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Autore: chiara_raose    20/10/2018    2 recensioni
"Voltron! Legendary Defender - La nuova frontiera del gioco online!
Vivi la tua avventura intergalattica in prima persona e sperimenta l'esperienza più immersiva di sempre! Lotta, alleati e divertiti con giocatori da ogni parte del mondo!
Disponibile da gennaio e solo per le migliori console 4D!
Prevendite aperte su voltr**LD.net"
E' un gioco, dicevano.
Sarà divertente, dicevano.
Genere: Generale, Science-fiction, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PART I

Scendendo dal proprio leone, Keith osservò Garry e Pidge fare altrettanto. Lo sguardo ruotò la visuale individuando Charles e Shiro che li avevano anticipati davanti ad una folla festante: una moltitudine di personaggi ideati artificialmente e non giocanti esultavano davanti a loro per la missione appena conclusa. Per quanto finta quella scena donò una certa soddisfazione a tutti e cinque. Garry pareva il più timido, Pidge salutava e Shiro, assieme a Keith, venne trascinato dall'euforia di Charles che prese i loro polsi e li alzò al cielo assieme alle proprie mani. Nessuno dei due si oppose poi troppo, godendosi quell'attimo di gloria anche se fittizia.

«Io vado, ho un paio di missioni secondarie che vorrei finire. Magari è la volta buona che me le tolgo di mezzo»
«Vengo anch'io, ne approfitto per allenarmi!»
«Io invece penso che chiudo, ciao a tutti e buonanotte!»
Shiro e Pidge partirono coi loro leoni, mentre Garry salutò con la mano prima di svanire e vedere il Leone Giallo rinchiudersi nella solita barriera, in attesa del ritorno del proprio paladino. Keith osservò il Leone Rosso e la cura dei dettagli meccanici.

«Tu che vuoi fare?»
La voce di Charles lo colse di sorpresa, portandolo a volgersi verso il paladino blu. La divisa con i tratti quasi uguali a quella delle altre, solo con alcune differenze tra colore e dettagli. Le avevano personalizzate in base alla classe e specifica scelta, in fin dei conti.
«Resto un po', tu?»
«Allora resto anch'io» rispose Charles con una naturalezza disarmante.
«E volessi restare da solo?»
«Allora starò in silenzio, per quanto sia difficile privarsi della mia voce»
«Ovviamente» il sarcasmo gli uscì spontaneo, incontrollato a quell'ennesima cascata di ego da parte dell'altro.
«Sei acido solo perchè sai che sto vincendo la scommessa» ribattè l'alteano con un broncio che fece inarcare un sopracciglio al paladino rosso.
«Ma davvero?»
«Certo»
«E ti aspetti che ti creda?»
«Ovviamente»
Keith si fece sfuggire uno sbuffo rassegnato e divertito, soffiando sul microfono e tornando a guardare l'ambiente costruito attorno a sè.
«Akira... mi sono sempre domandato cosa fai, esattamente, quando ti trattieni qui e tutti noi siamo andati via»
«Perchè questa domanda?»
«Sono una persona curiosa dovresti saperlo ormai»
«E perchè dovrebbe interessarti?»
Charles alzò le mani, voltandosi per avvicinarsi al proprio leone con un po' di riluttanza nella voce. «Scusa, non ti domanderò più niente allora»
Keith si morse le labbra, umettandole leggermente prima di sospirare e richiamare il ragazzo. Quando lo vide fermarsi e voltarsi in sua direzione, Keith lo osservò a lungo, giochicchiando con le dita. «Semplicemente osservo»
La risposta parve incuriosire Charles che, però, inclinò solamente il capo verso una spalla, esitante, incerto su quanto insistere. Attese semplicemente che Keith si sentisse pronto a continuare, compiendo qualche passo in sua direzione così da poter vedere più da vicino possibili mutamenti dell'avatar altrui.
«Mi è sempre piaciuto lo spazio.» confessò il Galra «E trovo... fenomenale come siano stati accurati nel ricostruire certe cose»
«Anche a me piaciono molto le stelle» mormorò Charles sedendosi al suo fianco sul muretto su cui erano in piedi poco prima, davanti alla folla. Dietro di loro i due leoni, anzi tre se si contava quello Giallo poco più in là. «E i ninja anche, mi piacciono molto»
A Keith sfuggì uno sbuffo divertito «E cosa centrano ora?»
«Non si stava parlando di cosa ci piace? A te cos'altro piace?»
Keith si prese qualche istante per pensarci, incerto addirittura se dover fare una scrematura o se andare a cercare qualcosa che gli piacesse per davvero. In fin dei conti... cosa c'era che faceva perchè gli piaceva? Qual'era quella cosa che gli piacesse davvero fare e non perchè era bravo o gli veniva bene? Forse l'aveva sempre saputo, ma per la prima vera volta si ritrovò faccia a faccia con una consapevolezza inequivocabile: aveva timore, anzi terrore delle reazioni altrui, dei loro rigetti. Faceva e aveva sempre fatto in modo non tanto di piacere, ma di perpetuare quello in cui gli dicevano esser bravo, così da non esser considerato scartabile o non di degna importanza d'attenzione. Non voleva esser messo da parte, in un modo così malato e contorto da darsi dell'idiota.
Prese un respiro profondo e tornò a Charles, al proprio fianco: «Se ti piacciono i ninja, perchè non hai scelto una classe più affine? Come quella degli assassini, ad esempio?»
«Perchè ho scelto la classe di paladino? Bè... perchè i paladini sono gli eroi»
Keith corrugò la fronte, perplesso da quella risposta, tanto da risultare vagamente esitante nelle parole successive. «E' un gioco di ruolo... ogni personaggio è un po' un eroe»
«Vero, ma i Paladini sono gli eroi tra gli eroi. E' un po' come essere un supereroe...» iniziò con un sorriso. Keith indovinò che stava sorridendo dal tono di voce, però non interrompendolo. «Che riesce bene in qualsiasi cosa che fa, che non è mai al secondo posto ma che, al contempo, pone sempre gli altri al primo posto. Che non viene mai messo da parte, che non passa mai inosservato... insomma un gran bel figo. E uno come me poteva mai scegliere qualcosa di diverso?»
Era anche partito bene. Keith si dovette ricredere, sospirando e sollevando il viso al cielo.
«Sventolerò il mio stendardo con il mio nome sopra e ora che abbiamo Voltron, sono un passo più vicino alla gloria!»
Decisamente no, spesso l'ego di Charles non aveva un limite, anche se ora Keith aveva appena assistito ad una crepa di quell'apparenza.
«Ops, parentame, devo scappare. Al prossimo log-in Akira!»
E Charles sparì in un lampo, lasciando Keith da solo, come al solito, per quei dieci minuti buoni ad ammirare il paesaggio, l'ambiente. L'attimo di pace e di solitudine, per quanto possibile. L'attimo in cui poteva ancora rintanarsi in quel mondo falso e dimenticarsi di quello reale e i pensieri che lo accompagnavano. Ecco cosa gli piaceva fare: giocare.
 
