Sogno o realtà?
Come aveva fatto a farsi
convincere?
Shinichi si diede nuovamente dell’idiota. La verità è che
conosceva perfettamente la risposta alla sua domanda.
“Ci sarà Ran!”, gli aveva
promesso Hattori.
Neanche a chiederlo, lui
aveva abboccato. E ora eccolo lì, con delle ridicole orecchie e un paio
di guanti a zampa di lupo. Shinichi, il temibile licantropo.
Sospirò, guardandosi intorno.
Non solo in quella moltitudine di volti mascherati non riusciva a scorgere Ran
da nessuna parte, mancavano all’appello anche Heiji e Kazuha. Controllò il
cellulare per la centesima volta; l’amico non aveva ancora nemmeno visualizzato
il suo messaggio.
L’aspettava un’altra brutta
sorpresa: mentre scorreva i contatti della rubrica, il dispositivo gli comunicò
che la batteria era esaurita con un muto e desolante “Arrivederci!”. Fissò in silenzio lo
schermo totalmente buio per qualche secondo. «Maledizione» imprecò infine, a
denti stretti.
Era solo a una festa in maschera
a cui non avrebbe neppure voluto partecipare.
Infilò l’ormai inutile
cellulare in tasca, inoltrandosi nella folla di mostri che ballavano al ritmo
della musica sparata dagli altoparlanti a un volume decisamente troppo alto, per i suoi gusti.
Si fece strada fino alla
porta-finestra che dava sul balcone, inspirando a fondo. L’aria fredda che gli
frustò la faccia truccata fu una benedizione.
Uscì, lasciandosi
definitivamente alle spalle la cacofonia che tanto sembrava piacere ai suoi
coetanei. Lanciò un ultimo sguardo verso l’interno: possibile che Ran fosse
davvero lì dentro?
Scosse la testa. Tutto
perché non aveva il coraggio di andare e dichiararsi.
Distratto, non notò immediatamente
la figura che si introdusse nel balcone occupandogli la visuale. Portava un
lungo mantello rosso con il cappuccio abbassato: non riuscì a distinguerne il
volto. Si avvicinò a lui, e la luce della luna le illuminò la parte bassa del
viso, svelando due labbra di un rosso troppo intenso per essere naturale. Un
rosso sanguigno, perfetto per Halloween, si ritrovò a pensare Shinichi.
La sconosciuta curvò le
labbra in un ghigno divertito. «Buonasera, Lupo».
Abbassando lo sguardo, Shinichi
notò una parte del costume che prima gli era sfuggita: sottobraccio infatti l’incappucciata
esibiva un cesto di vimini.
«Cappuccetto Rosso?»
mormorò, comprendendo. Riportò lo sguardo sul volto della ragazza, o meglio, su
quel poco che gli era concesso scorgerne. «Una bella coincidenza».
Il sorriso di lei si
addolcì, avvicinandosi ulteriormente. Shinichi si ritrovò con la schiena contro
la balaustrata. Provava una strana sensazione: l’aura di mistero della nuova
arrivata lo affascinava, stuzzicava il suo istinto da detective.
Voleva scoprire di più, su
di lei. Un lato negativo delle feste in maschera è proprio questo: un costume –
un semplice abito nero abbinato a una mantella rossa, in questo caso – non dice
molto su chi l’indossa. In un certo senso, però, questo era anche positivo:
rendeva la sfida più intrigante.
«Una scelta particolare, per
un travestimento» commentò, tastando il terreno.
Lei scrollò le spalle,
liquidando la questione con un semplice «Ha scelto mia sorella».
Ha
una sorella, si annotò mentalmente Shinichi, incerto lui
stesso sul perché gli interessasse tanto. «E lei dov’è?»
Le labbra rosse lasciarono
sfuggire una risata, breve, sarcastica – se l’era immaginato?
«Era impegnata con un vampiro,
l’ultima volta che l’ho vista» raccontò Cappuccetto. Indicò la sala alle loro
spalle con una smorfia. «Come facessero a sentirsi in mezzo a quel caos resta
un mistero».
Shinichi si ritrovò a
ridacchiare a quell’ultima uscita. «Sì, non è proprio il massimo».
Dopodiché si bloccò, preda
di un brivido. Si sentiva osservato; il cappuccio continuava a celargli gli
occhi della ragazza, ma avrebbe giurato che lo stessero scrutando – non era da
lui, dar retta a intuizioni del genere: non c’era nulla di logico.
Scosse la testa e si poggiò
al parapetto, imponendosi di fissare gli alberi del giardino.
«Non sembri il tipo che
partecipa spontaneamente a queste feste».
