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Autore: bik90    17/10/2018    2 recensioni
-Le migliori amiche non fanno sesso!-
Clarke si passò una mano tra i capelli abbassando lo sguardo.
-E' complicato- rispose semplicemente.
-Complicato?- ripeté Sofia.
L'altra non rispose e la ragazza sbuffò allontanandosi da lei. Clarke, allora, le afferrò il braccio per fermarla.
-A te cosa importa di quello che faccio con Diana?- le soffiò a pochi centimetri dalle labbra.
Sofia deglutì a vuoto prima di trovare la forza di divincolarsi dalla sua presa.
-Perché mi piaci, idiota!-
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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<< Vieni da zia principessa! >> esclamò Luna allungando le braccia verso la nipotina.
Ginevra ormai correva e s’infilava ovunque le fosse possibile per la gioia di Danila e Giovanni. Vederla così vispa e vivace, curiosa verso il mondo era, però, una ricompensa appagante per entrambi i genitori nonostante la stanchezza. Ginevra allungò le braccia paffute verso la ragazza che scoppiò a ridere nel vano tentativo di liberarsi dal passeggino.
<< Aspetta, zia ti prende >> le disse sorridendo.
E Ginevra rise mostrando uno dei suoi sorrisi meravigliosi.
<< Devo prendere il bigliettino per essere salutata da mia sorella? >> scherzò Danila.
Luna prese in braccio la bambina dandole un bacio sulla guancia e solo allora si voltò verso la donna.
<< Ciao Dany >> salutò << Lo sai che la principessa viene sempre prima di tutti >>.
Danila alzò le mani in segno di resa e subito dopo tornò ad appoggiarle al passeggino vuoto.
<< Sicura di non avere nessuna lezione stamattina? >>.
Luna annuì.
<< Nessuna importante >> rispose lasciando che Ginevra le sfilasse gli occhiali da sole e afferrandoli prima che li gettasse per terra << Non mi sarei mai persa una passeggiata con voi >>.
<< Ne ho approfittato vista la bella mattinata >> affermò Danila osservando l’orizzonte.
Dal lungomare di Mergellina il panorama era bellissimo. Il mare era calmo e il sole illuminava e scaldava i loro corpi nonostante il mese di dicembre. Era la giornata perfetta per una passeggiata. Infatti, non aveva perso tempo non appena era uscita da scuola. I genitori di Giovanni le avevano fatto trovare Ginevra pronta e subito dopo aveva pensato di telefonare alla sorella la quale, felice, si era fiondata da loro.
<< Stefano mi ha detto che questo fine settimana pioverà come se non ci fosse un domani >>.
Danila annuì mentre continuavano a camminare.
<< Sì, ho visto anch’io le previsioni stamattina durante la colazione. Per questo ne ho voluto approfittare >>.
Luna mise a terra la nipote tenendola per mano e si guardò intorno. Danila la osservò così presa dalla bambina e pensò che era tutto merito di Clarke se la sorella avesse messo la testa a posto.
<< Hai più rivisto Clarke? >>.
Nel sentire quel nome, Luna si bloccò per un attimo prima di tornare a prestare attenzione a Ginevra.
<< Mezza volta >> disse ricordando il suo incontro fuori Stairs Coffee << E no >> aggiunse vedendo che l’altra stava per parlare << Non è andata bene >>.
<< So che ti apparirò monotona, ma, Luna, non puoi forzarla a vederti se non vuole >>.
Luna chinò appena la testa.
<< Lo so >> ammise << Vorrei solo che ammettesse di essere ancora innamorata di me come io lo sono di lei >>.
<< E… se non lo fosse? >> chiese Danila con semplicità << Se non fosse più innamorata di te? È passato un anno, Luna. Non potrebbe vedersi con un’altra? >>.
Quelle parole ebbero l’effetto di un pugno in pieno viso. Luna sentì il respiro mancarle per l’intensità del dolore che provò e si voltò di scatto verso la sorella.
<< Non è possibile! >> esclamò trattenendo a stento il prurito che sentiva alle mani.
