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Autore: Najara    20/10/2018    8 recensioni
"Un lampo squarciò la notte, illuminando le ordinate siepi, seguito dal rombo cupo del tuono.
La pioggia non si fece attendere, rovesciandosi con forza sulle lastre di pietra, sconquassando i fiori i cui petali, cadendo, formarono macchie scure sui marmi. Le foglie degli alberi si agitavano, muovendo i rami a cui volevano rimanere aggrappate, contrastando il vento e la pioggia.
Un urlò fendette la pioggia, azzittendo il cielo per un istante. Occhi sorpresi si aprirono, teste si voltarono nei loro giacigli, incuriositi, non erano molte le cose che succedevano in quel luogo, meno che mai in una notte di tempesta."
Halloween si avvicina e così le sue atmosfere. Una piccolissima AU SuperCorp partecipante all’iniziativa "Nightmare Before Femslash" del gruppo "LongLiveToTheFemslash”.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cinque volte in cui Kara vide Lena e una volta in cui Lena vide Kara

 

Un lampo squarciò la notte, illuminando le ordinate siepi, seguito dal rombo cupo del tuono.

La pioggia non si fece attendere, rovesciandosi con forza sulle lastre di pietra, sconquassando i fiori i cui petali, cadendo, formarono macchie scure sui marmi. Le foglie degli alberi si agitavano, muovendo i rami a cui volevano rimanere aggrappate, contrastando il vento e la pioggia.

Un urlò fendette la pioggia, azzittendo il cielo per un istante. Occhi sorpresi si aprirono, teste si voltarono nei loro giacigli, incuriositi, non erano molte le cose che succedevano in quel luogo, meno che mai in una notte di tempesta.

 

La prima volta che la vide aveva quattro anni.

Era piccola, un orsacchiotto stretto tra le mani, gli occhi tristi. Stringeva la mano di un uomo molto grande, imponente nel suo perfetto completo a righe.

“Guarda…” Non poté fare a meno di dire, indicandola alla sorella che ruotò appena la testa.

“Non ti preoccupare, andranno via presto.” La rassicurò, posandole poi una mano sui capelli bianchi in una carezza affettuosa. “Rientra, devi fare i compiti.”

Esitò solo un istante, osservando ancora la bambina, l’uomo le parlava, sommessamente.

“Su.” La spinse la sorella e lei obbediente si mosse.

 

L’acqua sembrava voler spazzare via il mondo, mentre i fulmini sembravano voler spezzare in due il cielo.

Il pianto sembrava sparire a tratti, ma poi tornava, potente, sembrava una protesta incredula nel non essere presa in considerazione.

“Io vado a vedere.”

 

La seconda volta che la vide era cresciuta.

Così come era cresciuta lei, eppure non ebbe il minimo dubbio quando la vide varcare i cancelli e camminare lungo il viale. Non erano i capelli scuri e la pelle candida a darle quella certezza, ma il suo sguardo, quello sguardo che conteneva la stessa tristezza di un tempo. Era da sola questa volta, ma vi era una macchina con un autista che la attendeva.

“Te la ricordi?” Chiese alla sorella, che corrugò la fronte, perplessa.

“Dovrei?”

È già venuta, tanti anni fa.”

“Sono in tanti a venire e tanti tornano molte volte, perché dovrei ricordarmi di lei?” Chiese perplessa la donna, osservandola.

Lei si strinse nelle spalle, spingendo gli occhiali sul naso. Sua sorella ruotò lo sguardo fissando la giovane e si mordicchiò il labbro tornando poi a guardare lei.

“Dimmi: cosa ti colpisce in lei?”

“Brilla.” Le rispose lei e arrossì nel rendersi conto che sembrava una risposta sciocca, ma sua sorella non la prese in giro, anzi annuì, pensierosa senza aggiungere altro.

 

L’elettricità era forte nell’aria, la sua pelle fremeva percorsa da una bizzarra sensazione. Aveva una vaga idea di quello che avrebbe trovato, ma non si era aspettata di certo quello.

Un corpo era riverso nell’erba, incurante della pioggia guardava verso il cielo, come se cercasse di scorgere le stelle dietro alle pesanti coltri di nuvole. Poco distante una macchina, il parabrezza in frantumi, un corpo accasciato sul volante.

Esitò, poi l’urlo si fece di nuovo udire e ogni remora sparì dalla sua mente.

 

La terza volta che la vide era ormai adulta.

Aveva i capelli raccolti e indossava un elegante cappotto color porpora. Rimase a lungo ferma davanti alla lapide. Le sue labbra erano strette, le linee del viso severe, nei suoi occhi chiari vi era una tempesta.

È successo qualcosa.” Capì al volo.

La sorella guardò la donna e poi guardò lei, il solco nella sua fronte si fece più profondo.

“Come fai a saperlo.”

“C’è la tempesta nei suoi occhi e…”

“Sì?” Insistette.

“Il suo cuore piange.” Si ritrovò di nuovo in imbarazzo a pronunciare parole che non sapeva spiegare.

Sua sorella chiuse gli occhi e abbassò il capo, sconfitta.

 

Una bambina piangeva con forza, scalciando, indignata da quella mancanza di braccia calde pronte a cullarla, metterla al riparo, nutrirla. La pioggia si abbatteva sul suo corpo incurate.

“Non possiamo.”