Avvertì la sua voce e gli parve calda, solleticante.
Non spostò lo sguardo. «Un amico ha insistito» rispose rapido.
«Tutto qui? Un amico?»
Lo stava fissando, Shinichi
ne fu certo. Ciò che non seppe, invece, fu il perché iniziò a raccontarle la
sua situazione. «Doveva esserci una ragazza, stasera… Ran. Pensavo fosse una
buona occasione per avvicinarmi un po’ a lei. Mi sbagliavo» pronunciò le ultime
due parole in uno sbuffo rassegnato. «Non ho scorto nemmeno la sua ombra, là in
mezzo».
«Capisco» commentò asciutta
la voce, traendosi leggermente indietro. «Peccato».
«Tu?» Shinichi domandò rapido,
incalzato da una paura segreta: voleva andarsene anche lei, lasciarlo lì da
solo? Insisté. «Neanche tu sembri il tipo da festa, o sbaglio?»
«Te l’ho detto, no? Sono
venuta con mia sorella».
Non le avrebbe permesso di fuggire
così facilmente la domanda. «Perché?»
La vide incurvare le labbra,
di nuovo. Si stava divertendo? Si accigliò, pensando che ridesse di lui. Che
stava facendo? Si stava comportando in modo ridicolo, interrogando così una
sconosciuta di cui non riusciva neanche a distinguere il volto.
«Sei piuttosto curioso»,
commentò lei. «Mia sorella si preoccupa per me. Non ho molte amiche, esco
raramente… ha pensato fosse una buona idea portarmi a una festa, farmi cambiare
aria».
Shinichi spalancò gli occhi,
stupito. L’aveva inconsciamente desiderato, ma non si attendeva davvero una
risposta così personale. Gli sembrò d’aver rubato una confidenza.
«So di avertelo chiesto»
iniziò, «ma come mai me lo racconti? Non intendevo…»
Non lo fece finire,
scuotendo lievemente la testa. Il cappuccio oscillò, ma non cadde, continuando
a celarle il volto. «Non è un problema. Non sai neanche chi sono» mormorò,
sicura. Avanzò di nuovo, tornando al suo fianco. «Confidarmi con uno
sconosciuto potrebbe essere divertente. Non l’ho mai fatto prima», ammise.
«Sono un detective». L’informazione
lasciò la bocca di Shinichi in automatico, quasi non se ne rese conto. Forse
era perché quel “Sei curioso” l’aveva chiamato in causa, forse perché non amava
l’idea di essere solo “uno sconosciuto”. «Mi chiamo–»
«Shhh», intimò lei,
ponendogli un dito sulle labbra. Shinichi sussultò a quel tocco. «Romperai l’incanto,
così».
Rimosse il dito, ma lui
rimase in un silenzio scontento. Era solo un gioco, per lei? Quell’atteggiamento
così scostante, misterioso seguitava
a stuzzicare la sua curiosità. Si sentiva insaziabile, avrebbe fatto – quasi –
di tutto per sapere il suo nome.
«Ti sei offeso?» domandò
lei, studiandolo.
Shinichi si ricompose. «Non
è giusto» affermò, fissando il punto in cui poteva solo immaginare i suoi
occhi. «Io non posso vedere il tuo volto, mentre tu conosci il mio».
Cappuccetto sorrise. «Sei
truccato, non è il tuo vero aspetto» replicò tranquilla. «Hai detto di essere
un detective. Non apprezzi quest’aria di mistero?» aggiunse, melliflua.
I
misteri mi piacciono, finché posso svelarli.
Era tutto così irreale. I
suoni della festa gli arrivavano ovattati, insieme al chiarore soffuso della luna contribuivano all’effetto ipnotico
che quella ragazza riusciva a suscitargli.
«Facciamo un gioco» propose
improvvisamente lei. «Ti va?»
La guardò scettico. «Che
tipo di gioco?» volle sapere prima d’impegnarsi. Non riusciva a smettere di
pensare a chi potesse nascondersi sotto quel cappuccio; Ran era un ricordo
lontano, a quel punto. Cappuccetto Rosso aveva assorbito tutta la sua attenzione.
«Potrai farmi tre domande»,
spiegò lei dandogli le spalle. Guardava nella sala: Shinichi spiò oltre la sua
spalla, invaso dalla curiosità. Cosa poteva aver attirato il suo interesse?
Scorse rapidamente le figure
a portata di sguardo; streghe, mummie, lupi… si bloccò quando vide un vampiro –
intuì che lo fosse dalla forma del mantello – allontanare il volto da quello di
una strega vestita d’arancione.
