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Autore: ChiiCat92    12/10/2018    0 recensioni
"L’odore di piscio, sudore, paura e rimpianti era tanto forte da dare alla testa. Prendeva al naso, riempiva i polmoni, dava l’impressione di non poter più respirare.
Nella minuscola stanza ripiena di corpi, fluidi corporei e disperazione aleggiavano tutto intorno come una maledizione.
Di tanto in tanto qualche gemito permetteva di capire chi fosse ancora vivo, una mano che si sposta, un colpo di tosse. I corpi totalmente inermi venivano rimossi a intervalli orari, per lasciare che qualcun’altro prendesse il loro posto."
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kadaj, Loz, Yazoo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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12/10/2018

 

Viaggio


L’odore di piscio, sudore, paura e rimpianti era tanto forte da dare alla testa. Prendeva al naso, riempiva i polmoni, dava l’impressione di non poter più respirare.

Nella minuscola stanza ripiena di corpi, fluidi corporei e disperazione aleggiavano tutto intorno come una maledizione.

Di tanto in tanto qualche gemito permetteva di capire chi fosse ancora vivo, una mano che si sposta, un colpo di tosse. I corpi totalmente inermi venivano rimossi a intervalli orari, per lasciare che qualcun’altro prendesse il loro posto.

Spostando il peso del corpo da un piede all’altro, Kadaj aspettava il suo turno di entrare.

L’aria gelida, rigida, di quell’inverno senza speranza tagliava il viso. Per quanto si stringesse nel cappottino sdrucito non riusciva a scaldarsi. Le mani, piccole e bianche come ossa, tremavano, e automaticamente andavano a strofinarsi l’una contro l’altra in cerca di calore.

Grandi occhi verdi, privati ormai da tempo di qualsiasi luce, vagavano in avanti, oltre l’uomo che occupava l’ingresso del suo paradiso.

Quanto tempo ancora avrebbe dovuto aspettare?

Da qualche parte, lontano, sentì il rintocco di una campana: era passata un’altra ora.

Speranzoso, Kadaj osservò in religioso silenzio l’uomo alla porta che si voltava per parlottare con qualcuno alle sue spalle. Cercò di nascondere l’entusiasmo, ma se anche il suo giovane smagrito visetto apparve sereno, dentro il cuore cominciò a battere impazzito.

L’uomo gli fece un gesto, tendendogli una mano, e il ragazzino quasi saltò per la felicità.

Gettò nel suo palmo aperto le monete necessarie, accartocciate, sudate, probabilmente frutto di qualche furto, ed entrò dentro.

L’aria era irrespirabile ma sotto quel denso strato di luridi effluvi umani, Kadaj aspirò forte l’odore del laudano.

Ogni volta era come la prima, gli piaceva pensare, senza sapere che il suo corpo e la sua mente si stavano consumando lentamente, scivolando verso l’oblio della droga.

Si accomodò dove riuscì a trovare posto, di fianco a due inglesi dalle camicie bisunte.

Le pipe della fumeria erano a disposizione di chi vi entrava, così come l’oppio da fumare, bastava solo avere abbastanza soldi per entrare.

Le mani di Kadaj tremavano, euforiche, mentre i suoi occhi affamati correvano sugli uomini e le donne riversi sui pavimenti. I più fortunati erano riusciti ad ottenere un materasso su cui sdraiarsi, agli altri toccava in sorte un quadrato freddo di terra.

Oltre quel mondo, oltre quella realtà di umana sofferenza, Kadaj sapeva che ognuna di quelle persone stava facendo un viaggio. Un viaggio verso luoghi sconosciuti, verso persone amate, verso una vita migliore.

Era questo il potere magico dell’oppio.

Dal momento che l’uomo accanto a lui non si muoveva, Kadaj approfittò anche della sua dose, rotolata fuori mezza bruciata dalla pipa. Se ne metteva di più, sarebbe durato più a lungo, no?

Anche se una parte di lui cominciava a chiedersi quando avrebbe potuto tornare nella fumeria la prossima volta, la sua mente cosciente era concentrata sul fumo che usciva in piccoli rivoli bianchi dalla propria pipa.

Il primo tiro sapeva sempre di bruciato, gli faceva lacrimare gli occhi e quasi rigettava quel sapore agrodolce, ma poi il suo corpo si rilassava, riconosceva la consistenza del fumo sul palato, in gola, nei bronchi, e allora poteva fare un secondo tiro.

Il momento che più gli piaceva era quando il viaggio cominciava. Era graduale, tanto lento da fargli stringere i denti contro il bastoncino della pipa, e ogni volta aveva l’impressione che stentasse a partire.

Temeva che un giorno non sarebbe bastato tutto l’oppio di Londra a portarlo via da quell’esistenza misera e poi...poi iniziava.

