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Autore: Nat_Matryoshka    25/10/2018    0 recensioni
"Durante una notte di tempesta, un anno dopo la fine della guerra, su Naboo nacque un bambino. Aveva i capelli neri come le nuvole che avevano coperto il cielo per tutto il giorno e occhi brillanti come stelle. Era figlio di una principessa e di una canaglia.
Ben Solo aveva dieci anni quando, nella zona più periferica della capitale, nacque una bambina. I suoi genitori la chiamarono Rey e, una volta che fu abbastanza grande da camminare, la affidarono al Maestro Luke Skywalker, per poi sparire senza lasciar traccia. "

*
[What if || Scritta per la Reylo Fanfiction Anthology 2018, "Two Solitudes That Meet"]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Han Solo, Padmè Amidala, Rey
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 6
 
 
Tempo dopo
 
 


 
Un nuovo sussultò la mandò a sbattere contro il quadro dei comandi.

Mormorando un lamento e massaggiandosi lo stomaco, Rey si tirò su a fatica. Tentò di sedersi sul sedile e di riprendere il controllo del Falcon, ma una nuova turbolenza la fece sussultare di nuovo, allontanandola dalla superficie morbida della poltrona. Questa volta, però, le braccia di Ben scattarono in avanti, impedendole di cadere.

Rey si rilassò per un attimo, permettendosi di cedere a quel tocco gentile per sentirsi al sicuro. Erano da poco entrati nell’orbita di Mortis, quando un campo di asteroidi li aveva sorpresi, facendo impazzire temporaneamente i sensori del Falcon: Ben le aveva assicurato che la nave ne aveva passate tante, ma quel percorso era più difficile e pericoloso di qualunque rotta avesse mai immaginato. Non avevano potuto far altro che provare a regolare i macchinari perché continuassero il percorso impostato subendo meno danni possibili, ma le rocce che continuavano a colpire la nave da ogni direzione non sembravano volerglielo permettere.

“Di questo passo sarà un pessimo atterraggio, il nostro” sospirò Ben, e per un secondo il suo tono desolato quasi la fece sorridere. Sicuramente era preoccupato, ma sembrava essersi lasciato alle spalle un po’ del dolore e della rabbia che aveva provato fin dall’inizio del viaggio: quelle settimane trascorse insieme lo avevano cambiato, avevano cambiato entrambi. Vivevano bene i loro silenzi, ci si adattavano perché ognuno aveva imparato a capire quelli dell’altro, come se l’equilibrio tra loro fosse sempre esistito. Si permise un attimo in più di tranquillità, ma un nuovo scossone li spedì entrambi a terra, mentre la nave sussultava, colpita da un nuovo masso. 

“Niente da fare.” Ben si era rialzato di colpo e armeggiava con i comandi, le labbra strette che non promettevano nulla di buono. “Non riesco a inserire il pilota automatico,  i comandi non rispondono più. Dobbiamo provare ad atterrare da soli, in ogni modo possibile.”

“Ma ci schianteremo!” obiettò la ragazza, controllando freneticamente le mappe come se l’unico sistema per superare quel campo di asteroidi fosse nascosto tra loro. “Forse possiamo restare fermi in una zona più riparata e…”

“Gli asteroidi non si fermano mai” scosse la testa. “Ne parlano tutti i resoconti, lo riporta anche quel diario di bordo di Chandrila che ho consultato. Questa zona ne è piena… per quello nessuno riesce a raggiungerla. Dobbiamo usare i comandi manuali e provare un atterraggio d’emergenza.” Inspirò profondamente, prendendosi la testa tra le mani. “È l’unico modo che abbiamo per arrivare su Mortis.”

“Ma…”

“Ti fidi di me o no?” mormorò Ben, e fu stupita dal tono di preghiera che avevano quelle parole. Strinse con forza lo schienale del sedile per non finire di nuovo sul pavimento, poi poggiò la spalla sulla mano del ragazzo: sì. Era uno di quei momenti in cui le parole non sarebbero servite a nulla. Si piegarono entrambi sui comandi, i denti digrignati per la concentrazione: Rey chiuse gli occhi, si lasciò andare a quella sensazione di vicinanza e pensò che era proprio come quando combattevano anni prima, e un grande flusso di energia nasceva dall’uno e arrivava all’altro senza distinzione, come se entrambi lo alimentassero, e quel flusso era la Forza stessa. Erano una sola entità con due cuori, un equilibrio precario che, però, resisteva, anche se nessuno sapeva perché.