Danila le sorrise dolcemente accarezzandole una guancia. Poi sollevò Ginevra per rimetterla nel passeggino. Quando si parlava di quella ragazza, venivano fuori tutte le paure e le insicurezze della vera Luna. Perché Luna non era ciò che si era costruita, ma solo quello che Clarke aveva trovato e portato in superficie. Prima di lei, la sorella non aveva idea di cosa fossero i legami autentici, veri e costruiti su delle certezze.
<< Non ci hai pensato o non ci vuoi pensare? >>.
<< La sua mano ha tremato quando mi ha sfiorato, questo significa che è innamorata di me! Deve pur significare qualcosa! >> fece Luna << Lei non mi ha dimenticata >>.
Di nuovo Danila le sorrise. Su quell’argomento era così ostinata che insistere sarebbe servito solo a farla impuntare maggiormente. Eppure, da sorella maggiore, doveva farle vedere tutte le varie opzioni. Osservò Luna rimuginare sulle sue parole, serrare la mascella e guardarsi nervosamente le mani. Provò a cambiare argomento, le raccontò aneddoti simpatici e divertenti che le erano capitati a scuola e la sorella parve rilassarsi leggermente, quel tanto che bastava per non farla scoppiare. Chiacchierarono di argomenti leggeri, di alcuni clienti del negozio di Giovanni, dello studio e Luna riuscì perfino a ridere. Danila, allora, si fermò e sorrise.
<< Dovresti ridere sempre >> le disse << Sei davvero bella quando lo fai >>.
Luna arrossì colta alla sprovvista dal complimento; poi guardò l’ora.
<< Dobbiamo andare >> affermò notando come Ginevra si stesse innervosendo << La principessina inizia ad avere fame >>.
Danila si limitò ad annuire lasciandosi aiutare dalla sorella a sistemare la figlia in auto.
<< Hai lezione ora? >> le domandò dopo aver abbassato il finestrino.
<< Sì >> mentì Luna mandando un bacio alla nipote seduta all’interno del seggiolino.
<< Luna >> la riprese Danila comprendendo la bugia semplicemente dal tono << Non avventarti su di lei adesso, peggioreresti solo le cose >>.
La ragazza non rispose e aspettò di veder partire la sorella prima di dirigersi verso la sua automobile, parcheggiata pochi metri più in là. Controllò l’ora per l’ennesima volta e s’infilò al posto del guidatore. Mettere in modo, sintonizzare il suo cellulare al computer della macchina e guidare fin fuori il liceo Vico, fu un attimo. Durante il tragitto, continuò a ripetersi che le parole di Danila non avevano senso, Clarke non poteva essersi innamorata di un’altra ragazza. Non poteva aver dato così poco peso alla loro storia. Si fermò notando che la maggior parte dei ragazzi era andata via e che pochi erano quelli che ancora si attardavano a chiacchierare o a camminare in gruppi. Chiuse gli occhi facendo un respiro profondo e, quando li riaprì, la figura della ragazza in sella alla moto le frecciò davanti. Ancor prima di rendersene veramente conto, iniziò a seguirla. Dal tragitto che fece, Clarke stava sicuramente tornando a casa. E mentre era dietro di lei e osservava i lunghi capelli biondi oscillare al vento, pensò che nessuna sarebbe potuta essere più importante. Clarke le aveva insegnato tutto, era merito suo se era riuscita a dare un senso alla sua vita. E, soprattutto, se oggi poteva godersi quel gioiello di sua nipote. Erano quasi arrivate sotto il cancello della villa dei Melbourne, quando Clarke si fermò accostando la sua moto sul ciglio della strada. Luna la imitò e si slacciò la cintura di sicurezza scendendo. L’altra si tolse il casco con foga e rabbia. Si era accorta che la ragazza la stava seguendo e per lunghi minuti aveva sperato di vederle prendere una direzione diversa.
<< Mi stavi seguendo? >> le urlò << Ma come cazzo ti viene in mente, Luna? >>.
Si guardarono negli occhi e il pensiero che fosse bellissima le saettò nella mente senza che potesse fare niente per impedirlo. Scosse il capo cercando di rimanere calma. Luna, invece, non provò nemmeno a nascondere la rabbia e la frustrazione che provava in quel momento. Le si avvicinò sentendo il cuore iniziare a batterle più forte nel petto.
