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Autore: Alicat_Barbix    20/10/2018    4 recensioni
Dal testo:
Un pensiero solo echeggia, ancora lì, ancora vivo: Non può essere. Perché, John Watson, la persona che hai scoperto – quasi in un incubo – di amare, è lì, lì dove il criminale dalla mente più brillante che tu abbia mai conosciuto avrebbe dovuto sfidarti in un ultimo grande gioco.
“Cosa ti piacerebbe che gli facessi dire? Vuoi forse sentirtelo dire, Sherlock?”
“Smettila.”
“Pensaci, Sherlock. Senza questo esplosivo… non te lo direbbe mai.”
“Sherlock.”
“No.”
“Io-”
“NO!”
E se la piscina dove Carl Powers morì diventasse il teatro grottesco della mente di Moriarty? E se il suo spettacolo, il suo gioco prevedesse qualcosa d'inaspettato per Sherlock e John? E se Sherlock avesse finalmente occasione di confessare il più oscuro segreto... o venire seppellito con esso?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Great Confession
 
by Alicat_Barbix
 

Ti sporgi in avanti, non puoi evitarlo. Avverti le tue stesse viscere torcersi di fronte a quest’uomo che ti fissa, un uomo che conosci, sei certo di conoscere. La tua mente, la tua geniale mente, è esplosa, frammenti di ricordi, emozioni, ragionamenti contorti sono sparpagliati caoticamente nella tua testa. Un pensiero solo echeggia, ancora lì, ancora vivo: Non può essere. Perché, John Watson, l’uomo con cui condividi un appartamento in Baker Street, il tuo fidato collega, la persona che hai scoperto – quasi in un incubo – di amare, è lì, lì dove Moriarty avrebbe dovuto aspettarti, lì dove il criminale dalla mente più brillante che tu abbia mai conosciuto avrebbe dovuto sfidarti in un ultimo grande gioco.
“John…” La tua voce è un sussurro debole, a malapena udibile. E ancora, strenuamente, ti ripeti che no… non è possibile.
“Questo non l’avevi previsto.”
La sua voce. La sua voce è come la ricordi. Dolce, calda, avvolgente. Scruti il suo volto, i suoi occhi e ti senti perduto. Perché se John non è davvero la persona che credevi fosse… allora niente ha più senso. Come puoi combattere contro di lui? Contro l’uomo che ami?
Poi, intercetti un movimento. Le sue mani che si serrano ai lembi del cappotto e li aprono. Sgrani gli occhi nel vedere tutto quell’esplosivo addosso a lui. Una lucina compare e si muove impazzita sul suo petto. Vorresti urlare, vorresti correre da lui, vorresti cadere in ginocchio e supplicare che almeno lui ne rimanga fuori. C’avevi provato. Avevi aspettato che lui se ne andasse. Che le braccia di quella donna, Sarah, lo stringessero a sé mentre tu andavi incontro ad un enorme punto interrogativo. Avevi calcolato che uscirne vivo sarebbe risultato difficile, molto difficile. Non è servito a nulla.
John indugia, respira piano, come se l’esagerata dilatazione della cassa toracica possa far scoppiare tutto. E tu ti avvicini appena, cautamente, gli occhi che si spostano per la piscina immersa nella penombra. Cerchi lui, cerchi il responsabile, cerchi qualsiasi altra cosa che non sia John avvolto dagli esplosivi. Perché ora, ora ne hai la certezza. Sai che lo ami e che non puoi perderlo.
“Cosa ti piacerebbe che gli facessi dire?”
Ti sfugge un ringhio basso, cavernoso, la frustrazione ti domina le membra e tu non riesci a controllarla perché sei schiavo del tuo stupido cuore che ha appena disgregato il tuo Palazzo Mentale. Come puoi salvare John senza la tua mente brillante? Cerchi di sedare le emozioni, di acquistare la fredda ragione di cui fino a quel 29 Gennaio ti vantavi d’essere provvisto. Ma tutto si sgretola nel momento in cui gli occhi di John incontrano nuovamente i tuoi. E li vedi appena dilatati, stupiti, apre e chiude le labbra svariate volte, senza che alcun suono riesca ad uscire.
