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Autore: Huilen4victory    03/11/2018    1 recensioni
La storia di Seokjin e Namjoon, come si sono incontrati, le difficoltà che hanno attraversato, come si sono quasi persi e come infine si sono ritrovati, anche se lontanissimi dal punto di partenza.
“Signora Kim, Signor Kim, vostro figlio Kim Namjoon è l’anima gemella dell’erede dei Kim, Kim Seokjin.”
Improvvisamente tutti gli sguardi dei presenti si concentrarono su di lui. Namjoon si sentì di nuovo come quella volta in cui aveva rotto senza volere la tazza preferita di sua madre. A quel punto, si disse, tanto valeva mangiare qualcosa. Si infilò un cornetto in bocca per evitare di urlare.
La sua vita, lo sapeva, era sul punto di cambiare ma non sapeva se questa volta avrebbe gradito la svolta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Seokjin/ Jin, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.10


 


 

Se qualcuno, qualche anno più tardi, avesse chiesto a Namjoon una definizione di follia, lui non avrebbe utilizzato parole, ma avrebbe indicato senza esitazioni un tempo e un luogo esatti.

Avrebbe detto che follia non era uno stato mentale ma era il trovarsi a diciassette anni sotto il desolante tetto della villa Kim.

Quella casa gli era infine scivolata dentro e Namjoon era diventato una parte di quegli stessi soffocanti muri, vittima eppure anche sostegno di quella prigione. La machiavellica orchestra gli era stata svelata in tutti i suoi perfettamente oleati e oscuri meccanismi. Per quanto si fosse lambiccato il cervello, ripercorrendo le logiche del sistema - ancora e ancora- alla ricerca di un lumicino qualsiasi che gli potesse indicare una via d'uscita, Namjoon ne era uscito sconfitto.

Non poteva sfuggire al destino impostogli perché il suo ruolo era stato pensato e pianificato per anni da mani molto più esperte e scaltre delle sue. La sua gita al laboratorio non aveva avuto altro scopo che rendergli chiaro la gravità dell'orrore e l'ineluttabilità del suo destino - qualsiasi cosa questa parola ormai significasse.

Perciò non c'erano porte da aprire nella sua prigione dorata, ma solo corridoi da percorrere. Eppure nonostante la violenza a cui il spirito ribelle era sottoposto, Namjoon era sempre andato fiero del libero discernimento del suo intelletto, la verità che sapeva lui era diecimila volte più difficile di quella che gli era stata buttata addosso. La verità che sapeva lui sussurrava che non c'era bisogno di nessun lucchetto alla sua porta perchè lui non avrebbe imboccato nessuna via d'uscita, senza Jin.

Nonostante ogni molecola del suo corpo urlasse contro i Kim, quelle stesse molecole erano quelle che si erano attaccate con accanimento a Seokjin.

Seokjin era diverso, lo era stato fin dall'inizio, e anche quando dopo il loro primo incontro Namjoon non era caduto nel tipico fervore di anime gemelle era impossibile negare come Seokjin brillasse di luce propria. Quando il maggiore gli aveva detto come lo aveva amato sin dalla prima volta Namjoon era rimasto scioccato all'apprendere ciò, non solo perché non aveva avuto alcun merito nel suscitare tale sentimento, ma sopratutto perché Seokjin era sembrato sincero.

Ma non c'era forse scritto affetto in ogni piccola premura che Seokjin gli aveva rivolto? In ogni suo gesto e nell'infinita pazienza che gli aveva sempre dimostrato? Quanta di quella pazienza era suscitata da sentimenti reali e quanta dal sapere che Namjoon avrebbe avuto scusanti nella sua riluttanza? C'era la possibilità concreta che i sentimenti di Seokjin fossero stati suscitati da aspettative fondate su false premesse o, peggio ancora, dai doveri imposti dalla sua carica.

Erano eventualità che rendevano inquieti i suoi momenti di veglia come di sonno, che gli toglievano il respiro ogni qualvolta vi ci soffermava con la mente troppo a lungo. Namjoon non aveva avuto false premesse, non aveva fatto calcoli di alcun tipo quando aveva deciso che Seokjin era importante. I suoi sentimenti, dall'inizio alla fine, erano nati solo per merito della persona che era Jin e non per quello che avrebbe dovuto essere.

Namjoon si chiedeva se ogni primo amore dovesse sentirsi così, come se fossi sul punto di spiccare il volo e allo stesso tempo di precipitare al suolo.

Era terribile avere così tanto dentro e non poterlo esprimere in alcun modo, neppure nel disordine sparso dei suoi testi, perchè troppo grande era la paura dei danni che alcune verità potevano causare. Namjoon tuttavia era sempre stato un pessimo giocatore da poker, il suo modo involontario di protendere la mascella l'indizio eclatante di ogni suo disappunto.

Non era mai riuscito a raccontare bugie credibili a sua madre quando si cacciava nei guai e nemmeno ai suoi insegnanti quando si dimenticava di fare i compiti, pertanto logicamente si era convinto che tanto valeva essere sempre onesto con i suoi pensieri. Era quasi impossibile disimparare un'abitudine che aveva alimentato con fierezza per anni e nonostante tutti i suoi sforzi nel riuscire a mettere a tacere la verità nella sicurezza della sua scatola cranica, i suoi sentimenti, i suoi desideri che reconditi lo mangiavano da dentro, trovavano comunque un modo per manifestarsi. Quasi volessero farsi beffe di lui e rendergli evidente la ridicolezza del paradosso che stava vivendo.