<< Te la fai con un’altra? >> le chiese urlando.
Clarke sgranò gli occhi nel sentire la sua richiesta. Come faceva a saperlo? Non che avesse mai pensato di nascondersi, ma il pensiero di avere quella conversazione non l’aveva mai sfiorata.
<< E’ così?! >> continuò Luna << Cazzo, chi è? Chi?! >>.
Nella foga la spintonò con una mano e Clarke arretrò di qualche passo. L’altra si massaggiò la parte come se bruciasse e tornò a guardarla non potendo farne a meno. Lo sguardo di Luna fiammeggiava, sembrava che potesse esplodere da un momento all’altro. Inghiottì un groppo di saliva mentre serrava le mani in pugni e s’imponeva di respirare. Perché, da quando la ragazza era scesa dalla macchina, non riusciva a non pensare ad altro se non a quanto fosse vera e sincera quella rabbia. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
<< Dimmi chi è! >> urlò ancora Luna << E’ Diana? >>.
L’espressione stupita che assunse l’altra permise alle lacrime di non cadere.
<< Come cazzo ti viene in mente? >> le rispose finalmente << No, ovvio che non è Diana! >>.
<< Ma non lo stai negando! >>.
Le lacrime rigarono le guance della maggiore con forza, come se fossero dei solchi indelebili. Perché quella muta rivelazione faceva davvero male.
<< Non sono cazzi tuoi Luna! Tu mi hai presa in giro, la fine della nostra storia è solo colpa tua! >>.
<< E mi dispiace! Non so più in che modo dirtelo! Ho avuto paura, paura Clarke! Non ho mai avuto la famiglia perfetta che avevi tu, ho avuto paura di essere rifiutata più di quello che già ero >>.
Adesso piangevano entrambe e le lacrime andavano a bagnare i loro vestiti. Luna non indossava il giubbotto, ma semplicemente una camicia con un cardigan di lana lasciato aperto, jeans e stivaletti scuri. I ricci sciolti, erano scomposti e spettinati per l’agitazione. La sua espressione era un mosaico di emozioni. Clarke poteva leggerle tutte come se fosse un libro aperto e si ricordò di quante volte avesse amato farlo.
<< Vattene >>.
Luna s’irrigidì di fronte a quella frase.
<< Credevo che non fosse così facile accantonare la nostra storia. Tu pensi già a un’altra! >>.
Clarke non aveva mai saputo mentire, le bugie le si erano sempre lette in faccia. E Luna in quel momento poteva vedere chiaramente l’indecisione sul suo viso, come si mordeva le labbra a disagio.
<< Smettila, smettila! >> gridò la più piccola muovendo qualche passo nella sua direzione << Non sarà mai facile mettere da parte la nostra storia, ma io devo andare avanti altrimenti rischio di impazzire! Ho bisogno di innamorarmi di nuovo e di non essere presa in giro! >>.
<< Ma io ti amo >>.
Bastò quella frase per mandare in subbuglio il cervello di Clarke. Il tono di Luna era lieve come una carezza, un tenue raggio di sole del mattino, un qualcosa da essere appena percepito eppure così vero e reale da fare paura. Non stava mentendo, da quando aveva scoperto il suo doppio gioco aveva smesso di farlo. Tremò per il freddo che provava dentro, per quello che la ragazza le smuoveva nonostante fosse un anno che non la vedeva. Aveva trascorso mesi a odiarsi per come si era lasciata manipolare, ma in quegli stessi mesi era stata anche così felice che sarebbe stato stupido ammettere di esserlo di nuovo come prima. Non avrebbe iniziato a mentire. La guardò e, tra le lacrime che le scendevano copiose, sul suo viso poté intravedere un leggero sorriso, un qualcosa di appena accennato. Era triste come tutta la sua figura, però aveva lo stesso un qualcosa di meraviglioso.