“Vuoi forse sentirtelo dire, Sherlock?” Assottigli lo sguardo e ti blocchi. Attendi, fremi. “Ti piacerebbe udire quelle parole a cui tanto aneli prima che entrambi saltiate in aria?”
“Smettila.” riesci finalmente a dire, a supplicare, a tuonare. Non ti riconosci, non sai più chi sei. Sei Sherlock Holmes, una volta il tuo stesso nome ti procurava un’ondata calda di consapevolezza e di… potere. Ora, è solo un nome che non riesci a distanziare da quello di John Watson. Come un ibrido inscindibile.
“Pensaci, Sherlock. Senza questo esplosivo… non te lo direbbe mai.”     
“Ho detto basta!”
John è confuso nel recitare quelle parole. La sua fronte è aggrottata e cerca disperatamente di capire, di cogliere il filo di tutto questo. Sorridi e sai di non averlo mai amato come adesso, come adesso che sei sul punto di perderlo, come adesso che sei sul punto di perdere te stesso per lui.
“Sherlock.”
“No.”
“Io-”
“NO!” urli e ti sporgi in avanti, afferri il giubbotto con fermezza e vorresti strapparglielo di dosso e gettarlo lontano, ma lui retrocede, un terrore puro dipinto in volto. E poi capisci. Scorgi una seconda lucina rossa. Ti punta dritto al petto.
“Spero che tu non lo interrompa di nuovo. E’ molto difficile confessare questo genere di cose.”
Rimani paralizzato e ti passi le mani sul viso. Stai tremando? Non riesci a capirlo. Il tuo corpo non ti appartiene più. E’ soltanto un involucro morto riempito di paura e amore.
“Sherlock, ti amo.”
E le senti. Eccome se le senti. Quelle parole, dolcissime, terribili, agghiaccianti, belle. Si depositano sul tuo cuore, come sedimenti sul letto del fiume. E lasci che il fiume che è il tuo amore scorra, libero, indomabile.
“Lascialo andare. Lascialo andare, non fa parte del nostro gioco.”
John, ora ha gli occhi bassi, sfuggenti. Si vergogna di te. Ha capito tutto, ha capito il tuo amore, ed ora se ne vergogna. Anche ammesso che ne usciate vivi… lui se ne andrà. Perché gli hai fatto vedere troppo, ti sei lasciato coinvolgere troppo, ti sei spogliato troppo… Ed ora lui è accecato dalla luce del tuo amore. Quei suoi occhi che tanto ami, non li punterà più su di te, se non per dirti che le vostre strade si divideranno.
“Lascialo andare.” continui a mormorare come un mantra finché una porta sul fondo della piscina cigola, seguita da una voce acuta e terribilmente familiare.
 
Siete sopravvissuti. Non sai ancora se rallegrartene. Ti sei chiuso nel tuo silenzio mentre hai sostenuto il tuo ormai per poco coinquilino, ancora stordito dall’effetto cloroformio, fino al taxi che l’ispettore Lestrade aveva gentilmente chiamato per voi. Il viaggio è avvolto da una quiete sinistra, la classica quiete prima della tempesta, ma a te non importa, anzi. Ti crogioli in questo silenzio, in questa beatitudine. Perché John se ne andrà. E’ a disagio, John. Le sue mani sudano e si attorcigliano tra di loro sul suo grembo, senza trovar pace, un posto su cui sostare, e quegli occhi che ti guardi bene dal cercare li vedi come impazziti, riflessi sul tuo finestrino, mentre si muovono elettrizzati per l’abitacolo dell’auto. Se ne andrà. E tu rimarrai lì, a guardare la sua sagoma allontanarsi da Baker Street, coi cocci del tuo amore per lui sparsi sul pavimento del 221B.
