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Autore: Amy W Gildeary    07/11/2018    2 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 5 - Le Stelle

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta delle Stelle indica la dea, la prima donna, Eva, che impersonifica la Natura e si rivela attivatrice di vita per gli esseri gravati dal peso della vita terrena, è la Natura in azione. Simboleggia la notte illuminata dalle stelle della speranza. È anche significativa di bellezza, di dolcezza, sentimenti che devono far parte della vita dell’anima.
Risveglia le speranze, gli ideali, ridona poesia e filosofia alla vita, ma è anche sensualità, arte, sensibilità. È la giovinezza ingenuamente seduttrice, è il fatalismo.
Al negativo, però, indica presentimenti non sempre positivi, curiosità morbose che possono portare danni.

 

 

 

Leonardo afferrò un altro bicchiere di vino dal piccolo tavolo alle sue spalle, e si voltò nuovamente verso gli invitati presenti al banchetto. Intravide solo per un istante Lucrezia, ma distolse subito lo sguardo, cercando qualcos’altro che potesse ricevere la sua attenzione.

            «Ti vedo pensieroso», commentò Zoroastro, affiancandolo con un calice in mano.

            «Non amo particolarmente questo tipo di eventi», borbottò lui, mentre con la coda dell’occhio si assicurava che Madonna Donati si fosse allontanata.

La loro piccola avventura di Carnevale era stata un interessante svago, ma il giorno dopo non era stata il suo primo pensiero appena sveglio, né il suo chiodo fisso durante la giornata. Se qualcosa non era in grado di mantenere il suo interesse più a lungo di un paio d’ore, non valeva altro tempo.

Lucrezia non era riuscita a conquistarlo la prima volta, né c’era riuscita la seconda, durante un fugace incontro al mercato, o la terza, nella sua stessa bottega. Il suo interesse nei confronti dell’artista era senz’altro lusinghiero, tuttavia Leonardo non era capace di mentirle e preferiva, per una volta tanto, tenersi lontano dai guai.

            «Solo tu sei capace di rifiutare le attenzioni di un fiore come quello», bofonchiò l’amico, probabilmente aiutato dal vino.

            «Dovresti gioire», commentò da Vinci, alzando le spalle. «Puoi tentare tu di avvicinarla».

            «La favorita del Magnifico? Ti ringrazio ma, al contrario di te, io ci tengo alla mia pellaccia».

Leonardo alzò gli occhi al cielo e lanciò un rapido sguardo alle sue spalle, di nuovo alla ricerca di qualcosa che destasse la sua curiosità.

            «Per l’amor del cielo e della terra…»

La voce di Zoroastro lo distrasse di nuovo e l’artista si voltò, ancora più infastidito di prima.

            «Che c’è?», borbottò annoiato, ma la sua espressione mutò in perplessità vedendo l’amico imbambolato come una statua.

            «Dimentica Lucrezia, ecco qualcuno che vorrei davvero avvicinare», rispose con malizia e indicò con discrezione un punto dall’altra parte della sala.

Leonardo, suo malgrado, seguì lo sguardo dell’amico, ma quando scoprì la causa di tanto interesse la sua mente parve svuotarsi da ogni pensiero.

Nella sala del banchetto era appena giunta una giovane donna, un volto sconosciuto a Firenze e soprattutto all’artista. Si guardava intorno con attenzione e sincero interesse, al contrario di tante damigelle dall’aria impaurita oppure annoiata.

I suoi occhi vagavano da un dettaglio all’altro, accentuati da alcune piccole decorazioni dorate applicate agli angoli delle palpebre e sulle tempie, che accarezzate dalla luce brillavano quasi quanto il suo sguardo sveglio, vispo, intrigante.

Alcuni ospiti si fecero da parte per permetterle di passare, rivelando così un abito altrettanto affascinante. Al contrario di molti vestiti, colorati con tinte vivaci, il suo era il più cupo; tuttavia, a modo suo, brillava su tutti gli altri.

Un aderente corpetto di broccato nero, impreziosito da alcune decorazioni dorate, era incorniciato da delle maniche morbide e abbondanti, lunghe fino ai polsi, di un lucido velluto nero decorato da sottili catenelle d’oro. L’abito dava poi spazio ad una gonna lunga fino a terra, anch’essa di velluto nero, aperta con uno spacco al centro a rivelare il prezioso broccato dorato sottostante.

