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Autore: LilithLawliet    27/10/2018    1 recensioni
Sarebbero sempre stati così, ad odiarsi per poi amarsi senza ritegno con in sottofondo i loro gemiti, i loro denti e le loro unghie.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altri, Pëtr Borisovič Mickalov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I grandi occhi cremisi, abbelliti dal solito paio d’occhiali che ormai usava più per abitudine che per un effettivo bisogno, erano fissi sui vari libri che erano sparsi per l'ampi scrivania. La superficie di un legno scuro, macchiata da chiazze d’inchiostro, sembrava un campo di battaglia.
Era da più di un paio d’ore che leggeva la stessa frase, ma senza guardarla veramente. La sua mente era persa in altri pensieri che avevano un unico protagonista: il suo faunetto. Si chiedeva cosa stesse facendo, da chi si stesse facendo toccare; se da quel prete deviato o da Ivan, che non si staccava mai dal minore.
Strinse la mano in un pugno, sentendo i canini appuntiti perforargli il labbro superiore. Nella bocca sentì il familiare sapore ferroso del sangue, ma nulla era importante come la rabbia che gli montava dentro nel sapere che Petr si stava facendo toccare da mani che non erano le sue, da una lingua che non era la sua. Altri occhi avrebbero visto quel corpo perfetto, quasi celestiale che apparteneva solo a lui, a quel dottore folle d’amore. Lui che di amore non se n’era mai interessato, troppo preso nel cercare calore fra le cosce di una puttana qualunque.
Si passò una mano fra la sua zazzera di capelli, alzandosi dalla sedia per poi fare un giro della stanza.
Quel giorno era solo, non sapeva neanche dove fosse finita Alice. Ipotizzava che la ragazza americana si fosse persa ad osservare, quasi spiare, il fratello del vampiro. Yuri si era accorto dello sguardo che sua “figlia” riservava al cosacco, era lo stesso sguardo che aveva lui quando guardava il nipote.
A ridestarlo dai pensieri fu il bussare alla porta, un tocco aggressivo e impaziente. Sbuffò, pensando a chi fosse a scocciarlo dalle sue fantasie peccaminose il cui centro erano un paio di occhi verdi orgogliosi, incompresi e colmi di rabbia. Furono proprio quei frammenti di bosco che si presentarono appena aprì la porta e che gli suscitarono un sorriso malizioso.
Petr fece il suo ingresso nello studio dello zio, camminando con impazienza senza neanche degnarlo di un saluto e al suo seguito vi era Duraciock che subito iniziò ad esplorare la stanza.
Il dottore si affrettò a lasciare il mondo dietro quella porta per poi affondare il suo grande naso nei boccoli corvini del suo amore. Inspirò il suo profumo, sentendo il suo autocontrollo sgretolarsi in mille pezzi.
-Levati, coglione!- sbottò irritato il piccolo Mickalov, allontanandosi dall’uomo per poi sedersi sul grande e comodo divano. Il ragazzo non sopportava quelle attenzioni che lo zio gli dedicava, le carezze possessive sul suo corpo ancora acerbo, ma oggetto dei desideri peccaminosi del vampiro.
Il suo sguardo chiaro si posò sulla figura del parente che in quel momento si sedette accanto a lui, attorcigliando una ciocca fra le sue dita per poi avvicinarla al suo stupido nasone.
-Idiota, smettila di toccarmi- protestò Petr, sputando con rabbia le parole, mentre ogni singola cellula del suo corpo reclamava quelle mani sul suo corpo. Quelle stesse mani che avevo salvato vite, le stesse che gli procuravano piacere, che lo avevano profanato quella notte nel bordello di Karina. Una nottata impregnata dai suoi gemiti di piacere misto a dolore, di sesso e d’innocenza levata dalle dita e dai morsi carichi di eccitazione dell’uomo.
Odi et amo, era questa la frase che gli rimbombava nella testa, letta, di sfuggita, da uno dei libri di Lev.
Lo odiava per averlo abbandonato, lasciato con i suoi ricordi infantili ricchi di uno zio pronto a giocare con lui, dargli le sue attenzioni e il suo amore. Lo amava, però. Lo amava anche quando il suo sguardo vermiglio era pieno di lussuria, quando le sue mani strizzavano la sua carne soda, i suoi denti gli lasciavano i segni sul suo corpo, come a marchiarlo. Lo zio voleva che Petr fosse suo, ma lui non lo sarebbe mai stato.
Petr non era di suo padre o di sua madre, non del dottore deviato e neanche di suo cugino Viktor, il piccolo Mickalov non era di nessuno, lui era libero.
Yuri approfittò della calma del nipote per potergli rubare un bacio a fior di labbra, ma appena vide il suo faunetto ricambiare, posò con più decisione la sua bocca, facendo incontrare le loro lingue. Si scavano, quasi a togliersi il respiro a vicenda, si baciavano come se quello fosse il loro primo ed ultimo bacio.
