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Autore: blackswam    07/11/2018    2 recensioni
Nella tenebrosa e spaventosa città di Garður dove il terrore e la paura dimorava nelle vene di ogni singolo compaesano, nascondeva un segreto a cui nessun riusciva a credere. I vecchi cantastorie dei paesi confinanti raccontavano storie, racconti di terrore legati a quella oscura città dove la sopravvivenza era un privilegio. Si diceva che circa un millennio fa la città fu assediato da una bestia dai terrificanti occhi rossi, una lunga coda squamosa che agitava quando era spesso irritato, un corpo enorme e un lungo collo irto di scaglie. Distrusse tutto ciò che trovò nel suo cammino, tagliando con le lunghe zampe le sue prede e mangiandole con i suoi denti appuntiti. Pochi riuscirono a sopravvivere per narrare quella vicenda, ma ancora oggi i discendenti di quei compaesani vivevano nell'ombra con l'obbiettivo di sopravvivere per un semplice scopo: uccidere quei mostri che hanno occupato la loro terra e difendere così il mondo da morte certa.
Usagi Tsukino una semplice cameriera del paese di Svalbarð si troverà imbrigliata in una storia molto più grande di lei, quando un giorno nella villa dei signori per i quali lavorava trova un piccolo uovo sepolto tra i cumuli di terreno.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Capitolo 3

Il piccolo uovo

 

Svalbarð, quest’oggi, era limpida e radiosa e brulicava di cittadini dai visi felici e speranzosi della prossima guerra a cui presto o tardi sarebbero andati incontro. Avere la città Grímsey - una della città più potenti dell’ Islanda-come alleata significava aggiudicare maggior prestigio per i loro possedimenti, ma allo stesso tempo significava aumentare le ore di lavoro per poter garantire che tutto ciò possa davvero avvenire.
“Un sacrificio che verrà ricompensato” diceva il sindaco però delle sue parole Usagi non ne era pienamente convinta. 
Per lei dietro a quelle promesse era celato un piano ancora più oscuro, magrabo, irrimediabilmente spaventoso. 
C’era qualcosa che non ci diceva. Qualcosa che stava cercando di nascondere. 
Erano questi i pensieri che mi balenavano in mente mentre mi rivestivo nella stanza. Avevo indossato la mia solita divisa allentando però di poco la chiusura del collo, e quasi maledico il caldo asfissiante che non mi permetteva di muovermi decentemente senza che gocce di sudore mi attraversassero ogni parte del corpo. 
Afferrai la rivista che si trovava sul comodino e iniziai a sventolarmi il viso ricevendo - anche in parte minima- un po’ di sollievo. 
Il cielo quella mattina rispecchiava quello che era l’animo di ogni singolo cittadino. Questi era di un colore azzurro chiaro e nemmeno una nuvole oscurava la bella, ma insopportabile luce del sole. Non avevo mai odiato il sole, anzi però in questo frangente non riuscivo proprio a farmelo piacere. 
Avrei una maledetta voglia di cambiari d’abito e uscire per sentire quei raggi solare sulla mia pelle nuda senza vesti di seta che mi facevano una sorte di barriera.
Quando mi alzai dal letto per dirigermi verso la porta della stanza, che mi avrebbe condotta in un lungo corridoio per iniziare il mio turno di lavoro sentii qualcosa muoversi. 
Abbassai le mani verso l’oggetto e mi ritrovai tra le mani l’uovo che aveva trovato qualche sera fa. 
Me ne ero completamente dimenticata di lui. Ne sfiorai la superficie con le dita e notai una lieve increspature al lato destro. 
“Oh mio dio si sta per schiudere” pensai con un po’ di ansia. Di che uovo poteva mai trattarsi? 
Rimasi ad osservare per altri cinque minuti, ma alla fine decisi di depositarlo alla sua vecchia postazione. Non potevo rimanere li ancora a lungo doveva lavorare.
Quindi anche se un po’ a malincuore lascia la stanza chiudendo la porta dietro le spalle.

 

