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Autore: G_Monti_E_97    15/10/2018    1 recensioni
Jonlock ispirata a quel famoso “Knee Touching”
Cosa sarebbe successo se la sera in cui John e Sherlock sono usciti per bere e festeggiare l’addio al celibato del dottore non fosse arrivata l’infermiera Tessa a interromperli?
Proviamo a scoprirlo.
“Sono un umano, non sono alto quanto si crede, sono...” si appoggiò alla poltrona ragionando ad alta voce. “sono belloccio, intelligente, importante per qualche persona ma tendo a trattarla nel modo sbagliato.” una breve risata gli uscì dalle labbra “Ho capito!”
“Spara allora.”
“Sono te! Vero?” disse puntando il dito verso l’amico.
John restò immobile per qualche secondo prima di sporgersi nuovamente in avanti.
“Pensi che io sia intelligente?” chiese stupito.
“Non lavorerei con te se non ti reputassi intelligente.” spiegò in tono ovvio.
“Non me lo avevi mai detto.”
“Bhe l’ho fatto ora.” disse muovendo con disinteresse la mano sinistra.
“Sei uno stronzo.” biascicò il dottore osservandolo con gli occhi appannati.
“Cosa? Perché?” Staccò rapidamente la schiena dalla poltrona offeso. “Ti ho appena detto che sei intelligente… e anche bello.”
“Non me lo hai detto.” si lamentò l’altro.
“Sì invece.”
“No.”
Restarono in quella strana posizione come se si stessero studiando a vicenda.
Genere: Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve gente, questa è la prima fanfiction su Sherlock che scrivo in assoluto.
Ho fatto un rewatch completo della serie e mi sono ritrovata a tuffarmi ancora una volta in questo magnifico Fandom.

Come avrete immaginato dalla premessa questa è una Jonlock ispirata a quel famoso “Knee Touching”
Cosa sarebbe successo se la sera in cui John e Sherlock sono usciti per bere e festeggiare l’addio al celibato del dottore non fosse arrivata l’infermiera Tessa a interromperli?
Proviamo a scoprirlo.

 



Avevano cominciato a bere con il sole ancora alto, era sicuro di aver calcolato bene ogni cosa eppure, nonostante i consigli di Molly qualcosa era andato storto. Sherlock e John si erano senza alcun dubbio ubriacati. Le immagini dei numerosi locali risultavano confuse fra le musiche sempre più alte e i colori sparati da una parte all’altra.
Erano tornati a Baker Street e non si ricordava neppure come fosse successo ma si ritrovarono a giocare a uno strano gioco che aveva proposto John, ognuno dei due aveva attaccato sulla fronte un pezzetto di carta con su scritto il nome di una persona o una cosa. Non gli erano ben chiare le regole, aveva sfogliato qualche rivista alla ricerca di un nome conosciuto, ma parlavano tutti di inutili gossip, così ne scelse uno a caso e lo scrisse in velocità.
Aveva la vista appannata ma provò a sporgersi verso John nel tentativo di riuscire a vedere riflessa nei suoi occhi la parola che aveva scritto. Niente, riusciva solo a intravedere vagamente la propria sagoma. Si perse a osservare i lineamenti dell’uomo, la forma del naso e le labbra sottili…
  “Sono un vegetale?” chiese stancamente John.
  “Tu… o… la cosa?” biascicò Sherlock cominciando a ridere, non sapeva perché ma l’idea che l’amico si trasformasse di colpo in un vegetale risultò molto spiritosa.
  “Divertente.” ammise John continuando a guardarlo.
  “Grazie.”
  “Dai…”
  “No, non sei un vegetale.”
  “Tocca a te.” disse il dottore alzando le mani verso il soffitto.
  “Ahm… sono umano?”
  “Certe volte.” si limitò a rispondere John
  “Così non vale.” protestò l'investigatore cercando di mettersi dritto sulla poltrona “O è sì o è no.”
  “Sì, sei umano.” ammise l’altro appoggiandosi scompostamente allo schienale.
  “Sì lo so. Va bene sono un uomo?”
  “Sì”
  “Alto?”
  “Non quanto pensa la gente.”
  “Uhm… simpatico?”
  “Un po.”
  “Intelligente?”
  “Direi di sì”
  “Diresti… Sono importante?”
  “Sì, per qualcuno.” disse John incrociando le braccia al petto.
  “Le persone… mi amano?” chiese alzando gli occhi al cielo per qualche secondo .
  “No, direi di no. Le affronti nel modo sbagliato.” le labbra si arricciarono verso l’alto.
  “Va bene.” Si lasciò ricadere verso lo schienale della poltrona ma un’idea gli balenò in mente.
  “Sono il re della Gran Bretagna!” disse con convinzione sporgendosi in avanti
John non riuscì a trattenersi e cominciò a ridere di gusto scoprendo i denti. “Non abbiamo un re.”
  “Ah no?” Quante informazioni inutili, che differenza faceva?
  “No.”
Passò il turno all’amico prima di portarsi il bicchiere alle labbra. “Tocca a te.”
John si sporse in avanti, fino a oltrepassare il bordo della poltrona, appoggiò la mano sul ginocchio di Sherlock per non cadere a terra. L’investigatore restò immobile per qualche secondo con il bicchiere in mano. Era strano sentire quella leggera pressione sulla sua gamba, la mano di John era calda, riusciva a sentirlo anche attraverso la stoffa dei pantaloni.
  “Non… non mi dispiace.” biascicò lentamente John prima di togliere la mano.