Le mani del quattordicenne strinsero con ira i lembi della camicia bianca dello zio, quasi a volergliela strappare di dosso. Sentì la presa del dottore stringergli con foga le sue natiche sode, alte e dove l’uomo avrebbe voluto sprofondare fino a perdere anche l’ultimo briciolo di lucidità.
Yuri gemette all’orecchio del ragazzo mentre affondava il viso nell’incavo del suo collo. Si inebriò del suo profumo, sentendo il sangue pompare e i suoi canini dolergli per lo sforzo di trattenersi.
Il faunetto sfuggì da quella presa ferrea, allontanandosi di poco dalla figura del dottore. Era sempre un rincorrersi per poi ricongiungersi per pochi attimi. Non c’era mai pace tra di loro, non poteva esserci con il carattere forte e irruento del piccolo russo.
Non voleva lasciarsi andare, non con il costante timore di vedere lo zio partire un’altra volta, sparire, questa volta, per sempre. A quel pensiero, il riccio aggrottò le folte sopracciglia, mordendosi con nervosismo il carnoso labbro inferiore.
Puntò i suoi occhi smeraldi nello sguardo folle del medico, reso più inquietante dal colore cremisi degli occhi. Sentiva quelle braci bruciargli lungo tutto il corpo, bramare la sua pelle diafana dove affondare i suoi denti affilati in una morsa di cieco e folle amore.
Si, perché lo zio era pazzo del suo nipotino, dello stesso faunetto che da piccolo passava interi pomeriggi sulle sue gambe, ascoltando la sua voce roca mormorare definizioni mediche.
La pecora nera della famiglia, il Mickalov che si era rifiutato di non seguire lo stesso destino riservato a tutti gli uomini della sua famiglia, scappando via dalle responsabilità, come un vigliacco. Aveva pagato a caro prezzo quella fuga, scontava la sua pena ogni volta che il suo amore lo rifiutava, scappava dalle sue braccia che avrebbero voluto stringerlo in eterno.
Mentre il dottore era immerso nelle sue riflessioni, a ripensare ai suoi erroi, Petr si era alzato dal divano e con passo felino, si era avvicinato a quella grande scrivania piena di scartofie. Il ragazzo si chiedeva cosa ci fosse di così d'interessante da spingere lo zio a passare più tempo a leggere quei fogli che a stare con lui. Si, il piccolo Mickalov cercava sempre gli occhi cremisi dell'uomo colmi di cieco amore per il suo faunetto, quel sorriso sghembo e malizioso che lo facevano impazzire.
Senza neanche accorgersene, il quattordicenne venne girato per poi sentire delle labbra posarsi sulle sue. Le mani di Yuri arpionarono i fianchi del nipote, usando una presa ferrea, facendogli capire che non l'avrebbe lasciato così facilmente.
Il non morto fece cadere i vari libri per terra, posando Petr sulla superficie liscia e fredda della scrivania.
Continuarono a baciarsi mentre le mani del ragazzo cercavano con frenesia il petto asciutto e muto dello zio, graffiandolo per la foga. Il dottore, invece, approfittava del momento per infilare le mani nei pantaloni del quattordicenne.
Dalle labbra carnose del futuro cosacco uscirono dei gemiti, interrompendo, ogni tanto, quella danza che avevano intrapreso le loro lingue.
L'uomo scese fino al collo del suo faunetto, godendosi quei gemiti che sfuggivano da quelle labbra peccaminose. La sua troia stava godendo, sentiva il suo cazzetto indurirsi ogni volta che accarezzava l'inguine.
Si beò del profumo i suo nipote, lo stesso odore che lo faceva uscire pazzo.
Odi et amo, era questo che gli veniva in mente ogni volta che quegli occhi verdi facevano capolino nei suoi pensieri, irruenti come il proprietario di quegli sprazzi di distese di prati.
Odiava il fatto che il suo amore si faceva toccare da altri, facendosi leccare da uomini che non erano lui. Lo faceva arrabbiare la consapevolezza che il ragazzo non voleva essere suo, di quel povero uomo che aveva scelto la morte pur di restare accanto al suo bambino per sempre. Al tempo stesso, però, lo amava. Amava quel nipote che faceva ancora battere il suo cuore morto, fermo, ma che ad ogni bacio rischiava di uscire fuori dal suo petto freddo.
Sarebbero sempre stati così, ad odiarsi per poi amarsi senza ritegno con in sottofondo i loro gemiti, i loro denti e le loro unghie.
E anche quel pomeriggio si amarono, nascosti dal mondo intero che non era mai riusciti a capirli fino in fondo, due anime così sole, ma che insieme si completavano.
I loro occhi, un paio colmi di folle amore e un altro di odio, odio perché il sentimento era ricambiato.
Odi et amo.
   
 
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