***

Quando raggiunsi Ami la trovai intenta a ripulire la camera della padrona e presa dalle sue mansioni non si era resa conto della mia presenza.
«Hei» la chiamai a gran voce attirando fin troppo la sua attenzione e di fatti sobbalzò sul posto riservandomi uno sguardo truce.
«Usagi sai quanto odio questi scherzi» mi disse portandosi una mano sul petto e sospirando. Però sapevo che il suo musone non avrebbe retto ancora a lungo, e dopo pochi minuti la ragazza riprese a parlarmi mentre per scusarmi le davo una mano aiutandola a rifare il letto. 
Era da ormai da un bel po’ che conoscevo Ami e nonostante non ci conoscessimo proprio da tutta una vita sentivo di volerle un bene dell’anima considerandola a pieno titolo un membro della mia famiglia. 
Questi però mi diede da pensare che sulla famiglia di Ami sapevo poco e niente soltanto che era una figlia unica e aveva un padre di origine giapponese, cosa che infatti ci accomunava, ma oltre a questi piccoli dettagli non conoscevo il vero motivo della sua presenza qui. 
La cosa mi dispiaceva e mi faceva anche irritare in quanto le avevo sempre raccontato ogni piccolo dettaglio della mia vita, mentre lei aveva sempre omesso ogni dettaglio della sua vita.
“Sicura di averle detto tutto?” mi chiese una piccola voce che ormai ero solita chiamare coscienza. 
Va bene magari non le aveva raccontato di Mamoru, ma le avevo raccontato della sua famiglia e del mio obiettivo di riprendermi la mia sorellina. Mi ero completamente aperta con lei.
«Ami» provai a dire cercando di trovare le parole giuste «Non vorrei sembrare indiscreti, ma sono ormai anni che ci conosciamo e nonostante tu abbia evitato l’argomenti per molto tempo non mi hai mai raccontato il reale motivo della tua presenza in questa cosa. Non mi hai mai parlato delle tue origini, della tua famiglia nonostante io mi sia aperta con te più e più volte.»
Sputai tutto così a raffica tenendo gli occhi socchiusi non riuscendo a guardarla dritta negli occhi. 
Forse avrei fatto meglio a starmene zitta. Di fatti la vidi sospirare.
“Ecco adesso ho buttato all’aria tanti ben anni di amicizia”
Quando alzai lo sguardo la vidi sorridere e anche se all’inizio rimasi sorpresa non potei che rilassarmi.
«Hai ragione. Tu sei sempre stata sincera con me mentre io…» iniziò a dire dispiaciuta abbassando lo sguardo. 
Avvicinai un mano verso di lei con il chiaro intento di dirle che non era colpa sua, ma lei semplicemente alzò lo sguardo e mi sorrise.
«Non è che non volevo raccontarti della mia vita, ma soltanto che non ho buoni ricordi della mia infanzia. Vedi essere l’unica figlia di un padre padrone che vuole condizionarti ogni singolo aspetto della tua vita, una madre che preferiva passare tutti il tempo che i suoi ripetuti amanti invece che pensare alla sua povera figlia. Dopo l’ennesimo abbandono tradimento di mia madre l’ira di mio padre, che si sentiva compatito da ogni singolo vicino, si avventò su mia madre. All’inizio tutto procedeva in questo modo, fino a quando la sua ira non iniziò a trovare pace e inveì anche su di me. All’epoca aveva solo dieci anni. A quindici decisi di abbandonare quel posto e iniziai ad occuparmi di piccoli lavori fino ad oggi.»
Raccontò mentre nella durata del suo racconto aveva stretto le sue mani per tutto il tempo. Volevo in qualche modo fonderle forza, protezione, volevo farla sentire al sicuro.
In qualche modo mi sentivo un’idiota per averle fatto ricordare tutti quelli orribili ricordi, ma dall’altro lato era felice che finalmente si fosse liberata con me. 
Si era fidata e di questo ne potevo essere contenta. 
L’abbracciai di scatto sussurrandole parole rassicuranti, ma sapevo che non ne aveva alcun bisogno
In quei anni rimasta da sola era diventata una donna forte e indipendente ed io invidioso quella sua caratteristica. Invece io ero ancora legata al mio passato e non riuscivo a guardare avanti. 
«Grazie» disse e io non potei che rafforzare la forza dell’abbraccio. 

 

***

Una volta rientrata nella mie stanza mi lasciai ricadere sul letto lasciando libero sfogo ai miei problemi e alle vicissitudini della giornata. Dopo aver sciolto il nostro caloroso abbraccio io e Ami continuammo il nostro lavoro e passammo tutta la giornata a parlare senza mai smettere di sorridere. 
Sembrava che il nostro rapporto si fosse consolidato dopo la sua confessione e probabilmente era proprio ciò che era accaduto. 
Ultimato le nostre ultime commissioni ci rintanammo nelle nostre stanze con la prossima di dirci sempre tutto. 
E io sapevo di dover adempiere a quella promessa. Dovevo dirle di Mamoru, ma soprattuto dello strano oggetto che si trovava sotto al mio letto e che o quanto pare stava per schiudersi. 
“L’uovo me ne sono completamente dimenticata” pensai e spinsi le mani sotto il letto, ma per quando provai ad abbassare non riuscii ad afferrare l’oggetto.
Dove poteva essersi cacciato. Spinsi la mano fino al fondo del letto quando sentii qualcosa, o meglio qualcuno, mordermi un dito. Mi portai quest’ultimo istintivamente sul viso e notai un rivolo di sangue fuoriuscire da esso.
«Piccolo bastardo»  esclamai abbandonando ogni compostezza. Con entrambe le mani mi chinai verso il letto nonostante la poca luce e afferrai il responsabile della mia ferita.
Quando i miei occhi azzurri incontrarono due occhi rossi mi immobilizzai all’istante. Era di un colore bluastro in netto contrasto con il colore dei sue occhi, due paia di orecchie e paia di denti molto appuntiti. E aveva le ali, due maledette ali. 
Non poteva essere non stava succedendo proprio a me. Con ancora le mani strette in quel corpicino rimasi ad osservarlo senza staccare mai gli occhi da lui.
Quello che stavo tenendo tra le mani era… era un drago!

 

“Quando il drago ha ormai abbandonato la speranza, quando 
ormai ha smesso di credere nella vita, 
quando ormai ha perso la forza, una persona…
Una persona sarà al suo fianco per aiutarlo, ma
soprattuto per aiutarlo a fidarsi di lui. Perché
lui era un dominatore di draghi. L’unico è vero amico
di cui potevano fidarsi”

  
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