Doveva fidarsi di Ben. Come sarebbero potuti uscire di lì, altrimenti?

Si aggrappò con forza a lui e strinse i denti, mentre il ragazzo premeva una serie di comandi ed entrambi guardavano il Falcon avvicinarsi sempre più all’orbita di Mortis, volare in picchiata e sfiorare il suolo, sempre più velocemente… fino a che luci e colori non si confusero, e le loro grida divennero un suono indistinto che riempiva lo spazio della cabina di pilotaggio. Ricordava solo di aver afferrato le gambe di Ben mentre rovinava al suolo, poi più nulla: solo un forte boato e il rombo dei motori che si spegnevano di colpo, quasi fossero arrabbiati per il trattamento ricevuto.
 

*
 
 
Doveva essere svenuta, perché si svegliò qualche ora – o secolo – dopo con la testa dolorante. Accanto a lei, Ben si era alzato in piedi e guardava attorno a sé: erano atterrati ai margini di una foresta. Una strana foresta, in cui gli alberi erano riuniti in gruppi e apparivano secchi e bianchi, come pallidi scheletri che si reggevano in piedi per miracolo. Si strofinò una guancia per dare sollievo agli occhi appannati, ma la nebbia leggera che li circondava non sembrava essere un’illusione.

“Ecco Mortis” mormorò Ben, più a se stesso che alla ragazza. “Ma certo, avrei dovuto capire che…”

Si interruppe per alzare la testa: sopra di loro, una striscia luminosa tagliava il cielo. Blu e rossa e viola, risplendente di tante piccole luci, sembrava una ferita che squarciava la volta e la riempiva di stelle lontane, inaccessibili.

La Via Lattea.

Dopo tante ricerche, dopo aver letto di quella zona in libri e resoconti, finalmente erano arrivati, e l’inquietante bellezza di quella vista li lasciò senza parole. Rey si strofinò gli occhi, incredula. In confronto alla meraviglia di quella striscia di luci, la strana vegetazione di Mortis sembrava perdere qualunque attrattiva. E ora dove andiamo? avrebbe voluto chiedere la ragazza, il pianeta sembrava essere disabitato e certamente nessuno avrebbe potuto indicare loro dove trovare le anime perdute di quelli che non abitavano più il mondo dei vivi… finché un sussurro non le arrivò alle orecchie. Una voce né buona né cattiva, poco più di un filo di vento che le accarezzava le orecchie dolcemente, e stranamente non la spaventava come avrebbe dovuto.

Rey… bambina dei bassifondi, madre e padre di te stessa…

Si girò rapidamente, ma non vide nulla. Ben scattò nervosamente accanto a lei, forse aveva sentito la stessa voce sussurrargli qualcosa di diverso. La sua voce ruppe il silenzio.

“Credo che la direzione giusta sia quella.” Indicò un punto in cui gli alberi diventavano più fitti, la nebbia li abbracciava come una donna dal lungo mantello bianco. “Ho letto di un altare da qualche parte, un luogo in cui sarebbero apparsi gli spiriti a chi li cercava… ma non possiamo esserne sicuri finché non proveremmo ad avvicinarci.” Era teso, cercava disperatamente di mantenere un tono di voce distaccato, eppure era chiaro quanto quella situazione lo facesse sentire smarrito. Se il loro rapporto fosse rimasto lo stesso della partenza probabilmente il suo tono di voce l’avrebbe divertita: il grande Kylo Ren, detentore di un potere che andava oltre le leggi della natura, spaventato da un po’ di nebbia e da qualche sussurro? Ma ne avevano passate tante insieme, e il sudore che gli imperlava la fronte era uguale a quello che le colava giù per la schiena, gelido, impossibile da fermare.

