Il
Gioiello del Vaticano
Capitolo
5 - Le Stelle
Nei
Tarocchi, la
carta delle Stelle indica la dea, la prima donna, Eva, che
impersonifica la
Natura e si rivela attivatrice di vita per gli esseri gravati dal peso
della
vita terrena, è la Natura in azione. Simboleggia la notte illuminata
dalle
stelle della speranza. È anche significativa di bellezza, di dolcezza,
sentimenti che devono far parte della vita dell’anima.
Risveglia le speranze, gli ideali, ridona poesia e filosofia alla vita,
ma è
anche sensualità, arte, sensibilità. È la giovinezza ingenuamente
seduttrice, è
il fatalismo.
Al negativo, però, indica presentimenti non sempre positivi, curiosità
morbose
che possono portare danni.
Leonardo
afferrò un altro bicchiere di vino dal piccolo tavolo alle sue spalle,
e si
voltò nuovamente verso gli invitati presenti al banchetto. Intravide
solo per
un istante Lucrezia, ma distolse subito lo sguardo, cercando
qualcos’altro che potesse
ricevere la sua attenzione.
«Ti
vedo pensieroso», commentò Zoroastro, affiancandolo con un calice in
mano.
«Non
amo particolarmente questo tipo di eventi», borbottò lui, mentre con la
coda
dell’occhio si assicurava che Madonna Donati si fosse allontanata.
La
loro piccola avventura di Carnevale era stata un interessante svago, ma
il
giorno dopo non era stata il suo primo pensiero appena sveglio, né il
suo
chiodo fisso durante la giornata. Se qualcosa non era in grado di
mantenere il
suo interesse più a lungo di un paio d’ore, non valeva altro tempo.
Lucrezia
non era riuscita a conquistarlo la prima volta, né c’era riuscita la
seconda,
durante un fugace incontro al mercato, o la terza, nella sua stessa
bottega. Il
suo interesse nei confronti dell’artista era senz’altro lusinghiero,
tuttavia
Leonardo non era capace di mentirle e preferiva, per una volta tanto,
tenersi
lontano dai guai.
«Solo
tu sei capace di rifiutare le attenzioni di un fiore come quello»,
bofonchiò
l’amico, probabilmente aiutato dal vino.
«Dovresti
gioire», commentò da Vinci, alzando le spalle. «Puoi tentare tu di
avvicinarla».
«La
favorita del Magnifico? Ti ringrazio ma, al contrario di te, io ci
tengo alla
mia pellaccia».
Leonardo
alzò gli occhi al cielo e lanciò un rapido sguardo alle sue spalle, di
nuovo
alla ricerca di qualcosa che destasse la sua curiosità.
«Per
l’amor del cielo e della terra…»
La
voce di Zoroastro lo distrasse di nuovo e l’artista si voltò, ancora
più
infastidito di prima.
«Che
c’è?», borbottò annoiato, ma la sua espressione mutò in perplessità
vedendo
l’amico imbambolato come una statua.
«Dimentica
Lucrezia, ecco qualcuno che vorrei davvero avvicinare», rispose con
malizia e indicò
con discrezione un punto dall’altra parte della sala.
Leonardo,
suo malgrado, seguì lo sguardo dell’amico, ma quando scoprì la causa di
tanto
interesse la sua mente parve svuotarsi da ogni pensiero.
Nella
sala del banchetto era appena giunta una giovane donna, un volto
sconosciuto a
Firenze e soprattutto all’artista. Si guardava intorno con attenzione e
sincero
interesse, al contrario di tante damigelle dall’aria impaurita oppure
annoiata.
I
suoi occhi vagavano da un dettaglio all’altro, accentuati da alcune
piccole
decorazioni dorate applicate agli angoli delle palpebre e sulle tempie,
che accarezzate
dalla luce brillavano quasi quanto il suo sguardo sveglio, vispo,
intrigante.