 
PART II

La mattina successiva, Keith osservò il calendario con la stessa fatica di ogni mattina. Il semplice rendersi conto di quello scorrere dei giorni: inesorabilmente lento. Gli serviva giusto per metabolizzare la data, concentrandosi su qualcosa di diverso dallo fissare insistentemente la propria colazione come volesse farla a pezzi. Tracolla in spalla, brioche confezionata tra le labbra e la porta che si chiudeva. Quei pochi minuti a piedi per finire la brioche e raggiungere la fermata dell'autobus. La ricerca del solito posto in fondo che gli permetteva di rannicchiare le gambe contro il sedile davanti e le cuffie alle orecchie con la solita playlist lasciata sospesa la mattina prima. Nulla cambiava, mai, solo quella mattina si ritrovò a pensare alla propria vita, ai suoi obiettivi, più del solito, durante il tragitto sul pullman. Cosa voleva fare? Cosa gli piaceva fare, per sè? Non era mai stato una persona particolarmente dedita alle troppe regole -neanche alle poche- ma si imponeva delle catene di quel genere per fare un favore... a chi? Già allontanava le persone, sdegnava rapporti umani o interpersonali, quasi certo di un futuro rifiuto che non avrebbe sopportato. Era il motivo per cui Shiro lo aveva spinto a quel gioco online nella speranza di fargli fare amicizia in maniera diversa; fargli tentare un approccio diverso. Allontanava gli altri, lui stesso si allontanava... e poi cercava di non deluderli in alcun modo. Che razza di controsenso.
Quando scese dall'autobus aveva già mal di testa. Si impose di passare semplicemente oltre, di non pensare a ragionamenti simili degni di un ragazzino della Middle School e non uno dell'ultimo anno della High. Ebbe il tempo di compiere due passi prima di sentire un braccio attorno al collo e alle spalle. Bastò mezzo secondo che l'interessato si ritrovò col braccio girato dietro la schiena, bloccato in una morsa che lo fece contorcere leggermente.
«Ahiahiahi- okay non lo faccio più!»
«Ti avevo detto di non farlo, dovevi aspettartelo» Katie fece notare a Lance che ancora si contorceva in cerca di una via di fuga dalla morsa del corvino. Keith, non appena se ne rese conto, lo lasciò andare. «...Scusa»
«Accidenti Keith-» mormorò il moro con una mano alla spalla e facendo roteare leggermente il braccio. «-mi potevi spezzare una spalla!»
Keith inarcò un sopracciglio. I corsi di karate a cui lo avevano costretto da piccolo per sfogarsi diversamente dalle risse in classe, non pensava arrivassero mai a spezzare il braccio a qualcuno. «Dovevi avere una spalla molto fragile nel caso»
«Io non sono fragile!»
 