“Era impegnata
con un vampiro”, aveva detto lei poco prima. Forse quella
era sua sorella? Se l’avesse raggiunta forse…
«Allora, hai sentito?» lo
riprese lei bruscamente.
Shinichi tornò in sé. Preso
com’era dall’indagare gli invitati si era totalmente isolato. Non aveva
ascoltato una parola della sua spiegazione.
«Potresti ripetere?» chiese,
fingendo indifferenza. «Non ho capito bene».
Fu stranissimo: si sentì
freddare da un’occhiata che neanche vedeva. Deglutì, pensando di aver commesso
un passo falso: ora lei gli avrebbe dato le spalle e se ne sarebbe andata,
sparendo per sempre dalla sua vita.
«Potrai farmi tre domande»
ripeté lei, fredda. «In cambio dovrai sottostare a un obbligo deciso da me. Non
sarà niente di difficile» gli assicurò facendo spallucce. «Niente che un
detective non possa fare, comunque, ne sono certa» aggiunse a voce più bassa,
sorridendo provocante.
«Tre domande?» ripeté,
stupito per quell’opportunità. Controbilanciata da un obbligo, certo, ma cosa
avrebbe mai potuto inventarsi?
«Chiedermi il nome non vale»
specificò lei. «Né dove vivo, o cose così. Anche perché saresti decisamente
inquietante».
Fu il turno di Shinichi di
guardarla male. «Non sono un maniaco» puntualizzò offeso.
«Ho cambiato idea. Solo due
domande, per la disattenzione di prima e per il ritardo di ora. Se aspetti
ancora a rispondere diverranno una».
Lo stava sfidando, era
chiaro. Cos’aveva in mente?
«Accetto» affermò Shinichi,
prima di darsi una risposta. Aveva troppi pochi elementi per farlo, e non
sapeva resistere a una provocazione.
Era debole alle sfide, ma
non aveva nessuna intenzione di perdere quella.
Due domande, solo due.
Avrebbe dovuto pensarci bene.
«Ottimo» commentò lei
sorridendo. «Ti ascolto».
Si era posizionata
nuovamente tra lui e la sala. Doveva divertirsi molto a invadergli la visuale.
«Sei giapponese d’origine?»
Si sarebbe strozzato. La
domanda gli era salita spontanea: mentre cercava di decidere quale avesse la
priorità, lei aveva inclinato leggermente la testa e una ciocca di capelli era
spuntata da sotto al cappuccio. Una ciocca di un castano ramato, particolare.
Straniero, o
così gli aveva gridato il cervello.
Non aveva saputo resistere
all’istinto di confermare la sua ipotesi.
Lei aprì la bocca e emise
un «Oh» sorpreso, soffocato. Non si aspettava quella domanda, questo
un po’ confortò Shinichi, lo consolò. Non aveva ancora perso.
«Allora è vero che sei un
detective» esclamò battendo le mani. Shinichi provò la sgradevole sensazione d’essere
preso in giro. «Lo sono, per metà. Mia madre è, era, inglese».
La consapevolezza di quelle
parole lo colpì con forza allo stomaco.
Era?
Sua
madre era morta? Avrebbe voluto dire che gli dispiaceva, che non poteva
saperlo, che non avrebbe dovuto chiedere, ma non lo fece, non poté.
Non con lei che lo guardava
così, con quel mezzo sorriso che, intuì oscuramente, l’avrebbe tormentato a
lungo anche dopo quella notte.
Non sembrava triste, solo malinconicamente
rassegnata. La sua voce non aveva tremato nel rispondere alla domanda, il suo
viso non si era adombrato se non forse per un singolo attimo – doveva essere
successo molto tempo prima.
Il dolore era passato, il
tempo l’aveva sostituito con un velo sottile di nostalgia; tutto questo dedusse
Shinichi, pur nell’impossibilità di confermare le sue conclusioni.
«Capisco» balbettò a mezza
voce, ricacciando in fondo alla gola le frasi di scusa.
«Tic toc» scandì lei,
ticchettando con il dito sul proprio braccio. «Un’ultima domanda, poi tocca a
me».
Shinichi s’irritò, bramando
ancora di più di poterle togliere il cappuccio, scoprire il volto dell’aguzzina
che si divertiva a giocare con lui in quel modo. Non aveva mai conosciuto una
ragazza come lei prima. Ran – sobbalzò ripensandoci; come aveva potuto
scordarla? Era venuto alla festa per lei! – era totalmente diversa.
«Sto aspettando, Lupo.
Coraggio, non vuoi mangiarmi?»
Quell’appellativo l’indispettì.
Davvero le andava bene così, non aveva interesse nel conoscere il suo nome? Era
ingiusto che la curiosità divorasse lui soltanto.