Eppure non poteva perdonarla. Non riusciva a dimenticare la scommessa con gli amici, la sua finzione, tutto quello che era seguito dopo. E soprattutto la morte di sua madre. Come poteva dimenticare quel giorno? Era ridotta uno straccio per colpa sua, per quello che le aveva fatto. Una rabbia improvvisa le montò dentro così forte da farla sussultare.
<< Ti ho detto di andartene! >> urlò con un rinnovato furore << Cazzo, vattene! >>.
<< Clarke, io… >>.
<< Non ti voglio più ascoltare e non voglio più vederti! Mia madre è morta e questo non cambierà mai! Mai! Non si può tornare indietro per rimediare agli sbagli, sarà sempre e solo colpa tua! >>.
Mentre lo diceva sapeva non essere completamente vero. Perché, se Adele era morta quella sera, era anche colpa sua. E si odiava per aver permesso a Luna di avere tutto questo potere su di lei. Si voltò con foga e cercò il telecomando nella tasca del giubbotto per aprire il cancello. Luna non la fermò, non provò nemmeno a chiamarla. La vide montare sulla sua moto con foga, piena di rabbia e sperò solo che in quello stato non facesse alcun danno.
 
Era stato facile chiamare Diana e dirle di andare immediatamente a casa sua. L’amica aveva mollato qualunque cosa stesse facendo per correre da lei. Perché bastava una sola parola per farle capire che aveva bisogno del suo corpo e Clarke, in quella chiamata, ne aveva dette fin troppe. Aveva compreso molto poco, ma era certa di aver udito il nome di Luna più di una volta. E quello l’agitava parecchio. Perché se si fosse trattato di un litigio con Sofia, Clarke non sarebbe stata così agitata. Luna, invece, era in grado di mandarla in tilt. Quando era entrata in casa, la ragazza era completamente fuori controllo. Aveva gettato per terra un vaso di vetro che era andato in frantumi e si era accanita sul centrotavola della cucina. La ceramica rotta le aveva tagliato il palmo della mano destra che sanguinava lasciando gocce di sangue sulle piastrelle della penisola. Diana le si era avvicinata chiamandola varie volte, ma per l’altra era come se non esistesse. Eppure le aveva lasciato la porta di casa socchiusa.
<< Clarke! >> esclamò per l’ennesima volta alzando il tono della voce e afferrandole un braccio.
Clarke si voltò di scatto, gli occhi vitrei di lacrime e rabbia che fecero tremare Diana. Quella situazione le ricordò il periodo buio che l’amica aveva passato dopo la morte della madre e ingoiò un groppo di saliva. Non doveva accadere di nuovo, non avrebbe sopportato di vederla nuovamente a pezzi. Col suo corpo aveva evitato che potesse succedere qualcosa di peggiore, poteva farlo di nuovo. Abbassò gli occhi sulla mano ferita della ragazza e subito dopo tornò a fissarla. Avrebbe voluto dirle tante cose, avrebbe voluto urlarle di non ripetere gli stessi errori, ma tutte le parole le morirono in gola quando Clarke si fiondò sul suo collo mordendolo. Ansimò inaspettatamente e gemette per il dolore che le aveva procurato. Però l’amica parve non preoccuparsene, in quel momento la sua mente non poteva essere raggiunta. Le sfilò il maglioncino che indossava con rabbia e con quella stessa ira le strappò la camicia che aveva sotto. Due bottoni saltarono dalle asole, ma nessuna delle due se ne preoccupò. Clarke era una maschera di dolore e angoscia, completamente estraniata dal mondo che la circondava. Diana riuscì appena a sfiorarle una ciocca di capelli prima che le labbra dell’altra si posassero nuovamente sul suo collo. Gemette ancora mentre un fiotto caldo si faceva strada nel suo basso ventre. Allungò una mano verso la maglietta che indossava l’amica per togliergliela, ma le fu impedito dalla presa sicura di Clarke. Con un dito le accarezzò il profilo del reggiseno, soffermandosi sulla coppa e sulla stoffa che indossava Diana. Ingoiò un groppo di saliva mentre il suo respiro si faceva sempre più affannoso. Era sempre stato così tra loro; Diana leniva il dolore che gli altri le procuravano. Con la lingua andò di nuovo sul suo collo, sentendo la vena pulsare e la pelle arrossarsi lì dove aveva morso con forza. Eppure Diana non la fermava mai. Stava per darle un bacio sulle labbra, quando i loro sguardi s’incrociarono. Annegò nell’oscurità delle sue iridi e, mentre era nel più completo buio, l’unico colore che riuscì a distinguere fu il verde. E quello la portò inevitabilmente a pensare agli occhi di Sofia e alle sue mille sfumature. Inghiottì a vuoto mentre il suo viso si sovrapponeva a quello di Diana. L’amica si allungò verso di lei per poterla baciare con un leggero sorriso sulle labbra, ma Clarke si sottrasse.
