via un corpo senza che nessuno se ne accorga».
«Ci travestiremo da medici e ruberemo una barella. Non è molto difficile. E se Dana Frost riuscisse a mantenere la calma… »
Ellie scuote la testa in modo deciso. «Non possiamo coinvolgerla. È sconvolta e debilitata e non è giusto metterla ancora in pericolo» fa una piccola pausa e Dean crede di aver già capito cosa sta per dire «Farò io da esca».
Ecco, appunto; piega le labbra in una smorfia seccata «Non se ne parla».
«Perché no? Di certo non puoi farlo tu, che con quelle spalle sembri tutto meno che una donna».
Dean aggrotta la fronte; non sa se prenderlo come un complimento o no «Allora ci andrà Sam. Con i suoi capelli nessun mostro stenterebbe a credere che sia una femmina».
Sorride sghembo mentre suo fratello lo guarda male – gli occhi più piccoli e la bocca piegata in una smorfia antipatica – ed Ellie scuote nuovamente la testa. «È troppo alto. E troppo… maschio. Magari non assomiglio così tanto a quella donna e non avrò il suo odore e l’Incubo mi riconoscerà comunque, ma lo inganneremo il tempo necessario per incastrarlo».
 
Dean la guarda negli occhi, scorgendovi qualcosa di nuovo, come una nuova consapevolezza. Sa che Ellie è brava in questo lavoro, che s’impegna tanto per dare il massimo e che quando c’è da uccidere il mostro di turno non si tira indietro, ma di solito è meno risoluta, prova meno rancore verso le creature da cacciare. Adesso, invece, sembra così decisa ad attuare questo piano ed è qualcosa di decisamente nuovo.
Chissà che c’entri qualcosa quello che successo a Jim, quello che lei si ostina con così tanta forza a nascondere.
 
Si volta per un istante verso suo fratello che lo guarda stringendo le spalle, ed espira forte, riportando gli occhi su Ellie «Ok. Ma non fare niente di azzardato» che scuote la testa. «Non lo faccio mai».
Veramente una volta l’hai fatto ed era proprio quando eri incazzata nera con me. Dean ricorda quell’episodio fin troppo bene – la paura che si facesse male, il terrore che Ellie aveva negli occhi quando quel maledetto Kendra l’aveva in pugno e gli spari, uno più assordante dell’altro – e per questo si impone di non fare lo stesso errore, di starle dietro e fermarla nel caso avesse voglia di fare qualche sciocchezza.
Vorrebbe dirle qualcosa, ma Ellie potrebbe vedere questa sua obiezione come una mancanza di fiducia nei suoi confronti, perciò decide di lasciar perdere, anche se ha così tanta rabbia in corpo che se non ci avesse riflettuto probabilmente avrebbe già messo su il piede di guerra.
 
Si alza in piedi ed Ellie fa lo stesso, chiudendo lo schermo del suo laptop e mettendolo sottobraccio. Si dirige verso la porta e si volta un istante prima di aprirla. «Vado a prepararmi».
Dean annuisce e la guarda uscire; avverte il fruscio dei vestiti di Sam quando si alza dalla sedia e fa un passo verso di lui. «Dean, ehm… sei sicuro che—»
Si volta verso di lui «Andrà tutto bene. Non è una sprovveduta e… e se la caverà» sospira forte. O almeno lo spero.
 
*
 
Entrare in ospedale e fingersi degli addolorati visitatori di una povera donna stuprata è stato semplice, un po’ meno convincere la suddetta donna a collaborare. Forse Ellie, in fin dei conti, non aveva tutti i torti a pensare che era meglio non coinvolgerla.
Era molto restia, ma Sam è stato così bravo – come al suo solito, che lui con le parole ci sa fare – a convincerla che era per il suo bene e che in questo modo sarebbe stata libera di tornare alla sua vita di sempre, senza paura di essere costantemente inseguita da quel maledetto.
 
Il piano adesso è semplice: Dean e Sam si sono portati dei camici da indossare per fingersi medici, insieme a un tesserino falso che attesta il loro impiego nell’ospedale. I due fratelli li stanno già indossando e, dopo aver scortato Dana Frost in una nuova stanza, stanno attendendo che Ellie, sdraiata nel letto al posto della vittima, faccia la sua parte, ovvero che stenda il presunto mostro trasformato in energumeno come Ariel da sirena a umana e li avvisi, così che loro, con una barella, possano scortare il suo corpo mezzo stecchito fuori dall’ospedale senza destare sospetti.
 
Dean muove la gamba destra in modo frenetico, per niente sicuro e convinto di questa faccenda. Davvero, non è che non si fida di Ellie, ma… cazzo, non poteva nascondersi nell’armadio come fanno tutti gli eroi del mondo in ogni fumetto o film che abbia visto e aiutarla quando il mostro farà la sua comparsa? Ha provato a dirglielo, ma lei non ha sentito ragioni, dicendo che probabilmente avrebbe sentito il suo odore. Non ha tutti i torti, ma che cazzo. Adesso non si ritroverebbe qui a fissare il display del suo dannato telefono con tutta quell’ansia addosso.
 
Non è che non si fida, davvero. Era migliorata tanto l’ultima volta che l’ha vista in azione, perciò in questi mesi che ha trascorso con suo padre avrà fatto ancora più progressi, ma si sentirebbe più tranquillo se potesse essere con lei. E poi è già passata più di mezz’ora e non gli ha fatto sapere nulla, porca puttana, che cazzo dovrebbe pensare?
 