I morbidi capelli castani, acconciati in soffici boccoli, ricadevano dolcemente sulle spalle fino alla vita, poco più corti rispetto alle altre damigelle. Nulla in lei si conformava agli altri invitati, benché meno la sua rara ed intrigante bellezza.

            «Wow», mormorò Zoroastro, non riuscendo a formulare niente di più elaborato.

Leonardo, d’altro canto, nemmeno riuscì ad aprire bocca, incapace di distogliere lo sguardo da quella misteriosa ma affascinante damigella. Solo vedendola allontanarsi verso un’altra sala il suo cervello parve risvegliarsi, e l’ultima cosa che voleva fare era perderla di vista.

Poggiò frettolosamente il suo bicchiere sul tavolo e salutò il moro con una pacca sulla spalla, prima di lasciarlo solo.

            «Oh, sì, certo. Grazie, amico», borbottò Zoroastro, parlando ormai a sé stesso. «Non c’è di che, sono qui apposta per cederti le mie prede».

 

Leonardo si fece largo tra gli ospiti, senza mai distogliere lo sguardo dalla misteriosa invitata, e tirò un sospiro di sollievo quando la vide fermarsi in un angolo più tranquillo e meno affollato. L’artista poté finalmente rallentare il passo e avere il tempo di aggiustare velocemente il suo aspetto e, soprattutto, recuperare il suo atteggiamento sfrontato e sicuro di sé.

            «Un volto nuovo nella città di Firenze», esordì, attirando l’attenzione della ragazza su di sé.

Un solo suo sguardo, così vivace e stuzzicante, bastò a fermargli il cuore per qualche secondo. Non avrebbe dimenticato facilmente degli occhi tanto belli.

            «Se posso presentarmi…», continuò, inchinandosi con garbo; le tese la mano e la giovane gli porse la propria. «Mi chiamo Leonardo da Vinci. Artista, anatomista, ingegnere, inventore, pittore visionario… e anche di una certa fama, aggiungerei».

Posò le labbra sulla mano della nobildonna, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi, ed indugiò ben oltre il necessario, ma nessuno dei due parve trovarlo un problema.

            «Aggiungerei la modestia al vostro già ricco elenco di qualità», rispose prontamente lei, con una nota di sarcasmo.

            «Semplici dati di fatto, Madonna. Ma possiamo sempre spostare la conversazione su di voi».

            «Non credo che il vostro ego lo permetterebbe», rispose lei, fingendo un’aria diffidente e vagamente dispiaciuta, ma la sostituì subito con un sorriso divertito.

            «Potrebbe, se vinto dalla curiosità», ribatté immediatamente Leonardo, improvvisamente impaziente di conoscere a quale nome rispondesse la prima damigella in grado di tenergli testa con tanta maestria.

            «Una dama ha ben pochi segreti, maestro da Vinci. Perché non mi parlate ancora un po’ di voi?», disse però la giovane.

Eppure, Leonardo si sentì ancora più curioso ed intrigato dalla sconosciuta, e le avrebbe raccontato qualsiasi cosa, anche la storiella più banale che conosceva, pur di non porre fine a quella conversazione.

            «Acconsentirò volentieri alla vostra richiesta se voi sarete così gentile da concedermi un ballo», azzardò, inclinando leggermente la testa di lato con un sorrisetto.

La ragazza lo osservò per qualche istante in silenzio, socchiudendo leggermente gli occhi come se lo stesse studiando, e l’aspettativa dell’artista crebbe. Poi, senza dire nulla, si spostò verso gli altri ballerini e, dopo alcuni passi, si voltò alla ricerca dello sguardo di da Vinci, sollevando le sopracciglia in un chiaro invito. Leonardo impiegò meno di un secondo per raggiungerla.

 

Gemma non avrebbe mai pensato di poter avere tanta fortuna, ma per una volta il destino era a suo favore e le aveva permesso di avvicinare il famoso Leonardo da Vinci senza alcuno sforzo. E, a giudicare dal modo in cui la guardava, senza mai perderla di vista, la situazione era a suo favore, ben oltre ogni sua speranza.

La contessa si voltò verso l’artista e si avvicinò a lui, prima di iniziare a danzare seguendo la musica.

L’artista dovette ricordare a sé stesso di recuperare un minimo di dignità, possibilmente cominciando con il chiudere la bocca e smetterla di fissarla come un cucciolo di cane. Eppure qualcosa in lei lo stregava: l’aveva letteralmente soggiogato nell’istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lei, e Leonardo non ricordava di aver mai provato qualcosa del genere.