Alcuni
ospiti si fecero da parte per permetterle di passare, rivelando così un
abito
altrettanto affascinante. Al contrario di molti vestiti, colorati con
tinte
vivaci, il suo era il più cupo; tuttavia, a modo suo, brillava su tutti
gli
altri.
Un
aderente corpetto di broccato nero, impreziosito da alcune decorazioni
dorate, era
incorniciato da delle maniche morbide e abbondanti, lunghe fino ai
polsi, di un
lucido velluto nero decorato da sottili catenelle d’oro. L’abito dava
poi
spazio ad una gonna lunga fino a terra, anch’essa di velluto nero,
aperta con
uno spacco al centro a rivelare il prezioso broccato dorato
sottostante.
I
morbidi capelli castani, acconciati in soffici boccoli, ricadevano
dolcemente
sulle spalle fino alla vita, poco più corti rispetto alle altre
damigelle.
Nulla in lei si conformava agli altri invitati, benché meno la sua rara
ed
intrigante bellezza.
«Wow»,
mormorò Zoroastro, non riuscendo a formulare niente di più elaborato.
Leonardo,
d’altro canto, nemmeno riuscì ad aprire bocca, incapace di distogliere
lo
sguardo da quella misteriosa ma affascinante damigella. Solo vedendola
allontanarsi
verso un’altra sala il suo cervello parve risvegliarsi, e l’ultima cosa
che
voleva fare era perderla di vista.
Poggiò
frettolosamente il suo bicchiere sul tavolo e salutò il moro con una
pacca
sulla spalla, prima di lasciarlo solo.
«Oh,
sì, certo. Grazie, amico», borbottò Zoroastro, parlando ormai a sé
stesso. «Non
c’è di che, sono qui apposta per cederti le mie prede».
Leonardo
si fece largo tra gli ospiti, senza mai distogliere lo sguardo dalla
misteriosa
invitata, e tirò un sospiro di sollievo quando la vide fermarsi in un
angolo
più tranquillo e meno affollato. L’artista poté finalmente rallentare
il passo
e avere il tempo di aggiustare velocemente il suo aspetto e,
soprattutto,
recuperare il suo atteggiamento sfrontato e sicuro di sé.
«Un
volto nuovo nella città di Firenze», esordì, attirando l’attenzione
della
ragazza su di sé.
Un
solo suo sguardo, così vivace e stuzzicante, bastò a fermargli il cuore
per
qualche secondo. Non avrebbe dimenticato facilmente degli occhi tanto
belli.
«Se
posso presentarmi…», continuò, inchinandosi con garbo; le tese la mano
e la
giovane gli porse la propria. «Mi chiamo Leonardo da Vinci. Artista,
anatomista, ingegnere, inventore, pittore visionario… e anche di una
certa
fama, aggiungerei».
Posò
le labbra sulla mano della nobildonna, senza mai distogliere lo sguardo
dai
suoi occhi, ed indugiò ben oltre il necessario, ma nessuno dei due
parve
trovarlo un problema.
«Aggiungerei
la modestia al vostro già ricco elenco di qualità», rispose prontamente
lei,
con una nota di sarcasmo.
«Semplici
dati di fatto, Madonna. Ma possiamo sempre spostare la conversazione su
di
voi».
«Non
credo che il vostro ego lo permetterebbe», rispose lei, fingendo
un’aria
diffidente e vagamente dispiaciuta, ma la sostituì subito con un
sorriso
divertito.
«Potrebbe,
se vinto dalla curiosità», ribatté immediatamente Leonardo,
improvvisamente
impaziente di conoscere a quale nome rispondesse la prima damigella in
grado di
tenergli testa con tanta maestria.
«Una
dama ha ben pochi segreti, maestro da Vinci. Perché non mi parlate
ancora un po’
di voi?», disse però la giovane.
