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Autore: FairLady    10/10/2018    0 recensioni
[Cast Meteor Garden]
[Wang Hedi-Dylan Wang/Nuovo Personaggio] Cast Meteor Garden 2018
Per quanto il mondo sia vasto, tutto ciò che ti serve lo troverai tra due braccia.
Per quanto si possa scappare dalla ragione, il cuore ti troverà in qualsiasi posto tu vada.
Non esiste differenza che non si possa pareggiare con l'amore.
Fatti e Personaggi che compariranno nella storia sono da ritenersi puramente casuali.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La differenza sostanziale tra un piano e un piano ben riuscito sta nella determinazione con la quale lo si attua. La stessa idea può portarti alla vittoria, ma può anche portarti a fallire miseramente. Se trasmetti insicurezza, ci saranno alte probabilità di disattendere le aspettative. Se, al contrario, parti con il presupposto di avere già la vittoria in tasca, è quasi certo che sarà così.
O almeno, questo è quel che aveva sempre pensato Hedi.
Non era arroganza, nemmeno ottimismo. Si trattava semplicemente di ingraziarsi il destino. E se anche la storia del bigliettino non aveva funzionato, non si sarebbe certo fatto abbattere. Probabilmente era anche un po’ colpa della donna stessa: lo aveva destabilizzato, lo aveva portato a mostrare ansia e nervosismo, lei se n’era accorta e ne aveva approfittato.
“Sì, certo. Raccontatela, così almeno ricarichi qualche tacca di autostima…”
Mentre, seduto al bancone del bar, confabulava con Jin – che ormai non era più un cameriere, ma un consulente matrimoniale –, dovette sforzarsi parecchio nel tentativo di non farsi film mentali circa quello che sarebbe successo; in parte temendo di restarci male se poi non fosse accaduto e un po’ perché, se tutta quella messa in scena avesse avuto esito positivo, avrebbe voluto poterselo godere appieno, con sorpresa, come fosse un dono.
E ripensando allo sguardo intenso di lei mentre camminava verso di lui e alla cornice di ricci castani intorno a quel viso delicato, sì, si disse, lo sarebbe stato davvero.
Un principio d’ansia lo colse quando quello che ormai era diventato il suo complice gli disse, con tono sommesso:
«Teoricamente questa cosa non si potrebbe fare, sig. Wang. Sembra stalking e comunque io non ho accesso all’interconnettività della struttura. Dovrei domandare a Youxi, della control room.»
Non si era ancora mosso dal bar e già si presentavano problemi. Il tempo trascorreva e, per quanto ne sapeva, l’oggetto del suo desiderio poteva già essere uscito dall’albergo. Poteva essersi addormentato, poteva aver fatto già tante cose che chissà se poi avrebbe risolto qualcosa.
“Non ti abbattere, Didi. Non ti abbattere! Cosa avevamo detto? Ingraziamoci questo destino, che se non parli con quella donna stasera probabilmente diventi pazzo.”
“Che poi non me lo spiego neanche io perché mi sento così…”
Gli occhi della donna riaffiorarono tra i suoi pensieri.
“Ok, ho capito! Mi vuoi al manicomio o morto.”
Si scosse dalle inutili divagazioni mentali in cui si stava perdendo e tornò dal suo partner in crime.
«Bene, Jin. Vedo che la tua proattività ti precede senza che tu lo sappia. Hai mosso una questione e subito hai trovato la soluzione. Quindi, perché sei ancora qui?», gli disse, piazzandogli una poderosa pacca sulla spalla.
Il cameriere lo guardò con un’espressione indecifrabile, confusa.
«Scusi, signore? Cioè?»
«Perché non sei già da questa Youxi? Lei è quella che gioca con le smart tv della struttura? Falla divertire con quella che serve a me.»
Hedi si era promesso calma e sangue freddo, invece nelle vene gli scorreva olio di motore, caldo e denso come se avesse percorso trecentomila chilometri. Era emozionato come un bambino che stava per arrampicare una grande quercia; oppure no, molto di più, come quando gli comunicarono la data del suo primo volo da cadetto. Aveva aspettato tanto quel giorno e quell’attesa fu logorante per i suoi nervi, ma anche incredibilmente elettrizzante.