 
Fa per andarsene su di sopra, ma poi torna indietro, indugia, si schiarisce la gola un paio di volte. Ha difficoltà nel volertelo comunicare. Ha difficoltà nel guardarti negli occhi e rivolgerti quelle classiche parole che tutti, prima di lui, dopo di lui, meno che lui, ti avevano rivolto: Levati dai piedi, psicopatico che non sei altro. Potrebbe il tuo John – no, solo John – dirti qualcosa del genere? Potrebbe davvero?
Sai che è infantile da parte tua, ma d’altronde, quando non sei stato infantile? Afferri il violino quasi boccheggiando, come un naufrago che si aggrappa al primo appiglio che le sue mani riescono a ghermire, e inizi a suonare nonostante siano le tre di notte, nonostante John sia lì, fermo, in attesa di comunicarti l’irreversibilità del concatenarsi di azioni e reazioni. E non speri che semplicemente demorda e, a mente fredda, l’indomani mattina, cambi idea. Non sai minimamente in che cosa sperare, a questo punto. Che se ne vada senza infliggerti il supplizio di guardarlo sparire dalla tua vita come vi è apparso? Che se ne vada senza costringerti a mormorargli un capisco dopo che ti ha comunicato la sua decisione?
Quando Bach esaurisce il suo ultimo respiro di note, non hai bisogno di voltarti per capire che non c’è più, dietro di te. Hai sentito i gradini che conducono alla sua camera scricchiolare già nel mezzo di quella Fuga della Partita in Si minore. Sospiri, ma non c’è sollievo in quel grumo d’aria che ti lascia le labbra tremanti. Sprofondi nella sua poltrona e ti interroghi sul suo futuro impiego. Magari potresti usare la stoffa per qualche esperimento, potresti dipingerci un nuovo smile con lo spray giallo con cui adori sfoggiare la tua inettitudine nel disegno, o magari… magari potresti semplicemente toglierla. Non servirebbe a nulla senza di lui, senza il suo corpo addosso, il suo odore addosso, il suo sguardo concentrato sul portatile addosso. Ti rannicchi su di essa e vorresti solo lasciarti andare ad un pianto liberatorio. Sai che piangere fa bene, che attraverso le lacrime si liberano dei particolari ormoni, conosciuti come corticotropina, che in un certo modo anestetizzano il dolore. Ma non ci riesci, perché niente potrebbe addormentare questa lenta agonia che ti squassa il petto.
Aveva ragione, Moriarty. Ha vinto, Moriarty. Ti ha bruciato il cuore. John. L’unica cosa al mondo per cui è valsa la pena lottare. Ti definivi un sociopatico, una volta. Lo facevi come protezione verso l’esterno. Ti sei sempre imbastito il prezioso hard-disk con la convinzione che risolvere i crimini ti eccitasse, ti facesse sentire vivo… eppure, hai sempre pensato che il tuo cervello – nonché la tua smania di adrenalina – avrebbero aiutato delle persone. Saresti potuto diventare un filosofo o uno scienziato, eppure hai scelto di diventare un detective… L’indeducibilità del tuo cuore è ancora spiazzante. O almeno, lo è stata prima di lui, prima di John. E ora… ora hai perso tutto. Ogni cosa bruciata sui tizzoni ardenti del tuo amore.
 
“Me ne vado.”
Perché me lo dici? vorresti urlare, ma taci, gli occhi fissi sul campione che stai osservando senza davvero studiarlo da questa mattina presto. Scontato. Non c’è delusione nel tuo essere – come potresti essere deluso da John Watson? – ma uno sconfinato deserto che ti avvolge desolato.
“Hai sentito quello che ho detto?”
Stacchi gli occhi dalla lente del microscopio. John ha l’aria provata, l’aria di qualcuno che non ha dormito la notte, l’aria di qualcuno che vorrebbe sparire seduta stante. “Ho sentito.”
“Non hai niente da dire?”
“Che cosa vuoi che dica? Hai già deciso, come posso notare dalla valigia che tieni nascosta dietro la porta della cucina ma che ti ho sentito trascinare giù dagli scalini, dal tuo continuo accarezzare le chiavi di questa casa con la mano sinistra che tieni in tasca e dal tuo atteggiamento evidentemente ostile.”