E, cosa più imbarazzante di tutte, sembrava proprio che quanto più incerto fosse il tutto, tanto più forte fosse la sua dipendenza nei confronti di Jin.

Così Namjoon si trascinava alla ricerca di Seokjin come un sonnambulo che cerca di ritrovare la via del letto. A tentoni, ma con determinazione, cercava Jin, il calore del suo corpo, un senso di sicurezza nel suo odore famigliare come un appena nato.

Perciò era il diciassettenne Kim Namjoon, brillante studente della facoltà di economia, il numero uno dell'erede dei Kim e per questo destinato a un grande futuro. Era Namjoon, nella sua cravatta annodata alla perfezione durante i meeting e le feste a cui era costretto a partecipare per via del suo status. Era Namjoon che trasudava carisma sul palco di un fumoso pub della periferia al ritmo di un basso.

Ma era anche quel Namjoon che in punta di piedi entrava in camera di Jin, si infilava nel suo letto e si addormentava al suo fianco, attento a non svegliarlo pur cercando di rubare un po' di quel calore. Era l'unica cosa che sembrava essere in grado di conciliare il suo sonno e spegnere il fuoco nel suo cervello.

“Namjoon, svegliati. Namjoon,” Namjoon non mugugnò neppure ma sprofondò ulteriormente sotto le coperte.

“Non possiamo fare tardi,” sussurrò di nuovo la voce di Seokjin vicino al suo orecchio mentre dita gentili gli scostavano i capelli dalla fronte.

Namjoon strizzò gli occhi forte e poi inevitabilmente gli aprì perché sapeva di non poter temporeggiare ulteriormente. Il suo sguardo assonnato mise a fuoco il volto di Seokjin che si trovava ben più vicino di quel che aveva immaginato. Namjoon dovette costringersi a non muovere nessun muscolo e possibilmente non fare qualcosa di stupido come indietreggiare.

Seokjin non aveva detto nulla al riguardo. Non aveva fatto alcun commento in merito ai silenzi che sempre più spesso sbocciavano tra loro due e tutte le nuove discrepanze che si intravedevano nella loro relazione. E neppure aveva detto qualcosa riguardo questa sua nuova abitudine nottambula. A Namjoon piaceva illudersi che Seokjin la trovasse una naturale progressione della loro rapporto.

Sospettava invece che dietro i lunghi sguardi che sempre più spesso Seokjin gli rivolgeva ci fossero molte domande che il maggiore non aveva il coraggio di chiedergli. Dopotutto Seokjin non era stupido, era in grado fare due più due, lo aveva visto andar via con suo padre ancora intero e lo aveva visto tornare il giorno dopo come lo spettro di se stesso. Se c'era qualcuno che non solo conosceva ma capiva l'effetto che le aspettative dei Kim avevano su un individuo, questo era lui.

Namjoon si chiedeva quanto, di tutto quello che gli era stato rivelato, Seokjin sapesse e se così era, come fosse in grado di rimanere non solo in piedi, ma anche di mantenere la sua sanità mentale di fronte a tale ingombrante verità.

“Adesso mi alzo,” Namjoon sospirò prima di rotolare su un fianco e alzarsi. Il movimento brusco per un attimo lo fece sentire disorientato ma anche così nulla avrebbe potuto dissipare quel senso di profonda stanchezza che gli era penetrato nelle ossa sin da quel fatidico giorno.

Namjoon gettò uno sguardo intorno a se nel tentativo di recuperare un po' di lucidità. Seokjin si era appena alzato a sua volta dal letto e gli dava le spalle, apparentemente intento a sistemare delle cose sulla sua scrivania. Era già vestito di tutto punto e le sue spalle apparivano rigide nella sua maglietta.

Seokjin stava solo cercando di dargli dello spazio. La possibilità di sgusciare in bagno senza dover spiegare il perchè di questo suo nuovo bisogno magari. Sarebbe stato normale per due anime gemelle dormire l'una accanto all'altra se non fosse stato che la loro relazione sin dall'inizio fosse stata disfunzionale. Per giunta la vicinanza che avevano così faticosamente costruito dopo che avevano deciso di venire allo scoperto, era fragile, e il non parlare poteva definitivamente compromettere quel poco di buono che avevano costruito.

Namjoon sapeva che era colpa sua, che si stava chiudendo in se stesso per essere in grado di sopravvivere e sapeva anche che Seokjin stavolta era più titubante all'idea di scavalcare ennesimo muro. Namjoon non lo biasimava affatto.

“Ci sarai anche tu stasera alle prove?” Seokjin gli chiese mentre Namjoon si stropicciava gli occhi. “No per fortuna. Il discorso spetta a te,” Namjoon disse stiracchiandosi.

Quel fine settimana Seokjin avrebbe dovuto tenere un discorso presso la nuova sede per l'accademia di belle arti costruita grazie ai soldi ricavati dai risparmi che lo stato era riuscito a fare dal disinvestimento nel corpo di vigilanza. Voleva essere ennesima occasione per ribadire come fosse il sistema il fattore determinante del sempre più decrescente tasso di criminalità. Ennesima verità pre confezionata. Nessuno parlava, infatti, dei fondi dirottati per infoltire le fila del corpo militare. O del sempre più crescente tasso di suicidi.

“Già,” Seokjin disse con un profondo sospiro le spalle che si abbassavano in rassegnazione. Per un attimo ebbe la terribile tentazione di lasciarsi andare e confessare tutto. Chiedere a Jin tutto quello che avrebbe voluto chiedergli, lasciare che l'altro entrasse nella sua testa e nei suoi pensieri orribili nella speranza che potesse servire a diradare la nebbia soffocante. Forse condividendo le loro paure avrebbero potuto in qualche modo sistemare tutto e trovare una soluzione.