Muove il piede più veloce, il gomito appoggiato sul ginocchio destro e il pugno chiuso sotto il mento. Un brontolio lo distrae e, quando si volta, trova Sam a fissarlo con la sua tipica espressione di disappunto – le labbra un po’ tirate e gli occhi più piccini –; Dean aggrotta le sopracciglia «Che vuoi?»
«Niente. Solo che la piantassi di muovere quel piede» lo indica con un cenno della testa e Dean si ferma, come colto sul fatto «Fai troppo rumore». Lui stringe le spalle, abbassando gli occhi, ma Sam non molla «Vedrai che sta andando tutto bene, stai tranquillo».
 
Dean neanche gli risponde perché proprio non riesce ad esserlo e il tempo passa lentissimo, ogni minuto gli sembra un’ora e non sa quanti ne sono passati quando suo fratello tira fuori il suo cellulare dalla tasca del camice, alzandosi poi velocemente. Si volta verso di lui, allarmato «Elisabeth mi ha fatto uno squillo. È andata. Dai, andiamo a prendere la barella».
Dean si alza, visibilmente perplesso «Scusa, da quando hai il suo numero?»
Suo fratello stringe le spalle «Me lo ha dato per le emergenze. Su, andiamo» e Dean lo segue, le mani ben strette a pugno.
 
Ellie non poteva chiamare lui che ha aspettato per tutto il tempo con una preoccupazione inverosimile addosso? Perché continua a fare la stronza così? Dean odia profondamente tutto questo e sa che non riuscirà ancora per molto a far finta di niente, perché ha così tanta collera addosso che butterebbe giù i muri di quest’ospedale a calci.
Prima o poi esploderà, erutterà come un vulcano in piena attività e ne verrà fuori un gran casino, ne è convinto.
 
Riescono a prendere una barella senza destare sospetti e s’infilano velocemente nella stanza dove c’è Ellie, trovandola seduta sul letto a fissare il corpo esanime dell’uomo che, a giudicare dalla descrizione che aveva fornito Dana Frost, è proprio colui che l’ha aggredita. È riverso sul pavimento, gli occhi chiusi; è a pancia in su ed Ellie si è premurata di legargli piedi e mani – poste davanti, proprio sopra il suo ventre – con dello scotch argento.
Scende dal letto e sorride furba «Spray al peperoncino. Fa miracoli su chi ha cattive intenzioni».
Sam le sorride appena. «Brava. Siamo sicuri che è lui?»
Ellie annuisce, abbassandosi sul corpo tirandogli su la manica della camicia blu che indossa per scoprirgli il polso destro, attenta a non liberarlo «Ecco la cicatrice di cui parlava Dana Frost. E per il resto, poi, la descrizione coincide perfettamente».
 
Sam sembra convinto a quelle parole; aiuta Dean che prende il tizio per le spalle mentre lui gli solleva le gambe e, insieme, lo caricano sulla barella. Lo coprono con un lenzuolo fino al collo in modo da non far capire a chi potrebbero incontrare nei corridoi che si tratta di un uomo legato e si avviano fuori, correndo come pazzi, come se si trattasse di un’emergenza vera.
Ellie indossa una nuova maschera, diversa da quella che porta tutti i giorni da quando è morto suo padre a questa parte: come stabilito in precedenza, si finge una fidanzata addolorata e apprensiva del ragazzo svenuto sulla barella che prega i medici di salvarlo. Dean deve dire che la sua interpretazione è anche troppo buona, visto che sta sbattendo gli occhi come se fosse in procinto di frignare come una di quelle donne melodrammatiche che si vedono nelle soap opera spagnole – non che Dean le guardi, ma ogni tanto gli è capitato di fermarsi a dare una lunga occhiata mentre faceva zapping – e riescono a portare il mostro fuori dall’ospedale senza farsi beccare.
 
Lo caricano sul bagagliaio dell’Impala, mettendogli dello scotch anche sulla bocca e scostando i bagagli che hanno preso prima di partire dal motel; partono, poi, sgommando sull’asfalto, in cerca di un luogo che sia abbastanza isolato da permettergli di ammazzare quello stupratore figlio di puttana.
 
Durante il tragitto, Sam si volta per congratularsi ancora con Ellie per come ha steso il presunto energumeno e Dean rotea gli occhi al sentirli chiacchierare come se fossero due amici di vecchia data che si scambiano trucchi su come rimorchiare le ragazze, anche se in questo caso l’argomento è come stendere mostri. Lo irrita l’atteggiamento di Ellie, il fatto che con Sam si comporti in modo quasi normale – quasi, sì, perché Dean la conosce davvero e sa che neanche adesso è al suo meglio – mentre a lui lo ignora totalmente e avrebbe così tanta voglia di fermarsi e mettersi a urlare; peccato che debbano preoccuparsi del bastardo legato nel suo bagagliaio, altrimenti lo farebbe volentieri.
 
Non ha alcuna intenzione di aspettare di trovare un magazzino isolato per svegliare il can che dorme – che nel suo caso ha le sembianze di un uomo sulla quarantina, moro e di bell’aspetto –, così si ferma poco fuori Scottsbluff quando trova un campo incolto. Accosta l’Impala lungo la strada, scende e apre il bagagliaio; Sam lo aiuta a spostare il corpo del mostro e lo guarda storto «Non è meglio farlo in un altro posto? Magari diamo meno nell’occhio» ma Dean neanche gli risponde, incazzato com’è. Vuole fare questa cosa il più in fretta possibile così da scappare, che è un miracolo se quelli che li hanno visti correre come dei pazzi in ospedale non li denuncino per essersi finti medici o robe del genere.
 
Portano il corpo in mezzo al campo e lo appoggiano a terra. Ellie li ha seguiti in silenzio, portando in mano una torcia per fargli luce, e Dean la trova lì vicino, gli occhi fissi sul quasi cadavere. Non sa se è una sua impressione, ma non sembra tanto dispiaciuta per quel mostro. Forse perché lo stupro non è tra i peccati che lei perdona a un figlio di puttana simile e, almeno in questo, non avrebbe tutti i torti.
 