Eppure,
Leonardo si sentì ancora più curioso ed intrigato dalla sconosciuta, e
le
avrebbe raccontato qualsiasi cosa, anche la storiella più banale che
conosceva,
pur di non porre fine a quella conversazione.
«Acconsentirò
volentieri alla vostra richiesta se voi sarete così gentile da
concedermi un
ballo», azzardò, inclinando leggermente la testa di lato con un
sorrisetto.
La
ragazza lo osservò per qualche istante in silenzio, socchiudendo
leggermente
gli occhi come se lo stesse studiando, e l’aspettativa dell’artista
crebbe.
Poi, senza dire nulla, si spostò verso gli altri ballerini e, dopo
alcuni
passi, si voltò alla ricerca dello sguardo di da Vinci, sollevando le
sopracciglia in un chiaro invito. Leonardo impiegò meno di un secondo
per
raggiungerla.
Gemma
non avrebbe mai pensato di poter avere tanta fortuna, ma per una volta
il
destino era a suo favore e le aveva permesso di avvicinare il famoso
Leonardo
da Vinci senza alcuno sforzo. E, a giudicare dal modo in cui la
guardava, senza
mai perderla di vista, la situazione era a suo favore, ben oltre ogni
sua
speranza.
La
contessa si voltò verso l’artista e si avvicinò a lui, prima di
iniziare a
danzare seguendo la musica.
L’artista
dovette ricordare a sé stesso di recuperare un minimo di dignità,
possibilmente
cominciando con il chiudere la bocca e smetterla di fissarla come un
cucciolo
di cane. Eppure qualcosa in lei lo stregava: l’aveva letteralmente
soggiogato
nell’istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lei, e Leonardo
non
ricordava di aver mai provato qualcosa del genere.
Ormai
ben oltre i limiti del consono, lasciò che la sua voce agisse di vita
propria,
senza inibizioni.
«Mi
farebbe molto piacere ritrarvi, un giorno o l’altro», mormorò, per poi
rendersi
improvvisamente conto di ciò che aveva detto.
Si
aspettò di vederla indignata, offesa, sconvolta, come una qualsiasi
altra dama
avrebbe fatto; invece lei lo sorprese di nuovo, guardandolo incuriosita
ma con
una vena di malizia che Leonardo avrebbe facilmente potuto scambiare
per
interessamento per quella proposta.
«Sempre
che a voi faccia piacere, Madonna», si sbrigò a specificare, la sua
solita sicurezza
improvvisamente sparita.
Ma
Gemma si limitò a sorridere, divertita di fronte a quella piccola
dimostrazione
di impaccio.
«Vi
proponete come ritrattista a tutte le dame che conoscete appena?»,
chiese lei
con uno sguardo curioso, inclinando di poco la testa.
Da
Vinci sorrise sollevato e recuperò la sua spavalderia, tornando ad
osservare
con molta attenzione il suo viso e i suoi occhi.
«Solo
con chi riesce a catturare la mia attenzione. E vi posso assicurare che
è
davvero difficile destare il mio interesse», rispose lui, abbassando
notevolmente
il tono della voce e avvicinandosi maggiormente a lei.
Spostò
per un istante lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, e Gemma fece
lo
stesso, stringendo leggermente la presa attorno alla mano di lui.
Per
alcuni istanti restarono in silenzio, l’uno perso nello sguardo
dell’altra, i
movimenti di danza ormai automatici, ben lontani dal seguire la musica.
«E
quando potremmo cominciare?»
La
voce di Gemma lo risvegliò improvvisamente e, così sorpreso dalla sua
risposta,
perse di colpo tutta la sua sicurezza. E non era la prima volta, quella
sera.
«Dunque
accettate?», domandò sorpreso, e dovette rassegnarsi all’idea di non
avere più
alcun controllo sulle sue parole.
«Potrei
prendere la vostra idea in considerazione», rispose la giovane donna,
con
semplicità. «Non c'è una vostra opera esposta a palazzo? Per poter
confermare
le vostre tanto decantate abilità», domandò poi, guardandosi in giro.
