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Autore: koan_abyss    11/10/2018    2 recensioni
Lestrade e Mycroft Holmes si incontrano inaspettatamente in Tribunale, e per quanto la cosa sia piacevole, Lestrade è alle prese con il divorzio e un caso complicato. Non ha le forze nè il tempo neanche di pensare a conseguenze e aspettative dopo uno strano mercoledì pomeriggio. O almeno così crede.
CaseFic
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al secondo giro di giostra (avevo ancora un po' di paura)'
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Capitolo 6



Quando Lestrade arriva allo Yard, Davies gli va incontro nel parcheggio.
“Ispettore, Tennyson e io stiamo tornando a Fulham. Pensavamo di rifare il giro chiedendo espressamente di tutti i ciclisti che si sono mossi quella sera, visto che dalle deposizioni non è saltato fuori un granché.”
“È un’ottima idea, Davies,” gli risponde Lestrade colpito.
Il lavoro di polizia è così: si chiede e si fanno domande, e quando si scopre quali sono le domande giuste si ricomincia da capo a chiedere. A quanto pare la sua squadra ha afferrato il concetto e non si tira indietro, davanti alla fatica e alle grane che questo comporta. Una parte di lui osa sperare che sia grazie alla sua guida e al suo buon esempio. Pessimo marito, ma buon capo? Può farselo bastare.
“Mi raccomando, cominciate dai vicini di casa di Clarke: pensiamo che la ragazza l’avesse cercato per parlargli, forse qualcuno l’ha notata. Donovan è avvertita? Chi sta dietro a Latimer, oggi?”
“Certo, signore. Weston e Bronson,” risponde Davies, “ma Donovan ha detto che sareste passati voi due, da Latimer, anche…”
Lestrade annuisce: era in programma interrogare i fornitori di Clarke, quel pomeriggio. Tanto vale cominciare dal cavallo favorito.
Appena è comodo nel suo ufficio, Donovan lo raggiunge con del caffè.
“Volevo prenderci del popcorn, anche, ma non fa bene a nessuno dei due,” gli dice scrollando una spalla.
Passano il resto della mattinata a rivedere riprese sgranate di strade uggiose e Lestrade viene di nuovo assalito prepotentemente dal desiderio di fumare. È e sarà sempre frustrante: scoprire un frammento del mosaico, lasciarsi prendere dall’eccitazione e poi non vedere subito risultati o il collegamento successivo.
Dopo pranzo, Donovan spegne il video: “Questo è tutto, per ora.”
“Come, tutto? Non abbiamo richiesto le registrazioni delle vie adiacenti il parco?”
“Sì, boss, ma lo abbiamo fatto giovedì dopo le 18, dopo essere tornati dal Bart…non sono ancora disponibili. Oggi è sabato,” gli ricorda il suo Sergente.
“Devo sollecitarli?”
Donovan ridacchia: “Li strapazzerai come Jeff?”
“Se serve…” brontola lui.
“Proviamo. Potremmo averle per quando torniamo dalle chiacchierate di oggi,” replica Donovan, alzandosi e prendendo il suo soprabito come Lestrade.
Lui si blocca: “Uh…se arrivassero per stasera…”
“Hai le bambine, è vero,” capisce al volo Donovan. “Be’, vorrà dire che faremo una matinée.”
“Ti stai impegnando per venire domenica mattina?” le chiede Lestrade con un mezzo sorriso.
Donovan si stringe nelle spalle: “Chissà, magari siamo fortunati: Latimer si spaventa e stanotte Weston e Bronson lo beccano mentre cerca di gettare una bici nel fiume.”
“Speriamo lo faccia dopo che avrò riaccompagnato a casa Vicky e Grace…”
Peter Latimer abita a una ventina di minuti dalla casa di Clarke e Lestrade sa da Margareth Clarke che lui e James si conoscevano da una vita (“Andavano al pub ogni tanto, dopo il lavoro…Pete è un vecchio amico.”), ma il sabato, come molti altri contatti lavorativi di Clarke, Latimer è impegnato, e Lestrade e Donovan lo raggiungono in un magazzino alla periferia di Fulham.