Ormai ben oltre i limiti del consono, lasciò che la sua voce agisse di vita propria, senza inibizioni.

            «Mi farebbe molto piacere ritrarvi, un giorno o l’altro», mormorò, per poi rendersi improvvisamente conto di ciò che aveva detto.

Si aspettò di vederla indignata, offesa, sconvolta, come una qualsiasi altra dama avrebbe fatto; invece lei lo sorprese di nuovo, guardandolo incuriosita ma con una vena di malizia che Leonardo avrebbe facilmente potuto scambiare per interessamento per quella proposta.

            «Sempre che a voi faccia piacere, Madonna», si sbrigò a specificare, la sua solita sicurezza improvvisamente sparita.

Ma Gemma si limitò a sorridere, divertita di fronte a quella piccola dimostrazione di impaccio.

            «Vi proponete come ritrattista a tutte le dame che conoscete appena?», chiese lei con uno sguardo curioso, inclinando di poco la testa.

Da Vinci sorrise sollevato e recuperò la sua spavalderia, tornando ad osservare con molta attenzione il suo viso e i suoi occhi.

            «Solo con chi riesce a catturare la mia attenzione. E vi posso assicurare che è davvero difficile destare il mio interesse», rispose lui, abbassando notevolmente il tono della voce e avvicinandosi maggiormente a lei.

Spostò per un istante lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, e Gemma fece lo stesso, stringendo leggermente la presa attorno alla mano di lui.

Per alcuni istanti restarono in silenzio, l’uno perso nello sguardo dell’altra, i movimenti di danza ormai automatici, ben lontani dal seguire la musica.

            «E quando potremmo cominciare?»

La voce di Gemma lo risvegliò improvvisamente e, così sorpreso dalla sua risposta, perse di colpo tutta la sua sicurezza. E non era la prima volta, quella sera.

            «Dunque accettate?», domandò sorpreso, e dovette rassegnarsi all’idea di non avere più alcun controllo sulle sue parole.

            «Potrei prendere la vostra idea in considerazione», rispose la giovane donna, con semplicità. «Non c'è una vostra opera esposta a palazzo? Per poter confermare le vostre tanto decantate abilità», domandò poi, guardandosi in giro.

            «Sfortunatamente no. Ma posso improvvisare uno schizzo anche subito», propose da Vinci, rallentando i passi di danza fino a fermarsi completamente.

            «D’accordo», acconsentì Gemma, sciogliendo la posizione da ballo. «Mi avete incuriosita, artista», e si allontanò dalla sala senza aggiungere altro, permettendo a Leonardo di ricomporsi, in particolare dopo quel nomignolo che gli aveva bloccato il fiato in gola.

La vide raggiungere uno dei corridoi del palazzo e le si avvicinò a grandi passi, superandola e indicandole la strada. Si spostò in uno studio poco distante, sapendo che nessuno sarebbe giunto a disturbarli, e le indicò una poltrona su cui accomodarsi.

Con un’eleganza che raramente da Vinci aveva ammirato in una donna, la giovane si sedette, sistemò il suo abito e sollevò il mento, mettendosi in posa, senza mai perdere quel suo sguardo e quel suo sorriso, così accattivanti e seducenti.

Leonardo rialzò gli occhi dal suo fedele quaderno e, vedendola, per poco la matita non gli cadde dalle mani, ma ebbe la prontezza di afferrarla all’ultimo secondo e di stringerla più saldamente tra le dita. Proprio lui, che tanto aveva deriso le Guardie della Notte per la loro presa poco salda.

Iniziò a disegnare alcuni rapidi tratti sulla carta, abbozzando la base del suo disegno, per poi lavorare con più precisione ai dettagli. Iniziò dai lineamenti del viso, incorniciato dai suoi lunghi capelli, per poi giungere al collo, alle spalle e al décolleté, fino alla parte superiore dell’abito e delle maniche. Concentrò poi maggiore attenzione per il naso, le labbra, e infine gli occhi.

Ebbe bisogno di alcuni istanti per trovare il modo migliore di catturare il suo sguardo, ed inconsapevolmente iniziò ad avvicinarsi a lei, per studiare meglio i dettagli più piccoli ed elaborati. Solo dopo alcuni secondi si accorse di essere ormai a pochi passi da lei, leggermente chinato in avanti, ma niente nella ragazza gli fece pensare di averla infastidita.