«Sfortunatamente
no. Ma posso improvvisare uno schizzo anche subito», propose da Vinci,
rallentando i passi di danza fino a fermarsi completamente.
«D’accordo»,
acconsentì Gemma, sciogliendo la posizione da ballo. «Mi avete
incuriosita, artista», e si allontanò dalla sala
senza aggiungere altro, permettendo a Leonardo di ricomporsi, in
particolare dopo
quel nomignolo che gli aveva bloccato il fiato in gola.
La
vide raggiungere uno dei corridoi del palazzo e le si avvicinò a grandi
passi,
superandola e indicandole la strada. Si spostò in uno studio poco
distante,
sapendo che nessuno sarebbe giunto a disturbarli, e le indicò una
poltrona su
cui accomodarsi.
Con
un’eleganza che raramente da Vinci aveva ammirato in una donna, la
giovane si
sedette, sistemò il suo abito e sollevò il mento, mettendosi in posa,
senza mai
perdere quel suo sguardo e quel suo sorriso, così accattivanti e
seducenti.
Leonardo
rialzò gli occhi dal suo fedele quaderno e, vedendola, per poco la
matita non
gli cadde dalle mani, ma ebbe la prontezza di afferrarla all’ultimo
secondo e di
stringerla più saldamente tra le dita. Proprio lui, che tanto aveva
deriso le Guardie
della Notte per la loro presa poco salda.
Iniziò
a disegnare alcuni rapidi tratti sulla carta, abbozzando la base del
suo
disegno, per poi lavorare con più precisione ai dettagli. Iniziò dai
lineamenti
del viso, incorniciato dai suoi lunghi capelli, per poi giungere al
collo, alle
spalle e al décolleté, fino alla parte superiore dell’abito e delle
maniche. Concentrò
poi maggiore attenzione per il naso, le labbra, e infine gli occhi.
Ebbe
bisogno di alcuni istanti per trovare il modo migliore di catturare il
suo
sguardo, ed inconsapevolmente iniziò ad avvicinarsi a lei, per studiare
meglio
i dettagli più piccoli ed elaborati. Solo dopo alcuni secondi si
accorse di
essere ormai a pochi passi da lei, leggermente chinato in avanti, ma
niente
nella ragazza gli fece pensare di averla infastidita.
Piano
piano, la presa attorno alla matita si indebolì e ormai la sua mano
stava solo
fingendo di disegnare. La vide chiudere e riaprire gli occhi con voluta
lentezza, e il suo sguardo si caricò di determinazione ed aspettativa,
intrecciandosi a quello di lui come per magia.
Dagli
occhi, Leonardo osservò con insistenza le sue labbra, ormai
completamente
soggiogato, e vedendola schiuderle non riuscì più a ragionare con
lucidità. Si
avvicinò di un altro passo e chiuse gli occhi, ormai determinato a
colmare
quella distanza.
Non
si aspettò di essere fermato dall’indice della giovane sulle sue
labbra.
«Forse
dovreste prima conoscere il mio nome», gli sussurrò lei, ad un soffio
dal suo
viso.
L’artista
sollevò lo sguardo nei suoi occhi, aspettandosi di scorgervi una
traccia di
paura, qualcosa che giustificasse il suo rifiuto, ma trovò la stessa
malizia
che lo aveva stregato fin da subito.
«Ah,
davvero?», chiese con sarcasmo, aspettandosi ormai un gioco di
seduzione e di provocazioni.
Gemma
sollevò le sopracciglia e si morse il labbro inferiore, mettendo a dura
prova
l’autocontrollo dell’artista. Con somma sorpresa da parte di Leonardo,
la
ragazza accorciò maggiormente la distanza tra di loro, il suo indice
ancora
contro le labbra di da Vinci.
«Piacere
di fare la vostra conoscenza, artista.