  “Neanche a me.” si lasciò sfuggire Sherlock.
  “Sono una donna?”
Sherlock scoppiò a ridere, John una donna… no decisamente non lo era ma il nome che aveva scelto al contrario... “Sì.” si rimise dritto a fatica sulla poltrona, continuava a scivolare verso il basso, non si era mai reso conto di quanto fosse pesante il suo corpo, quasi appoggiò la testa sul bracciolo nel tentativo di cambiare posizione.
  “Sono… carina?” chiese John indicando il foglio che aveva in fronte.

  “La bellezza è un concetto basato su giudizi infantili stereotipati e modelli esterni.”
  “Sì, ma sono bella?” Insistette allargando gli occhi.
L’investigatore si avvicinò stringendo gli occhi nel tentativo di leggere il nome che aveva scritto. Doveva essere un nome d’arte o qualcosa di simile, era formato da una sola parola: M... A… non riusciva neanche a leggere la sua scrittura... Mad… enno, no Madonna. Il nome continuava a non dirgli assolutamente nulla. “Non so chi sei, non so chi dovresti essere.” ammise restando in quella posizione.
  “Tu hai scelto il nome!” Si lamento John.
 
“Ma io l’ho scelto a caso sui giornali!” provò a difendersi puntando il dito verso i fogli sparsi sul pavimento.
  “Non ti stai applicando a questo gioco Sherlock.”
Quasi non sentì le parole dell’amico, perso com’era a riflettere sugli indizi che gli aveva dato.
  “Sono un umano, non sono alto quanto si crede, sono...” si appoggiò alla poltrona ragionando ad alta voce. “sono belloccio, intelligente, importante per qualche persona ma tendo a trattarla nel modo sbagliato.” una breve risata gli uscì dalle labbra “Ho capito!”
  “Spara allora.”

  “Sono te! Vero?” disse puntando il dito verso l’amico.
John restò immobile per qualche secondo prima di sporgersi nuovamente in avanti.
  “Pensi che io sia intelligente?” chiese stupito.
  “Non lavorerei con te se non ti reputassi intelligente.” spiegò in tono ovvio.
  “Non me lo avevi mai detto.”