Come quel momento.
Si sentiva entusiasta ed impaziente; nervoso e galvanizzato dalla situazione e dall’idea di quel minuscolo spiraglio aperto verso quella donna, che anche se non sapeva chi fosse, da dove venisse e cosa ci facesse lì, aveva occupato tutta la sua mente.
Chissà come si sarebbe sentito poi, quando – e se – quel volo fosse decollato davvero.
«Oh, giusto. Però, vediamo…», il cameriere si guardò intorno con fare guardingo, come se stesse partecipando ad un’azione della Guoanbu, poi si rivolse a Meiwa, la sua collega.
«Zang Meiwa, mi assento per qualche minuto, cerco di fare presto.»
 
Ci erano voluti complimenti a profusione – e per poco non si era trovato a dover uscire a cena con quella Youxi –, la promessa di un invito alla successiva trasmissione televisiva cui avrebbe partecipato, per lei – più innumerevoli nonne, zie e cugine – e mille yuan, ma alla fine ce l’aveva fatta.
O meglio, il piano “Chi la dura la vince”, come lo aveva ribattezzato Jin, aveva finalmente visto la luce. Hedi sperava solo che la sua fata non l’avrebbe spenta.
All’improvviso si rese conto di avere urgente bisogno di una doccia, perché davvero aveva sudato le famigerate sette camice per mettere in piedi la cosa; soprattutto per convincere Youxi a non tornare sui suoi passi – ché ormai era certa di rischiare la galera per quello che gli aveva permesso di fare.
Uscì dalla control room insieme a Jin, che tornò finalmente a fare quello per cui era pagato, diede un paio di indicazioni alla receptionist dell’albergo per sistemare gli ultimi dettagli del piano e si diresse verso gli ascensori.
A quel punto non avrebbe dovuto far altro che aspettare, e sperare, che tutto andasse per il meglio.
Altrimenti avrebbe dovuto giocarsi l’Asso di Picche – e, formulando quell’ultimo pensiero, sorrise sornione al suo riflesso nello specchio dell’ascensore.
 
***
 
Si stava frizionando i capelli con l’asciugamano dopo essersi fatta una doccia calda. Era stata sotto al getto per un tempo infinito, non tanto perché ne avesse voglia, ma quanto perché sentiva davvero il bisogno di togliersi di dosso quella giornata pesante – e il pensiero fisso di quel sorriso assassino che non aveva alcuna intenzione di abbandonare i suoi pensieri.
Per quanto si fosse sfregata il viso, grattata la testa, lavata i capelli e corrosa la pelle a forza di cospargerla di bagnoschiuma – come se fosse stato una specie di unguento magico in grado di cancellarle la memoria e le emozioni – il viso perfetto di quel ragazzo non voleva saperne di sparire dalla sua mente.
«Sì, Ali, ragazzo… finalmente l’hai capito! È solo un ragazzo, mentre tu sei una donna!»
“E, sì, coscienza guastafeste ed azzeccagarbugli: è perfetto! Così perfetto da risultare sfacciatamente imbarazzante.”
Niente, nemmeno la doccia aveva potuto qualcosa sul subbuglio emozionale che provava. Ci aveva sperato, ma non era servito a niente e, mentre con la manica dell’accappatoio asciugava il vetro dello specchio dalla condensa, si scrutò nel riflesso e si chiese cosa stesse facendo in quel momento il capolavoro vivente senza nome.
Si domandava se fosse rimasto deluso dal suo rifiuto o se non gli era importato affatto ed era già pronto a riciclare il bigliettino con qualcun’altra.
E, più di tutto, si chiese perché mai lei avesse reagito in quel modo.
Quando si era alzata dal tavolo, lo aveva fatto con tutta l’intenzione di sedersi a quel bancone accanto a lui, bere il suo whisky offerto e svagare un po’ la mente dai problemi – a cui per altro non avrebbe potuto porre rimedio, non subito, quindi sarebbe stato inutile rimuginarci sopra tutta sera.
«Forse perché inconsciamente sapevi che era solo un ragazzino e, grazie al cielo sei rinsavita in tempo e hai pensato di evitargli l’imbarazzo.»
“O di evitarlo a me stessa.”
