Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    04/11/2018    0 recensioni
La luce obliqua di un tramonto di settembre nasconde un sentimento mai sopito, il buio della notte lo protegge, ma la luce del giorno illumina senza pietà la realtà.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Mentre era ancora inginocchiata nel banco, le mani giunte, il suo volto si contrasse in un’espressione di disappunto che via via prese il posto dell’iniziale stupore. Non disse nulla e lui restò immobile, in silenzio. Tutto rimase sospeso.
-Avevo sentore che vi avrei trovata qui. – esordì Antonio, cauto, con un tono conciliante, lasciando delicatamente richiudere dietro di sé la porta. La chiesa precipitò nella semioscurità.
Anna si levò in piedi e lo fissò torva.
-Perché continuate a seguirmi? – domandò con aria minacciosa, rievocando l’episodio della sera precedente.
- Perché ho bisogno di parlarvi. È dai ieri che cerco di farvelo capire. – spiegò, pacato, compiendo qualche passo lungo la navata.
- Ma io non ho alcuna intenzione di parlare con voi. – ribatté lei accigliata, senza smettere di fissarlo con sguardo freddo. Uno sguardo talmente penetrante e, nello stesso tempo, cupo, che lo fece rabbrividire.  Uno sguardo che mai aveva incrociato. Che le era successo? Quali oscure sofferenze aveva dovuto patire e pativa tuttora? Ma l’orgoglio quello no, non le mancava nemmeno allora, brillava più che mai nei suoi occhi scuri. Quell’orgoglio le avrebbe impedito di fare anche il più piccolo passo verso di lui.
-Ve ne potete andare, per quanto mi riguarda. – gli ordinò con fare padronale, quello della marchesa nei confronti dell’umile medico di campagna, non quello dell’Anna che aveva conosciuto. Antonio non si decideva a fare dietrofront e lasciare quella chiesa, ad abbandonare quello che era il suo proposito: aprire un varco di dialogo con lei.
- Perdonatemi se vi ho disturbato, ma lasciate che vi spieghi…- abbozzò incerto, per prendere tempo.
- Andatevene, ho detto! – la sua voce squassò il silenzio della chiesa e suonò come inappropriata per un luogo sacro, quasi blasfema. Se ne pentì subito, Anna, e si fece immediatamente un segno di croce a mo’ di espiazione.
Antonio, rassegnato, ormai inerme di fronte a tale risposta, fece per ritirarsi, aprire la porta e andarsene.
Quando la porta cigolò sui cardini e la luce filtrò prepotente per poi spegnersi a poco a poco dietro alle spalle di lui, Anna si pentì per la seconda volta di quell’ordine poco garbato a cui era stato troppo prontamente obbedito.
-Aspettate! – gli gridò, raggiungendolo con passo rapido sul piazzale esterno. Antonio si stava già incamminando, si dominò per non voltarsi immediatamente: voleva avere la certezza del ripensamento di lei, temeva che fosse soltanto una trappola per rinfacciargli di nuovo di averla cercata.
- Non ve ne andate, vi prego. Ho sbagliato poco fa, vi chiedo perdono. – lo supplicò con voce che non pareva neppure appartenerle, un tono remissivo, docile, affranto.
Lui fermò il passo e si fece raggiungere. Il vento autunnale spirava tutto intorno, staccando le prime foglie dagli alberi, mulinando la polvere sul piazzale, scompigliando loro i capelli. Si venne a trovare a poca distanza da lei, gli occhi negli occhi.
-Vi perdono. – le rispose laconico, studiando ancora poco convinto il suo volto.
- Ho sbagliato a trattarvi in quel modo e me ne scuso. – aggiunse lei desiderosa di non far cadere il filo del discorso, di giustificarsi, di trattenerlo lì ancora per qualche istante.
- Modo non tanto dissimile da quello che assumete di solito verso di me. – precisò lui, critico, anche se dentro di sé gioiva di quella richiesta di perdono: un primo cedimento del suo dannato orgoglio.
- Non nego di essermi comportata in modo poco cordiale nei vostri confronti, ma se l’ho fatto ho i miei buoni motivi, che mi sembra superfluo spiegare: li conoscete già. – si difese assumendo nuovamente il solito tono freddo, distaccato, rimangiandosi quei piccoli passi di apertura che aveva fatto verso di lui.
- Anna, io non voglio discutere di questo con voi, non voglio rinfacciarvi nulla. E’ da ieri che cerco di parlarvi per un altro motivo. –
- E quale sarebbe questo motivo? – domandò quasi beffarda.
- Voi state soffrendo, non negatelo, ve lo si legge in faccia. – rispose a bruciapelo, fissandola dritto negli occhi.
