Crossover
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Autore: Registe    14/10/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 22 - Zexion (II)





La costellazione dell'Acquario





Narratore: “No. No, no, no, no … ditemi che non è ciò che penso!”
Registe: “Purtroppo sì, Narratore. Fattene una ragione”
Narratore: “Ma io non posso farcela. Ho il diabete, sapete? Tutto questo zucchero in arrivo nuocerà alla mia già precaria situazione di salute e …”
Registe: ……*occhiataccia* …….
Narratore: “Ho capito, ho capito. Ma alle ultime scene riderò io, sappiatelo! Oh, come riderò. Mi prenderò la mia vendetta!”
 

La prima volta che si erano fermati ad osservare le stelle aveva avuto otto anni. Era una notte estiva, tersa, e l’avevano scelta con cura. Le poche carte astronomiche del Castello erano del tutto imprecise, con disegni di animali tracciati nel firmamento senza alcuna corrispondenza con la realtà, ed avevano deciso che ne avrebbero redatta una soltanto loro due.
Zexion ricordava perfettamente l’emozione di quella sera, il suo “voglio contare stelle” che senza dubbio aveva svegliato tutti gli abitanti del Castello. Aveva trascorso i cinque giorni precedenti carico di frenesia, inghiottendo i pochi trattati di astronomia rinvenuti nella biblioteca pur di non farsi trovare impreparato davanti a quella che si prospettava la lezione più straordinaria di tutte. Per sicurezza aveva imparato a memoria le stelle di tutte le costellazioni maggiori, la loro posizione ed anche il giusto periodo dell’anno; sapeva che l’Acquario sarebbe stato presente quella sera ed era determinato a trovarlo subito, certo di poter strappare al suo mentore uno sguardo di approvazione.
E lo aveva ottenuto.
Poi avevano parlato. Di tutto, come facevano sempre.
Aveva trascorso la notte intera ascoltando cose favolose, di come potessero esistere cose chiamate “buchi neri” in grado di inghiottire mondi interi e forse far tornare indietro il tempo. Aveva appreso cosa fossero davvero le stelle, come potessero nascere e morire.
Si era tuffato nel profumo del suo mentore, carico di tutto lo smisurato amore per il sapere che ai suoi occhi lo rendeva il più intrepido degli eroi.
Quella sera, però, le parole tardavano ad arrivare.
Zexion si era accorto del cambiamento in suo zio nel preciso istante in cui era tornato al Castello.
Lo aveva trovato lì, sulla torre ovest, dove quella ed altre volte ancora erano saliti per osservare il cielo, qualche volta con un rudimentale telescopio ma molto più spesso solo aiutandosi con i propri occhi. Il cielo di quel mondo senza nome aveva stelle ben diverse da quelle che avevano imparato a conoscere, e adesso disegnava uno sfondo nero alle spalle dell’uomo.
Si guardarono, ma per Zexion era una convenzione trascurabile.
L’odore della persona di fronte a lui lo preoccupava.
“Lo sai di cosa devo parlarti, vero?”
Quando parlava con lui, la voce di suo zio perdeva il tono glaciale che assumeva spesso con gli altri. Eppure, in quel momento, il ragazzo percepì le difese alzate. “Purtroppo sì”.
Si rese conto che avrebbe dovuto scegliere le parole con cura.
“Non farlo, zio. Te ne supplico. Lo so che odi questo posto, che non sopporti il Superiore, ma …”
Non sopportarlo è un eufemismo, Zexion. Quel pazzo ci ha rinchiusi qui dentro!”
“E ti sembra un buon motivo per … per …” sospirò, trovando disgustosa anche solo l’idea di pronunciare quella parola “… per ucciderli?”
Vi era rabbia nel suo profumo. Una furia che sporcava l’odore alla vaniglia che adorava così tanto.
Sotto di lui, a diversi piani di distanza, anche l’odore di rosa del n. XI si espandeva, invadendo ogni cosa con il suo aroma dolciastro.
Zexion capì.
Marluxia aveva aspettato con pazienza che lui fosse lontano per parlare con suo zio. Per incendiare i suoi pensieri più profondi senza alcun timore che lui potesse scoprirlo. E adesso, con il mosaico davanti, il ragazzo si rese conto che se fosse corso dal Superiore a raccontargli tutto avrebbe condannato Vexen per sempre. Il n. XI aveva lasciato a suo zio il compito di fronteggiarlo, privandoli di qualsiasi scelta.