“Più probabile.”
«Oh, mamma! Ma che mi prende? Perché mi sento così strana? Mi fa male lo stomaco, mi sento le gambe deboli…»
Alice si abbandonò mollemente sul letto. Indossava ancora l’accappatoio e aveva i capelli bagnati. Era talmente stanca che avrebbe sicuramente finito con l’addormentarsi così, senza cenare, per svegliarsi poi l’indomani mattina con il collo tutto incriccato e la cervicale ululante.
“Che bei pensieri da ottantenne.”
“Musica, ci vuole un po’ di musica!”
Scrutò l’ambiente intorno a sé per identificare la posizione del telecomando e lo localizzò sul letto, a poca distanza. Provò a muoversi, ma i suoi muscoli non rispondevano; non era più un essere umano, si era trasformata in una medusa gellosa e appiccicaticcia. Strinse la stoffa della coperta e la tirò a sé finché l’aggeggio fu così vicino da poterlo agguantare senza fatica.
«E tu volevi uscire con un ragazzino? Se ti vedesse adesso ti darebbe sì un bigliettino, ma con il numero telefonico di un bravo geriatra!»
“Va bene, alt! Basta! Non vedrò nessun ragazzino! Era solo un pensiero diverso in una vita ormai così tutta uguale! Ho capito. Stop!”
Accese la tv pronta a mettere un po’ di musica e comparve il solito messaggio di benvenuto.
“Buonasera signora Aldesi”, in otto lingue diverse.
«Che strano, non mi ero mai accorta delle traduzioni», e all’improvviso sullo schermo comparve lui.
Lui?
Lui!
Saltò sul letto come una rana, con le gambette nude che spuntavano dall’accappatoio, e immediatamente si affrettò a coprirle, come se quell’essere, mezzo demone e mezzo angelo, avesse potuto vederla al di là dello schermo.
Poteva?
Alice si guardò in giro quasi spaventata, alla ricerca di nemmeno lei sapeva cosa.
“Mi vede? Hanno messo qualche telecamera?”
D’un tratto Belthazor prese a parlare. Lei rimase in piedi sul materasso a fissare lo schermo con espressione inebetita.
«Se ti stai chiedendo se posso vederti, la risposta è no. Il messaggio ovviamente è registrato.»
“L’ho detto io che non è umano, legge anche nel pensiero?”
Il ragazzo parlava in cinese, ma sotto scorrevano delle strisce in sette lingue diverse.
«Non so esattamente che origini hai e che lingue parli, ma spero che tra queste otto proposte almeno una tu riesca a comprenderla, perché l’altro modo che mi è rimasto per poter passare qualche minuto con te è di venire direttamente alla 2643 e rapirti, e non vorrei arrivare a tanto», le labbra si schiusero appena a scoprire un accenno di sorriso, che già così bastò a farle piegare le ginocchia. Si accasciò sulle coperte e rimase imbambolata come un serpente davanti al pifferaio.
Il ragazzo parlava lentamente, ostentava sicurezza, ma qualcosa le diceva che fosse un tantino nervoso. Inclinava impercettibilmente la testa un po’ a destra e un po’ a sinistra e teneva le mani congiunte davanti a sé, come se fosse davanti ad una commissione d’esame.
«Non ti chiedo tanto, solo un drink, al massimo una cena…», fece una pausa sulla parola cena, e solo allora Alice si rese conto di come risuonasse bassa e profonda la sua voce.
“La meraviglia.”
«…poi potrai sparire su quei tacchi vertiginosi e dimenticarti di me.»
“Ditemi che sono su candid camera, per favore!”
«Io mi chiamo Wang Hedi e alloggio nella 4587. Non fraintendere, non ti sto invitando nella mia camera, ma se vuoi chiamarmi per mandarmi al diavolo o per dirmi che accetti di uscire con me – ovviamente preferirei la seconda opzione – almeno sai come raggiungermi.»
«Ciao, signorina Aldesi.»
L’ultima frase la pronunciò in un italiano così tenero che ad Alice partì una risata isterica.
Finse di non notare che il mezzo demone aveva fatto lo gnorri circa la sua nazionalità – “Non so quali siano le tue origini”. Di sicuro Jin aveva vuotato il sacco, e lei avrebbe anche dovuto aspettarselo.