“Beh, almeno così potrai rilassarti. Se vedi Yoongi salutalo da parte mia,” Seokjin buttò la forse in modo un po' troppo palesemente entusiasta.

Namjoon si irrigidì e vide il panico irradiarsi sul volto di Seokjin quando questi si rese conto di aver fatto l'osservazione sbagliata.

Namjoon provò una fitta di senso di colpa perchè Seokjin non poteva immaginare quella parte di verità, ma Namjoon dubitava avrebbe mai trovato il coraggio di raccontare quella parte a qualcuno.

“Certo. Vado in bagno. Aspettami pure in cucina, faccio veloce,” Namjoon disse frettolosamente prima di sparire in bagno alla velocità della luce.

Tanta fatica e tanto tempo insieme e poi era bastato un giorno soltanto per far fare loro diecimila passi indietro.

Non aveva avuto altra scelta che usare questi metodi per provare a gestire il marasma emotivo che ribolliva sotto la superficie. Sarebbe bastato poco, pochissimo perchè Namjoon perdesse il controllo e gli altri si accorgessero che il suo muro era fatto di carta e che sarebbe bastato un sussulto a far crollare il tutto e lui non se lo poteva permettere, non quando quello che avrebbe potuto lasciarsi scappare avrebbe finito col ferire fin troppe persone.

Perciò doveva insegnare a se stesso a resistere anche se significava allontanarsi dalle persone che amava per un po'.

Namjoon si lavò e sistemò in fretta, evitando di guardare l'immagine di se stesso allo specchio. Non credeva sarebbe riuscito a guardare se stesso in faccia.


 


 


 


 

La persona che Namjoon si era ritagliato presso la facoltà di economia era lontana anni luce da quello che era Namjoon veramente. Per i suoi compagni di corso lui era il giovane brillante che aveva demolito con velocità allucinante tutti gli esami del primo anno e iniziato quelli del secondo con sei mesi di anticipo. Per loro lui era l'anima gemella dell'erede al titolo consolare, Kim Seokjin.

Namjoon non aveva mai voluto la fama. Quando aveva sperato di poter intraprendere una carriera artistica il suo desiderio più pressante era stato quello di riuscire a far arrivare il suo lavoro a più persone possibili ma solo per l'intrinseco profondo piacere che provava nel sapere che le sue emozioni non erano uniche. Logicamente, sapeva che maggiore era il numero di persone coinvolte, maggiore sarebbe stata l'esposizione, ma la fama, la popolarità sarebbe stata una conseguenza non uno scopo.

Nell'ingenuità dei suoi sogni giovanili aveva pensato al riconoscimento che veniva dalla fama e non al peso che veniva da essa. La fama che si era immaginato Namjoon, era ben diversa da quella che derivava dall'essere un Kim. Non era sguardi avidi che si posavano su di lui e voci che sussurravano nei corridoi al suo passaggio.

La cosa peggiore era che tutta quell'attenzione non solo era non richiesta ma era anche vuota. Sembrava che tutti avessero timore di approcciarlo o di rivolgergli la parola a meno che non fossero argomenti strettamente accademici, col risultato che Namjoon non si era mai sentito così solo in vita sua.

Ad eccezione di Jin, in tutta l'università Namjoon poteva considerarsi vicino solo a Hyosang il quale tuttavia era un Kim a sua volta.

Namjoon si lisciò nervosamente le inesistenti pieghe della sua maglia quando a lezione finita si alzò dal suo posto in fondo all'aula e si diresse goffamente fuori dalla classe per andare in mensa.

Cercò di ignorare gli sguardi lungo i corridoi mentre si affrettava ad uscire dall'edificio.

Non sapeva se Seokjin ci sarebbe stato per pranzo. Aveva un lungo discorso da sistemare e imparare in pochi giorni e l'entourage del console sembrava avere tutta l'intenzione di trasformare quello stupido evento sui fondi, in una sorta di mini discorso da campagna elettorale. Il che sarebbe stato ridicolo, considerando che il concetto di elezioni democratiche era qualcosa che si poteva leggere solo nei libri di storia, se non fosse stato che Namjoon ormai sapeva quanto difettoso fosse il sistema su cui si basava la loro società e quanto necessario fosse il continuare con un aggressiva campagna di rafforzamento che sfociava nel lavaggio di cervello di massa vero e proprio.

Tuttavia quando finalmente uscì all'aria aperta e fuori da quell'ambiente claustrofobico, Namjoon ebbe a malapena il tempo di riprendesi per qualche attimo, aria fresca che come un balsamo gli entrava nei polmoni, che si trovò nuovamente in una situazione scomoda. A pochi passi da lui, seduto sulla gradinata della facoltà di economia c'era Yoongi.

Il quale, come se fosse stato avvertito da una qualche invisibile presenza, si voltò nello stesso istante in cui Namjoon si materializzò sulle gradinate.

“Sei qui,” Namjoon mormorò un po' inebetito mentre si avvicinava a passi lenti ma inevitabili verso il suo migliore amico.

“A volte anche le montagne devono muoversi,” Yoongi disse, il suo tono di voce privo di particolari inflessioni. Yoongi avrebbe dovuto essere arrabbiato, quantomeno seccato per il trattamento che Namjoon gli aveva riservato. Ma Yoongi aveva sempre capito la necessità della distanza e dei silenzi perchè lui stesso ne era un fruitore. Eppure il fatto che lui fosse li, che si fosse mosso invece di attendere, era significativo di quanto fosse grave la situazione in generale. Di quanto Namjoon stesse agendo fuori dagli schemi.