  “Bhe l’ho fatto ora.” disse muovendo con disinteresse la mano sinistra.
  “Sei uno stronzo.” biascicò il dottore osservandolo con gli occhi appannati.

  “Cosa? Perché?” Staccò rapidamente la schiena dalla poltrona offeso. “Ti ho appena detto che sei intelligente… e anche bello.”
  “Non me lo hai detto.” si lamentò l’altro.
  “Sì invece.”
  “No.”
Restarono in quella strana posizione come se si stessero studiando a vicenda ma avevano entrambi lo sguardo stanco .
  “Sei intelligente John.” sussurrò Sherlock “E... per i miei gusti, basati sui modelli esterni che mi ha dato la società... ti trovo attraente.” disse con lentezza, come se ogni parola fosse estremamente complicata.
Lo sguardo del dottore riacquistò una scintilla di lucidità, si sporse fino a sentire il pavimento sbattere contro le ginocchia con il viso a pochi centimetri da quello dell’altro.
Non ci pensò molto e appoggiò le labbra su quelle di Sherlock, non sapeva neppure lui il perché, gli andava semplicemente di farlo.
Sherlock restò immobile allargando gli occhi, non se lo era aspettato e non aveva idea di che cosa dovesse fare, probabilmente John aveva semplicemente perso l’equilibrio. 
Lo afferrò per il torace cercando di aiutarlo ad alzarsi. Il dottore si staccò dal suo viso lentamente e facendo forza sulle gambe si accovacciò restando a poca distanza dal suo volto. Non si rese neppure conto che gli si era praticamente seduto sopra.
  “John…” mormorò con la voce roca.

  “Sta zitto.” sussurrò prima di appoggiare ancora le labbra sulle sue.
Sentiva la testa pesante e non aveva tempo ne voglia di cercare qualche informazione nel suo palazzo mentale, seguì semplicemente l’istinto socchiudendo le labbra. Sentì la lingua dell’uomo sopra di lui insinuarsi nella sua bocca, era una sensazione strana, provò a farlo a sua volta, sembrava che fosse una lotta, decisamente poco pratico pensò staccandosi.
Il volto di John era arrossato, si chiese se anche il suo apparisse così. Il peso sopra di lui cominciava a farsi sentire, non era spiacevole ma sentiva l’altro muoversi lentamente, eppure non sembrava volersi alzare, si spostò leggermente verso destra cercando di lasciargli più spazio per appoggiarsi alla poltrona e sentì qualcosa premere sul suo cavallo. L’alcol doveva averlo reso più sensibile oppure… no ecco di nuovo quella sensazione, John continuava a muoversi sopra di lui e tutto a un tratto capì.
Prima ancora di rendersene conto aveva cominciato ad assecondare i movimenti dell’altro spingendo verso l’alto, era piuttosto piacevole e dall’espressione di John dedusse che fosse la stessa cosa per lui, teneva la testa protesa in avanti con gli occhi e la bocca socchiusi.