“Ostile? Sarei io quello ostile?”
“Non ho mai detto di biasimarti.”
E’ arrabbiato. Non sai perché, non ti sforzi neanche a dedurlo. Focalizzi nuovamente la tua distratta attenzione su quei puntini che rappresentano la natura della sostanza che stai analizzando – non ricordi neanche più di che cosa si tratta o forse non l’hai mai saputo. E così, ogni cosa nel mondo si riduce a quei pulviscoli insignificanti che il tuo occhio sta stancamente contemplando? E’ davvero così che il mondo è fatto? Di tanti piccoli puntini? Vorresti che fosse tutto così piccolo e insignificante come quei granelli, vorresti che il tuo amore fosse così piccolo e insignificante come quei granelli, vorresti che tu stesso fossi così piccolo e insignificante come quei granelli…
“E’ così che finisce, dunque? Con io che me ne vado in silenzio e tu che te ne stai lì, incollando a quel diavolo di microscopio? E’ sempre stato solo questo per te? Una convivenza forzata con uno stupidissimo medico militare reduce dalla guerra in Afghanistan con un problema psicosomatico alla gamba? Sono stato sempre e solo questo per te, Sherlock?”
E ora davvero vorresti metterti ad urlare, perché niente di quel discorso ha senso, perché lui non ha il diritto di incolparti del tuo strenuo tentativo di tenerti insieme finché lui è ancora qui e ti sta guardando, perché lui sa che non è mai stato solo quello per te, perché entrambi, ormai, siete a conoscenza dell’enormità di quel sentimento che ti crepita con irruente sfrontatezza in petto.
“Che cosa vuoi da me, John?!” sbotti finalmente, sferrando un pugno al tavolo su cui sei appoggiato. “Che cosa ti aspetti che dica o che faccia, John!?”
Comincia ad urlare anche lui, perché siete stanchi di reprimere le vostri voci, i vostri pensieri, per pudore, paura, incertezza… Ora basta. Siete al capolinea e avete scoperto le vostre carte sul tavolo della vita. “Voglio che tu mi dica di restare! Che possiamo sistemare tutto, che tornerà tutto come prima!”
“Come fa a tornare tutto come prima, John!? Come!? Guardaci! Quello che abbiamo avuto fino ad ora è ormai acqua passata, non tornerà più, è finito! Non avremo più… la forza o il coraggio anche solo di guardarci negli occhi… O almeno, io non credo che ce la farò, perché non c’è niente da sistemare, John, le cose stanno così.”
“E quindi preferisci cacciarmi dalla tua vita? Pur di mantenere intatta la tua solita facciata da sociopatico? O magari mi sono sempre sbagliato sul tuo conto e davvero sei il matto da cui tutti mi hanno messo in guardia?”
Ti fa male. Eccome se ti fa male. Non puoi dire di non essertelo aspettato, ma proprio ora? Come fa John a chiamarti sociopatico quando sa perfettamente che cosa provi? John non è insensibile, sai che non lo è… Ma allora perché ti sta facendo questo? “John, ti prego, smettila…”
“No, caro mio, non la smettiamo, e sai perché? Perché sei un idiota e un fottuto genio arrogante! Perché, in fondo, non sei così diverso da Moriarty! Ecco perché!”
Le sue grida si spengono a poco a poco, come se quella frase, una volta avviata, avesse acquistato spessore non solo nelle tue orecchie, ma anche nella sua mente. Che si sia pentito? Che non intendesse davvero quello? No, non era da John. Anche in preda all’ira, è sempre stato sincero, cristallino, senza maschere… E tu lo ami anche per questo. Ma a questo punto, non sai davvero che razza di uomo hai permesso a te stesso di mostrargli…
“Se è questo quello che pensi davvero di me… allora non penso ci sia molto altro da aggiungere. Buona vita, John.”
Ora le senti, le lacrime. Opprimenti, infuocate. Capisci che ti stanno riempiendo gli occhi dall’espressione spaesata che domina sul suo volto. Lo vedi allungare una mano verso di te, ma tu ti ritrai, perché non la vuoi la sua pietà e soprattutto non vuoi mostrargli tutto il dolore e la debolezza che avverti in questo momento. Appena ti scansi, il suo sguardo s’incupisce e vedi incertezza e rabbia combattere in quelle iridi profonde.