“Coraggio andiamo a mangiare qualcosa insieme. Mi sembra di non vederti da un secolo,” Yoongi continuò prima di alzarsi a scendere lentamente le scale. Namjoon sospirò prima di seguirlo.

Agguantarono un panino in una caffetteria vicino al campus e durante quasi tutta la durata del pasto, ad eccezione delle parole dette per ordinare, non parlarono affatto. Yoongi appariva stanco e portava ancora addosso i segni di quella profonda tristezza che si era impadronita di lui sin dal giorno della sua introduzione. Ma era vigile e molto più lucido dell'ultima volta in cui si erano visti e i suoi occhi neri scrutavano il viso di Namjoon in cerca di indizi. Tuttavia fu solo al momento del caffè che il maggiore si decise a scoprire le carte. Yoongi si guardò in giro, sguardo che saltellava da un angolo all'altro del locale come a voler raccogliere i pensieri, o il coraggio, prima che i suoi occhi infine si posassero su di lui.

“Non mi mandi più canzoni o testi e ci vediamo sempre meno. So che quest'ultima cosa è anche colpa mia, dei miei casini e delle mie nuove attività. Ma fino a prova contraria ero io quello si era rovinato la vita con le proprie stesse mani. Non tu. Forse non sei mai stato entusiasta dei Kim ma ero convinto ti trovassi bene con Seokjin. Ero quasi invidioso di quanto bene tu ti trovassi con la tua anima gemella, del tuo lieto fine. Ma poi sei piombato in casa mia e io non ti ho chiesto nulla, ma so cosa ho visto e ho aspettato che tu ne parlassi o, se volevi risolvere la cosa da solo, ho aspettato che tu lo facessi. Questo però non è accaduto e l'espressione del tuo viso è una conferma. Cosa diavolo ti è successo Namjoon?”

Namjoon fu così sorpreso dalle parole di Yoongi che il caffè gli andò di traverso. Sentì la mano di Yoongi battergli la spalla mentre lui cercava di non soffocarsi. .

“Si potrebbe dire che non è tutto ora quello che luccica,” Namjoon butto là dopo che si riebbe. Erano parole insufficienti. Erano parole ridicole. Ma cosa avrebbe potuto mai dire a Yoongi, a parte che desiderava non aver mai saputo nulla? Vide Yoongi inarcare scettico il sopracciglio.

“Non posso parlartene anche se volessi Yoongi. Segreto di stato,” Namjoon disse giustificandosi, cercando di guadagnare tempo.

“Non puoi pensare di cavartela così Joon. E non lo dico per me, lo dico per te. Qualsiasi cosa sia successa ti sta mangiando dall'interno e credimi ho parecchia esperienza al riguardo.” Yoongi disse mestamente.

“Non sto usando parole altisonanti solo per evitare di parlarne. Non c'è nulla di cui parlare,” Namjoon mentì a denti stretti. Yoongi non avrebbe dovuto sapere mai dell'esistenza di quel documento conservato da qualche parte in un cassetto del laboratorio. Mai.

“Smettila di raccontarmi frottole, quello bravo dei due a mentire sono io non tu. Coraggio parla, ti farà bene,” Yoongi insistette.

“Non è vero, non ci credi neanche tu,” Namjoon ribatté sulla difensiva. Yoongi gli lanciò uno sguardo penetrante e Namjoon allora seppe che aveva i secondi contati. Percepì immediatamente il cambio di umore.

“Si, hai ragione. Qualcosa che ti ferisce così continuerà a farti male finchè non avrà esaurito il suo corso, ma continuare a mentire è una sofferenza aggiuntiva inutile. Pensavo che tra i due quello intelligente fossi tu,” Yoongi disse. “Non starai meglio, no. E io non potrò capire così come tu non hai capito le mie scelte. Ma ti farà sentire meno isolato nel tuo inferno personale.

Yoongi gli stava offrendo l'occasione di togliere il primo mattone di carta e Namjoon desiderava tanto poterlo fare. Non poteva far crollare il muro, non ancora, ma almeno un po' di quello che lo torturava, almeno un po' sperava di avere il diritto di dire.

“Cosa vuoi sapere Yoongi? Che odio la mia nuova vita? Si la odio con tutto me stesso così come odio abitare sotto quel tetto, eppure ora quella è casa mia. Odio le loro maledette regole, odio il loro dannato stile di vita e detesto che ogni cosa sia già stata decisa per me. E soprattutto odio il fatto di non avere scelta e di non poter seguire il cammino che avevo sognato. Darei qualsiasi cosa per essere chiunque altro. Chiunque. Eccetto chi mi tocca essere.” Namjoon sputò fuori, erano cose che aveva sempre pensato, cose che aveva nelle viscere e lo avevano avvelenato dall'interno lentamente. Eppure il suo tono era distaccato, freddo, come se stesse commentando la vita di qualcun altro e non la sua.

Sconcerto puro fu l'emozione che vide dipinta sul volto del suo amico quando infine sollevò lo sguardo dalla sua tazza vuota.

“Non me lo avevi mai detto,”Yoongi disse cercando di controllare il proprio tono per non far pesare il suo shock su Namjoon.

“Non avrebbe fatto differenza alcuna,” Namjoon rispose distogliendo lo sguardo. “O forse ho semplicemente tenuto la testa nascosta sotto la terra fino ad ora.”

“Ma non odi Jin,” Yoongi aggiunse dopo un lungo silenzio. Non era una domanda. Non era una domanda affatto.