Spostò le mani sui fianchi dell’uomo per cercare di spingerlo verso il basso nel tentativo di avere un maggior contatto, nello stesso momento John appoggiò le labbra sul suo collo e cominciò scendere fino a leccargli il lembo di pelle che si intravedeva dal primo bottone della camicia aperta.
Sentire la lingua umida dell’uomo sopra la pelle gli provocò un lungo brivido lungo la schiena
Le mani del dottore si mossero con rapidità sbottonando tutta la camicia e sfilandola degli scuri pantaloni dell’investigatore. L’aria fredda a contatto con la pelle fece indurire all’istante i suoi capezzoli.
John scivolò verso il basso inginocchiandosi a terra, Sherlock sentendo la mancanza improvvisa del contatto con il corpo dell’altro lo afferrò per le spalle, probabilmente era tornato lucido e voleva solo andarsene a dormire. Una vena di tristezza si insinuò nei suoi pensieri.
Sentiva passare i secondi, l’aria fredda che faceva dilatare i pori della sua pelle nella disperata ricerca di calore e la fastidiosa tensione sul cavallo dei suoi pantaloni.
Quando sentì la bocca di John sopra il suo capezzolo destro quasi trasalì, venendo riportato alla realtà, non se n’era andato! Percepì distintamente gli incisivi mordicchiare la sua pelle provocandogli dei lunghi brividi fino alla gola. Dei secchi gemiti gli sfuggirono dalle labbra mentre reclinava il collo all’indietro.
La bocca del dottore continuò a percorrere ogni parte della sua pelle in cui potesse arrivare, prima che l’investigatore lo tirasse su fino a fronteggiarlo.
Aveva il viso arrossato e le pupille dilatate.
John sentì la lingua dell’altro esplorare la sua bocca con foga, quasi gli mancò il fiato e dovette staccasi di colpo. Il respiro affanno di entrambi si fuse mentre fissava gli occhi in quelli del compagno, non aveva mai visto Sherlock con quell’espressione, aveva le labbra gonfie e gli occhi socchiusi ma attenti, come se stesse cercando di memorizzare ogni particolare del suo volto, probabilmente era esattamente quello che stava facendo.
All’improvviso le grandi mani del detective afferrarono il grosso maglione del dottore e glielo sfilò con impeto lasciandolo cadere a terra, per poi cercare di nuovo e con più foga la bocca di lui, la sua lingua, il suo sapore mentre gli tirava a strattoni quella maledetta camicia.
Perché mai John aveva quella terribile abitudine di vestirsi a strati?
Man mano che anche i bottoni della camicia a scacchi venivano via sentiva i battiti del cuore accelerare. Poteva finire tutto da un momento all’altro, John poteva svegliarsi all’improvviso dal torpore dell’alcol, la signora Hudson sarebbe potuta entrare per proporgli una tazza di tè serale… Avevano lasciato la porta aperta. Quel pensiero gli provocò un intenso brivido alla base della schiena.
Si sporse in avanti trascinando John e lo inchiodò a terra con il suo peso, lo sentì gemere al contatto con il duro pavimento.
Scostò i lembi della sottile camicia e toccò la sua pelle calda, poteva finalmente sentire sotto le dita non più tessuti e stoffe ma muscoli e nervi che fremevano.