Il principe era riuscito a legare le mani di entrambi, e lui era stato così stupido da non aver pensato ad una simile possibilità. Gli venne voglia di piangere, ma doveva recuperare l’uomo che aveva di fronte, la persona con cui aveva contato le stelle per tantissimi anni.
Per la prima volta si accorse di dover lottare per lui. “Tu non sei un assassino. E sai meglio di me che il n. XI ti sta usando”.
“Sono semplicemente al capolinea, Zexion. Non intendo abbandonare né le mie ricerche né te. Ma non posso rimanere a marcire nel mausoleo personale del Superiore, e lo sai. Potremmo cambiare il mondo”.
La sua voce divenne un sussurro. “Non soffriranno, vedrai. Devo solo finire di mettere a punto un veleno abbastanza efficace per Saïx, per gli altri non vi è alcuna difficoltà. Per Demyx e Luxord … non intendo fare nulla di male, e anche il n. VIII è d’accordo con me. Una volta eliminati gli altri basterà spaventarli un po’ e torneranno nel nostro mondo senza farsi più rivedere. Limiterò lo spargimento di sangue al minimo e …”
“E sinceramente credi che accetterò una cosa simile?”
Rimase ad ascoltare il silenzio e gli aromi che si diffusero nella terrazza non appena pronunciò quelle parole. Si accorse del tono aspro della propria voce solo qualche istante dopo, ma non se ne curò.
L’odore di suo zio si mosse, come colpito da una frusta. Non sarebbero nemmeno stati necessari i suoi poteri per capire dove fosse la crepa nei pensieri dell’altro. Quale fosse l’unico argine che ancora combatteva contro il violento dilagare dei desideri che il n. XI aveva risvegliato, il solo pensiero che aveva fermato la mente di suo zio per tutti quegli anni.
L’amore indiscusso nei suoi confronti era ancora lì, arroccato nel cuore dello scienziato che tutti credevano fosse fatto solo di ghiaccio. Nessuno aveva mai provato nulla di simile per lui, nemmeno il Superiore.
Avrebbe dovuto aggrapparsi a quell’argine ancora una volta. “Credi sul serio che tutto potrà tornare come prima? Tra di noi? Quando li sentirò morire per mano tua? Anche loro sono la mia famiglia!”
“Non siamo una famiglia, Zexion. Siamo solo tredici persone che vivono insieme agli ordini di un pazzo. Lo so che non hai mai ...”
“… avuto una vera famiglia? No, forse hai ragione, non ho idea di come sia fatta!” lo interruppe, facendo un primo passo verso di lui.
L’uomo e il bambino che contavano le stelle erano lì, anche quella notte. Avevano superato il migliaio già da molto tempo, perdendo il conto più di una volta e ricominciando dall’inizio. Sotto la luna si erano fermati per ricopiare i progressi su una pergamena e le loro capacità di disegno a mano libera erano così stentate che sarebbero potuti sembrare dei ghirigori di uno Xigbar ubriaco. Il bambino si era riproposto di farsi aiutare dal Superiore e l’uomo aveva protestato così forte che si era messo d’impegno, gomma e matita, disegnando per tutta la notte pur di non chiedere l’aiuto di nessuno. Perché non avrebbe mai concesso a nessuno di sottrargli quel bellissimo momento, dove entrambi sorridevano sotto le stelle senza alcuna preoccupazione al mondo. “Ma non mi serve. Mi basti tu”.
Mormorò, trasformando la propria voce in un soffio. “Mi bastate voi”.
Colmò la distanza tra di loro, e lo abbracciò.
L’argine resse, più forte di prima.
Avevano sempre comunicato così, più che con le parole. E in quella piccola stretta, appoggiato contro la sua tunica scura, il ragazzo mise tutto se stesso. Tutto il rispetto che portava per il Superiore e la sicurezza che gli davano Xigbar, Xaldin e Lexaeus quando si parlava della guerra contro i demoni. La paura che portava per Saïx, ma anche la profonda ammirazione che aveva provato nel suo desiderio di offrire la vita per loro. La simpatia per Demyx, Luxord e Roxas, che erano così semplici da non temere il suo potere e che riuscivano a farlo sorridere con i loro modi impacciati.
Gridò di loro, e di lui. Di lui che era il centro del suo mondo, e della paura di perderlo.
Di non riconoscere nel suo viso l’assassino che sarebbe potuto diventare, ma anche il suo desiderio di vederlo felice, di poter appagare la sua sete inesauribile di sapere e libertà. Si diede dell’egoista, sapendo cosa avrebbe innescato quell’abbraccio, ma non lo avrebbe perso. Non per le ambizioni di qualcun altro.