L’uomo è impegnato a dare indicazioni a un paio di autisti con due furgoncini come quello con cui lui si è presentato alla caffetteria.
Lestrade si guarda discretamente attorno. Nota Weston e Bronson nel parcheggio del concessionario di fronte solo perché sa che ci sono (o almeno lo spera) e si fa avanti estraendo il tesserino.
“Signor Latimer! Si ricorda di me?” lo saluta da lontano.
Peter Latimer si gira verso di loro e Lestrade aspetta l’ombra scura nei suoi occhi o la contrazione delle spalle che gli diranno se Latimer scatterà per fuggire. Ma la bocca dell’uomo si riduce a una linea sottile ed è con cupa rassegnazione che fa entrare lui e Donovan in un ufficetto con le pareti di vetro in un angolo del magazzino, facendo sloggiare una segretaria.
“Sapevo che sareste venuti da me,” fa, sedendosi alla scrivania e fissandoli con risentimento.
“Stiamo parlando con tutti quelli che lavoravano con James Clarke,” risponde Lestrade educatamente.
“Ah, ma scommetto che io sono il primo, giusto? Vi ho sempre addosso,” replica l’altro, incrociando le braccia.
“Siamo stati prima alla caffetteria, e il primo con cui abbiamo parlato è stato Riggs,” interviene Donovan con un sorriso freddo.
“Perché pensava che le saremmo stati addosso, signor Latimer?” chiede Lestrade.
“Per quella vecchia storia,” risponde Latimer. “Stockwell.”
“Si riferisce all’occasione in cui è stato arrestato e poi accusato di rissa aggravata e resistenza a pubblico ufficiale?” domanda Donovan, controllando il suo taccuino.
“Be’, sì. Viene sempre fuori, appena qualcosa è fuori posto.”
“Noi stiamo indagando sull’omicidio di James Clarke,” fa Donovan. “C’è parecchio di ‘fuori posto’, a riguardo…”
Latimer si muove a disagio: “Certo…è…”
“Ci sono altri motivi per cui si aspettava che venissimo a parlarle, signor Latimer?” chiede Lestrade quando l’uomo non continua.
Latimer sospira: “I soldi, immagino. Avevo prestato dei soldi a James per ampliare il locale…preferiva non mettersi più, con le banche…e li stavo ancora aspettando. Ma non è passato così tanto, so che per queste cose ci va del tempo.”
“Quindi i rapporti tra lei e Clark non erano tesi…”
“No! No, sentite, non l’ho ucciso, se è questo che pensate, ok? Non sono un santo, ma non ho mai ammazzato nessuno e James era un amico! E perché avrei dovuto ucciderlo? Così la caffetteria è chiusa e io ci rimetterò!”
“Ah, ma la decisione di chiudere il locale ha colto tutti di sorpresa, non è vero?” incalza Lestrade. “Di sicuro i dipendenti non se lo aspettavano…”
“Sono ragazzini, loro, che ne sanno. Io lavoro da una vita: ho già visto posti di successo chiudere all’improvviso perché i proprietari si ammalano, o hanno problemi di famiglia e non riescono più a gestire consegne, pagamenti e il pubblico.” L’uomo scuote la testa: “Non avrei avuto interesse, a uccidere James, ve lo giuro. Mi sarebbe piaciuto diventare soci. Pensavo, se questo prestito si ripaga in tempi ragionevoli, si potrebbe fare. James e io ne avevamo parlato, ma non troppo sul serio, ancora. Non l’ho neanche detto a Clive Riggs.”
“Lo sapeva qualcuno?” domanda Lestrade prendendo appunti.
Latimer allarga le braccia: “Margareth, forse. James le diceva tutto. Tranne quello che pensava l’avrebbe fatta preoccupare.”
“Dov’era mercoledì pomeriggio, dalle 17 alle 19?” butta lì Donovan.
Latimer la fissa e stringe le labbra: “Sono stato qui a lavorare fino alle 18 circa…poi sono andato a casa. Chiedete a mia moglie.”
“Lo faremo,” sorride di nuovo Donovan.