John anziché sottrarsi cominciò a spingere verso l’alto il bacino con disperazione, mentre Sherlock tentava di imitarlo prendendo fra le labbra il suo capezzolo salato e stuzzicando l’altro con la mano. Sentiva la testa esplodere, riempita dai gemiti dell’uomo sotto di lui, dal suo respiro sulla nuca.
Le gambe del dottore si allacciarono introno alle sue, come se temesse che potesse andarsene. Nessuna idea sarebbe stata più ridicola, non aveva mai indugiato in fantasie che riguardassero l’amico, sarebbe stato troppo pericoloso e decisamente sconveniente, ma vederlo così... la sua immaginazione non poteva competere con la realtà, con l’odore che gli impestava le narici e con il calore del corpo sotto di lui.
Anche l’investigatore prese a muoversi, spingendo il proprio addome contro quello del medico.
Il respiro di John aumentò vertiginosamente, e con esso i movimenti del suo corpo che rispondevano alla perfezione a quelli dell'altro.
Fece per chiudere un istante gli occhi annebbiati, ma la voce di John lo fermò: “S… Sherlock...” mormorò aprendo lentamente gli occhi.
Un brivido lo percorse, si fermò di colpo davanti a quello sguardo, quella voce e un profondo sospiro gli sfuggì dalle labbra arrossate, non riuscendo a sopportare la sua visione appoggiò la fronte sulla sua spalla lasciandosi trasportare dal ritmo del medico.
Ormai senza freni permise che i gemiti uscissero liberi dalla sua bocca mischiandosi con quelli dell’altro mentre le mani continuavano a esplorare il suo corpo.
Le spinte cominciarono a farsi più veloci, il sottile tappeto sotto di loro continuava ad arricciarsi avanti e indietro senza sosta.
Cercò di sfilarsi la giacca che gli ricadeva ancora sulle spalle, sarebbe potuto esplodere con tutto quel calore, l’altro lo attirò nuovamente a se incurante delle sue intenzioni conquistando la sua bocca, lo sentì tremare, scosso da violenti sussulti.
Ancora una spinta e un rantolo uscì dalle sue labbra ancora vicine a quelle del compagno. “John...” Fu tutto quello che riuscì a dire prima di stringere violentemente gli occhi ed esplodere. Sentì un intenso calore nel basso ventre e l’inconfondibile liquido caldo fra la carne e la stoffa.
John sobbalzò più volte sotto di lui prima di rilassarsi in un lungo e profondo gemito.
Sherlock cercò di sorreggersi sulle braccia ma dopo pochi secondi cedette crollando sfinito sul petto dell’altro.
Petto contro petto, addome contro addome, l'uno contro l'altro, il volto dell’investigatore nascosto nel collo del compagno. Rimase così, perso a respirare ogni fibra di quel profumo, l’odore della sua pelle.
Il tempo parve fermarsi, il mondo si bloccò, perfino quel dannato sole intorno al quale girava, niente aveva più importanza, erano solo loro due stretti in quello strano abbraccio. Non aveva bisogno di altro se non John, il suo John che stava evidentemente cercando di regolarizzare il proprio respiro.
Sperò di poter dilatare il tempo e rendere infinito quel momento, quelle inebrianti sensazioni che non si era mai concesso prima di allora.
Sarebbe potuto restare così per sempre, con John.