Dean estrae la pistola dal retro dei pantaloni e punta al cuore dell’Incubo. Muori, pezzo di merda. Gli spara due volte, per poi mirare alla testa e sparare altrettanti colpi. Poi estrae una scatolina dalla tasca della giacca e cosparge il corpo ormai senza vita di benzina e gli dà fuoco con un fiammifero.
 
Tornano in macchina quando il falò è bello che consumato e Dean mette in moto, prendendo la statale per dirigersi verso Bayard, sempre in Nebraska, una cittadina abbastanza lontana da farli riposare almeno un giorno per poi ripartire nuovamente. Dean è troppo stanco per fare un viaggio più lungo di questo e crede che neanche Sam, che  sembra piuttosto stremato, non riuscirebbe a dargli il cambio per un numero di ore sufficiente a essere più lontani di così, perciò per ora si accontentano. Ripartiranno domani notte con calma.
 
Durante il tragitto, Sam ed Ellie scambiano qualche parola sul fatto che non riusciranno a trovare il Succubo che ha sicuramente aggredito Matt Hamilton, perché è nella prassi che scappino subito dopo aver donato all’Incubo il seme dell’uomo con cui sono stati. Non dicono molto altro, ma Dean tace per tutto il tempo, nonostante spesso senta gli occhi di suo fratello puntati addosso. Se ne sbatte e fa finta di nulla, comunque, perché qualsiasi parola possa uscirgli dalla bocca sarebbe sicuramente sconveniente visto che è così arrabbiato.
 
Trovano un motel che è quasi l’alba e, come al solito, prendono le solite due stanze, che scoprono essere particolarmente piccole: i due letti sono quasi appiccicati, c’è pochissimo spazio tra l’uno e l’altro e il comodino è unico, posto accanto alla finestra; l’armadio è striminzito e il bagno puzza di pipì oltre a essere grande poco più di un paio di metri quadri. Questa cittadina non sarà una metropoli, ma cazzo, potevano almeno spenderci due soldi per fare delle camere un po’ più decenti. Ne passerà di gente da queste parti ogni tanto.
Ovviamente Dean tiene le sue considerazioni per sé e va a letto praticamente vestito, tanta è la stanchezza che sente addosso. Sam continua a non chiedergli nulla e, davvero, va benissimo così.
 
Si alza il giorno dopo che è praticamente pomeriggio, irrequieto e scazzato. Il suo sonno è stato agitato e poco tranquillo, probabilmente per colpa di tutto il nervosismo che ha accumulato negli ultimi giorni, perciò non ha voglia di parlare con nessuno e non rivolge la parola neanche a suo fratello che ad un certo punto gli chiede che diavolo ha, ma Dean svia il discorso, dicendogli che sta bene e che non c’è assolutamente niente che lo preoccupa e, davvero, vorrebbe crederci anche lui, ma la verità è che sta di merda e sa benissimo che, se non tira fuori il rospo, finirà per scoppiare.
Non pretenderebbe niente da Ellie in questo momento, solo un po’ di considerazione. E una spiegazione, porca troia, una spiegazione decente che dia un senso al comportamento da stronza che sta avendo con lui nelle ultime settimane.
 
La vede che è ora di cena, dopo che Sam è andato a chiamarla per mangiare insieme. La va a prendere lui, però, la cena, e quando torna li trova seduti al tavolo e la scenetta è sempre la stessa: suo fratello le parla e lei sorride ogni tanto, non nel modo spensierato in cui lo faceva con lui, ma a Dean dà fastidio lo stesso. E sa che non dovrebbe, perché è un bene se lei e Sammy vanno d’accordo, ma è il fatto che ignora lui a dargli tremendamente sui nervi.
 
Mangia in silenzio mentre loro continuano a conversare, rannicchiato sul divano come se avesse vicino qualcosa che lo spaventa. Beve la sua birra un sorso alla volta, cercando di mandare giù con lei anche tutta l’amarezza che sente addosso ed è la voce del fratello che lo chiama a riscuoterlo dai pensieri, facendogli voltare la testa verso di loro che lo fissano in silenzio.
Sam gli sorride appena «Non stai scomodo? Qui c’è posto» indica la sedia accanto alla sua, ma Dean scuote la testa prontamente. «Sto bene qui».
L’espressione di Sam cambia dopo quella risposta, facendosi più seria e forse anche un po’ incazzata a giudicare da come stringe gli occhi, come se Dean avesse detto chissà che di sbagliato. «Ma si può sapere che hai?» Ecco, Sam non dovrebbe proprio farle queste domande. Soprattutto con Ellie nella stessa stanza. Dean stringe le spalle e svia lo sguardo; avverte suo fratello sbuffare «Io proprio non ti capisco» la sua voce è quasi un sussurro ma a Dean arriva fin troppo bene e alza nuovamente il capo nella sua direzione, guardandolo in cagnesco. «C’è qualcosa che non ti sta bene?».
Sam espira forte, guardandolo storto «Sì, che non ti capisco. Prima veniamo qui, ci occupiamo di un caso che non ci ha portato a niente se non a perdere tempo quando è di altro che dovremmo occuparci e lo sai benissimo e—»
Dean stringe gli occhi «Il caso l’hai trovato tu, io non ti ho chiesto niente e di papà, se ancora non l’hai capito, non c’è una cazzo di traccia. Se vuoi continuare a girovagare senza senso per trovarlo fa pure».
Sam arriccia le labbra in una smorfia seccata «Non è questo il punto. È che… è che mi sembra che non sei mai contento. Te ne stai lì col muso lungo quando siamo venuti qui praticamente apposta».
Dean sente il sangue corrergli veloce nelle vene, la rabbia che si scalda come il motore di una macchina appena accesa. È un discorso decisamente pericoloso quello che vuole affrontare Sam. «Che vuoi che faccia, eh? Che mi metta in ginocchio a chiedere scusa quando non ho niente da rimproverarmi? Soprattutto adesso che sono stato rimpiazzato, poi». Sam lo osserva perplesso, ma gli occhi di Dean si posano su Ellie che lo fissa arrabbiata. Non è stupida, ha chiaramente capito che è a lei che si sta riferendo. Si alza in piedi e si avvicina lentamente al tavolo, gli occhi fissi su quelli di Ellie che non accenna un attimo a spostare lo sguardo «Perché è così, no? Adesso è a lui che fai tutte le confidenze» lei continua a fissarlo mentre lo sguardo di Sam è ancora più confuso «Vi ho visti l’altra notte, fuori dal motel».
Sam rimane un attimo sbigottito «Oh andiamo, Dean, non sarai mica geloso. Stavamo solo chiacchierando, non penserai che—» prova a difendere lei e se stesso, ma Dean alza una mano nella sua direzione, impedendogli di continuare a parlare, gli occhi ancora su quelli di Ellie. «Con me però non ci parli. E che hai steso un maledetto figlio di puttana devo saperlo da mio fratello».
 