Sono la contessa Gemma Riario».
Il
sorriso di Leonardo crollò di colpo.
La
sua mente fu incapace di formulare un qualsiasi pensiero, troppo
occupata a
ripetersi quelle ultime tre parole e a collegarle velocemente al
racconto di
Nico.
Gemma
non pretese nient’altro né perse il suo sorrisetto soddisfatto,
semplicemente
si alzò dalla poltrona e guidò i movimenti dell’artista, facendolo
indietreggiare con ancora il suo indice contro la sua bocca.
«Mi
sento in dovere di ringraziarvi. È stato un incontro davvero
interessante»,
mormorò la contessa, seguendo con le dita e con lo sguardo il
cordoncino che da
Vinci aveva al collo, fino alla chiave.
La
lasciò ricadere e lanciò un ultimo sguardo all’artista, prima di
allontanarsi,
lasciandolo in totale balia dei suoi pensieri.
«Dov’è
il maestro?», domandò Nico, raggiungendo Zoroastro con il fiatone. Così
poco
avvezzo a certi eventi, non aveva idea di come muoversi o di dove
trovare i
suoi amici.
«A
provarci con la dama che avevo puntato io», brontolò il moro, con le
braccia
incrociate al petto.
Il
biondino lo guardò perplesso, ma in tutta risposta ricevette solo un
cenno del
capo in direzione di uno dei corridoi del palazzo che si affacciavano
sulla
sala. Dall’ingresso comparve una giovane dama, le decorazioni dorate
che
risplendevano sulla stoffa nera e sulla sua pelle di pesca, lo sguardo
vispo e
furbo.
Zoroastro
vide solo quello, ma Nico fu di tutt’altra opinione: non avrebbe mai
dimenticato quegli occhi e la freddezza che li avevano accompagnati.
E
il sangue gli si gelò nelle vene.
«Q-q-quella?»,
balbettò, sentendosi improvvisamente malfermo sulle sue stesse gambe.
«Sì,
lo so, è bellissima», rispose il moro, come un bambino offeso. «E
ovviamente
lui mi ha fregato».
«N-n-no,
Zo…», lo fermò il giovane, gesticolando con una mano. «Quella…
quella…», tentò
di nuovo, attirando su di sé lo sguardo dell’amico.
«Vedo
che nemmeno tu sei immune alla sua bellezza», commentò, con un che di
sorpresa:
non l’aveva mai visto così imbarazzato per una donna, e Nico non era di
certo
un tipo sicuro di sé.
«Zo…»,
mormorò di nuovo il biondo, cercando quanto meno di essere più fermo e
serio.
«Che
c’è?»
«Quella…
quella è la contessa Riario», disse, con un filo di voce.
E
in risposta ottenne solo silenzio.
Nient’altro
che silenzio. Per molti, molti secondi.
«…davvero?»,
domandò Zoroastro, una volta ritrovata la voce.
«Sì».
E
fu ancora silenzio, per un altro po’.
«Splendido!»,
esclamò il moro dal nulla, alzando gli occhi al cielo. «Non potevano
inviare
uno spocchioso ed antipatico conte? No, hanno ben pensato di usare la
più bella
ed irresistibile delle loro armi», continuò, indignato.
Nico
al contrario era ben poco interessato alle lamentele di Zoroastro, e
molto di
più al trovare il maestro e a salvarlo dalla sua nemica, nemica di cui
non
sospettava nemmeno minimamente l’identità.
«Zoroastro,
dobbiamo salvarlo!», esclamò il biondino, cercando di richiamare la sua
attenzione.
Il
moro, a quelle parole, parve calmarsi e, soprattutto, porre fine al suo
sproloquio di lamentele e complimenti, non poi così velati, nei
confronti del
prezioso gioiello del Vaticano. Fissò Nico con un che di sorpreso, come
se
avesse realizzato solo in quel momento la gravità della situazione.