                                                                                                                              ***

 

 

Non si accorse nemmeno di essersi addormentato, si sveglio la mattina seguente quasi accecato da un raggio di sole. Durante la notte doveva essersi spostato perché si trovava accanto a John ancora pesantemente addormentato, con la camicia scompostamente aperta sul torace.
Si mise seduto cercando di fare meno rumore possibile, poco distante dalla sua spalla vide un piccolo foglietto appallottolato, sopra c’era scritto qualcosa, un nome, il suo nome: Sherlock Holmes, con quella caratteristica R sbilenca.
John aveva usato il suo nome la sera prima. Quella semplice rivelazione lo invase con violenza, molto più dell’aria fredda che stava riempiendo la stanza. Lo trovava intelligente, simpatico, perfino bello.
Si alzò per chiudere la porta dell’appartamento, non era il caso di svegliare John, gli mise semplicemente una coperta addosso prima di andare a chiudersi in bagno.
Si appoggiò alla chiara porta chiudendo gli occhi, era successo davvero, il suo copro aveva le tracce inconfutabili che quello che era accaduto la sera prima non era un sogno.
Sentiva ancora gli odori mescolarsi e farsi sempre più intensi, la voce di John che sussurrava il suo nome e il suo respiro affannato.
Era successo davvero.
Si buttò sotto la doccia rivivendo ogni singolo istante che era riuscito a memorizzare, ogni dettaglio, ogni sospiro.
Quando uscì dalla doccia la sua mente vagò, c’era qualcosa che continuava a colpirlo, un martellante e irritante pensiero che non riusciva ad afferrare. Perché avrebbe dovuto sentirsi così, con quella strana pressione sullo stomaco?
John era a qualche stanza di distanza, bastava percorrere il corridoio e lo avrebbe trovato nel salotto, era con lui, a casa. Come un lampo la terribile verità attraversò la sua mente: John non viveva più con lui, stava per sposarsi… con Mary.
Erano andati a festeggiare la sera prima proprio per il matrimonio… stava per sposarsi…
Il battito cominciò ad accelerare incontrollato mentre quel martellante pensiero gli riempiva la mente. John… il suo John stava per sposarsi.
Quando tornò in salotto era totalmente vestito, con la camicia grigia ben abbottonata e una giacca nuova, per un attimo immaginò di trovare John ancora steso sul pavimento ma prima di attraversare la soglia sentì dei leggeri passi, era sveglio.
  “Buongiorno John.” lo salutò senza guardarlo troppo. Ebbe solo il tempo di notare che aveva la camicia abbottonata e la felpa blu in mano.
  “Sherlock, io…”
  “Vuoi fare una doccia?” chiese afferrando rapidamente il giornale e sedendosi sulla poltrona.
  “Sembra che tu ne abbia bisogno.”
  “Ehm… sì, sì credo che la farò ma prima… potremmo parlare?” chiese titubante sbattendo ripetutamente le palpebre.
  “Stiamo già parlando.” replicò con calma Sherlock continuando a tenere lo sguardo fisso sul giornale.
  “Di ieri sera”. Puntualizzò John con serietà.
Ovviamente “Sì, speravo potessimo evitare ma hai ragione, me lo merito.” Il volto di John si corrucciò in un’espressione interrogativa. “È stata una serata terribile, devo aver sopravvalutato la mia resistenza all’alcol. Non abbiamo fatto a botte, vero?” chiese con tono fintamente allarmato.
  “Noi… no, no, non abbiamo fatto a botte.” inspirò profondamente, come se stesse annusando l’aria.
  “Oh, bene.” si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. “Sarebbe stato imbarazzante.”
  “Tu… cosa ti ricordi di ieri sera?”
  “Siamo usciti per bere e festeggiare il tuo addio al celibato…”
  “E poi siamo tornati qui in taxi e ci siamo messi a giocare” finì la frase il dottore.
  “Sì, a quel… oh non ho idea di come si chiami quello stupido gioco, ma credo ti sia rimasta della colla attaccata alla fronte.” disse assottigliando gli occhi per osservarlo meglio.
  “Non ti ricordi altro? Dopo che abbiamo…. Giocato?” la voce di John cominciava leggermente a tremare, era nervoso.
  “Dovrei?” Domandò Sherlock distogliendo lo sguardo dal giornale e alzando un sopracciglio.
  “Bhe… io ho, delle immagini confuse, dei flash.” ammise il medico. Dalla postura non sembrava molto convinto, probabilmente stava mentendo.
  “Vuoi condividerli?”
  “Mh, no, bhe non credo siano importanti, se non li ricordi...”
Oh, ricordava eccome…
  “Vai a farti una doccia e schiarisciti le idee. Ne riparliamo dopo.” propose Sherlock tornando a osservare il giornale.
Quando dopo una decina di minuti John tornò in salotto era stranamente silenzioso e si muoveva con una lentezza quasi irritante, sembrava che stesse cercando le parole giuste. Aprì la bocca di scatto come se avesse trovato il coraggio ma un leggero bussare sulla porta li fece voltare.
  “Miei cari? Una cliente.” annunciò la signora Hudson aprendo lentamente la porta e aspettando sulla soglia. Al suo fianco c’era una donna sulla quarantina con capelli scuri e un sorriso appena accennato. Aveva delle sottili ma evidenti occhiaie, probabilmente per le poche ore di sonno, i capelli legati in una coda bassa, un lavoro faticoso, indossava una camicia bianca ma era più simile a una divisa, le scarpe comode e usate, dovevano avere più di due anni.
Era sicuramente un’infermiera con un turno vuoto.

Doveva essere successo qualcosa di strano, sembrava intimorita.
Una cliente.
John restò immobile per alcuni secondi con una strana espressione, gli angoli della bocca all’insù ma gli occhi parevano essere tristi. Sherlock incrociò il suo sguardo, non servivano parole, sapeva, sapevano entrambi.

 

 

Ed eccoci arrivati a, spero che vi piaccia, ovviamente ogni commento e critica costruttiva sono ben accette.

 

  
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