Ellie incrocia le braccia al petto, lo sguardo aguzzo. «Quanto sei paranoico. Ho telefonato all’ultimo numero salvato, tutto qui».
Dean sorride amaro «E certo, perché giustamente non mi chiami da una vita».
«Quello non c’entra niente, io—»
«Basta con queste stronzate!» Dean urla e non ci pensa neanche a provare a calmarsi «Falla finita. Tanto sono tutte balle, perché la verità è che non ti sta bene un cazzo di quello che faccio ultimamente. Se te la vuoi prendere con me perché Jim è morto, hai sbagliato persona, perché io non c’entro! Quindi piantala con questo atteggiamento di merda o quella è la porta».
Ellie deglutisce; sembra lievemente spaventata, forse per il tono che sta usando, anche se mantiene una postura che non lo lascerebbe intendere – la schiena dritta e le braccia ancora incrociate –, ma Dean glielo legge negli occhi.
 
Continua a guardarla ed è Sam a interrompere il silenzio «Va beh, Dean, ascolta—»
«No, non ascolto neanche te che non fai altro che difenderla. Mai una volta che mi dessi un minimo di ragione, cazzo».
Lo sguardo di Sam si indurisce «Perché posso capire come ci si sente».
Dean sorride nuovamente, sempre più amareggiato «Che stupido, dimenticavo che anche tu sei stato molto d’aiuto quando ce n’era bisogno. Che hai preferito levarti dal cazzo e fuggire dalle tue responsabilità piuttosto che rimanere a fare il tuo dovere».
«Io non sono scappato da niente. Volevo solo vivere la mia vita».
 
Dean scuote la testa, stringendo forte i pugni. Ormai è partito per la tangente ed è troppo tardi anche solo per pensare di potersi fermare, figuriamoci per farlo veramente. «La tua vita, come no. E chi hai lasciato a spalare tutta la merda che ti sei lasciato alle spalle?»
Sam stringe gli occhi, la mascella contratta «Te l’ho già spiegato. Volevo studiare e papà—»
«Chi le ha pagate le conseguenze?» Dean urla nuovamente; fissa ancora suo fratello e indica Ellie che ha sempre più terrore negli occhi «C’era solo lei quando avevo bisogno di qualcuno mentre tu eri a vivere la tua vita. E la mia? A me ci hai mai pensato una volta in tutto il tempo che sei stato via? Ti sei mai preoccupato se fossi vivo o morto?»
«Ma certo che sì. Voglio dire, sei mio fratello, ti pare che non—»
«E allora perché non mi hai mai telefonato una cazzo di volta?» fa una pausa, ormai in preda alla rabbia «Perché credi che mi sia attaccato tanto a lei, eh? Non sarebbe mai successo se ci fossi stato tu, ma era l’unica che mi è stata accanto, che almeno ci ha provato, mentre tu eri a fare la bella vita!» si ferma un attimo per riprendere fiato. Non pensa davvero quello che ha detto. Sa benissimo che probabilmente con Ellie le cose sarebbero andate come sono andate comunque, a prescindere da Sam, ma per una volta, dopo giorni in cui viene trattato da schifo, vuole ricambiare il favore, vuole essere lui a far del male ad Ellie che lo guarda delusa, ma a Dean non importa. Magari così riuscirà a capire come si sente lui ogni giorno da qualche settimana a questa parte. «Tu, che sei mio fratello, dov’eri ogni volta che papà spariva, ogni volta che avevo un problema, eh? Dove cazzo eri?»
Sam è chiaramente ferito da quelle parole, Dean glielo legge negli occhi, ma non per questo ha intenzione di fermarsi. «Papà mi ha detto di non tornare. Cosa dovevo fare, a parte prenderlo in parola? Ero arrabbiato, io—».
«E lo sai chi c’è andato di mezzo per una puttanata simile? Io!» fa per avvicinarsi ancora, ma Ellie è più veloce e si alza dalla sedia, spingendolo un po’ più indietro appoggiandogli le mani sul petto.
 
«Dai, basta. Se ce l’hai con me non prendertela anche con lui, non c’entra niente» è calma mentre lo dice, la voce appena tremante.
Dean si scosta più indietro perché per una volta non vuole neanche che lo tocchi, incazzato com’è. E, soprattutto, non vuole avere un briciolo di pietà, proprio come lei non ne ha avuta con lui negli ultimi giorni. «Tu pensa a farti i cazzi tuoi. Le cose della mia famiglia me le vedo da solo, hai già interferito abbastanza» lei lo guarda ancora, le braccia lungo i fianchi, visibilmente delusa. «Aveva ragione papà. Non avrei dovuto confondermi con te».
 