«Nah,
lasciamolo dov’è», rispose invece, a sorpresa. «È una sorta di
giustizia
poetica», sentenziò, con decisione.
«M-ma…»,
balbettò l’apprendista, incredulo.
Per
sua fortuna, non passò molto tempo che Leonardo rientrò in sala, e
proprio
dallo stesso corridoio da cui era comparsa la contessa, poco prima.
L’unica
differenza era l’espressione sul volto dei due ospiti: se la prima era
il
ritratto della tranquillità, per il secondo l’aggettivo turbato
era un eufemismo.
Già
fu un miracolo, per l’artista, scovare i due volti amici tra la folla;
il fatto
che fosse riuscito addirittura a raggiungerli aveva dell’incredibile.
«Ancora
vivo?», domandò Zoroastro, fingendosi sorpreso. «Credevo che la
contessa Riario
ti avrebbe lasciato un suo marchio: rosso e di forma circolare»,
commentò, con
un sorrisetto malizioso. «E no, non sto parlando di un marchio simile a
quello
di Nico», precisò poi, tornando serio.
«Zoroastro…»,
lo ammonì Leonardo, il tono della voce affaticato come se avesse appena
attraversato la città di corsa.
«Che
faccia sconvolta», commentò invece il moro, ignorando allegramente
l’avvertimento. «Hai scoperto il suo nome solo dopo
esservi accoppiati come conigli?»
Nico
nemmeno cercò di nasconderlo o di distrarre l’attenzione degli amici:
semplicemente il suo disperato tentativo di trovare qualcosa a cui
reggersi non
gli diede modo di preoccuparsi dei commenti che lo avrebbero seguito.
Per sua fortuna,
da Vinci era ancora troppo sconvolto perfino per parlare, mentre
l’attenzione
di Zoroastro era tutta concentrata sulle sue ipotesi.
«No.
Direi che con quella faccia sei stato mandato in bianco, amico»,
affermò il
moro, con un dispiacere tutt’altro che sincero. «Meglio così, ho
sentito dire
che le mantidi religiose si mangiano i propri amanti, dopo», proseguì,
sempre
fingendo di essere genuinamente preoccupato per l’amico. «Ti lasciano
soddisfatto e poi, sul più bello, te lo mettono in quel posto… la
metafora di
ogni donna».
«Oh
mio Dio», singhiozzò Nico, perdendo di nuovo tutto il colorito tanto
faticosamente ricercato. Di nuovo, fu allegramente ignorato dai due
compari.
«Penso
che l’essere stato mandato in bianco ti abbia salvato la vita»,
commentò Zo sottovoce,
con tanto di occhiolino.
Nonostante
l’espressione a dir poco stravolta, Leonardo riuscì comunque a
fulminare il suo
caro compare con lo sguardo, prima di incamminarsi verso l’uscita del
palazzo.
«Ho…
bisogno d’aria».
Angolo
dell’autrice
Il
buonsalve stavolta ve lo do
saltellando perché questo è uno dei miei capitoli preferiti e non
vedevo l’ora
di pubblicarlo.
Finalmente
si sono accese le prime scintille della sfida, e sicuramente la piccola
dimenticanza durante le presentazioni ha contribuito ad attizzare il
fuoco. Di
certo anche io avrei nascosto il mio nome, se il risultato era essere
ritratta
dal talentuoso Leonardo da Vinci. Sono la sola?
In
ogni caso, ci pensa Zoroastro a salvare la situazione. O ad aggravarla,
a seconda
dei punti di vista.
Nei
capitoli precedenti come nei successivi, bene o male i significati dei
Tarocchi
vanno a braccetto con le vicende raccontate, ma qui trovo che la
descrizione
delle Stelle calzi particolarmente bene.
Vi
mando un forte abbraccio e l’appuntamento è, come sempre, tra due
settimane.
Un
bacione
Amy
W. Gildeary