“No. Non potrei mai. Lui è importante. E forse questo è il problema,” Namjoon ammise, un sorriso amaro che si faceva strada sul suo viso. Lo stesso che adornava le labbra di Yoongi.

“Già. C'è spazio, vero? Sembra impossibile ma c'è spazio per sentire tutto.”

Ah. Namjoon si rese conto solo allora quanto gli era mancato confidarsi con un amico. Condividere.

Le loro problematiche erano diverse, cosi come diverse erano le loro responsabilità a riguardo, ma Yoongi certamente sapeva cosa voleva dire vivere divisi e se era questo il dolore che si era portato dentro era difficile capire come facesse Yoongi ad apparire così completo. Ma del resto si chiedeva come lui stesso non fosse uscito urlando dalla villa dei Kim.

Yoongi non gli disse che sarebbe andata meglio, né gli desse parole vuote di conforto. Se ne stette invece li, seduto di fronte a lui, con un cuore altrettanto in pezzi a condividere in silenzio il suo dramma. Come entrambi sapevano bene quel momento di verità non valeva una consolazione e Namjoon non si sentiva affatto meglio, dubitava qualcosa sarebbe mai riuscito a farlo, ma era qualcosa. Namjoon voleva credere che confessare infine almeno una parte delle proprie paure avrebbe potuto dargli la determinazione che gli serviva per tirare avanti.

Se ne andarono dal locale poco dopo. Yoongi fece la strada di ritorno con lui fino alla sua aula come se volesse assicurarsi che Namjoon ci arrivasse intero.

Namjoon pensò con nostalgia ai tempi in cui tutto era semplice, a quella stanzetta buia e fumosa dietro il pub dove avevano provato innumerevoli volte il repertorio musicale composto insieme. Quando ancora un futuro brillante appariva possibile.

Namjoon si aggiustò la tracolla sulla spalla e dopo aver salutato Yoongi con un cenno, rientrò in aula per un altro giro di routine.


 


 


 


 

Era un sabato mattina.

Seokjin era sparito seguito da uno staff di preparatori in qualche momento a metà mattinata e Namjoon era rimasto indietro nella villa Kim. Avrebbe tanto preferito andare direttamente con lui e, a giudicare dall'espressione corrucciata di Jin, anche lui era stato dello stesso avviso.

Namjoon decise di distrarsi e trascorrere quelle poche ore libere in biblioteca. Dubitava avrebbe avuto il permesso di uscire e non aveva voglia di immergersi in qualcosa di più impegnativo di un libro.

Tuttavia la sua speranza di poter avere un momento per se stesso e rilassarsi prima di venire lanciato anche lui nella mischia si rivelò ben presto vana. Sembrava che tutti nella casa Kim si fossero messi d'accordo per rendergli la vita più difficile.

La madre di Seokjin, infatti, che fino ad allora non gli aveva rivolto più di qualche stucchevole parola di cortesia, si materializzò sulla porta della biblioteca con l'aria di avere qualche cosa di più da dire di un saluto. Namjoon dovette sbattere le palpebre più volte perchè davvero non riusciva a trovare un motivo per cui la signora Kim potesse trovarsi li. Sebbene le fosse grato per non essere neanche lontanamente inquietante come il signor Kim, aveva sempre pensato a lei come a una figura decorativa nella vita della famiglia.

“Namjoon. Mi dispiace interrompere le tue attività. Speravo tu riuscissi a dedicarmi un attimo del tuo tempo. Ho aspettato l'occasione di parlarti molto a lungo.”

Namjoon non capì minimamente cosa lei volesse dire con quelle parole ma si trovò lo stesso ad annuire. Aveva dei modi troppo gentili e aggraziati perchè lui o chicchessia potessero essere veramente scortesi con lei.

La signora Kim gli sorrise mentre spostava la sedia accanto alla sua e si sedeva al tavolo dove lui aveva lasciato il suo libro aperto. Lo colpì subito come quell'immagine gli ricordò il modo in cui Jin gli sedeva accanto e si sporgeva dalla sua sedia per spiare il suo libro, con quel suo modo di fare a cui era impossibile opporsi.

Namjoon ne dedusse che il fascino dovesse essere un elemento che gli veniva direttamente da sua madre.

“Non abbiamo mai parlato io e te, vero? Non è stato un caso Namjoon, ma non pensare, nemmeno per un attimo, di essermi dimenticata di te. Ci sono molte cose nella nostra famiglia e nel nostro stile di vita di cui voglio parlarti che ti sarebbe suonate incomprensibili se te ne avessi parlato sin dall'inizio. Ormai abiti qui da più di anno però, ti ho visto arrivare un po' spaesato e inesperto e ti ho visto poi crescere nella persona risoluta che vedo adesso. So che hai ancora molta strada davanti a te da fare e so anche che non sarà affatto facile percorrerla. Tuttavia sono stata una consorte del primo console molto prima di te e vorrei esserti d'aiuto con la mia esperienza. La tua anima gemella diventerà il primo console e il suo compito sarà molto difficile e gravoso. Lo cambierà. Ne smusserà gli angoli spesso con violenza. Per questo è fondamentale che tu mantenga un equilibrio per entrambi. Vedo tempi bui all'orizzonte Namjoon e tu dovrai essere pronto.”

Era più facile mantenere il contatto visivo con la signora Kim, il suo sguardo infatti appariva molto meno carico della durezza che caratterizzava il signor Kim. Questo non significava fosse più facile trovarsi faccia a faccia con lei. Come il suo numero uno, lei sembrava determinata a dire la sua senza avere intenzione alcuna di chiedere l'opinione di Namjoon.