<< Io… >> mormorò mentre era ancora circondata dal verde << …non possiamo… >>.
Diana le sorrise mentre le accarezzava una guancia.
<< Lo abbiamo sempre fatto >> le sussurrò << Dopo starai meglio >>.
Clarke si ritrovò ad annuire nel sentire le braccia di Diana stringerla. Era un porto sicuro, eppure qualcosa la disturbava. Si specchiò di nuovo nei suoi occhi scuri mentre il verde lentamente scompariva, e si sentì a disagio per la prima volta.
<< D >> disse semplicemente abbassando lo sguardo sulle sue mani. Un senso di sporco improvvisamente la investì << …no… >>.
<< Cosa? >>.
Clarke scattò in piedi dandole le spalle. Diana la osservò non comprendendo il suo disagio. Le cose tra loro erano sempre andate così, cosa le prendeva adesso?
<< Diana, stiamo sbagliando! >> esclamò la ragazza voltandosi di botto per guardarla ancora una volta negli occhi << Noi non… io non… >>.
Si rannicchiò sulle ginocchia poggiandovi sopra la fronte mentre le lacrime facevano nuovamente capolinea sulle sue guance. Diana allora cercò di coprirsi meglio che poteva e le si avvicinò.
<< Clarke… >> sussurrò con voce incerta.
Clarke alzò lo sguardo e Diana poté vedere quanto fosse disperata e smarrita. Si chiese cosa le si stesse agitando dentro, avrebbe voluto farle molte domande, ma l’altra non sarebbe stata in grado di risponderle. Era come se improvvisamente si fosse resa conto di quello che faceva quando era in preda all’ansia e all’agitazione. E adesso pareva che volesse smettere. Le mancò il fiato a quella considerazione.
<< Ehi >> disse con gentilezza mentre si chinava sul suo viso << E’ tutto a posto, tranquilla >>.
L’amica si limitò ad annuire dopo aver inghiottito un groppo di saliva.
<< Mi dispiace, D >> mormorò con un filo di voce << Non posso più comportarmi così. Non è giusto >>.
Diana le baciò una tempia mentre le si accoccolava vicino stringendosi contro il suo braccio.
<< Respira, Clarke >> le rispose << Respira >> ripeté accarezzandole una ciocca di capelli.
Sentì lentamente il respiro della ragazza regolarizzarsi e poggiare pigramente il capo su quello dell’amica.
<< Non succederà niente che tu non voglia >>.
<< Lo so >> disse infine Clarke sottovoce senza guardarla.
Si sentiva in colpa nei confronti di Diana, era sempre stata al suo fianco per condividere anche quelle sue angosce, ma come poteva continuare a comportarsi normalmente quando il suo cuore le saltava in gola al solo pensiero di Sofia? Era la prima volta che le capitava di sentirsi circondata dal verde dei suoi occhi, come se potessero lenire tutto da soli.
<< Mi dispiace >>.
Diana accennò un sorriso mentre poggiava la schiena contro il muro. Rabbrividì per il freddo che avvertì in netto contrasto col corpo dell’altra.
<< Sei riuscita a calmarti da sola, è la prima volta che accade >> constatò con calma.
Vide con la coda dell’occhio Clarke annuire e i loro corpi con lentezza iniziarono a rilassarsi.
<< E’ una cosa positiva >>.