Lancia un ultimo sguardo di fuoco a entrambi prima di voltarsi e percorrere la stanza a ritroso per poi sbattersi la porta alle spalle.
 
*
 
Fissa per qualche secondo il legno scuro della porta chiusa per poi rilasciare un sonoro sbuffo, portando i capelli indietro con una mano.
Sam sapeva che sarebbe successo prima o poi, che la tensione tra Dean ed Elisabeth avrebbe indotto suo fratello a scoppiare. Ciò che non aveva previsto, però, è che la tempesta, poi, si sarebbe riversata su di lui.
 
Dean chiaramente soffre nel sentirsi trattare in un certo modo e sicuramente covava anche del risentimento verso di lui per la storia di Stanford, e Sam in un certo senso lo capisce perché lo sa che, almeno nei suoi confronti, avrebbe potuto comportarsi in modo differente, ma non è che Dean abbia fatto diversamente, perciò non comprende che senso ha ritirare fuori tutto questo adesso.
 
Guarda Elisabeth, ancora in piedi con gli occhi fissi sulla porta, le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pugni chiusi. Non riesce a vederla in faccia, ma è sicuro che ci sia rimasta male, forse per l’atteggiamento di Dean in generale o per qualcosa che le ha detto. Se il suo obiettivo era smuoverla un po’, ci è riuscito alla grande.
 
Si volta verso di lui dopo lunghi istanti, passandosi le dita sugli occhi «Scusa, ce l’ha con me» si vede che è davvero dispiaciuta per qualcosa; sembra non riesca neanche a guardarlo tanto in faccia. Abbassa il capo e abbozza un sorriso minuscolo, giusto una piega smorta che di spontaneo non ha niente, è solo di circostanza. «Ci tiene un sacco a te e sicuramente non voleva dire quello che ha detto. Mi dispiace che abbiate litigato per colpa mia». Sam capisce dal tono della voce che è sincera, ma vorrebbe che la smettesse di trattare male suo fratello per non si sa quale capriccio ed è stanco di farsi da parte, di dover assistere continuamente ai loro litigi, delle occhiate furtive e di vederli sbranarsi. E non solo perché poi è lui a rimetterci.
«E tu? Tu ci tieni a Dean?» Elisabeth lo guarda, confusa «Perché se è così non è questo il modo migliore per dimostrarglielo».
 
Lei stringe le labbra in una linea sottile; sembra dover riflettere bene su cosa dire. Inclina leggermente la testa da un lato e lo fissa, gli occhi più piccoli «Posso chiederti una cosa?» Sam, anche se non capisce il nesso con la sua di domanda, annuisce «Cosa sapevi di me prima di conoscermi?» fa una piccola pausa «Voglio dire, Dean… ti aveva mai parlato di me?» Sam, colto in contropiede, stringe le spalle e scuote la testa. «Ecco, lo immaginavo. Perciò per favore, non farmi domande del genere».
A quella risposta, però, Sam non può non replicare «Parlo perché, vedendo come ti stai comportando, non mi sembra t’interessi granché. I tuoi problemi non sono affar mio e Dean può aver sbagliato in qualcosa, ma tu—»
Negli occhi di Elisabeth c’è pura collera «Io niente. Sai, c’è un’unica cosa giusta tra tutte quelle che ti ha detto: c’ero solo io con lui quando tu eri via, perciò posso sapere meglio di chiunque quanto ha sofferto per la tua lontananza» abbassa il tono della voce «So cos’è meglio per lui e non… non voglio metterlo nei guai. Per questo ho un certo atteggiamento nei suoi confronti. È meglio così».
 
Elisabeth abbassa gli occhi, forse per nascondere che le sono diventati lucidi, ma Sam non ha alcuna intenzione di lasciar perdere. «E ne sei proprio sicura?» lei rialza la testa, nuovamente confusa; la spavalderia che voleva mostrare qualche minuto fa è completamente sparita. «Ascolta, io… io non ne so nulla di quello che avete passato insieme. Dean non mi ha detto granché e hai ragione, non so niente di te. Non lo sapevo prima di conoscerti e probabilmente non lo so neanche adesso, però… però se sei venuta fin qui è per chiarire con lui. Altrimenti perché lo hai fatto?»
Elisabeth stringe le spalle, visibilmente dispiaciuta. «Qualsiasi cosa fosse, non ha più importanza».
«Invece ne ha» Sam si alza e fa qualche passo verso di lei «Conosco Dean e sono certo che ti perdonerà se gli spiegherai tutto quanto. Fa tanto il duro, ma ha un cuore grande» abbozza un sorriso, mentre lei continua a guardarlo sconsolata e Sam vorrebbe capire se è perché non crede a una parola di quello che le sta dicendo o se c’è dell’altro. «L’hai detto anche tu, no? Gli sei stata vicino quando lui ne aveva bisogno, perché non lasci che lo faccia lui adesso? Non vuole altro, io ne sono sicuro. Poi anche lui ha passato un brutto momento di recente e, anche se non lo vuole ammettere, magari ha bisogno di—»
«Che brutto momento?» la voce di Elisabeth suona piatta ma piccata e Sam stringe un pelo gli occhi; Dean gli ha detto che si sono sentiti parecchio prima che lei cominciasse un silenzio radio lungo settimane, perciò dà per scontato che sappia dell’incidente che Dean ha avuto con quel Rawhead che l’ha quasi fatto secco più di un mese fa. Forse lei non ha capito a cosa si riferisce, per questo ha questa faccia interrogativa.
«Che… beh, ha… ha avuto un infarto. Ci ha quasi rimesso la vita» a giudicare da come Elisabeth lo sta guardando – gli occhi sgranati e il viso più pallido –, Sam non ha più un dubbio «Aspetta, tu… tu non lo sapevi?» e non ha bisogno di vederla scuotere lentamente la testa per realizzare di essere in guai davvero seri.
 