“Guidami.” Gli prese la mano, per fargli capire che erano arrivati lì insieme e ne sarebbero usciti insieme, a qualunque costo. “Andiamo. Se non dovessimo trovare nulla torneremo al Falcon e proveremo a farlo tornare indietro… in un modo o nell’altro.”
Non disse quello che era sospeso nell’aria tra loro, che i comandi erano troppo compromessi per far ripartire tutto subito e che ci sarebbero voluti giorni perché la nave fosse di nuovo operativa, sempre che fosse stato possibile ripararla: lo sapevano bene entrambi. Rey sospirò. Non restava altro da fare che andare avanti e avanti, cercando di non perdersi in un ambiente che nessuno dei due conosceva. Forse solo così…

Ben Solo Ben Solo Ben Solo…

I sussurri aumentarono di intensità, ma questa volta riuscivano ad udirli entrambi. Il nome del ragazzo sembrò cavalcare l’aria, poi le voci si fecero più insinuanti, meno neutrali. Quasi languide. Ragazzo senza futuro, re dal trono insanguinato, tu che pieghi la vita e la morte al tuo volere… ascoltaci…

“Le senti?” chiese Rey, spaventata. Era facile ignorare  un mormorio che sembrava pronunciare il suo nome, ma quando qualche parola inarticolata diventava un vero e proprio invito il cuore iniziava a battere con più forza nel petto. Strinse la presa sulla mano di Ben, e sentì che anche lui afferrava le sue dita, quasi fossero l’unica garanzia di salvezza.

“Sì” sussurrò lui. “Vengono da lì.” Indicò davanti a loro: tra gli alberi che si diradavano e aumentavano di numero si intravedeva una sorta di blocco di pietra bianca dai contorni indistinti, che spiccava contro il terreno nero che caratterizzava il pianeta. Un altare, quello di cui aveva parlato Ben poco prima, forse?

Improvvisamente, la paura le afferrò le viscere con tanta forza da farla tremare.

Non era da lei, un Sensibile doveva dominare la paura e vincere ogni timore con la sicurezza del proprio addestramento, ma cos’altro avrebbe potuto fare una ragazzina su un pianeta che non conosceva, con una nave mezza distrutta, lontanissima da casa? Non voleva spaventare anche Ben, se avessero vacillato entrambi sarebbe stata la fine… ma lui si fermò e la prese per le spalle, guardandola negli occhi con gravità. Gli occhi di un anziano sul viso di un ragazzo, lo sguardo di chi aveva visto troppo e sperava solo di dimenticare tutto e ricominciare da capo.

“Rey… qualunque cosa troveremo laggiù, non voglio che tu metta te stessa in pericolo. Se dovessi vedere che la situazione dovesse sfuggirmi di mano devi andartene, capito? Io ho un compito da portare avanti, ma tu non puoi soffrire per causa mia. Per cui…” inspirò a lungo, e per un attimo sembrò come se l’atmosfera pesante di Mortis si fosse alleggerita, permettendo loro di respirare meglio. “Lasciami qui, e basta. Torna al Falcon, segui le mappe e gli appunti dei viaggiatori che ho lasciato, e mettiti al sicuro.”

“No!” esclamò lei, e senza nemmeno accorgersene aveva posato le mani sulle sue, staccandosele dalle spalle. “Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo? Abbandonarti qui, nell’angolo più remoto della galassia, e andarmene come niente fosse?” aveva teso la gamba con tanta forza da sentirla indolenzirsi all'istante, ma non gliene importava nulla. “Non posso, Ben. Sai che non posso. Sai che…”

“Ti prego.”

Aveva sussurrato quelle due parole in tono di supplica: era la seconda volta in poche ore, e improvvisamente Rey si accorse che nulla di quel che avrebbe potuto dire sarebbe servito a convincerlo. Nessuna minaccia né rimprovero, la rabbia e la sua testardaggine non erano nulla di fronte a quell’obiettivo, alla fredda determinazione con cui aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto in quel viaggio. La guardava negli occhi sperando che capisse, ma Rey li chiuse di colpo.