“Le dispiace se diamo un’occhiata in giro, signor Latimer?” fa Lestrade.
“Se dico di no mi ritroverò l’ispettorato del lavoro e quelli della sicurezza antincendio dietro la porta per un controllo a sorpresa?” risponde l’uomo, secco.
“Facciamo il nostro lavoro, signor Latimer. Non siamo qui per intimidirla,” replica Lestrade.
“Al diavolo. Fate come vi pare. Io torno a lavorare.”
Lestrade e Donovan procedono a una rapida ispezione del magazzino, ancora una volta sotto gli occhi curiosi e apprensivi dei dipendenti. Se ne vanno poco dopo senza aver trovato tracce di una bicicletta o di scarponi insanguinati.
“Al prossimo della lista?”
“Pronti.”
“Weston e Bronson restano?”
“Eccome.”

“Papà!”
Lestrade si abbassa e si lascia stritolare dalle braccia di Grace, mentre i suoi occhiali da vista viola gli affondano nella guancia.
Grace gli si appende al collo e strofina il naso contro il suo: “Mi sei mancato tantissimo…”
“Lo so, topolino, mi dispiace,” mormora lui, vergognandosi come un ladro. “Anche voi mi siete mancate.”
Vicky è più composta, e il piccolo bacio sulla guancia che Lestrade riceve sa di concessione, ma Vicky ha dodici anni, ha il viso sottile di sua madre e comincia ad avere un proprio stile nel vestire, e suo padre non è più autorizzato a tenerla per mano per la strada già da tempo.
Lei è anche più silenziosa, quella sera, mentre Grace non smette un attimo di chiacchierare, delle compagne di scuola, della gita del giorno prima, del corso di pattinaggio, la mano paffuta stretta in quella di Lestrade.
Grace ha nove anni ed è troppo grande per stare in braccio, ma la metro è affollata a quando la sua bambina lo spinge a sedere e gli si arrampica sulle ginocchia, Lestrade la lascia fare, felice, sollevato e confortato dall’avere le sue bambine vicine e di buon umore.
Vicky è in piedi davanti a loro e prende blandamente in giro la sorella: “Sei appiccicosa!”
“Non è vero!”
“Papà, ammettilo, è appiccicosa.”
“A papà non dà fastidio!”
Continuano a battibeccare mentre scendono alla fermata di Waterloo.
“È vero, perché dovrebbe darmi fastidio? Anche io sono appiccicoso,” replica Lestrade. “Facciamo vedere a tua sorella quanto possiamo essere appiccicosi in due?” chiede a Grace strizzando un occhio, e in un attimo avviluppano Vicky tra le braccia, blaterando melensaggini.
Vicky protesta che la faranno vergognare a morte e li respinge cercando di non ridere.
Hanno in programma di cenare in centro con cibo spazzatura e bibite giganti e poi di andare al cinema. Non ha senso portare le bambine (o ha ragione Donovan e dovrebbe chiamarle ragazze, ormai?) da lui, nel suo minuscolo appartamento, quando non possono fermarsi a dormire perché lui il giorno dopo deve andare a lavorare e Grace ha il suo torneo.
E in ogni caso, Lestrade non è per niente convinto che il suo appartamento sia adatto a Vicky e Grace: è grigio, triste e troppo piccolo per tre persone. Lestrade sa che trasuda disperazione e solitudine, e ha il terrore che Vicky sia già abbastanza grande da percepirlo. Grace non ha afferrato del tutto quello che è successo tra lui e sua madre, ma Vicky…diverse sue amiche e amici hanno genitori divorziati e probabilmente ha idea che il futuro davanti a loro non è proprio roseo. Lestrade vuole evitare qualunque situazione che glielo possa confermare, tanto a lungo quanto potrà.
Quindi cenano in un rumoroso ristorante affollato di ragazzini, e guardano un film fantasy che ha messo d’accordo sia Vicky che Grace, e cercano di passare quattro ore senza pensieri.
Una volta usciti dal cinema è ora di incamminarsi verso casa. Ha piovuto, nel corso della serata, e strade, insegne e semafori sono luccicanti d’acqua.