*
 
Dean ha guidato per una buona mezz’ora senza trovare una meta precisa; si è fermato per qualche minuto in un piccolo market lungo la strada per prendere una bottiglia di scotch da scolarsi in solitudine e poi è ripartito, finendo nel parcheggio di un bar di passaggio, in caso gli venisse voglia di cercare compagnia. Per questo è ancora fermo lì, il motore dell’Impala spento e la radio accesa, o forse perché vuole solo un posto dove stare da solo senza sentire rotture di coglioni da nessuno.
 
Si stropiccia gli occhi con pollice e indice della mano destra e si allunga sul sedile della sua piccola, incrociando le braccia al petto, la schiena appoggiata allo sportello.
 
Porta la bottiglia alla bocca, mandando giù un bel goccio di whiskey. Si sente un coglione. Non tanto per aver sbraitato in quel modo, ma per tutto quello che ha fatto prima, per aver cercato di affrontare la situazione con calma, per tutte le volte che ha provato a capire senza urlare, ma è arrivato a un punto di non ritorno.
 
La rabbia gli scorre nelle vene come se fosse mischiata al suo sangue e, anche se è passata già un’oretta dalla sua sfuriata, proprio non riesce a farsela passare. Sarà che è davvero amareggiato, sia da Ellie che da suo fratello, anche se per motivi diversi, e non credeva che potessero deluderlo così tanto.

Non è per il loro fare comunella, che quella è stata solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso ricolmo di nervosismo accumulato negli ultimi giorni, ma per motivi diversi.
Pensava che con Sam avesse più o meno risolto, che si stava facendo bastare che fosse tornato e che fosse lì quando ne aveva bisogno, ma non ne hanno mai parlato apertamente, non hanno mai chiarito una situazione che forse rimarrà irrisolta ancora a lungo e questo deve aver influito parecchio. Infatti, al minimo cenno di arrabbiatura, Dean è partito alla carica contro di lui, ritirando fuori quella vecchia storia.
La verità è che non riesce ancora ad accettare l’idea che Sam se ne sia andato a Stanford lasciandolo da solo a badare a papà e a quella che doveva essere anche una sua responsabilità. Sa benissimo che dovrebbe smetterla di fare i capricci come un bambino e lasciar perdere, ma non gli passa. Magari andrà meglio col tempo, ma di certo non si pente di avergli detto quelle cose.
 
È stanco di lasciar correre tutto e questo vale anche per Ellie. Ha provato a parlarle con le buone senza ottenere l’effetto sperato ed ora non sa se con le cattive avrà qualcosa di meglio, ma è davvero stanco di questa situazione, così tanto che spera che sarà tornata nella sua stanza quando tornerà al motel per non vederla.

Vorrebbe che non gli importasse più di lei, che la notte dormisse tranquillo invece di stare a rimuginare su quello che Ellie gli ha detto o no e su quanto deve essere stato tremendo il modo in cui è morto Jim per ridurla così. Vorrebbe fregarsene e continuare per la sua strada, entrare in quel bar così vicino e scoparsi la prima donna che trova per colmare il bisogno e ricominciare da capo e odia il fatto che poi non saprebbe come guardare Ellie in faccia perché è questa la verità.
Non può tornare alla vita di prima, non adesso che ha assaporato la completezza di un rapporto non fine a se stesso, perché Ellie è questo per lui: lo fa sentire bene la sola idea di starle accanto, il solo ascoltarla parlare e guardarla negli occhi e, cazzo, lo sa che anche per lei è così. Lo era quando passavano intere giornate insieme, non vede adesso cosa sia cambiato.
Hanno passato dei bei momenti insieme, perché non possono riprendere tutto da dove l’avevano lasciato? Perché lei ha voluto alzare un muro così alto nei suoi confronti? Proprio con lui che, invece, vuole solo aiutarla.
 
Con Sam non fa così. Con lui sorride – anche se poco e raramente – e non è scontrosa, è gentile e Dean non ne capisce il motivo. È perché si conoscono poco, forse? O perché lui si è posto in maniera diversa?
 
Sbuffa, la bocca semiaperta e le palpebre strette. Si passa ancora le dita sugli occhi, pensando seriamente di entrare in quel bar, ubriacarsi e mandare a puttane mesi di astinenza per quella che considerava la persona migliore per lasciarsi andare a certe effusioni. Il problema – e probabilmente è l’unica cosa che lo frena davvero – è che ci ha già provato una volta, quando le acque erano decisamente più mosse e gli unici salvagente che aveva per non affogare in quel mare di merda erano l’alcol e del buon sesso. È servito a farsela passare, a dimenticare Ellie e andare avanti? No. Perciò non vede cosa cambierebbe adesso che è forse più invischiato di prima in questa storia.
 
Beve un altro sorso di whiskey, appoggiando poi la testa sul finestrino e chiudendo gli occhi, ascoltando la radio cantare. Passano un pezzo che ha decisamente qualche anno, un ritmo country dei Poco. Non è neanche il suo genere, ma Dean si ferma ad ascoltare le parole e si ritrova in quella melodia allegra che gli suggerisce di continuare a provare, di trovare un modo per appianare certi contrasti [3] ed è stanco di fare queste cose, di andare incontro a chi da lui sembra non volere niente, ma si ritrova a sbuffare ancora e ad addrizzare la schiena sul sedile, allungando poi le gambe sui pedali e girando la chiave per accendere il motore della sua adorata Impala.
Lui ed Ellie hanno avuto altri momenti bui e alla fine sono sempre riusciti a passarci sopra perciò non vede perché non possano farlo adesso. Certo, la rabbia non gli è ancora passata, e magari aspetterà ancora prima di riaffrontare il discorso, ma è sicuro che cercherà di aggiustare le cose.
 