Si volta e tu trattieni il respiro. Fa un passo. Due passi. Un terzo e pure un quarto. Infine si volta. Non c’è più ombra di rabbia. Solo una sconfinata amarezza.
“Mi dispiace per aver rovinato tutto.” sussurra, ma tu scuoti la testa e fai per ribattere, ma la sua voce ti interrompe. “Non avrei dovuto permettere che i sentimenti intralciassero con la nostra amicizia. Hai sempre avuto ragione tu, in fin dei conti. Non sono che uno svantaggio.”
“Non è colpa tua…” farfugli mentre un paio di lacrime ti rotolano giù dagli occhi.
“Sì, invece, perché mi sono lasciato andare… e non avrei dovuto. Non quando avevo già tutto quello che avrei potuto desiderare da te.”
Non capisci il filo dei suoi ragionamenti. Non riesci mai a capirlo, John Watson, quando si tratta delle emozioni umane. Sei troppo inesperto, troppo piccolo per distinguerle. E ti fregano sempre, tuo malgrado.
John indugia come ha fatto ieri sera. I suoi occhi sono colmi di mesta dolcezza. Ti si avvicina un poco, poi, però, sembra ripensarci e compie un piccolo passetto indietro, infine altri due e si ferma. “Chiedimi di restare.” mormora chinandoti per essere all’altezza dello sgabello su cui sei seduto.
“Vorrei tanto, John, ma… io non saprei farlo… Non saprei gestire i miei sentimenti…”
“Non dovrai farlo. Sarò io che… proverò a reprimere i miei… Tu dovrai soltanto avere fiducia in me e darmi una seconda possibilità.”
Esiti. Le tue labbra si aprono e chiudono diverse volte. “Una seconda possibilità? A te? E perché mai?”
John distoglie gli occhi. “Ti prego, Sherlock.” sussurra mentre fa scorrere la sua mano nella tua. “Tutto ma non questo. E’ stato già troppo difficile dirtelo con addosso un gilet esplosivo. Non… non costringermi a rendere questa situazione più reale di quel che è…”
Un dubbio s’insinua nella tua mente, ma non fai in tempo a razionalizzarlo che John riprende a parlare, una luce improvvisamente speranzosa ad illuminargli il viso.
“Potremmo far finta che non sia vero… che sia sempre e solo stato il gioco di Moriarty e che non avesse… similitudini con la nostra vita.”
“Che non sia vero… Aspetta, cosa? Che intendi dire che… che tu…”
“Sherlock, ti prego, te l’ho già detto io…”
“Tu pensi davvero quelle cose che mi hai detto nella piscina?”
E il tuo cuore sussulta quando intravedi un lieve rossore imporporargli le gote. “Se no perché me ne vorrei andare…” borbotta sfuggendo il tuo sguardo.
Qualcosa, in te, esplode e non sai come ti ritrovi sopra di lui, stesi sul pavimento, avvinghiati in un abbraccio scoordinato e quasi disperato. John è confuso, lo senti fremere contro il tuo corpo, masticare qualche mezza parola confusa, ma nonostante questo le sue braccia ti circondano timidamente, come se fossi un vaso di cristallo, come se fossi un ragazzino di quindici anni e lui il quarantenne che è…
“Siamo degli idioti…” sospiri col cuore che ti tambura in petto per la felicità. “Due grandissimi e perfetti idioti…”
“Sherlock, che diavolo…”
Ma sei stanco di ascoltarlo blaterale cose al vento, stanco di sprecare tempo, stanco di indugiare vittima della paura, stanco di tacergli i tuoi sentimenti. Così lo zittisci, afferrandolo per il colletto della camicia e te lo tiri di forza contro, poggiando con brutalità le tue labbra sulle sue. Non sai come si bacia. E’ una delle poche cose che non ti è mai importato sperimentare. Ma la bocca di John è morbida e calda e… umida… La sua lingua ti accarezza gentilmente il labbro inferiore e tu sospiri mentre lasci che quella piccola intrusa s’infili nella tua bocca, intrecciandosi con la tua come due serpenti intenti a fare l’amore. Gemi mentre ti mordicchia appena la mascella e lasci cadere la testa all’indietro, lasciandogli pieno possesso del tuo collo, ma lui si ferma, senza fiato, con le guance arrossate e i capelli in disordine.