Fu così, guidato ancora una volta
dall’istinto, che sprecò la sua seconda domanda.
«Cosa pensi di me?» domandò,
quasi controvoglia ma incapace di fermarsi.
Aveva
dovuto.
La ragazza tacque, non
rispose immediatamente. Non sorrise, nemmeno, e questo lo turbò. Si stava
abituando al suo sorriso, insincero o meno che fosse.
Inclinò il capo in avanti,
sottraendo alla sua vista anche quel poco che fino a quel momento gli aveva
concesso.
«Sei un ragazzo
interessante» pronunciò lei lentamente. «Mi incuriosisci».
Shinichi dimenticò il
fastidio. L’incuriosiva? Per un momento si sentì irrazionalmente soddisfatto.
Ma se era vero, perché voleva che restassero due sconosciuti? Era un
controsenso.
Stava per parlare, ma lei l’anticipò.
«Chiudi gli occhi», gli ordinò.
«Come?»
«È il tuo obbligo. Chiudi
gli occhi. Non vorrai tirarti indietro adesso, vero?» proseguì, sempre tenendo
il capo chino.
Shinichi era confuso, di nuovo. Era la prima volta che una
ragazza – no: chiunque – riusciva a
sorprenderlo tanto. Non era riuscito a prevedere una sua singola mossa, quella
sera.
Avrebbe voluto dire molte
cose, ma si trattenne. L’avrebbe fatto dopo, decise – ora aveva un gioco da
portare a termine.
Chiuse gli occhi.
Non successe niente. Certo,
lei non poteva saperlo! Avrebbe dovuto pensarci. «Fatto» l’avvisò.
«Mi raccomando» la sentì
mormorare. Udì un fruscio; sembrava tessuto… forse? Aveva finalmente abbassato
il cappuccio?
Prima che potesse elaborare
l’idea, avvertì un tocco leggero sulle labbra.
Fece per aprire gli occhi,
ma Cappuccetto – doveva essere lei, chi
altri? – interruppe il contatto e gli sussurrò di non farlo, non rovinare
quell’attimo.
Poi tornò a baciarlo, con
più decisione, e Shinichi la lasciò fare, si fece catturare dal momento. La
ricambiò, cercò d’istinto di stringerle la vita, la trovò.
Rimasero intrappolati in
quella posizione per istanti che parvero non finire mai, un infinito che durò
troppo poco.
Lei si sciolse dalla sua
presa, staccandosi e coprendogli gli occhi con una mano.
«Aspetta, non aprire ancora»
gli sussurrò all’orecchio. Poté solo annuire, reprimendo il desiderio sempre
più forte di spalancare gli occhi, incrociare lo sguardo che celato gli aveva
tenuto compagnia. Svelare l’identità della ragazza che aveva predato il suo
primo bacio senza chiedere, e tuttavia giustamente: non sarebbe potuto
appartenere a nessun’altra, Shinichi lo
sapeva.
«Aspetta» sussurrò ancora
lei, ritraendosi; infine spostò la mano.
Shinichi aprì gli occhi, e
tutto ciò che riuscì a distinguere fu il lampo rosso della mantellina che
rientrava nella sala, e un barlume di rame prima che il cappuccio tornasse al
suo posto.
Impiegò un po’ a reagire,
non voleva accettarlo.
Se n’era andata, l’aveva
lasciato lì. L’aveva baciato ed era fuggita.
Non
sapeva chi fosse.
Rimase lì a chiedersi se non
avesse sognato, se la ragazza non fosse stata un’allucinazione – non era
possibile, non aveva bevuto.
Ancora riusciva a percepire
il suo sapore sulle labbra; miele e caffè, particolare e inconfondibile.
Sarebbe voluto rientrare,
farsi strada tra gli invitati danzanti per cercarla. Indossava un mantello
rosso, quanto poteva essere difficile?
Non lo fece. Dentro di sé
sentiva che non l’avrebbe trovata, che l’aveva ormai persa.
Restò lì fuori, al freddo
che fino a quel momento aveva ignorato, finché Hattori non apparve sulla porta
chiamandolo e chiedendogli cosa diamine avesse fatto per tutto quel tempo.
«Sicuro di non essere
ubriaco, amico?»
«Lei era reale, Hattori» ribadì secco, riuscendo
più scontroso di quanto non avesse voluto.
La verità era che
comprendeva i dubbi dell’amico, ma se avesse continuato ad assillarlo in quel
modo avrebbe finito per credere lui stesso di aver sognato tutto.
Non voleva.
Heiji si grattò la testa,
indeciso. «Se è così che pensi di fare?»