Piano piano, la presa attorno alla matita si indebolì e ormai la sua mano stava solo fingendo di disegnare. La vide chiudere e riaprire gli occhi con voluta lentezza, e il suo sguardo si caricò di determinazione ed aspettativa, intrecciandosi a quello di lui come per magia.

Dagli occhi, Leonardo osservò con insistenza le sue labbra, ormai completamente soggiogato, e vedendola schiuderle non riuscì più a ragionare con lucidità. Si avvicinò di un altro passo e chiuse gli occhi, ormai determinato a colmare quella distanza.

Non si aspettò di essere fermato dall’indice della giovane sulle sue labbra.

            «Forse dovreste prima conoscere il mio nome», gli sussurrò lei, ad un soffio dal suo viso.

L’artista sollevò lo sguardo nei suoi occhi, aspettandosi di scorgervi una traccia di paura, qualcosa che giustificasse il suo rifiuto, ma trovò la stessa malizia che lo aveva stregato fin da subito.

            «Ah, davvero?», chiese con sarcasmo, aspettandosi ormai un gioco di seduzione e di provocazioni.

Gemma sollevò le sopracciglia e si morse il labbro inferiore, mettendo a dura prova l’autocontrollo dell’artista. Con somma sorpresa da parte di Leonardo, la ragazza accorciò maggiormente la distanza tra di loro, il suo indice ancora contro le labbra di da Vinci.

            «Piacere di fare la vostra conoscenza, artista. Sono la contessa Gemma Riario».

Il sorriso di Leonardo crollò di colpo.

La sua mente fu incapace di formulare un qualsiasi pensiero, troppo occupata a ripetersi quelle ultime tre parole e a collegarle velocemente al racconto di Nico.

Gemma non pretese nient’altro né perse il suo sorrisetto soddisfatto, semplicemente si alzò dalla poltrona e guidò i movimenti dell’artista, facendolo indietreggiare con ancora il suo indice contro la sua bocca.

            «Mi sento in dovere di ringraziarvi. È stato un incontro davvero interessante», mormorò la contessa, seguendo con le dita e con lo sguardo il cordoncino che da Vinci aveva al collo, fino alla chiave.

La lasciò ricadere e lanciò un ultimo sguardo all’artista, prima di allontanarsi, lasciandolo in totale balia dei suoi pensieri.

 

 

 

 

            «Dov’è il maestro?», domandò Nico, raggiungendo Zoroastro con il fiatone. Così poco avvezzo a certi eventi, non aveva idea di come muoversi o di dove trovare i suoi amici.

            «A provarci con la dama che avevo puntato io», brontolò il moro, con le braccia incrociate al petto.

Il biondino lo guardò perplesso, ma in tutta risposta ricevette solo un cenno del capo in direzione di uno dei corridoi del palazzo che si affacciavano sulla sala. Dall’ingresso comparve una giovane dama, le decorazioni dorate che risplendevano sulla stoffa nera e sulla sua pelle di pesca, lo sguardo vispo e furbo.

Zoroastro vide solo quello, ma Nico fu di tutt’altra opinione: non avrebbe mai dimenticato quegli occhi e la freddezza che li avevano accompagnati.

E il sangue gli si gelò nelle vene.

            «Q-q-quella?», balbettò, sentendosi improvvisamente malfermo sulle sue stesse gambe.

            «Sì, lo so, è bellissima», rispose il moro, come un bambino offeso. «E ovviamente lui mi ha fregato».

            «N-n-no, Zo…», lo fermò il giovane, gesticolando con una mano. «Quella… quella…», tentò di nuovo, attirando su di sé lo sguardo dell’amico.

            «Vedo che nemmeno tu sei immune alla sua bellezza», commentò, con un che di sorpresa: non l’aveva mai visto così imbarazzato per una donna, e Nico non era di certo un tipo sicuro di sé.

            «Zo…», mormorò di nuovo il biondo, cercando quanto meno di essere più fermo e serio.

            «Che c’è?»

            «Quella… quella è la contessa Riario», disse, con un filo di voce.

E in risposta ottenne solo silenzio.

Nient’altro che silenzio. Per molti, molti secondi.

            «…davvero?», domandò Zoroastro, una volta ritrovata la voce.

            «Sì».

E fu ancora silenzio, per un altro po’.