“Lei sa della falla del sistema,” Namjoon disse allora, interrompendola. Era stanco di lasciare che tutti lo raggirassero nel modo che a loro faceva più comodo. Era arrivato il momento di smettere con parole vuote e dire le cose come stavano.

La signora Kim tradì un attimo di esitazione. Era evidente che non si era aspettata una reazione da parte sua e Namjoon era internamente soddisfatto di stesso. Tuttavia la sua incertezza durò molto poco. Piantò i suoi occhi neri, così diversi da quelli di Jin, nei suoi e quindi rendendosi conto che giri di parole non sarebbero serviti con lui, cambiò tattica.

“Certo che lo so,” disse lei in tono schietto, gettando via la maschera. Namjoon allora vide la donna dietro l'uomo, quella che con la forza del suo carattere aveva trascinato in avanti il suo numero uno tutte le volte che aveva tentennato, quella che aveva abbellito le sue bugie, e quella che con la sua immagine irreprensibile e di gran lunga più gradevole, aveva reso possibile il mantenimento dello status quo.

“Lo so da quando ho messo piede in questa casa. Hanno portato anche me nel laboratorio proprio come è successo a te e come te la mia mente si è ribellata di fronte al terribile paradosso. Non c'è nessuno qui che, più di me, sappia cosa tu possa aver provato. Ma so anche che lo supererai, perché l'ho fatto io.”

Ma cosa avevano tutti i Kim di quella casa da pretendere di sapere come lui si sentiva? Non gli importava quante persone fossero riuscite a superare quello che loro ritenevano un'inevitabile prova. Non significava che lui sarebbe riuscito a farcela.

“Ci sono molte ragioni per cui mi sono fatta forza Namjoon, lo status per dirne una, i soldi, la mia famiglia. Ma io amavo la mia anima gemella e credo che in fin dei conti il tutto si può riassumere in questo. Non saremmo tutti disposti a fare qualunque cosa per la persona che ci è stata affidata?”

La signora Kim non aveva fatto finta, non che avrebbe potuto essere credibile considerando che sapeva della falla, che l'anima gemella fosse qualcosa di più di un'assegnazione a tavolino, eppure le sue parole implicavano un senso fortissimo di responsabilità.

“Io e la mia anima gemella abbiamo avuto un figlio e la mia è una vita invidiabile sotto ogni punto di vista. Non credi che il benessere del tuo numero uno e la sicurezza di tutti valgano un sacrificio personale? Mio figlio Seokjin ha bisogno di te.”

C'era qualcosa di malato nel modo che avevano queste persone di esprimersi. Parlavano di benessere e bene comune e gettavano nel dimenticatoio particolari nefasti con facilità allarmante, pur sapendo quanto la gioia di una parte pesasse sull'altra. Non si facevano scrupoli a usare e sfruttare chiunque fosse utile alla famiglia a mantenere le apparenze. Persino il loro stesso figlio.

Seokjin era una persona in gamba, forte e risoluta.

Ma qualcuno gli aveva mai chiesto se aveva bisogno di aiuto o cosa volesse fare davvero nella vita? Namjoon si trovò a chiedersi se qualcuno lo avesse mai fatto allo stesso momento in cui si rese conto che neppure lui se ne era dato pena.

Seokjin lo aveva portato con se al centro ricreativo ma lui non aveva insistito o provato a capire le sue ragioni più a fondo.

Su una cosa tuttavia i genitori di Seokjin avevano ragione. Questa era la loro vita, che piacesse a loro o meno, questa era la loro vita. E se questa era la loro vita e visto l'attaccamento che Namjoon sentiva per Jin, allora andava da se che sarebbe stato difficile per lui opporsi. Mollare. In fin dei conti la signora Kim aveva ragione, Namjoon avrebbe fatto il sacrificio personale, lo stava già facendo,lo aveva capito quel maledetto giorno.

Non era carino però che loro glielo ricordassero a ogni pie sospinto, non come se fosse una sua scelta. Ma come un obbligo.

“Seokjin ha bisogno di te,” riprese la signora Kim. “Ma anche questa famiglia. Questa frase può suonarti spaventosa alla tua età, ma non sarai solo. La famiglia sarà al tuo fianco e ci sarò io a guidarti nel tuo ruolo,” lei concluse, quasi dolcemente, mentre la sua mano si allungava per prendere quella di Namjoon.

Forse la signora Kim era sincera, forse credeva davvero nella giustezza del loro compito, e nel ruolo che loro erano chiamati a ricoprire. Se ciò era vero, le sue ragioni, essendo più profonde, erano più inamovibili.

Namjoon sentì come se un artiglio, e non una mano aggraziata, fosse ciò che lo aveva afferrato.

Per fortuna lei non rimase a lungo. Se ne andò poco dopo, lasciando dietro di se una scia di profumo ed ennesimo peso sulle sue spalle.

La signorina Choi assieme allo staff della villa vennero a prenderlo poco dopo per trascinarlo verso il prossimo inevitabile impegno. Namjoon si sentiva la testa ovattata come se qualcuno vi avesse infilato della segatura a forza e a lui non gli riuscisse più di far girare gli ingranaggi.

Si vestì con movimenti meccanici e pranzò velocemente nella cucina della villa mentre la signorina Choi lo aggiornava sul da farsi. Seokjin era andato con il signor Kim a un breve pranzo con i senatori a loro più vicini. Voleva essere un'occasione informale ma il fatto stesso che i rispettivi numeri uno non fossero stati invitati faceva pensare che fosse stato un incontro più politicizzato del previsto. Il signor Kim stava iniziando a gettare le fondamenta di quella che sarebbe stata l'autorità futura del figlio e, per estensione, la sua.