Cercava di essere calma e di vedere il lato giusto della cosa, in realtà tremava dalla paura di vedersela scivolare via dalle mani come acqua limpida. Questa volta Clarke si voltò verso di lei e si fissarono per dei lunghi istanti negli occhi. Il blu nel nero, il nero nel blu. Nessuna delle due, però, rischiò di annegare questa volta. Si guardavano con quel leggero distacco che avrebbe sempre dovuto esserci per mantenere la loro amicizia intatta. Ma avevano varcato il confine più di una volta.
<< Non posso più fare questo, D >> disse Clarke << Io devo… tu sei la mia migliore amica >>.
Le loro mani si cercarono e s’intrecciarono ancor prima che potessero rendersene conto. Clarke gliela strinse forte come se fosse l’ancora cui aggrapparsi in quel momento.
<< E tu sei la mia >> ribatté Diana.
<< Non posso farvi questo >>.
<< A me e a quale esercito? >> tentò di scherzare l’altra.
Le labbra di Clarke si piegarono in un sorriso. Stava tornando quella di sempre.
<< A te e a Sofia >>.
 
<< Dobbiamo parlare >>.
Così iniziò la conversazione Giulia mentre chiudeva la porta dello studio di Rodolfo. Si tolse la sciarpa gettandola sul divanetto mentre l’uomo chiudeva il libro sulla scrivania che stava consultando. Entrambi sapevano di avere un’ora prima che Rodolfo dovesse correre a una lezione.
<< E’ successo qualcosa? >> domandò sistemandosi gli occhiali sul viso.
Giulia lo osservò non potendo fare a meno di pensare a quanto fosse fortunata a non essere invisibile ai suoi occhi. L’uomo indossava una camicia abbottonata fino alla fine e un gilet dal taglio classico su un semplice jeans che gli procurava un fascino non indifferente. Nonostante questo, cercò di mantenere la sua voce alterata e fredda.
<< Non credi di esserti vestito un po’ troppo bene? >> domandò sollevando il sopracciglio.
L’attimo dopo si morse la lingua nel vedere che l’altro stava sorridendo.
<< Gelosette a prima mattina, signorina Noti? >> fece con aria di scherno Rodolfo.
<< Oh, figurati >> rispose Giulia posando la tracolla sulla scrivania. Sbottonò il giubbotto e si sedette sulla stessa accavallando le gambe << Ho solo detto la verità. Da quando vai a lezione con il gilet? Col freddo che fa in quella dannata aula soprattutto >>.
L’uomo le si avvicinò sfiorandole appena il ginocchio con una mano.
<< Dopo ho una riunione importantissima >> affermò.
<< Un’altra? Ma il consiglio docenti non si era già riunito un mese fa? >>.
Rodolfo le strizzò l’occhio.
<< Non posso ancora parlartene, sono un tipo scaramantico >>.
Giulia lo guardò imbronciata.
<< E da quando? >>.
Il professore le baciò la tempia.
<< Da sempre >> disse << Ora >> aggiunse sfilandole il giubbotto << Vuoi continuare a parlare ancora oppure possiamo impiegare il tempo che abbiamo in un modo molto più piacevole? >>.
Giulia lo fissò negli occhi attraverso le lenti e si morse il labbro. L’attimo dopo le labbra di Rodolfo si scontrarono con le sue e rabbrividì.
<< Noi dovremmo… >> provò a dire mentre sentiva le mani dell’altro vagare senza una meta precisa sulle sue gambe.
<< Certo >> le sussurrò all’orecchio Rodolfo.
Le sorrise prima di baciarla ancora e comprese, dall’espressione che assunse Giulia, che non c’era niente di più impellente in quel momento che pensare a soddisfare i loro desideri.