Anna ammutolì. Contraddirlo non poteva, assecondarlo chissà dove l’avrebbe condotta. Abbassò lo sguardo e, nervosa, prese a torcersi le mani, fissandosi la punta delle scarpe. Per qualche istante si sentì solo il frusciare delle foglie del vicino bosco sul piazzale illuminato dalla luce radente del tramonto autunnale.
-State soffrendo e volete nasconderlo a tutti, agli amici di famiglia, alla servitù, a Fabrizio, a vostro marito…- proseguì lui. – Ma non potete in alcun modo nasconderlo a me. – concluse, infine, avvicinandosi, troppo forse.
- Che dite? Non sto nascondendo nulla. È naturale che sia addolorata per la morte di mia madre…- abbozzò una giustificazione, divagando con lo sguardo.
- Allora perché nascondervi in questa chiesa? Perché sparire dalla vista di tutti? Fabrizio è in pensiero per voi, e anch’io…-
- Basta! – lo interruppe concitata. – Basta! Non sapete nulla della mia vita, e non avete diritto di sapere nulla! Io sto bene, se è quello che vi preoccupa, se siete venuto fin qui per lavarvi la coscienza. -
- Sai benissimo che non sono qui per lavarmi la coscienza. – la interruppe tutt’un tratto. Quel brusco passaggio al tu sconcertò entrambi: Anna si irrigidì, senza neppure riuscire ad abbozzare un tentativo di replica a quell’interruzione, Antonio abbassò il capo, farfugliando delle generiche scuse.
- Ecco, vedete, perdonatemi se mi sono permesso, ma…-
Dopo qualche istante di imbarazzo, Anna riprese in mano la situazione:
-Antonio, non fingiamo, non ce n’è bisogno. Un tempo non avremmo trovato imbarazzante darci del tu, anzi ci sarebbe sembrata la cosa più naturale. Perché siamo arrivati a questo punto? Non lo so, non ho mai saputo spiegarmelo. – Dopo aver pronunciato queste parole, si voltò dandogli le spalle: le era diventato insopportabile il suo sguardo, limpido e mite come sempre, ma imbarazzato come non lo era un tempo. Un abisso ormai si era interposto fra loro, un abisso di parole non dette, di accuse sottaciute, di scuse che non sia aveva mai avuto il coraggio di pronunciare.
- Mia madre è morta. Mi ha estromesso dalle sue ultime volontà, mentre una serva prendeva il mio posto nel suo cuore e nel suo testamento. Mi ha lasciata sola, in balìa di un marito vizioso che lei ha scelto per me. Ed ora che mi resta? Nulla, al di fuori di mia figlia. – proseguì con voce stentata, quasi parlasse tra sé e non volesse che Antonio udisse. Ma lui le si era avvicinato e non s’era perso una sola parola.
- Anna, mi dispiace. Mi dispiace per non essere riuscito a mantenere in vita tua madre; mi dispiace che tu ora stia soffrendo, come ti si legge chiaramente negli occhi; mi dispiace più di tutto che tu ti senta sola. È anche colpa mia. – le dichiarò alle sue spalle, traendo infine un profondo sospiro. Anna si voltò infine e lui immediatamente rialzò lo sguardo su di lei, il dispiacere negli occhi. Anna interruppe il contatto scuotendo il capo.
- Che differenza fa, ormai? Che sia colpa tua, che non lo sia. La mia vita è segnata, questa è la realtà.- lo squadrò con aria rassegnata, la severità stava lasciando il posto alla nostalgia.
Il sole era ormai tramontato, l’aria si faceva più frizzante, il crepuscolo inghiottiva le ombre, la natura abbandonava i ritmi diurni per far posto ai rumori della notte. Nessuna presenza umana, tranne loro due.
-Non dire così, non è vero. Niente è compromesso, tutto si può aggiustare, se si vuole. – la guardava dolcemente, sforzandosi di infonderle speranza. Era del tutto consapevole della difficoltà della situazione, di tutti gli ostacoli, i vincoli, le imposizioni a cui lei doveva necessariamente sottostare, prima fra tutte, il decoro della famiglia.
- Aggiustare che cosa? Non c’è più nulla che si possa aggiustare. Domattina Emilia ed io lasceremo Rivombrosa, non ha più alcun senso la mia presenza qui: questa non è più casa mia, ma di quella serva, di Elisa. Raggiungerò mio marito in città, quello è il mio posto. – rispose amara, inchiodandogli addosso quegli occhi d’ebano, tanto penetranti quanto desolati.
Questa rivelazione non poté lasciare indifferente Antonio.