La signora Kim si fece viva solo al momento di andare e a quel punto Namjoon avrebbe preferito che lei avesse continuato a tenere le distanze. Aveva il terribile sospetto che quel giorno avesse segnato l'inizio di ulteriori spiacevoli ingerenze nella sua vita avercela. Non la voleva accanto a tenerlo d'occhio con la scusa di prendersi premurosamente cura di lui, eppure ancora una volta sembrava non avere scelta.

La madre di Seokjin si sedette con lui invece nei sedili posteriori della macchina, gli rivolse un sorriso affettuoso e infine, e Namjoon si senti raggelare, si sporse in avanti per sistemargli il colletto della camicia, come era solito fare Jin. Un gesto che doveva aver visto sua madre fare a suo padre un milione di volte e che era finito col imprimerglisi dentro.

Cura, affetto, legami, e una spirale che si chiudeva intorno a lui più forte di qualsiasi comando.

La macchina si mise in moto e lui venne trascinato verso la sua prossima destinazione, verso ennesimo evento da Kim.

L'accademia di belli arti gli si erse davanti in tutto il luccicante splendore poco dopo. Era un posto che ora più che mai appariva da sogno agli occhi di Namjoon, il quale si rendeva conto che in futuro avrebbe potuto frequentare posti come quello solo in quelle occasioni.

Namjoon si considerava un compositore piuttosto decente. Non era stato sempre stato così e c'era voluto un sacco di tempo e Yoongi per mettere ordine nella sua confusionaria necessità espressiva . Non gli era mai passato per la testa di seguire la via accademica e studiare musica, tuttavia l'aria che si respirava in quei corridoi era di una libertà tale che Namjoon moriva di cocente e bruciante invidia.

Namjoon non era un numero zero, a lui era concesso di perseguire una carriera artistica se fosse stato suo desiderio e accettare di non poterlo fare comunque, era una ferita sanguinante che lui sapeva che non si sarebbe rimarginata mai, neppure sotto strati di sentimenti e amore.

Come diceva bene Yoongi nei nostri cuori c'era ampio spazio per provare tutto.

L'entourage dei Kim li guidò attraverso il labirinto dei corridoi e verso l'auditorium dove si sarebbe tenuto il discorso del primo console Kim e dell'erede mentre guardie del corpo lo scortavano e li schermavano da sguardi curiosi ed indiscreti di estranei.

Namjoon guardò dritto davanti a se, ancora disorientato e ferito dalle parole che gli erano state rovesciate addosso, eppure quando infine la porta dell'auditorium si aprì e lui e la signora Kim vennero fatti accomodare nei posti più vicini al pulpito a loro riservati dall'accademia, lo sguardo di Namjoon trovò subito quello di Seokjin, e capì in fine il peso reale di quello che la signora Kim aveva cercato di dirgli.

Io amavo la mia anima gemella, aveva detto e Namjoon comprese che di tutte le ragioni che la famiglia poteva fornirgli, quella era quella che sarebbe contata di più, l'unica che alla signora Kim sarebbe bastato nominare.

Namjoon provava tanto, troppo nei confronti di Seokjin. Era la sua debolezza, era la loro arma. Namjoon si era così attaccato all'altro da risultargli intollerabile l'idea di tradirlo.

Lui avrebbe fatto qualunque cosa per Seokjin. Come solo qualcuno che amava avrebbe fatto.


 


 


 


 

Seokjin era stato magnifico. Namjoon lo sapeva già ma mai gli era stata più evidente la bravura di Seokjin di fronte ad un pubblico. Non erano la sua perfetta dizione o il tono di voce con cui declamava un discorso, quello che affascinava le persone. Era la sua persona, quel suo viso affabile e modo di fare amichevole, a conquistare tutti, ingentilendo il titolo che si portava dietro. Era un livello di affabilità che il primo console Kim non avrebbe mai raggiunto.

Il signor Kim aveva visto giusto quando aveva detto che suo figlio era il volto che stavano aspettando. Namjoon si chiedeva se avesse visto giusto anche in lui. Se osservando i suoi dati sputati fuori da quella macchina avesse visto esattamente quello che a loro serviva. Ma non glielo aveva forse confessato, non glielo andavano dicendo tutti quanto fosse opportuna l'unione tra lui e Seokjin?

La persona che mi è stata assegnata. Jin era la sua e lui era quella di Jin.

Namjoon rimase al fianco di Jin per tutta la durata dell'evento, facendo del suo meglio per sorridere di fronte ai fotografi, ma poi a metà pomeriggio iniziò a sentirsi male. La sua emicrania era iniziata in qualche momento dopo pranzo e lui aveva quindi proceduto a imbottirsi di antidolorifici solo per poter essere in grado di assistere al discorso di Seokjin tuttavia sapeva che il mal di testa si sarebbe rifatto vivo più tardi e più violento.

Namjoon si catapultò fuori dall'abitacolo non appena la macchina che li stava riportando alla villa si fermò. La sua testa non gli sembrava più piena di segatura ma un grido continuo.

“Namjoon,” Seokjin lo chiamò preoccupato, cingendogli i fianchi con un braccio. Si era accorto subito del suo malessere. Era stato lui a insistere di tornare presso la villa Kim e visto il successo del suo discorso la famiglia non si era opposta.

Seokjin lo guidò all'interno della villa, la sua presenza calda e confortante. Namjoon era la persona che gli era stata affidata dopotutto eppure era più di questo, era più di questo per entrambe.

Namjoon sentì Seokjin dare delle istruzioni al personale mentre lo guidava attraverso la villa e Namjoon gliene fu grato e si lasciò condurre in camera sua.