Esce dal parcheggio per poi immettersi nella carreggiata e guida ancora fino a tornare al motel, rimanendo un paio di minuti buoni dentro la macchina a motore spento per riflettere sul da farsi.
Quando scende, si dirige verso la sua stanza, intento a ignorare quella di Ellie da cui filtra la luce dalle tende della finestra; è lì dentro ed è ancora sveglia, a quanto pare, ma non ha voglia di andarle a parlare. In fondo crede di non avere niente di cui doversi scusare.
 
Infila la chiave nella toppa – l’occhio ancora rivolto alla sua sinistra – e cambia idea quando scorge quelle della stanza di Ellie appese lì fuori. Sfila le sue e si avvicina curioso, per verificare che siano veramente lì ed è una cosa strana, perché la conosce bene e sa che è precisa in queste cose, che potrebbe entrare chiunque se non fa caso a queste piccolezze.
 
Si arma di coraggio e le gira per aprire la porta, intento a capire che succede, e quello che si trova davanti gli fa sbattere le palpebre un paio di volte per la sorpresa: Ellie è girata di spalle, i capelli legati in una treccia un po’ scompigliata, un paio di jeans scoloriti e una magliettaccia grigia di cotone a maniche lunghe addosso, di quelle un po’ sfatte che indossa quando vuole sentirsi comoda. Ha le mani impegnate a piegare velocemente un mucchio di panni che ha messo alla rinfusa sopra il suo letto per poi metterle nel suo borsone come una furia, come se avesse chissà quale fretta di partire.
 
Non si è neanche accorta della presenza di Dean che ne approfitta per guardarsi intorno: c’è fin troppa precisione in quella piccola stanza e questo è tipico di Ellie, ma c’è un dettaglio che stona paurosamente: una bottiglia di vodka pura è appoggiata sul comodino accanto al letto. È quasi vuota. Dean non vorrebbe immaginare perché è lì e quando l’ha consumata, ma ha visto troppe volte scene simili perciò fare due più due gli riesce fin troppo bene.
 
Si chiude la porta alle spalle e quel tonfo fa voltare Ellie; ha gli occhi rossi, forse anche di pianto, anche se Dean ne dubita. È più convinto che abbia bevuto e deglutisce a fatica di fronte a quell’immagine.
 
Prende fiato «Scommetto che non saresti passata a salutarmi» il suo tono è amareggiato mentre pronuncia quelle parole, ma gli dispiace davvero vedere questa scena. Ellie stringe le spalle senza rispondere, voltandosi nuovamente per tornare a piegare una camicia. «Perché vuoi andare via?»
«Perché non voglio più avere niente a che fare con te».
Bene, questa mi mancava. Ellie continua a buttare altre cose nel suo borsone, forse in modo addirittura più frettoloso, e Dean sbuffa. «Tanto ultimamente non ne faccio bene una, perciò illuminami: quale sarebbe il nuovo motivo per cui mi odi?» non sa davvero come riesca a fare dell’ironia in una situazione tanto disperata.
 
Lei si volta di nuovo, appoggiando una mano sui fianchi. «Perché forse ti sei dimenticato di dirmi qualcosa quando non c’ero. Un dettaglino insignificante come che stavi per morire su un letto d’ospedale perché hai avuto un infarto!»
Dean sgrana gli occhi; questa non se l’aspettava davvero. «Chi te l’ha detto?»
Ellie sorride sarcastica «Secondo te? È sfuggito a tuo fratello mentre esponeva un’arringa difensiva nei tuoi confronti» allarga le braccia e gesticola, tremendamente incazzata, forse più di come Dean l’abbia mai vista. E ce ne sono state di volte in cui è uscita dai gangheri.
Mannaggia a Sam e alla sua boccaccia. «Eri sparita, non ho—»
«Bugiardo. Ho fatto il conto, è successo più di un mese fa e noi ci sentivamo ancora» bene, Sam deve averle detto proprio tutto. Starsene zitto, evidentemente, era troppo complicato. «Sei stato tre giorni all’ospedale, perché non mi hai chiamato?» Dean deglutisce, senza rispondere «Non ci hai pensato? Di nuovo? Conto davvero così poco per te?»
Dean aggrotta la fronte, punto sul vivo «Ma senti chi parla, quella che mi ignora senza motivo!»
«Non rigirare la frittata! Mi hai rimproverata giorni fa, accusandomi di non essere stata sincera su papà e invece guarda tu quanto sei stato onesto! Non ti sei neanche degnato di dirmi che stavi per crepare!»
«Beh, sai che ti dico? Almeno saresti stata contenta di qualcosa, visto che non vedi l’ora di liberarti di me!»
Ellie lo guarda malissimo ed è davvero offesa, glielo legge negli occhi, ma a Dean poco importa «Non è vero. Avrei fatto il prima possibile per raggiungerti, io—»
«È facile a dirsi. E tutte le volte che stavo bene e che ti chiedevo di vederci? Allora però non hai mai pensato di precipitarti!»
«Non potevo farlo, te l’ho spiegato tante volte. C’era papà ed io—»
«Cazzate! Non c’era niente di male a dirgli che venivi da me, il problema era che tu non volevi vedermi! Non te ne fregava niente!»
Ellie lo fissa e sembra sempre più delusa dalle sue parole che sono taglienti e la feriscono, ma Dean è incazzato e stanco, soprattutto di far finta di nulla. «Hai pensato questo di me in tutti quei mesi? Che… che ti prendessi in giro?»
«Lo penso adesso, perché è quello che mi stai dimostrando con questo atteggiamento di merda».
«Scommetto… scommetto che è una scusa e che… che non mi hai detto niente per qualche altro motivo».
Dean sospira, passandosi le dita sugli occhi «Non è così. Volevo solo morire in pace con mio fratello, fine della storia».
Ellie sbatte le palpebre un paio di volte, poi aggrotta la fronte «E certo, perché io non c’entro niente!» urla, in preda alla rabbia «L’hai detto anche prima: non c’entro con te, con la tua famiglia, con niente che ti riguardi. Non… non c’entrerò mai». I suoi occhi sono lucidissimi e pronuncia quelle parole con un dispiacere fortissimo nella voce, ma Dean sa che non scoppierà a piangere, perché riesce sempre a trattenersi, per questo di certo non cederà ora. La sua commozione è sincera, però.
«Non volevo dire questo e poi non è vero. Sei tu che non vuoi entrarci, che ti comporti come se io fossi l’ultimo essere vivente sulla faccia della Terra in grado di aiutarti. Notizia flash: mi sono precipitato da Bobby apposta non appena mi ha detto di tuo padre, mi sto facendo in quattro per provare a capire cosa ti è successo e con tutto questo tu non—»
«Infatti è proprio questo il problema. Tu non vuoi capire come sto, vuoi solo sapere che è successo. T’interessa solo questo». Scuote la testa voltandosi di nuovo verso il suo borsone e ricominciando a ficcarci dentro vestiti alla rinfusa «La verità è che tra noi le cose non funzionano, né quando siamo vicini né quando siamo lontani. Ho solo sprecato tempo, non ti fidi di me e non mi consideri sincera».
«Io? Vogliamo parlare di te che mi ignori da quando sei qui? E mi fai passare pure da stronzo!»
Ellie fa spallucce «È quello che sei».
 