Non disse nulla, ed attese.
Attese finché le sue mani lo avvolsero, ricambiando l’abbraccio. “Va bene, Zexion. Va bene”.
Non erano parole vuote, e lo capì.
Lo zio che amava aveva solo avuto bisogno di una spinta.
“Ma qualcosa faremo, e su quello sai che sono deciso”.
Il cuore di Zexion si strinse, ma non vi era bisogno del suo potere per capire che l’uomo era arrivato alla fine; non se ne sarebbe andato da lì, ed il suo desiderio di conoscenza non si era mai sopito nemmeno per un istante. Sentì il piano prendere forma nella sua mente non appena la loro stretta si allentò. “Per bloccare Marluxia in quella cella è bastato un siero. Niente teletrasporto, niente legame con il Castello. Potremmo addormentarli tutti, iniettare il siero con calma e …”
“… e teleportarli altrove?” concluse il ragazzo. “Però non in un posto pericoloso”.
“Ovviamente. Per quel che mi riguarda posso lasciare al Superiore tutti i soldi della sua famiglia. Dopo di che … faranno quello che vogliono. Ma lontani dal Castello”.
Per un veloce, indescrivibile istante qualcosa nel Castello cambiò. Fu un odore impercettibile, come un sottile alito di vento in una stanza di aria stagnante, ma Zexion se ne accorse. Qualunque creatura vivesse lì dentro, qualunque cosa fosse davvero il loro Castello … si era mosso. Stava reagendo a suo zio, proprio come aveva fatto quando le azioni del n. XI avevano scardinato i Sigilli delle Stanze della Memoria. E, se ne accorse con orrore, non sapeva se si trattasse di qualcosa di positivo.
“Zexion?”
Si riprese. Vi era un ultimo ostacolo.
Quello che aveva sempre cercato di scansare da quando il loro dialogo era iniziato.
Suo zio aveva fatto un passo verso di lui, e era cosciente di quanto gli fosse costato e di quanto avesse dovuto chiedergli.
Adesso, purtroppo, era il suo turno.
“Proporrò questa idea a Marluxia. Non credo che né lui né il n. VIII avranno grandi problemi ad accettarlo, tutti quanti vogliono soltanto liberarsi del Superiore nella maniera più sbrigativa possibile. Ma … se accettassero …”
Il suo tono si abbassò, trasformandosi nello zero assoluto. “Ho bisogno che tu mi prometta che non dirai nulla al Superiore. Non mi servono i tuoi poteri per sapere che disapprovi tutto questo, ma voglio la tua parola che non cercherai di ostacolarmi”.
Un patto.
Un patto tra pari.
Una cosa che suo zio non gli aveva mai chiesto.
La fiducia del n. IV era una lastra di ghiaccio; per la prima volta Zexion si accorse di quanto fosse fragile, e di quanto spesso si fosse addentrato su quel terreno senza paura di sprofondare. Un passo avanti per un altro passo avanti, un pensiero alchemico.
Uno scambio equivalente.
Sospirò, con un brutto presentimento nel cuore. “Hai la mia parola, zio. Se non ucciderete nessuno di loro … lo accetterò”.
Tutto si placò, come il mare dopo una violenta tempesta. Lo sentì nella rete di odori che avvolgevano suo zio, minuscoli fili che lo univano al Castello, al n. XI ed al Superiore.
Guardò in un angolo della torre, dove gli parve di vedere di nuovo l’uomo ed il bambino, sospinti fin nel cuore della notte, il primo addormentato contro il balcone con il secondo sotto il suo braccio. Avevano sbagliato il conto per l’ennesima volta, ed il sonno li aveva presi entrambi sparpagliando carte e matite per tutto l’enorme terrazzo. La costellazione dell’Acquario era stata l’ultima a svanire, proteggendoli finché non erano comparsi i primi raggi del sole.
Erano ancora lì, e non se ne sarebbero mai andati.
Per un istante gli parve che anche suo zio stesse fissando quel punto, cercando di riacciuffare quel ricordo perduto. “Sai una cosa? Quando il n. XI mi ha chiesto di unirmi alla sua rivolta ho posto un’unica condizione”.
“Che nessuno mi facesse del male?”
Gli occhi verdi lo fissarono, in un gioco misto tra irritazione e divertimento. “Dimentico sempre che non ti si può proprio nascondere nulla …”
“Non dare sempre la colpa ai miei poteri, zio …”
Rimase vicino a lui, stavolta afferrandogli uno dei ciuffi “… sei tu che sei piuttosto prevedibile”.
  
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