Shinichi sbuffò. Aveva
temuto quella domanda. «Non lo so» ammise rabbuiandosi.
Il ragazzo del Kansai gli
passò un braccio intorno al collo, attirandolo a sé.
«Sogno o realtà, è meglio se
la dimentichi» sentenziò. «Dai, andiamo. Ti offro qualcosa».
Dimenticarla.
Hattori la faceva facile.
Shinichi non disse nulla, lasciandosi trascinare inerme via dalla festa.
Non avrebbe potuto
dimenticarla: lei andò spesso a trovarlo, nei suoi sogni, quella notte e molte
delle seguenti.
La cosa più strana era che
sognava i suoi occhi, quelli che immaginava lo fossero.
Una notte li vedeva grigi,
un’altra castani, un’altra ancora celesti. Ma sempre, sempre essi lo scrutavano a fondo, capendolo meglio di quanto non
facesse lui stesso.
Il fantasma di quella notte
non lo lasciò mai, finché un giorno, quasi due anni dopo, successe qualcosa che non era previsto.
«Tanti auguri» bisbigliò a
Sonoko svogliatamente.
«Che onore» rispose lei,
sorridendogli. «Pensavo odiassi le feste. Sei qui per Ran?»
Negò con un cenno. Sapeva
che Ran non ci sarebbe stata, aveva l’influenza dal giorno prima. Sapeva anche,
tuttavia, che se non fosse andato Sonoko l’avrebbe tormentato per tutta la
settimana seguente.
Sonoko rise. «Bene, bene. Tu
sei al tavolo con me; è quello laggiù, dov’è seduta mia sorella» disse
indicandoglielo. «Finisco di ricevere gli ospiti e vi raggiungo».
Shinichi annuì, avviandosi
verso il posto indicatogli. Avrebbe passato la festa al tavolo della
festeggiata, addirittura; Sonoko temeva forse che si dileguasse a metà?
Non aveva totalmente escluso
l’ipotesi, in effetti.
Salutò Ayako, la sorella
maggiore di Sonoko, limitandosi a un gesto con la mano perché era impegnata in
una conversazione con un’altra ragazza, che doveva avere più o meno la sua età.
Gli sembrò curiosamente familiare, con quei lunghi capelli castano scuro, ma
non diede peso alla cosa e si sedette.
Ayako però non gli permise
di estraniarsi – che c’entrasse Sonoko?
«Shinichi, ti presento
Akemi, frequenta la mia università» affermò introducendolo all’amica. «Akemi,
lui è Shinichi, un compagno di mia sorella».
«Piacere» disse lei, rivolgendogli
un ampio sorriso.
Shinichi sbatté le palpebre,
preso da un senso di dejà vu.
Quel sorriso era stranamente
simile a—
«Eccoti, finalmente, Shiho!»
esclamò Akemi agitando la mano verso qualcuno alle sue spalle. Quel qualcuno
raggiunse il tavolo e spostò la sedia accanto a lei. «Iniziavo a temere ti
fossi persa, o peggio scappata» la riprese Akemi. Si voltò verso Shinichi a mo’
di scusa. «Lei è mia sorella», spiegò.
«Shinichi Kudo, piacere»
recitò in automatico, alzando lo sguardo verso l’ultima arrivata.
Vide i suoi occhi celesti
riempirsi di stupore, ma non ne comprese il perché finché non portò lo sguardo
sulla sua bocca. Congelò, la vide sussurrare qualcosa che non comprese prima di
piegare le labbra nel sorriso che tante, troppe volte aveva abitato i suoi sogni.
«Shiho Miyano», non gli
parve vero di sentire quelle parole.
«Il destino è proprio buffo, a volte. Non trovi, Lupo?»
Mille pensieri affollarono la mente di Shinichi, mentre assimilava quel fulmine a ciel sereno. Si alzò e strinse la mano della sconosciuta, troppo sconvolto per dar voce a qualcosa di sensato.
Una domanda si impose sopra ogni logica, si fece strada fino a sfuggirgli dalle labbra.
Capì di averla pronunciata realmente quando vide le espressioni smarrite di Ayako e Akemi.
Shiho, per contro, rise.
NdA
La storia è stata scritta per "Una festa in zucca - Challenge di Halloween" indetta dal gruppo facebook Il Giardino di EFP.
Il prompt che ho scelto è il 19, "X riceve il suo primo bacio a una festa in maschera... ma non sa da chi".
Come spero si sia capito, in quest'AU Ran e Shinichi non sono amici d'infanzia, lui si è preso una cotta per lei al liceo ma non hanno un rapporto molto stretto.