 
Era stato Philip ad accompagnare Clarke al suo primo giorno di scuola media. La figlia aveva compiuto undici anni ad agosto e proprio in quel mese avevano ottenuto il permesso di Gabriella di portare a casa Luthor. Erano stati mesi lunghi e delle volte anche frustranti per la bambina che vedeva il giorno in cui il boxer avrebbe definitivamente lasciato il canile sempre troppo lontano. Ma agli occhi dei bambini qualunque attesa pareva infinita e alla fine Luthor era entrato a far parte della loro famiglia. Adele non aveva potuto unirsi a loro a causa dei turni in ospedale, ma avevano parlato a lungo con la figlia la sera precedente. Clarke sembrava una persona totalmente diversa rispetto a quella che avevano conosciuto a Sidney anni addietro; ora era solare, allegra, spiritosa. Anche se aveva sempre interagito poco con i bambini della sua età, Adele e Philip non era preoccupati della reazione che avrebbe avuto. Clarke avrebbe saputo reagire alle angherie dei compagni, qualora ce ne fossero state, senza ricorrere alla violenza.
<< Allora, sei pronta? >> le chiese l’uomo chinandosi per arrivare alla sua altezza.
Clarke stava crescendo rapidamente, troppo per i suoi gusti. Ancora qualche anno e si sarebbero potuti guardare negli occhi senza che lui si abbassasse. La figlia si strinse nelle spalle mentre portava entrambe le mani sulle spalline dello zaino.
<< Non dovrebbe essere una cosa complicata >> rispose guardandosi la punta delle scarpe.
Philip scoppiò a ridere mentre le sistemava il giubbotto. Adele aveva insistito affinché, per il primo giorno di scuola, Clarke indossasse tutte cose nuove e, per quel motivo, la settimana precedente li aveva trascinati entrambi in giro per negozi. Nonostante apparisse eccessivo agli occhi dell’uomo, Philip l’aveva lasciata fare ricompensando Clarke con un nuovo numero di uno dei tanti fumetti che leggeva. Da quando aveva letto quello che le aveva regalato su Superman, pareva che non potesse più farne a meno.
<< Non è una cosa complicata, è solo il tuo primo giorno di scuola >> le disse << E’ normale essere un po’ tesi >>.
Clarke annuì e sollevò gli occhi. A Philip mancò il fiato per un paio di secondi di fronte all’intensità del suo azzurro. Erano limpidi, segno che la bambina era tranquilla.
<< Sarà solo per qualche ora >>.
<< Lo so >> rispose Clarke guardandosi intorno. In quel momento si sentì la campanella suonare e i cancelli essere aperti. Tornò a fissare l’uomo << Non essere teso, andrà tutto bene papà >>.
Philip si sollevò e sorrise mentre scuoteva leggermente il capo. Non riusciva mai a nasconderle niente.
<< Allora ci vediamo all’uscita. Sarò proprio qui insieme alla mamma >>.
La bambina annuì ancora una volta e si alzò sulle punte per dargli un bacio sulla guancia. Poi corse verso il cancello e sparì tra i bambini.
 
Aveva trovato un posto libero in seconda fila e si era seduta senza spingere nessun bambino che stava entrando correndo in classe. Si guardò intorno, pareva che gli altri ragazzi si conoscessero un po’ tutti, parlavano tra loro facendo anche delle battute e nessuno faceva a caso a lei. I minuti scorrevano tranquillamente e la classe lentamente iniziò a riempirsi. Il posto accanto al suo, però, rimase vuoto. Una strana ansia prese ad avvolgerla. Agli occhi di venti bambini della sua età pareva essere invisibile. Nessuno si voltava verso di lei per parlarle o chiederle qualcosa, sembrava che la stessero deliberatamente ignorando. E il disagio crebbe a dismisura. Clarke non era capace di prendere l’iniziativa, di creare dal nulla una conversazione, non lo aveva mai fatto e per il suo carattere non era nemmeno portata a farlo. Ingoiò un groppo di saliva mentre la professoressa entrava e chiudeva la porta. Clarke la osservò sedersi alla cattedra, far tacere gli studenti e presentarsi. Il suo fastidio divenne sempre maggiore, passò in rassegna ogni singolo bambino senza prestare attenzione all’insegnante. Nessuno la guardava e lei si sentì allo stesso modo di quando era ancora in orfanotrofio. Iniziò a desiderare che Adele e Philip la riportassero a casa perché la scuola non era un posto per lei, non la faceva sentire a suo agio e pensò che l’uomo era teso proprio per quel motivo. Strinse con forza le mani sul banco e stava per alzarsi e scappare via quando una bambina aprì improvvisamente la porta catapultandosi dentro. Aveva i capelli lunghi e scuri raccolti in due trecce e gli occhi più neri che avesse mai visto.