Un attimo dopo gli buttò le braccia al collo e lo baciò senza aggiungere altro, trattenendo a stento le lacrime, perché quello era l’unico modo che aveva per dimostrare quello che già aveva cercato di fargli capire: siamo insieme, ne usciremo insieme. Le labbra di Ben erano fredde, e una lacrima scese a bagnarle poco dopo, ma non capiva se fosse caduta dai suoi occhi o da quelli di lui. Continuò a baciarlo, a farsi baciare e gli affondò le dita nei capelli, desiderando che tutto scomparisse e che si trattasse solo di un brutto sogno, di un incubo strano e contorto che poi sarebbe sparito nella luce oziosa dei mattini di Naboo…
Durò troppo poco, o forse troppo, ma quando si staccarono Ben le sorrise ancora una volta. Le sue guance sembravano rosse, forse la luce innaturale del pianeta le giocava strani scherzi. Le strinse la mano con più sicurezza, ed entrambi si resero conto di sapere perfettamente cosa avrebbero dovuto fare.

“Andiamo.”

Rey annuì. La pietra sembrava brillare di luce propria, laggiù sotto agli alberi bianchi. I sussurri continuavano ad inseguirli, parte stessa della nebbia o suoi messaggeri, quasi li scortassero verso la loro destinazione.
Una volta giunti più avanti, nella radura dove la pietra bianca si ritagliava il suo spazio tra la vegetazione scheletrica della foresta di Mortis, le voci si fermarono improvvisamente: un silenzio impenetrabile li avvolse, così immenso e schiacciante da sembrare quasi innaturale, come se qualcuno avesse risucchiato via ogni segno di vita, ogni minimo suono. Non tutti gli alberi erano bianchi, ce n’erano anche di verdi e qualche arbusto stentato sembrava essere riuscito ad avere la meglio sul terreno brullo, ma l’atmosfera restava assurdamente diversa da qualunque altro pianeta avessero mai visitato.

“Tutto bene?” le chiese Ben. Lei rispose stringendogli ancora una volta le dita, e annuì. Fecero entrambi un passo avanti, un piccolo passo per guardare meglio l’altare, e proprio in quel momento la coltre di nebbia che aveva aleggiato attorno agli alberi sembrò infittirsi e ricoprirli del tutto, nascondendoli l’uno dalla vista dell’altro.

Non fece in tempo a gridare il suo nome che sentì la presa sulle dita del ragazzo allentarsi. Ben si allontanava da lei spinto da una forza misteriosa e Rey non riusciva a far altro che agitarsi cercando di diradare con le mani la coltre nebbiosa, quasi potesse davvero sconfiggerla, distribuendo colpi e annaspando in cerca della mano del ragazzo, disperata, sola.

Ma non c’era nulla che potesse fare. Ben era lontano, attorno a lei si vedeva solo bianco e le forme indistinte degli alberi, qualche macchia di verde, il nero del terreno granuloso e vulcanico, e nient’altro. Scosse la testa con rabbia, si girò sui suoi passi e provò a sussurrare il suo nome, perché aveva paura di gridare ma non si sarebbe arresa in quel modo, non sarebbe tornata su Theed senza di lui, non avrebbe mai potuto…
 







Quante volte aveva riflettuto sulla possibilità di rivedere i suoi genitori? Tante.

Quante volte si era ripetuta che era tutto inutile, che Luke aveva ragione e che, una volta per tutte, avrebbe dovuto mettersi l’anima in pace e andare avanti con la propria vita, senza aspettarli? Ancora di più.

Eppure, una piccolissima parte di lei voleva disperatamente credere a quelle storie. Si era aggrappata all’idea che il viaggio di Ben Solo avesse un senso perché, se non ci avesse creduto davvero, avrebbe cancellato quell’unica speranza di poter rivedere i suoi genitori.

Perché, per quanto potessero vederla tutti come il frutto dei desideri di una povera orfanella, l’idea di essere accarezzata dalle loro mani gentili ancora una volta la aiutava ad andare avanti.
 
 
 
 
 
   
 
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