Il film ha entusiasmato Grace che cammina spedita, quasi saltellando, parlando a macchinetta, due passi avanti a suo padre e a sua sorella; ogni pochi secondi si volta verso di loro, camminando all’indietro, per essere sicura che la ascoltino. La sua smania di contatto si è placata, nel corso della serata, e non cerca più la mano di Lestrade.
In compenso, Vicky si è fatta ancora più silenziosa e durante l’ultimo tratto a piedi prima di arrivare a casa prende Lestrade a braccetto. Lui teme che al momento di salutarsi ci saranno lacrime. Teme ancora di più che non poche saranno sue.
“Entrerai in casa, stavolta?” gli chiede Vicky, guardando avanti.
Lestrade inspira: “Meglio di no, tesoro.”
Non sopporta l’idea di entrare in quella che era casa sua. Il pensiero non lo rende malinconico, non lo colma di rimpianto: lo fa ribollire di rabbia. Becky lo sa, ed è più che d’accordo a mantenere rapporti civili con un po’ di distanza, tra loro. Su questo, Lestrade non crede si troveranno mai in disaccordo.
Saluta le bambine dopo aver suonato il citofono e in effetti Grace piange un poco (lui si trattiene con uno sforzo), finché Vicky le promette di prestarle un qualche oggetto sacro e intoccabile che le appartiene, e che su sua sorella esercita lo stesso fascino del Sacro Graal.
Mentre loro entrano in casa, Becky si affaccia alla porta: “Ciao, Greg.”
Lestrade fa un rigido cenno col mento: “Ciao…”
Becky si guarda alle spalle, controllando le ragazze, poi lo fissa: “Hai…”
“Ho letto i documenti,” la anticipa lui.
Becky stringe le labbra e annuisce: “Ok. Bene. C’è qualcosa che non ti sta bene, o…”
“In generale direi che può andare. Ma lunedì vado dall’avvocato, e ti farà avere notizie lui,” risponde Lestrade.
Gira sui tacchi e se ne va.

Non appena Donovan entra nel suo ufficio e posa il caffè, Lestrade le lancia un pacchetto di popcorn dolce.
Lei sbuffa dal naso, divertita: “Siete stati al cinema?”
“Già. Le…ragazze ti salutano.”
“Solo per me? E tu, boss?” chiede Donovan accomodandosi, mentre Lestrade si prepara a far partire le registrazioni delle CCTV.
Lui fa un verso disgustato: “Il mio stomaco è ancora in rivolta dalla cena di ieri sera.”
E probabilmente dai quattro cerotti alla nicotina che ha usato nelle ultime dodici ore. Il suo cervello gli ricorda la breve conversazione con Becky e che ora deve trovarsi un avvocato, ma Lestrade soffoca il pensiero.
Osserva con terrorizzato disgusto Donovan che effettivamente apre i popcorn e comincia a mangiare.
“Che c’è? Ho saltato la colazione, va bene?” fa lei con la bocca piena.
Lestrade rabbrividisce nel suo caffè: “E hai il coraggio di dire a me che dovrei mangiare più sano…”
Sono a metà del secondo caffè e delle registrazioni, quando Donovan lo indica.
Lestrade lo ha già notato, un microsecondo prima che lei si muovesse: “Sì.”
Si sporgono entrambi verso lo schermo e osservano la figura che spinge una bicicletta nell’angolo delle riprese.
È scura e massiccia e sembra infagottata dalla testa ai piedi in un mantello nero.
“Cosa cavolo ha addosso?” esclama Donovan mettendo in pausa.
“Un impermeabile?” suggerisce Lestrade. “Quelle mantelle antipioggia…”
A Donovan suona un campanello: “Tennyson e Davies…” comincia, frugando tra le deposizioni raccolte il giorno prima: “Hanno detto che nessuno ha visto bici, ma una dei vicini dei Clarke ha parlato di qualcuno con uno di quei k-way per i motorini o le biciclette…”
“La mantella è della ragazza…il bastardo è stato anche fortunato, ha trovato il modo di coprire il sangue sui vestiti…” commenta Lestrade, leggendo il paragrafo che Donovan gli indica.