<< Buongiorno professoressa, scusi il ritardo! >> urlò portandosi entrambe le mani davanti al viso e congiungendole << Non volevo arrivare tardi il primo giorno, ho anche messo la sveglia prestissimo stamattina! Ma è anche il primo giorno di scuola di mio fratello Matteo e lui oggi inizia le elementari e ieri sera mia sorella Gaia si è divertita a raccontargli delle storie dell’orrore sulle maestre che mangiano i bambini! E così stamattina ha iniziato a piangere di non volerci andare e mia madre ha dovuto calmarlo, ma poi in macchina ha vomitato e ci siamo dovuti fermare a casa di mia nonna che abita qui vicino per cambiarlo e… >>.
Clarke osservò sconvolta la bambina che parlava come una mitragliatrice. Le pareva impossibile che qualcuno potesse parlare così veloce. E senza che se ne accorgesse rise sottovoce per quello che aveva raccontato.
<< Va tutto bene, non preoccuparti >> rispose l’insegnante con un sorriso gentile << Perché non vai a sederti? >> indicò il posto vuoto accanto a Clarke << Così riprendiamo a fare l’appello >>.
La bambina corse verso il banco con un enorme sorriso che si allargò ancor di più quando incontrò lo sguardo dell’altra.
<< Ciao! >> la salutò allungando la mano << Io sono Diana >>.
<< Clarke >> rispose la bambina stringendogliela.
<< Dai, Clarke come quello di Superman? >> esclamò Diana sedendosi.
Clarke guardò Diana con occhi che brillavano.
<< Sì, più o meno come lui >> affermò facendo un cenno al suo zaino.
Diana voltò appena gli occhi per vedere ciò che le aveva appena indicato e sobbalzò sulla sedia. Il suo zaino era semplice, completamente blu e col simbolo del supereroe stampato sul davanti.
<< Che forza! Vieni anche da Krypton per caso? >>.
Clarke non rispose subito. Si prese del tempo per osservare quella che sarebbe diventata la sua migliore amica. Quasi non poteva crederci di averla trovata così presto. Da come si erano messe le cose, aveva pensato che avrebbe trascorso le sue giornate scolastiche da sola e, invece, c’era qualcuno che non solo le parlava, ma anche che conosceva perfettamente il suo supereroe preferito. Pensò che non vedeva l’ora di raccontarlo ai suoi genitori.
<< Sidney >> disse infine << Però ho un cane che si chiama Luthor >>.
L’espressione stupita che assunse Diana la fece scoppiare a ridere.
<< Non ci credo! >> esclamò.
L’attimo dopo furono riprese entrambe dalla professoressa. Si appiattirono contro il banco mentre continuavano a sghignazzare sottovoce. Si guardarono negli occhi e per la prima volta Clarke venne inghiottita dall’oscurità di Diana. Nessuna delle due avrebbe più potuto fare a meno dell’altra.
 
 
L’angolo di Bik
Scusate il ritardo, ma giuro di essere sommersa da impegni lavorativi cui devo dare la precedenza! Se poi ci aggiungiamo che sto portando avanti anche l’altra storia, siate clementi!
Prima di tutto, vorrei ringraziare le persone che ho incontrato al Romics ancora una volta. Grazie di nuovo, anche se il sei ottobre non ho detto altro XD Ma un ringraziamento particolare va a Giulia da Genova che non poteva esserci, ma che ha mandato un delegato a prendere una copia del mio fumetto. Grazie, sono cose che emozionano! Anche una stronza priva di cuore come me! XD
Veniamo al capitolo.
Spero che amiate come me piccola Clarke che da coraggio a Philip nel suo primo giorno di scuola. Sta crescendo e ovviamente non poteva mancare il suo primo incontro con Diana. Io le ho amate da subito. Per il resto, spero che una Luna sofferente la faccia apparire meno stronza in questo momento. Avremo tutti modo per odiarla, credetemi XD
Scusate se il capitolo vi sembrerà corto,
F.
  
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