“Magari una doccia può aiutarti, ti farò portare del te e degli antidolorifici,” Seokjin suggerì massaggiandogli la schiena.

“Dubito questo mal di testa se ne andrà mai,” Namjoon disse brusco ma poi sentendosi in colpa per aver usato quel tono con Jin aggiunse subito,” ma grazie.” Seokjin annuì, lo sguardo ancora preoccupato. Il suo volto tradiva un'ombra ansiosa tuttavia non disse altro e lo lasciò libero di scivolare in bagno.

Al suo ritorno Namjoon lo trovò seduto sul suo letto con la giacca ancora addosso e la cravatta intorno al suo collo ancora perfetta nel suo doppio nodo stretto. C'era una tazza di tè fumante sulla scrivania che aspettava lui e un'altra nelle mani di Jin, il quale tuttavia sembrava non essersi accorto della sua presenza e fissava dritto davanti a se. Seppure fosse Namjoon quello con l'emicrania in qualche modo quello in pena sembrava Jin.

“Seokjin?”fu la volta di Namjoon di chiamare il suo nome. Seokjin per un momento parve non averlo sentito ma poi Namjoon lo vide inspirare, stringere forte la tazza come se volesse aggrapparsi ad essa, e poi voltarsi. Dal suo sguardo e dalle parole che seguirono fu evidente che avesse preso una decisione.

“Tu non sei felice qui,” Namjoon sentiva le gocce d'acqua dei suoi capelli ancora bagnati scivolargli sotto la maglia e lungo la schiena, ma non fu quello a farlo rabbrividire. Fu la certezza con cui Seokjin aveva parlato e il rendersi conto che Seokjin era sempre stato in grado di leggergli dentro nonostante tutti i suoi più disperati sforzi di mantenere le apparenze.

Namjoon se ne stette lì, impalato e immobile, l'asciugamano che si era portato dietro per finire di asciugarsi i capelli, che pendeva inerte e triste dalla sua mano destra.

“Tu lo sei?” Namjoon chiese allora perché era importante per lui sapere cosa provava Seokjin dal momento in cui aveva realizzato di non averglielo mai chiesto. Che forse nessuno glielo aveva chiesto mai.

Seokjin sospirò, il suo sguardo si spostò lungo il tappetto evitando di guardare Namjoon.

“Questa è la mia vita. Sin da piccolo ho sempre saputo cosa si aspettavano da me e ho cercato con tutto me stesso di infilarmi dentro delle vesti che non sentivo mie e che eppure lo erano. L'ho fatto perchè amo la mia famiglia e perchè sentivo fosse un mio dovere. Eppure più crescevo, più il peso di quello che mi si chiedeva diventava soffocante come se delle pianti rampicanti si avvolgessero strette intorno al mio corpo per annientarmi. Ma lo accettavo, ero ingenuamente convinto che a tempo debito avere qualcuno al mio fianco a condividere il mio giogo lo avrebbe reso più leggero. Sopportabile. Ho desiderato così tanto incontrarti ancor prima di sapere che eri tu la mia anima gemella. Avrei dovuto immagine che avresti demolito ogni mia supposizione, che avresti superato ogni mia aspettativa,” concluse con un sorriso malinconico.

“Non so cosa ti abbia detto mio padre o cosa ti abbia detto mia madre. Ma se hanno detto le stesse cose che hanno detto me e che mi hanno ripetuto sin da quando ero piccolo posso immaginare un pochino quanto possa essere stato destabilizzante. Io però ho avuto anni per abituarmici mentre tu ci sei stato trascinato. Ho desiderato la mia anima gemella perché credevo che avremmo potuto condividere i bei momenti, non ti ho mai voluto con me perché tu condividessi le mie brutture.”

Namjoon chiuse gli occhi per un attimo, assaporando quel momento mentre le sue tempie pulsavano di una nuova certezza.

Dopotutto non era importante se esisteva un documento segreto nascosto in uno dei cassetti di quel maledetto laboratorio che diceva che Seokjin non era per lui e lui non era per Seokjin. Non gli importava un accidenti se là fuori c'era qualcun altro per entrambi e la loro unione era quindi solo frutto di corruzione e calcolo.

Questo Namjoon imperfetto e rabbioso, si era innamorato di Seokjin.

Amava da inesperto e della frenesia di chi è stato colto alla provvista, ma amava come chi non vorrebbe mai smettere di essere l'ombra dell'altro anche se questo lo condannava al buio.

Si avvicinò a Jin allora, gli prese la tazza vuota dalle mani, la appoggiò sul comodino perché non riusciva a vedere come erano diventate bianche le sue nocche per la pressione esercitata su di essa, e disse,

“siamo anime gemelle. Se questa è la tua vita, allora è anche la mia.”

Avrebbe potuto dire un sacco di altre cose, quello che si portava dentro, ma in quel momento dire a Jin che lui ci sarebbe stato, nonostante tutto, sembrava la cosa più importante.

Seokjin, che era stato così attento a non iniziare il contatto fisico tra di loro sin da quella concitata sera in cui erano usciti allo scoperto, abbandonò ogni prudenza. Namjoon fu felice di poter ritornare l'abbraccio quando Seokjin, il suo numero uno, gli gettò le braccia al collo.

“Ti amo,” Seokjin sussurrò piano, pianissimo, al suo orecchio quasi avesse paura di farsi sentire mentre confessava l'unica verità che a Namjoon faceva piacere risentire.

Namjoon affondò le sue dita nella stoffa della sua giacca.


 

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

   
 
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