“Già. Ma guarda: gli scopre i piedi,” indica lei. “Ti sembrano scarponi?”
Lestrade osserva con attenzione: “Mi sembrano scarpe antinfortunistiche…”
“Potrebbe essere Latimer?”
“Nah, non so dirlo.”
La figura è curva sul manubrio della bicicletta e la mantella antipioggia rende impossibile farsi un’idea della sua corporatura.
“Vediamo dov’è andato,” propone Lestrade.
Se sono fortunati, vedranno la figura caricare la bicicletta nel bagagliaio di un’auto, e con modello e numero di targa arresteranno il bastardo prima di pranzo. Ma non sono fortunati: la figura, un uomo, su quello non c’è dubbio, si infila in un’area residenziale mentre la pioggia si intensifica.
“Niente telecamere, in quella via,” controlla Donovan. “Dannazione!”
“Diamo un’occhiata alla bici,” ordina Lestrade. “Se Sherlock ha ragione, l’assassino l’ha presa perché ci avrebbe portati alla ragazza.”
La marca è ben visibile, ma una rapida ricerca su internet rivela che è un modello di fascia medio-bassa, e parecchio diffuso. Anche se la usava tutti i giorni, la ragazza non era così fissata con i modelli professionali, o non poteva permettersi di meglio.
“Hai notato quell’adesivo sulle borse?”
La bici ha un paio di bisacce impermeabili appese alla canna, comode per metterci la spesa o dei libri, se la ragazza frequentava l’università. Se fosse l’adesivo di un campus, o di un community college…se si potesse scorrere un elenco degli studenti…
Lestrade si fa quasi cadere gli occhi, poi geme frustrato: “Riesci a distinguere qualcosa?”
Donovan, nonostante gli occhi buoni, non ha molta più fortuna: “La prima lettera sembra una I…Ic? E nella seconda parola c’è una doppia O…”
“Uhm…’Look’?” suggerisce Lestrade. “‘Cook’? Forse faceva consegne per un ristorante, o…”
“Se non si fosse presentata al lavoro, qualcuno avrebbe contattato la polizia. Sono passati quattro giorni, ormai,” gli ricorda Donovan. Riflette ancora, fissando l’adesivo indecifrabile. “‘Books’?” prova poi.
Lestrade sospira: “Fai qualche ricerca, vediamo se salta fuori qualcosa. Chi c’è con Latimer?”
“Due uomini di Dimmock. Weston e Bronson erano stremati, e Davies e Tennyson ho pensato potessero servirci qui.”
Lestrade fa una smorfia al pensiero del favore che dovrà a Dimmock. Quasi certamente però lo dovrà ripagare aiutando l’altro Ispettore a gestire Sherlock, e quella è una cosa che gli riesce bene. Ok, gli riesce. Quasi sempre.
Ritorna al pensiero che lo ha spinto a chiedere di Latimer: “Ha detto che nessuno sapeva che era interessato a diventare socio di Clarke, che non lo sapeva neppure Riggs…”
“Quindi?”
“Mi domando se sia vero,” continua Lestrade.
“Vuoi chiederlo a Riggs?”
“Perché no?” risponde Lestrade, prendendo il telefono.
“Lo fai venire qui?” domanda Donovan e lui scuote la testa: “Nah. Preferirei andare a casa dei Clarke, forse mi verrà in mente qualcosa da chiedere anche alla signora Clarke.”
Riggs risponde dopo diversi squilli, ed è alla caffetteria.
“Stiamo sistemando un po’ di cose, controllando che in magazzino non ci sia niente di deperibile aperto, preparando un inventario…” L’uomo sospira: “Credo che Margareth deciderà di vendere.”
“C’è una cosa che vorrei chiederle, signor Riggs,” fa Lestrade. Meglio ancora se Riggs è alla caffetteria: magari tra i documenti di Clarke c’è qualche appunto su Latimer che è sfuggito ai primi controlli. “Posso raggiungerla?”
“Naturalmente, Ispettore.”
“Potrei farcela in una ventina di minuti,” gli comunica Lestrade e attacca. “Io vado, Donovan.” Si alza e recupera il soprabito. “Come procede?”