            «Splendido!», esclamò il moro dal nulla, alzando gli occhi al cielo. «Non potevano inviare uno spocchioso ed antipatico conte? No, hanno ben pensato di usare la più bella ed irresistibile delle loro armi», continuò, indignato.

Nico al contrario era ben poco interessato alle lamentele di Zoroastro, e molto di più al trovare il maestro e a salvarlo dalla sua nemica, nemica di cui non sospettava nemmeno minimamente l’identità.

            «Zoroastro, dobbiamo salvarlo!», esclamò il biondino, cercando di richiamare la sua attenzione.

Il moro, a quelle parole, parve calmarsi e, soprattutto, porre fine al suo sproloquio di lamentele e complimenti, non poi così velati, nei confronti del prezioso gioiello del Vaticano. Fissò Nico con un che di sorpreso, come se avesse realizzato solo in quel momento la gravità della situazione.

            «Nah, lasciamolo dov’è», rispose invece, a sorpresa. «È una sorta di giustizia poetica», sentenziò, con decisione.

            «M-ma…», balbettò l’apprendista, incredulo.

Per sua fortuna, non passò molto tempo che Leonardo rientrò in sala, e proprio dallo stesso corridoio da cui era comparsa la contessa, poco prima. L’unica differenza era l’espressione sul volto dei due ospiti: se la prima era il ritratto della tranquillità, per il secondo l’aggettivo turbato era un eufemismo.

Già fu un miracolo, per l’artista, scovare i due volti amici tra la folla; il fatto che fosse riuscito addirittura a raggiungerli aveva dell’incredibile.

            «Ancora vivo?», domandò Zoroastro, fingendosi sorpreso. «Credevo che la contessa Riario ti avrebbe lasciato un suo marchio: rosso e di forma circolare», commentò, con un sorrisetto malizioso. «E no, non sto parlando di un marchio simile a quello di Nico», precisò poi, tornando serio.

            «Zoroastro…», lo ammonì Leonardo, il tono della voce affaticato come se avesse appena attraversato la città di corsa.

            «Che faccia sconvolta», commentò invece il moro, ignorando allegramente l’avvertimento. «Hai scoperto il suo nome solo dopo esservi accoppiati come conigli?»

Nico nemmeno cercò di nasconderlo o di distrarre l’attenzione degli amici: semplicemente il suo disperato tentativo di trovare qualcosa a cui reggersi non gli diede modo di preoccuparsi dei commenti che lo avrebbero seguito. Per sua fortuna, da Vinci era ancora troppo sconvolto perfino per parlare, mentre l’attenzione di Zoroastro era tutta concentrata sulle sue ipotesi.

            «No. Direi che con quella faccia sei stato mandato in bianco, amico», affermò il moro, con un dispiacere tutt’altro che sincero. «Meglio così, ho sentito dire che le mantidi religiose si mangiano i propri amanti, dopo», proseguì, sempre fingendo di essere genuinamente preoccupato per l’amico. «Ti lasciano soddisfatto e poi, sul più bello, te lo mettono in quel posto… la metafora di ogni donna».

            «Oh mio Dio», singhiozzò Nico, perdendo di nuovo tutto il colorito tanto faticosamente ricercato. Di nuovo, fu allegramente ignorato dai due compari.

            «Penso che l’essere stato mandato in bianco ti abbia salvato la vita», commentò Zo sottovoce, con tanto di occhiolino.

Nonostante l’espressione a dir poco stravolta, Leonardo riuscì comunque a fulminare il suo caro compare con lo sguardo, prima di incamminarsi verso l’uscita del palazzo.

            «Ho… bisogno d’aria».

 

 

 

Angolo dell’autrice

Il buonsalve stavolta ve lo do saltellando perché questo è uno dei miei capitoli preferiti e non vedevo l’ora di pubblicarlo.

Finalmente si sono accese le prime scintille della sfida, e sicuramente la piccola dimenticanza durante le presentazioni ha contribuito ad attizzare il fuoco. Di certo anche io avrei nascosto il mio nome, se il risultato era essere ritratta dal talentuoso Leonardo da Vinci. Sono la sola?

In ogni caso, ci pensa Zoroastro a salvare la situazione. O ad aggravarla, a seconda dei punti di vista.

Nei capitoli precedenti come nei successivi, bene o male i significati dei Tarocchi vanno a braccetto con le vicende raccontate, ma qui trovo che la descrizione delle Stelle calzi particolarmente bene.

Vi mando un forte abbraccio e l’appuntamento è, come sempre, tra due settimane.

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
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