-Lascerete Rivombrosa? Non ne avete motivo, Fabrizio sarebbe felice se vi fermaste ancora qualche giorno, anche Emilia credo che preferirebbe stare qui ancora un po’, farebbe bene anche alla sua salute. – tentò di dissuaderla facendo appello alla ragionevolezza.
- No, Antonio, non resteremo. Ci sono vincoli da rispettare. Mio fratello ha ereditato questa tenuta, io non voglio starci da ospite. E mio marito non gradirebbe che mi fermassi ancora: ci attende a palazzo Radicati al più presto. – tagliò corto lei, con il cipiglio di chi sa di compiere l’azione giusta, anche a costo di mettere da parte i propri desideri.
Antonio trattene per un istante lo sdegno che gli aveva invaso la mente a queste parole. Suo marito? Che se n’era fuggito senza alcun riguardo a cerimonia funebre non ancora conclusa? Che le si era rivolto in quel modo ipocritamente cerimonioso per nascondere ai presenti la smania di andarsene? Che cosa tornava a fare, a Torino, se non per darsi alla pazza gioia insieme a quei viziosi dei suoi nobili amici? Non poteva comprendere il perché Anna si ostinasse a tributargli obbedienza, lei che con tutti gli altri si mostrava così risoluta, al limite della superbia.
- Questo non è un valido motivo, anzi, al contrario, dovresti stargli alla larga il più possibile. – si limitò a risponderle, laconico, piantando quegli occhi vividi e azzurri in quelli foschi di lei. 
-Sono sua moglie: anche se volessi, non potrei stargli alla larga. E poi, chi sei tu per dire una cosa simile? Chi sei tu per giudicare? – reagì in modo scomposto Anna, cercando disperatamente di evitare il suo sguardo.
- Non sono nessuno, è vero, ma non ho potuto fare a meno di notare il suo comportamento. Non ignorerai certo il motivo per cui se n’è andato. – le rispose circospetto, consapevole del fatto che si stava addentrando in un terreno rischioso.
- Che cosa vorresti insinuare?- domandò , lo sguardo fiero ma al tempo stesso minato da una vena fragilità.
- Lo sai. Non mi permetterei mai di mancarti di rispetto ribadendo ciò che è chiaro. – rispose Antonio, continuando a fissarla negli occhi con aria grave.
- Chiaro a chi? –
- Chiaro a tutti, Anna. Soprattutto a tuo fratello Fabrizio.-
- Come fai a dire questo? –
- Me l’ha detto lui stesso. –
- Che vergogna, che vergogna…- sibilò sommessamente, dando le spalle ad Antonio perché non scorgesse il turbamento sul suo volto. Antonio fu svelto ad afferrarle il polso, una stretta delicata ma decisa.
- No, Anna, no. Tu non hai nulla di cui vergognarti. – le disse dolcemente.
 Anna si voltò piano, titubante, incerta. Si voltò, ma senza sollevare lo sguardo, timorosa di incontrare gli occhi di lui. Non disse nulla, si limitava a trattenere le lacrime, a non permettere loro di tradire la sua debolezza di quell’istante. Ma non ci riuscì. Antonio se ne accorse e prese ad accarezzarle le guance, asciugando le lacrime che avevano iniziato a rigarle il viso.
Si vennero a trovare fronte contro fronte, le mani nelle mani, mentre il buio ormai calava intorno, il freddo dell’autunno si insinuava con sporadiche raffiche di vento. Non parlavano, si limitavano a stare fermi, così, senza parole che in quel frangente sarebbero risultate solo superflue. Infine le loro labbra non poterono far altro che avvicinarsi, lentamente, delicatamente; le loro mani si lasciarono per carezzare le guance, passare fra i capelli, stingere, abbracciare.
-Non l’avrei mai creduto possibile. – le sussurrò lei all’orecchio, ripercorrendo nella mente tutti quegli anni di attesa sofferta, senza speranza, stringendolo in uno strettissimo abbraccio.
Antonio si limitava a cingerle la vita e a sorridere, senza che lei lo potesse vedere. Un sorriso colmo di gioia, di affetto, di amore ritrovato.
-Antonio, - pronunciò, infine, il suo nome, accarezzandogli le guance, - mi sei mancato.  – confessò titubante, abbozzando un sorriso timido, mentre una luce nuova lampeggiava in fondo ai suoi occhi.
- Anche tu. – le rispose con un sorriso così pieno e sincero che non poté non contagiare anche lei.
- Non te l’ho detto prima, ma eri l’unica persona che avrei voluto vedere, questa sera.- rivelò.
- Lo so, ed è per quello che non avrei mai smesso di cercarti finché non ti avessi trovata. –
   
 
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