Donovan scrolla le spalle: “Una miriade di esercizi commerciali con la parola ‘cook’ nel nome, ovviamente. Un ‘Icarus Look’, che è un negozio di costumi…ma sono solo all’inizio.”
“Le borse sulla bici sono bordeaux, la scritta bianca,” le fa notare Lestrade, sistemandosi il colletto. “Guarda i loghi con gli stessi colori, anche.”
“Ok, boss. Ti porti qualcuno?”
“Perché no? Magari Tennyson. Davies può aiutarti nelle ricerche…”
Lestrade e Tennyson lasciano lo Yard cinque minuti dopo, mentre l’agente gli riassume i risultati dei loro sforzi il giorno prima con i vicini di Clarke, anche se lui ha già scorso le deposizioni. Risentirle e permettere a Tennyson di ragionare ad alta voce magari aiuterà uno di loro a notare qualcosa o a fare un collegamento, ma se anche non fosse così è un buon esercizio per Tennyson: può aiutarlo a distinguere particolari importanti e dati irrilevanti (nonostante Sherlock sostenga che non esiste niente di irrilevante, le persona dotate di capacità di concentrazione nella media hanno necessità di filtrare le informazioni), ed è sempre un buon allenamento, ripassare i procedimenti di acquisizione delle prove di cui si dovrà rendere conto davanti a una corte, forse.  
Lestrade coglie anche l’occasione per dire a Tennyson (e poi lo dirà al resto della squadra) quanto il loro impegno degli ultimi giorni sia apprezzato. Sa quanto sia importante il morale della squadra, e sa di essere stato pesante, negli ultimi meni. Ha perso la pazienza per nulla, ha costretto tutti ad orari massacranti perché lui avrebbe dato qualunque cosa per non dover andare a casa o per avere una scusa per non rispondere al telefono e parlare con Becky.
Di sicuro non può promettere che non succederà ancora, perché Lestrade non sta notando grandi miglioramenti nel suo umore (anche se si sforza. Parecchio. Come dicono? ‘Fingi finché non diventa vero’?), ma il fatto che i suoi colleghi siano venuti in massa al lavoro nel weekend senza poteste lo riempie di soddisfazione, ed è giusto che loro lo sappiano. Lestrade non arriverà a scusarsi del suo comportamento, del fatto che è ferito e umiliato e solo, non intende scusarsi per essere in difficoltà a gestire la propria vita. Certo, se fosse un uomo migliore o più capace di mantenere il distacco, non farebbe scontare i suoi problemi ai suoi sottoposti, ma il cielo sa che non è perfetto, e non ha mai cercato di farlo credere a nessuno.
‘Al contrario di qualcun altro’, sorride tra sé quando la sua mente gli propone un’immagine di Mycroft, del suo aspetto immacolato e freddo, delle sue comparsate accuratamente orchestrate.
Non che neppure Mycroft sia perfetto: fa scontare la sua preoccupazione per Sherlock a diversi malcapitati, che prima o poi finiscono rapiti da qualche macchina scura.
“Grazie, Ispettore,” risponde Tennyson, e strappa Lestrade alla tangente dei suoi pensieri.
“Era una cosa da dire,” replica lui, scrollando le spalle.
Donovan gli telefona mentre scendono dalla macchina.
“Una cosa promettente, boss,” comincia, la voce soffocata da un fruscio di stoffa. Si sta probabilmente infilando il soprabito. “Un negozio di libri, vicino a Beaufort Street, che si chiama Ichabod Books. Sul sito c’è una foto della facciata e l’insegna è bordeaux…”
“Vale la pena controllare,” concorda Lestrade, facendo cenno a Tennyson di seguirlo, e si incammina verso la caffetteria.
“E non hai sentito il meglio: l’anno scorso, per un breve periodo sotto le feste, hanno avuto un sistema di consegne in bicicletta,” continua Donovan. Lestrade sente i suoi tacchi mentre si affretta al garage. “Stiamo andando a controllare.”
“È fantastico, Donovan! Tienimi informato, vuoi? Noi siamo appena arrivati alla caffetteria.”