* * *
 
«Ragazzi, ma perchè non fate qualcosa di più...» Hunk, un ragazzone dalla pelle scura e con un amore incondizionato per i colori giallo-ocra-marroni, gesticolò nervosamente in cerca di un termine adatto «...sicuro?»
Keith e Lance si guardavano, uno di fianco all'altro con l'aria di sfida migliore che erano in grado di indossare. Avevano raggiunto in un parchetto vicino delle giostre per bambini, appendendosi a testa in giù sulla struttura di pali colorati, così da rimanere agganciati solo con le ginocchia piegate e la nuca pronta a schiantarsi al suolo non appena avrebbero lasciato la presa. Perchè diavolo si era fatto convincere?
«Shhh, è divertente passare una pausa pranzo alternativa» ribattè Katie che stava sgranocchiando delle patatine.
«Sarebbe sicuramente altrettanto alternativa se qualcuno non finisse in ospedale per un trauma cranico» Hunk era solito a ingigantire le diavolerie che l'amico inventava. Aveva compreso che conosceva più rischi e traumi clinici da pronto soccorso che le tabelline. Quelle sfide erano già assurde di loro, non aveva certo bisogno del samoiano che gli elencava tutti i modi in cui avrebbe potuto raggiungere l'ospedale più vicino. Ora come ora, doveva preoccuparsi di resistere più di Lance, fare più addominali di Lance, non darla vinta a Lance, fargli vedere quanto fosse forte... a Lance. Aspetta, cosa?
«Via!» annunciò Katie senza troppo preavviso, scatenando in entrambi i ragazzi l'adrenalina sufficiente a partire. Keith sfruttò le mani dietro la nuca per tenere assieme anche i capelli, mentre Lance si aiutava con lo slancio per il movimento dei gomiti. Hunk si mangiava nervosamente le unghie di una mano e Katie li osservava come si guardano delle piccole cavie da laboratorio. Non seppe quantificare quanto tempo passò, sentendo i muscoli fare male, scoprendone alcuni che neanche pensava di avere. Keith però non si fermò, sforzandosi oltre ogni personale aspettativa prima di vedere Lance abbandonare le braccia e, lentamente, scivolare definitivamente al suolo con l'affanno.

Si era conclusa con una sorta di pareggio a detta della ragazza. Keith aveva resistito di più, ma Lance ne aveva fatti quantitativamente di più. Keith non avrebbe mai ammesso che aveva trovato impressionante il ragazzo; non avrebbe ingigantito maggiormente l'eterna e rumorosa convinzione del compagno di aver vinto. Questo non voleva certo dire che gliel'avrebbe fatta passare liscia.
«Stai tranquillo che la prossima volta non ne farò più di te, ne farò il doppio di te»
«Farai sicuramente molta strada spompandoti dopo i primi dieci secondi»
Avevano lasciato Hunk e Katie al precedente incrocio dove il samoiano aveva preso il pullman e la ragazza raggiunto casa. Erano rimasti loro due, Keith e Lance; Lance e Keith. Durante tutto il tragitto non stavano facendo altro che prendersi in giro, ricordare piccoli eventi che non potevano commentare in classe. Keith si scoprì un segreto fan delle imitazioni di Lance degli insegnanti, mentre Lance si fece raccontare alcune esperienze di quando Keith frequentava il corso di karate.
Il tempo fu troppo breve; insoddisfacente per Keith che, quando fermò il passo, si rese conto di doversi dividere anche da quell'ultima compagnia. Keith non era mai stato espansivo, estroverso e non poteva negare di essere stanco, specialmente dopo lo sforzo fisico al parco giochi; ma qualcosa di assurdo gli faceva temere che non sarebbe più potuto accadere un giorno come quello. Non voleva farlo finire.
«Ci vediamo domani?»
Le parole di Lance ebbero il potere di far crollare quel piccolo timore, anche se momentaneamente. Domani. Domani sarebbe potuto riaccadere.
«Perchè no?»
«Magari ti vergogni a farti vedere dopo aver perso, Kogane»
«Ti ricordo che sei crollato a terra come un sacco di patate, McClain»
Lance, stranamente, non rispose, sorridendo solo al ragazzo per sollevare una mano in segno di saluto. Keith non riuscì a imporsi il contrario e ricambiò il sorriso del ragazzo. Come faceva sempre a sorridere in quel modo tanto contagioso? Un ultimo saluto e Lance si avviò nella viuzza che avrebbe condotto a casa sua. Keith esitò, stringendo le dita attorno alla cinghia della borsa a tracolla. Esitò ancora dopo mezzo passo. Si voltò ad osservare la piccola viuzza dove non riusciva più ad intravedere la figura di Lance. Deglutì aggiungendo l'altra mano alla cinghia che attraversava il petto. Fece un respiro profondo e, come al solito, agì prima di ragionare.
   
 
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