“Sarò pure ottuso… Ma davvero non ci sto capendo niente…”
E non riesci ad evitarti di scoppiare a ridere di una lunga e stonata risata di sollievo, che si sostituisce a quei singhiozzi che fino a poco prima avevi sentito nascerti in petto. E lui è sempre più confuso.
“Sherlock… P-perché ridi… Che cosa succede?”
“Succede che credevo te ne andassi per quello che io provavo. Evidentemente ho sopravvalutato le tue facoltà di ragionamento e intuitive.”
John inarca un sopracciglio, ma, lentamente, un’espressione consapevole si fa largo in lui. “Quindi… quindi pensavi che il… ti amo fosse un giochetto per te e non per me… Che fossero i tuoi sentimenti quelli interessati e non i miei… E questo… questo significa che…”
“Ti amo, John.” sibili prendendogli le mani nelle tue. “Io… Io ti amo… Non l’ho mai detto a nessuno. Va bene co-”
Ma stavolta è il turno di John ad ammutolirti, mentre inverte le posizioni e ti fa stendere sul pavimento, ricoprendoti di lunghi e umidi baci per tutto il viso e il collo e la nuca… Sospiri di piacere quando la sua lingua s’intrufola nuovamente nella tua bocca e ti accarezza il palato con ingordigia e bramosia.
“Ti amo.” sussurri ancora nella sua bocca, tra un gemito e l’altro, ormai perso sotto le sue carezze. “Ti amo, ti amo, ti amo e sei un idiota…”
“Se non stai zitto, Sherlock, ti giuro che troverò metodi ben più convincenti di un caso o di cluedo per chiuderti quella bocca…”
Ridi nuovamente e lui con te, mentre ti avvolge interamente con le sue braccia forti e ti solleva da terra, affondando il naso tra i tuoi ricci. “Ti amo tanto… Tanto, tanto, tanto…” mormora fra i tuoi boccoli prima di depositarti sul divano e circondarti col suo abbraccio caldo e amorevole, la valigia fuori dalla porta ormai dimenticata, utile solo per facilitare lo spostamento di John dalla camera di sopra alla tua, perché in realtà, sin dall’inizio, due stanze non vi sono mai servite.

SPAZIO AUTRICI
Okay, siamo tornate in due. Per chi non ci conoscesse, salve, siamo due patetiche studentesse appassionate di Sherlock che per dare un senso alla loro esistenza partoriscono storie di questo tipo. Come procede questo rientro per chi deve convivere con la scuola e come vanno le... cose varie per chi ormai non è più seduto ai banchi di scuola? Speriamo che sia tutto apposto.

Allora, questa storia nasce da... Boh, non lo sappiamo neanche noi. Abbiamo rivisto insieme the Great Game e ci siamo semplicemente dette: Certo che pure Moriarty poteva andare fino in fondo, Dio Santo! E così puf, idea, scrittura, fine, basta, ciao. Siamo sempre molto coerenti.

Non c'è molto altro da aggiungere se non che speriamo che la storia vi sia piaciuta e che se non altro vi abbia tenuto un po' di compagnia, perché è questo che le storie - E SOPRATTUTTO SHERLOCK - fanno. Personalmente, molte volte ci ridanno il sorriso in momenti in cui vorremmo solo far saltare in aria il mondo o lasciarci sotterrare dai nostri problemi. Scusate, la filosofia fa un brutto effetto. Vi lasciamo con questa profondità di pensieri *si asciugano una lacrimuccia per la commossione* e vi auguriamo uno splendido fine settimana (all'insegna dello studio...)
   
 
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