“Appena ho novità chiamo.”
Lestrade attacca e informa brevemente il suo agente, a cui brillano gli occhi: “Non dovremmo raggiungere Donovan e Davies?”
Lestrade ci pensa un istante.
“Meglio di no. Non ha senso andarci in quattro. Concentriamoci su Riggs, Latimer e un possibile movente per l’omicidio Clarke, e lasciamo che Donovan e Davies identifichino la ragazza, se ci riescono.”
E in ogni caso, se Donovan pensasse che Lestrade non si fida di lei per fare domande e mostrare la foto della ragazza, il loro rapporto lavorativo avrebbe vita breve.
Visto che Riggs ha detto di trovarsi in magazzino, e visto che Lestrade non ancora avuto modo di esaminare l’entrata posteriore del locale, lui e Tennyson fanno il giro lungo e raggiungono la zona di carico e scarico. Lestrade nota la macchina di Riggs e sente delle voci.
“Lì, sulla destra…fa attenzione, per favore…”
Avvicinandosi, lui e Tennyson riescono a vedere Riggs che si china a richiudere uno scatolone scuotendo la testa, mentre dall’interno arriva qualche parola aspra.
“Oh, Ispettore…avete fatto in fretta,” li saluta Riggs raddrizzandosi.
“Signor Riggs…si ricorda l’agente Tennyson?” domanda Lestrade.
La persona con cui Riggs parlava è David Bolton, che si immobilizza alla loro vista.
“Signor Bolton,” continua Lestrade.
“Che ci fate, qui?” domanda Bolton.
“Ah, mi è passato di mente…ero al telefono con l’Ispettore, prima,” interviene Riggs con un’occhiataccia all’altro uomo e un nuovo scuotimento della testa rivolto a Lestrade. “Accomodatevi, prego. Vogliamo andare in ufficio?”
“No, non è necessario,” lo frena Lestrade con un sorriso. “Devo solo farle qualche altra domanda. Non è male che ci sia anche il signor Bolton: forse potrà esserci utile.”
Riggs aveva parlato al plurale e aveva nominato Margareth Clarke, al telefono, poco prima, e Lestrade aveva dato per scontato che avrebbe trovato lei, alla caffetteria. Non Bolton. Lestrade lo studia con attenzione: il ragazzo sembra non poco contrariato di vederli lì.
“Sicuro. Di cosa voleva parlare, Ispettore?” chiede Riggs.
“Riguarda Peter Latimer,” comincia Lestrade, mentre Tennyson tira fuori il bloc notes.
Bolton stringe le labbra e poi dà di nuovo le spalle a tutti: “Fatemi mettere giù s’sta roba. Pesa un quintale.”
“Ti do una mano…”
“Ce la faccio.”
“Be’, fai attenzione!” ripete Riggs. “E devi ancora spiegarmi dove sono finite le tue scarpe da lavoro: James sarebbe impazzito a sapere che sei venuto a lavorare in magazzino con le scarpe da ginnastica.”
Tennyson ha un’infinitesimale esitazione: si irrigidisce accanto a Lestrade e lo sbircia con la coda dell’occhio.
“Il signor Clarke era molto attento alla sicurezza?” domanda Lestrade, soave.
Muove qualche passo all’interno del magazzino.
“James? Fissato: tutti i dipendenti dovevano indossare calzature e abbigliamento idonei,” sorride Riggs. “Ma non sapete quanto sono felice di aver preso le buone abitudini da lui.” Abbassa lo sguardo sui suoi piedi: “Questi sono i suoi scarponi, in effetti. Margareth mi ha giurato che non le dispiaceva prestarmeli, oggi, ma…Oh, scusate, avete chiesto di Pete?”
Lestrade annuisce: “Latimer ci ha detto di aver parlato al signor Clarke della possibilità di diventare soci…Qualcuno ne sapeva qualcosa?”
Riggs sbatte le palpebre: “Cavolo, no. Era da un paio di mesi che non parlavo con James, prima di…be’…e Pete non mi ha detto niente negli scorsi giorni.”