Il bianco del fumo faceva sfumare gradatamente i contorni dello stanzone, faceva svanire il puzzo acre di anime in putrefazione, appannava la sua vista con giochi di luci e ombre finché non batteva le palpebre.

Non era più nella fumeria, non era più neanche a Londra.

Nell’universo creato per lui dall’oppio era sempre primavera, c’era un campo di fiori che si estendeva a vista d’occhio, e soprattutto c’erano i suoi fratelli.

Yazoo non era morto di polmonite, il suo corpo slanciato era in salute, i suoi occhi di un vivido verde, e la sua bellezza intatta; Loz non aveva perso un arto e poi la vita a causa della setticemia, e il suo petto robusto era caldo, con un cuore che batteva forte.

Kadaj si lanciò su di loro, squittendo per il piacere di trovarsi tra le loro braccia. Avvertì le mani sottili di Yazoo accarezzargli i capelli, quelle callose e rozze di Loz riscaldargli la schiena.

Profumavano come fiori appena raccolti, e il sapone bianco che la mamma usava tanto tempo prima per lavare i loro vestiti.

« Kadaj. » mormorò Yazoo, con un sorriso appena accennato sulle labbra rosee. « Sei tornato! »

« Sì! » fu la sua eccitata esclamazione in risposta, strusciando la testina contro la spalla del fratello.

« Ci sei mancato così tanto. » aggiunse Loz, una sfumatura triste nella voce, come se stesse per scoppiare in lacrime.

« Mi dispiace. Trovare i soldi questa volta è stato difficile. »

« Non possiamo più sopportare di vederti andare via… » sospirò Yazoo.

Allontanò quel tanto che basta il fratellino per guardarlo in volto. Contrito, con le sopracciglia aggrottate, sembrava più giovane di quanto non fosse in realtà, anche se Kadaj non aveva ricordi della loro infanzia, non così chiari da poter dire quali fossero le fattezze del fratello.

« Neanch’io. » il ragazzino si morse le labbra.

Nel cielo azzurro teso navigavano nuvole bianche, come il fumo dell’oppio sul soffitto della fumeria.

Un viaggio, per quanto bello e intenso, prima o poi si conclude con il ritorno a casa, questo Kadaj lo sapeva bene. Ma quel mondo, quella serenità, i suoi fratelli…

« Potrei rimanere qui con voi. » provò, senza guardarli, gli occhi fissi ora sul cielo, ora sugli steli dei fiori che si piegavano sotto il soffio di un vento leggero.

Yazoo e Loz si scambiarono un’occhiata, dando l’impressione di stare parlando tra loro senza usare parole.

Loz allungò una mano per prendere quella del fratellino. Era tanto più grande e tanto più calda.

« Se deciderai di rimanere qui non potrai più tornare indietro. »

« Non voglio tornare indietro. » bofonchiò, capriccioso, il ragazzino.

Di nuovo, i fratelli si scambiarono un’occhiata, poi anche Yazoo gli prese una mano, intrecciando le dita alle sue.

« Ne sei proprio sicuro? Ci sono ancora tante cose che potresti fare. »

« Voglio solo stare con voi. »

I due fratelli maggiori sospirarono, poi Loz sorrise e allargò le braccia.

Kadaj vi si tuffò dentro, aspirò a fondo il buon profumo dei suoi vestiti, accolse felice le carezze sulla testa.

Quando suonò la campana non sciolse l’abbraccio, come di solito faceva. Quel rintocco vago e lontano gli indicava che il suo tempo era scaduto e che doveva tornare indietro. Non adesso, non questa volta.

Nell’abbraccio caldo dei suoi fratelli ascoltò il tintinnio sempre più leggero, sempre più sottile, finché nell’aria non rimase solo il suo dei cuori dei suoi fratelli.

« Adesso staremo insieme per sempre. »

L’odore di piscio, sudore, paura e rimpianti era tanto forte da dare alla testa. Prendeva al naso, riempiva i polmoni, dava l’impressione di non poter più respirare.

Qualcuno si occupò di raccogliere i corpi dei morti e gettarli fuori, sul carro diretto alla fosse comune, per permettere ad altri di prendere il loro posto.

L’uomo che gettava i cadaveri ancora caldi e gonfi di fumo sul carro era attento, rapace, e per quanto il cappottino che indossava quel ragazzino fosse vecchio e pieno di buchi di certo sarebbe andato bene a sua figlia.

Diede un colpetto al fianco del carro così che il cocchiere spronasse il cavallo a partire, e intanto osservava il cappottino come se fosse un tesoro prezioso.

Occhi verdi spalancati e spenti lo fissavano dal retro del carro, Kadaj era partito per un lungo viaggio.

Il più lungo di tutti.

 

 
   
 
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