Le dissero con severità i suoi compagni, ma lei stringeva la bambina tra le braccia, ora, e sul suo vi era un’espressione decisa.

“Veglierò io su di lei.” Disse e la bambina, ora dolcemente addormenta, si agitò un poco aggrappandosi al suo corpo.

“Quando verrà il momento saprai lasciarla andare?” Chiesero allora le voci severe, contrastando il ritmico suono della pioggia.

 

La quarta volta che la vide la pioggia cadeva lenta.

I colori dell’autunno erano più vivi e i suoni soltanto lontani echi, ma non era sola. Un uomo alto, dai capelli scuri e gli occhi dolci le stava accanto, il suo braccio l’avvolgeva e la stringeva, nascondendone la figura con un ombrello.

Lei non disse niente, ma la sua mano andò alla collana che portava al collo, ora sapeva, ora conosceva il significato di quel ciondolo che aveva sempre creduto essere di sua madre.

“Mi dispiace…” Mormorò sua sorella, posandole una mano sulla spalla ed era sincera. Lei non distolse lo sguardo dalla coppia, ferma davanti alla lapide di marmo scuro. Poteva ancora vedere nel cuore della donna, poteva ancora sentire il suo richiamo, poteva ancora percepire la sua tristezza.

 

Nessuno venne, la polizia trovò i corpi, ma non cercò la bambina. Era come se non fosse mai esistita.

“Possiamo occultarla e crescerla tra di noi, come se fosse una di noi, ma la vita la chiamerà indietro.” Le disse sua madre, la voce dolce.

“Ma...” La donna le sorrise, consegnandole un frammento di un’antica pietra.

“In un modo o in un altro sarà chiamata indietro e tu dovrai lasciarla andare.”

 

La quinta volta che la vide vi era una tomba fresca davanti ai suoi piedi.

Era più fredda e chiusa che mai, sembrava impenetrabile, ma non per lei, non per i suoi occhi, il suo cuore, la sua anima.

“Devo parlarle.” Comprese. “Devo sentire la sua voce, guardare nei suoi occhi, sentire il suo calore.”

Si voltò ad osservare la sorella i cui occhi erano lucidi a causa di lacrime a stento trattenute.

“Mi avevano detto che un giorno avrei dovuto lasciarti andare.” Mormorò.

“Non me ne andrò se…”

“No.” La donna le posò le mani sulle spalle e la guardò a lungo, poi la strinse a sé. “Ho sempre saputo che un giorno avrei dovuto dirti addio.”

“Grazie, sei la migliore sorella che chiunque possa chiedere… non andrei se…”

“Shhh.” La zittì la donna. “La vita ti chiama a sé con il suo richiamo più forte, è inutile lottare.”

“Ti voglio bene.” Le mormorò e la sorella annuì contro la sua spalla, stringendola forte, per l’ultima volta.

 

La bambina si agitava, infastidita dal freddo e dal buio della terra. Non avrebbe potuto mantenerla così a lungo, doveva legarla al proprio mondo, a quel luogo consacrato. Con delicatezza passò la collana attorno al suo collo e vide la bambina cambiare: la luce scomparve, la sua pelle divenne bianca e i capelli persero il colore dell’oro. Vi era solo più un fantasma dove prima vi era una bambina. Ma, anche ai suoi occhi ciechi, non poté sfuggire un lampo di luce sottrattosi alla pietra e scomparso nella notte, un frammento del suo cuore che un giorno l’avrebbe reclamata.

 

La sesta volta fu la donna a vedere lei.

Il suo cuore sobbalzò e lei si posò la mano sul petto, sorpresa. Sua sorella le aveva detto che tante cose sarebbero state diverse, ma non aveva detto niente riguardo ad un cuore impazzito.

“Ti dispiace se mi siedo qua?” Sorrideva ed era così diversa.

“Sì, no! Ehm… siediti pure.” Gli occhi di lei brillarono e lei percepì le proprie guance saldarsi, mentre alzava la mano a sistemarsi gli occhiali.

“Lo so che è una frase scontata, ma ci siamo già viste? Perché da quando sei entrata non riesco a smettere di chiedermi dove ti ho incontrata.” Aveva un modo sicuro e diretto di parlare e la guardava dritta negli occhi.

“Io… ehm… io…” Si ritrovò a balbettare, ma sembrava che la donna non la trovasse stupida, anzi, il suo sorriso si addolcì. “Mi chiamo Kara. Non ci siamo mai incontrate, fino ad ora.”

Gli occhi della donna brillarono, tese la mano verso di lei e sorrise.

“Lena.” Si presentò. Le loro dita si strinsero e Kara si beò di quel calore che fino ad allora aveva solo potuto immaginare. “È un vero piacere.” Disse la donna e, per la prima volta, non vi era tristezza nei suoi occhi.

 

 

 

 

Note: Era da un po’ che volevo sperimentare questa tipologia di storia, con le cinque volte in cui succede una cosa e una in cui succede qualcosa di diverso. Spero che vi sia piaciuta.

Ho voluto introdurre Halloween e le sue storie di fantasmi, mi sembrava il momento di farlo.

La storia partecipa all’iniziativa “Nightmare Before Femslash” del gruppo LongLiveToTheFemslash.

Fatemi sapere cosa ne pensate… potrei averne altre pronte per voi! ;-)

  
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