“Mmh. E lei, signor Bolton? Aveva sentito qualcosa, di questa storia?” chiede Lestrade.
Bolton scuote la testa, rigido.
“Per come conoscevate il signor Clarke-James-vi sembra possibile, che volesse lavorare ancora più a stretto contatto con Latimer?” continua Lestrade.
Riggs comincia a parlare e a metà della sua risposta il cellulare di Lestrade suona di nuovo. Gesticola a Tennyson di continuare e si sposta verso la porta che conduce alla caffetteria. È Donovan.
“Lestrade.”
“La ragazza si chiamava Kala Jawanda, ha lavorato per la Ichabod Books per circa sei mesi, da settembre a gennaio. Le hanno lasciato tenere le borse per la bici perché era una ragazza amabile, e faceva pubblicità alla libreria,” dice Donovan senza quasi prendere fiato.
Lestrade avverte un fiotto di eccitazione inondargli il petto. Vorrebbe gridare ‘l’hai trovata, cristo, l’hai trovata!’, invece dà una vaga occhiata verso Tennyson, che sta continuando a interrogare Riggs e borbotta un ‘mhmm’ poco convinto.
Bolton si è un po’ allontanato dagli altri due uomini e Lestrade d’un tratto è certo che stia origliando la sua conversazione.
“Ben fatto, Donovan. Che altro?” aggiunge.
“Stiamo tornando allo Yard,” continua lei. “La proprietaria della libreria non ricorda molto di più-sta cercando di rintracciare una ragazza che ha lavorato lì gomito a gomito con Kala che ci possa dire altro-ma si ricorda che Kala aveva un fidanzato. Appena un po’ più grande.”
“Si ricorda il nome?” le chiede Lestrade con calma, senza staccare gli occhi da Bolton.
Il ragazzo lo guarda a sua volta.
“Le sembra fosse David,” ansima Donovan, accelerando il passo. “Muoviti, Davies!”
“Perché non ci raggiungete qui?” fa Lestrade e Bolton sbarra gli occhi e si lecca le labbra.
Donovan resta un attimo in silenzio. “Ricevuto, boss,” risponde poi, e attacca.
Lestrade sorride.
“Scusate,” dice, ma si rivolge solo a Bolton. “Di che parlavamo? Ah, sì: del fatto che Clarke stava pensando di prendersi Latimer, come socio, e di come tu non ne sapessi niente, David-posso chiamarti David, vero? - nonostante lavorassi con lui da più tempo di tutti gli altri, almeno da tanto quanto Latimer…e nonostante passassi un sacco di tempo qui alla caffetteria.” Lestrade sorride ancora, avvicinandosi a Bolton. “I tuoi colleghi mi hanno detto che venivi quasi sempre tu, a dare una mano a Clarke col magazzino, quindi è un po’ strano che tu abbia dimenticato le scarpe antinfortunistiche…”
“Le…le ho perse,” risponde Bolton, rigido.
Riggs e Tennyson li fissano.
“Le hai perse? O le hai buttate?” incalza Lestrade. “Chissà se hai provato a lavarle, prima…”
“Ispettore? Che succede?” domanda Riggs.
“Temo che dovremo spostare la conversazione altrove, signor Riggs” gli risponde Lestrade.
“Non so di cosa cazzo parli,” ringhia Bolton.
Occhieggia la porta alle spalle di Lestrade.
“È una pessima idea, amico.”
Bolton scatta nella direzione opposta, verso la saracinesca del magazzino. Spintona via Riggs e cerca di guadagnare il cortile posteriore, e di lì la strada.
Ma Tennyson appare sulla sua traiettoria e lo placca come un professionista.
Lestrade decide che alla prossima partita di rugby in cui lo incastrano, si porterà Tennyson. Poi anche lui si abbatte su di loro, e Bolton è immobilizzato a terra.



Note:
Un capitolo bello lungo! Ma è perchè siamo in dirittura d'arrivo, il prossimo sarà l'ultimo capitolo della storia, in cui si tirano un po' i fili di tutta la faccenda...
Per ora qualcuno ha domande o è tutto comprensibile?
A presto!
   
 
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