Dean stringe i pugni forte ed ha così tanta rabbia addosso che non riesce più a controllare quello che dice; la guarda mentre lei continua a infilare cose a caso nel suo sacco «Ma sì, sai che ti dico? Vattene. Va via e rimani da sola se è questo che vuoi. Tanto non te ne frega un cazzo di me o del fatto che volevo solo provare ad aiutarti, a farti stare meglio».

La sua voce è ferma e decisa ed Ellie si blocca per un istante, la schiena dritta e le mani che tremano sopra quel borsone logoro, ma dura un attimo perché poi arraffa gli ultimi vestiti rimasti sul letto e chiude la zip, prendendolo per i manici.
Sorpassa Dean senza degnarlo di uno sguardo, la testa bassa, e lui la segue con gli occhi mentre prende la sua giacca dall’attaccapanni e uno zaino che mette sulle spalle. Apre la porta ed è solo allora che si volta, un sorriso amaro dipinto sulle labbra. «Vuoi sapere perché sono venuta qui?».
Dean la guarda truce «Sinceramente? No. Nessuno ti ha obbligata e adesso sei libera, vai dove cazzo ti pare. Così magari la smetterai di lamentarti».
 
Ellie non risponde e chiude la porta dietro di sé, lasciandolo lì da solo.
Dean fissa il legno per qualche istante prima di avvicinarsi al comodino e scaraventare giù la lampada e la bottiglia di vodka a terra con il braccio sinistro; gli oggetti cadono contro il muro, le schegge di vetro finiscono a terra e Dean afferra con entrambe le mani il bordo del mobiletto, appoggiandocisi con tutto il corpo e stringendo forte le palpebre. Butterebbe all’aria anche quello se desse retta all’istinto ma non lo fa e, anzi, ci si aggrappa più forte, piegando il capo in avanti e facendo un grosso respiro.
 
Non è per niente convinto di quello che ha fatto, anzi, tutto il contrario, perché così l’ha spinta ancora più lontano anziché provare a riavvicinarla e va beh che era quasi impossibile, ma adesso non la rivedrà più e la sensazione di solitudine che lo investe gli sembra ancora peggiore di quella che sentiva addosso quando Ellie lo ignorava.
 
Rimane così, immobile, sentendo gli occhi farsi lucidi e stringendo le palpebre più forte per impedire anche a una sola lacrima di uscire. Dovrebbe essere contento, adesso Ellie ha quello che ha sempre voluto da che l’ha ritrovata, adesso è libera, ma non sa che darebbe per avere il coraggio di ascoltare quella vocina che risuona nella sua testa che gli dice di ripensare al suo viso, all’espressione smarrita che aveva quando le urlava contro e che se ci è rimasta male anche solo un pochino vuol dire che ci tiene ancora, che non pensa a tutti gli sproloqui che gli ha detto, ma è la rabbia a prevalere su di lui che si aggrappa più forte al bordo del comodino, realizzando in fretta che stavolta l’ha davvero persa per sempre.

 

[1] La rappresentazione del mostro è un preciso riferimento al quadro “L’Incubo” del pittore Johann Henrich Füssli. In particolare, mi riferisco alla versione conservata al Detroit Istitute of Arts di Detroit (che trovate qui), dove è rappresentata una donna sdraiata e il mostriciattolo su di lei, girato verso destra. 
[2] In nessuno dei siti che ho consultato per la costruzione di questo caso ho trovato un modo per rendere i mostri in questione più “reali” e trovare un sistema per farli fuori, perciò i dettagli che riguardano il loro “diventare umani per riprodursi” e il periodo in cui sono soliti farlo sono frutto della mia fantasia. Mentre la storia dei Succubi e degli Incubi e il loro voler “portare” il seme dell’uomo in una donna per fecondarla proviene da fonti certe xD
[3] La canzone citata è “Keep on tryin’” dei Poco.
  
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