Prese in mano il telecomando; una parte di lei sperava che in qualche modo potesse portare indietro la registrazione perché le sue orecchie avevano estremo bisogno di risentire le sue labbra pronunciare di nuovo quel “Ciao, signorina Aldesi.” L'altra parte, quella con ancora un briciolo di dignità, sperò di no, altrimenti sarebbe certamente entrata in loop a forza di riascoltarlo.
Si sentiva lo stomaco sottosopra e le orecchie fischiavano. Tremava, ballava, rideva, piangeva, desiderava prendere a testate la televisione, poi rideva ancora. E non sapeva cosa fare.
Si era tramutata in un ibrido tra Kevin McCallister quando scopre di essere stato lasciato a casa da solo e Harley Quinn.
Niente di promettente, insomma.
Erano rimaste due opzioni: o aveva di colpo contratto la demenza senile in età prematura o quel ragazzo aveva premuto qualche tasto dentro di lei e l’aveva resettata, riportandola al sistema operativo “Adolescente 1.0”.
 
Siccome si sentiva troppo su di giri decise di ributtarsi velocemente sotto la doccia.
Di colpo capì che, dopo un gesto del genere, non poteva di certo camminargli accanto come Catwoman e ignorarlo: si sentiva in dovere di fare qualcosa, anche solo di scambiare con lui qualche parola per ringraziarlo dell’invito.
Solo che in quel momento non era sicura di essere perfettamente capace di intendere e volere e, forse, sarebbe stato meglio presentarsi mostrando un certo contegno. Dopotutto aveva trentaquattro anni – almeno anagraficamente.
Una volta fuori dal bagno, però, continuò a sentirsi su di giri, maledicendo tutti coloro che consideravano una bella doccia calda un rimedio contro lo stress. A lei evidentemente stava facendo l’effetto opposto: lo scroscio dell’acqua sulla pelle aveva fomentato l’adolescente che quel Wang Hedi aveva riesumato dalle ceneri dell’adulta che era, fatta di tanti doveri e pochi diritti. Aveva contribuito alla formazione di cumulonembi di film mentali che nemmeno Shonda Rhimes sotto l’effetto delle droghe migliori.
«Respira, Ali. Avanti – inspirava ed espirava, alzando e abbassando le braccia a ritmi regolari –, ce la puoi fare. Non è giusto lasciare qualcuno che ha fatto un gesto così carino, anche se un po’ da stalker, senza una risposta. Cosa vuoi che sia?»
“Ehi, ma non eri quella che mi dava contro? È solo un ragazzino, tu sei una donna, bla, bla, bla?
«Sì, ma cosa vuol dire? Dopotutto non ti ha chiesto in moglie. Ha detto un drink, una cena al massimo, giusto? Vai, lo ringrazi, bevi qualcosa e te ne vieni via.»
Era spacciata.
Se persino la ragione, che di solito aveva più buon senso, voleva un appuntamento con Mr. Wang Hedi, come poteva il cuore convincersi che fosse sbagliato?
Alice si accasciò sulla moquette vicino al letto e sbuffò sonoramente.
Era così stanca di farsi mille paranoie. Si sentiva come se avesse camminato per ore nel deserto.
«Basta!»
Abituata com’era a girare per il mondo da sola, ad arrangiarsi, sempre sicura di cosa fare e come farlo, non le piaceva sentirsi così sopraffatta. Non ci sarebbe stato niente di male nel vedere quel ragazzo, e al diavolo le idee convenzionali!
Si alzò e camminò verso il comodino; prese in mano la cornetta, finalmente determinata come le piaceva sentirsi.
«Buonasera, sono Aldesi della 2643. Avrei bisogno di mettermi in contatto con la 4587, per favore.»
Ok, forse la mano tremava un po’ e la voce aveva un vibrato strano, ma poco importava. Ormai si era convinta.
Per un breve, brevissimo istante sperò che il ragazzo non fosse in camera.
Attese qualche secondo e poi qualcuno rispose.
«Giuro, a questo punto tutto mi aspettavo, anche che la polizia mi bussasse alla porta, meno che mi avresti chiamato davvero.»
   
 
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